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L'Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


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16. La battaglia di Grunwald (1410)

(Fonte: JAN DŁUGOSZ, Dziela wszystkie, ed. A. Przedziecki, t. V, Krakow, 1869, pp. 48-50).

La vittoria riportata dagli eserciti polacco-lituani sui Crociati a Grunwald è stata descritta con dovizia di particolari dal più grande cronista medievale polacco Jan Długosz. La sua descrizione è pervasa di patriottismo polacco, ma anche di avversione per i Lituani e gli altri alleati del re.


Quando lo squillo della tromba diede il segnale della battaglia, tutto l’esercito reale cantò ad alta voce la canzone nazionale «Vergine Maria» e poi con le lance alzate corse a combattere.

Il primo a gettarsi sul nemico fu l’esercito lituano, per ordine del granduca Alessandro, ormai impaziente a causa degli indugi. Il vicecancelliere polacco Nicola lasciò allora il re e con i cappellani e gli scrivani si diresse verso l’accampamento reale. Uno degli scrivani però lo fermò e gli disse di trattenersi ancora un po’ a guardare lo scontro di eserciti così enormi.

«Sono convinto – disse – che sarà uno spettacolo quale i nostri occhi non vedranno mai più». Il vicecancelliere ascoltò il suo consiglio, tornò indietro e cominciò a osservare l’inizio della battaglia. In quello stesso istante, lanciando alte grida – come avviene prima del combattimento – i due eserciti si erano già scontrati nella pianura che li separava.

I Crociati avevano sparato due colpi di cannone e con un forte urto tentavano invano di spezzare e distruggere le schiere polacche. L’esercito prussiano si era infatti gettato nella mischia con grida ancor più alte e da un posto più favorevole, su una altura. Sul luogo della battaglia sorgevano sei alte querce su cui si erano arrampicati molti uomini – non so se dalla parte del re o dei Crociati – per poter meglio osservare dall’alto il primo urto dei due eserciti. Non appena i combattenti si furono scontrati, tutt’intorno, per un raggio di alcune miglia, risonò il fragore delle lance che cozzavano le une contro le altre, lo strepito delle armature, il fischiare delle spade.

Si combatteva uomo contro uomo, le armi si spezzavano con fracasso, contro i volti si precipitavano le punte delle lance. In quella confusione e in quel clamore generali era difficile distinguere i più forti dai più deboli, i coraggiosi dai codardi, come se tutti a un tratto facessero parte di un unica schiera.

Nessuno si ritirava, nessuno indietreggiava di fronte all’altro, e cedeva il campo soltanto il nemico ucciso che, buttato giù dal cavallo, apriva uno spazio libero al vincitore. E quando anche le lance furono spezzate, le due schiere si scontrarono con tale violenza che ormai solo le scuri e le punte di ferro delle mazze si incrociavano con tanto fracasso come quando nella fucina battono i martelli. Anche i cavalieri erano tanto strettamente incuneati gli uni fra gli altri che si attaccavano con le sciabole, e così erano la forza e il valore dei singoli che decidevano della vittoria.

Da quando la battaglia era iniziata, i due eserciti combattevano da più di un’ora senza un risultato. Siccome l’uno non cedeva terreno all’altro, era difficile prevedere da che parte si sarebbe inclinato il piatto della bilancia e quale sarebbe salito in alto. I Crociati si accorsero che le cose andavano male sull’ala sinistra dove contro di loro combatteva l’esercito polacco e dove erano in pericolo anche perché le prime file erano cadute. Rivolsero perciò tutte le loro forze verso l'ala destra, costituita dall’esercito lituano le cui file non erano così serrate, che aveva cavalli e armamenti più deboli, e sembrava un avversario più facile da sgominare. Probabilmente pensavano che, una volta sconfitti i Lituani, sarebbero potuti saltare addosso con tanta più decisione ai Polacchi. Tutti questi loro propositi però fallirono. Non appena divampò il combattimento con i Lituani, i Russi e i Tartari, i reparti lituani, non potendo resistere alla pressione dei nemici, cominciarono a vacillare e a ritirarsi. I Crociati li attaccarono con tanta maggior violenza e con moltiplicate forze, costringendoli alla fine alla fuga. Invano il granduca di Lituania Alessandro cercò di arrestare i fuggiaschi, invano si scagliò contro di loro gridando e percotendoli. L'allarme dei Lituani trascinò con sé anche una buona parte dei Polacchi che combattevano nelle loro file. Il nemico intanto si era lanciato per alcune miglia all’inseguimento dei fuggiaschi: li ammazzava, li faceva prigionieri e credeva di aver raggiunto la vittoria completa. I disertori erano in preda a un tale terrore che alcuni di loro si fermarono soltanto in Lituania dove diffusero la notizia che re Ladislao e il granduca Alessandro erano periti e che i loro eserciti erano stati completamente annientati.

In questa battaglia combatterono eroicamente i cavalieri della regione di Smolensk, che rimasero fermi sotto i loro tre stendardi e non si macchiarono dell’onta della fuga, ciò che valse loro la stima generale.

Dopo la fuga dei Lituani, quando si dileguò il fumo in cui i combattenti non potevano riconoscersi e quando cadde un po’ di pioggia leggera e gradevole, in molti punti si scatenò una lotta decisa e accanita. I Crociati incalzavano, cercavano di trascinare la vittoria dalla loro parte e nel furore della mischia finì a terra persino il grande stendardo del re di Polonia Ladislao con l'insegna dell'aquila bianca, portato da Martin di Wrocimovic, portabandiera di Cracovia, nobile che aveva nello stemma mezza capra. Quando però gli altri cavalieri che combattevano sotto la stessa insegna videro ciò, immediatamente lo presero, lo rialzarono e lo portarono via. Se non ci fosse stato il coraggio di quegli uomini che con il proprio petto e con le proprie armi difesero lo stendardo, questo sarebbe andato sicuramente perduto. Volendo lavare questa vergogna, la cavalleria polacca attaccò quindi con grande slancio il nemico, sbaragliandolo, e disperse e annientò tutti i nemici che avevano iniziato la battaglia contro di loro.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06