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L'Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


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12. La battaglia di Kulikovo (1380)

(Fonte: il nostro testo, un po’ abbreviato, si basa sull’ edizione Polnoje sobranije russkich letopisej, XXIII, Sankt Petersburg, 1910, pp. 24-127).

Leggiamo la tradizione russa, tratta dai cosiddetti Annali di Jermolin, dell’importante vittoria riportata sui Tartari nel 1380. Questa battaglia segnò l’inizio dello sfacelo del predominio tartaro-mongolo sui territori russi. Gli Annali esagerano manifestamente la misura della vittoria, specie riguardo al numero dei nemici.


Lo stesso anno [1] il principe dell’Orda d’Oro Mamaj e con lui tutti i principi dell’Orda, tutti gli eserciti tartari e poloviciani [2], più i reparti alleati bessermeni, armeni, italiani [3], circassi, burtassi e con loro anche Jagellone di Lituania e il principe di Rjazan’ Oleg – tutti insieme attaccarono il duca Demetrio e il 1° settembre apparvero sulle rive del fiume Oka. Oleg aveva infatti mandato Epifan Korejev a chiedere aiuto a Mamaj e a Jagellone. Di tutto ciò il granduca ebbe notizia nel mese di agosto quando il principe Oleg, traditore come Giuda, invitò Mamaj a intraprendere una spedizione militare contro il granduca. E quando il granduca sentì questo, entrò nella chiesa di Maria Vergine e recitò molte preghiere. Quando poi uscì, inviò un appello a tutti i principi e condottieri russi e si recò a Kolomna con i suoi 100.000 combattenti – senza contare l’esercito dei principi russi e dei condottieri locali. Dall’origine del mondo non era esistito un esercito russo così forte, in quanto tutti insieme i combattenti arrivavano quasi a 200.000. Con loro erano poi Andrej Olgerdovič, principe di Pskov, e il duca Demetrio. Intanto Mamaj si era fermato con tutti i suoi eserciti sul Don e, siccome aspettava Jagellone, rimase qui tre settimane e inviò al granduca la richiesta di pagamento del tributo - cosi come sotto lo zar Želibek [4].

Il granduca era disposto a pagare secondo le possibilità dei cristiani, ma egli non accettò. Oleg invece esaudì le richieste e gli mandò anche rinforzi. Il granduca Demetrio pregò allora nella chiesa di Maria Vergine il santo vescovo Gherasim, il 20 agosto lasciò Kolomna e si fermò nel punto dove il fiume Lopasna si getta nell’Oka. Qui accorsero da lui anche il principe Vladimir Andrejevič, principe di Serpuchov, e Timofej, entrambi con valorosi eserciti. Passarono il fiume e il 6 settembre arrivarono al fiume Don. Demetrio ricevette allora dal famoso abate Serghej una lettera in cui gli ordinava di stare con i Tartari. Demetrio diede ordine agli eserciti di prepararsi e rimase a lungo a riflettere. Alcuni dicevano: «Passa il fiume Don!». Altri non volevano e dicevano: «La forza dei nostri nemici, Tartari, Lituani e di Rjazan’, cresce!». Quando poi Mamaj venne a sapere dell’arrivo del granduca sul Don, si arrabbiò moltissimo e disse ai suoi: «Ci dirigeremo verso il Don, lì Jagellone ci verrà in aiuto». Il granduca ordinò poi di costruire ponti sul Don e di cercare di notte dei guadi. La mattina del sabato 8 settembre, il giorno della natività di Maria Vergine, diede ordine agli eserciti di passare il fiume e di scendere in campo. Quel giorno c’era una grande nebbia, poi però la nebbia scomparve e tutti passarono il fiume Don. E c’era una quantità innumerevole di armati, come se anche la terra si stesse mettendo in marcia. Uscirono in un’aperta pianura presso lo sbocco del fiume Něprjadva e si schierarono in ordine di combattimento. E quando furono le sei del mattino i maledetti Tartari incominciarono a comparire nella pianura e a schierarsi contro i cristiani. Dall’una e dall’altra parte c’era una moltitudine di armati, cosicché, quando i due eserciti si scontrarono, coprirono il territorio per un tratto lungo 13 verste [5]. Ebbe inizio una grande battaglia, si combatteva accanitamente e il rumore risonava lontano: una cosa simile non s’era ancora mai vista sotto i principi russi. Combatterono dalle sei alle nove e il sangue scorreva a torrenti come se un violento acquazzone l’avesse versato sulla terra e da ambo le parti caddero molti combattenti. Verso le nove Dio rivolse il suo sguardo misericordioso sulla sua progenie umana. Molti videro angeli e santi martiri aiutare i cristiani. Anche i pagani guardavano con terrore i reggimenti che si libravano nell’aria e sterminavano spietatamente gli eserciti pagani. Fu cosi che ad un tratto i pagani si diedero alla fuga e i cristiani incominciarono a inseguirli furiosamente fino al fiume Meč, battendoli, dando loro la caccia e uccidendoli. I reggimenti del granduca irruppero nelle tende dei pagani, presero i gioielli, condussero via le mandrie, uccisero molti armati e altri ne spinsero in acqua dove annegarono. Allora furono uccisi però anche molti combattenti dalla parte russa… e i loro nomi sono iscritti negli albi d’onore. Io ho potuto nominare soltanto i principi e i boiari più anziani, i condottieri, ma anche moltissimi altri rimasero uccisi. Lo stesso granduca ebbe tutta l’armatura rovinata, ma pur essendosi battuto a faccia a faccia con i Tartari in prima linea non riportò la benché minima ferita. Alcuni condottieri gli dicevano: «Signore, non metterti così davanti, vai piuttosto dietro o sull’ala o in qualche altro posto sicuro». Ma egli aveva replicato: «Come potrei allora, fratelli, condurvi avanti se proteggessi me stesso e mi nascondessi dietro? Io voglio dimostrare, come l’ho confermato con le parole e ora con i fatti, di essere deciso a sacrificare la vita per il cristianesimo e sono convinto che gli altri, vedendo ciò, prenderanno coraggio». E come aveva detto, così anche fece: durante il combattimento fu continuamente alla testa e intorno a lui a destra e a sinistra c’era una quantità di pagani uccisi che finirono col circondarlo tutt’intorno come una forte piena. E ricevette molti colpi al capo e su tutto il corpo, ma Dio lo preservò da ogni ferita. Il principe Jagellone di Lituania con tutti i suoi combattenti lituani e polacchi venne in aiuto di Mamaj, ma arrivò con un giorno di ritardo. Sentì che il granduca aveva sconfitto i Tartari e che Mamaj si era dato alla fuga e allora con i suoi eserciti scappò precipitosamente. Quella notte il granduca si fermò a guardare i cadaveri e le ossa dei Tartari sconfitti e insieme con il suo seguito si terse il sudore dalla fronte e rese grazie al gran Dio. Il giorno dopo partirono dal campo di battaglia e tornarono nei loro paesi.

[1] 1380.

[2] Ucraini del Sud.

[3] Genovesi, stanziati nelle colonie della Crimea.

[4] Il Khan Džanibeg che regnò negli anni dal 1342 al 1357.

[5] Circa 13 km.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06