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L'Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


1. La Polonia, i Cavalieri dell’Ordine Teutonico, la Lituania

Nel XIII secolo il Regno di Polonia scomparve dalla carta dell’Europa e il suo territorio, retto dalla dinastia reale dei Piasti, fu ridotto a un’infinità di staterelli in lotta fra di loro. Nel clamore delle guerre per il trono di Polonia quasi si estinse la coscienza di quella monarchia polacca unitaria di cui, all’inizio dell’XI secolo, Boleslao il Coraggioso aveva posto le basi. Là dove prima esisteva un organismo statale unitario sorsero piccoli Stati indipendenti. La Slesia si disgregò in diversi ducati che avevano i loro centri a Breslavia, Legnica, Opole, Glogów e in altri castelli della regione. Il Ducato della Grande Polonia aveva il suo centro a Poznaň mentre il centro della Piccola Polonia era Cracovia. Sulla costa occidentale del Mar Baltico si trovava il Ducato di Stettino, e là dove oggi sorge Varsavia era invece situato il centro del Ducato di Masovia. Questi e altri Stati feudali testimoniavano dello smembramento della Polonia. La causa fondamentale di queste divisioni di carattere feudale va ricercata nel basso grado di sviluppo della società medievale polacca, chiusa economicamente nelle singole zone agricole e non legata ancora da una produzione artigianale e da un commercio abbastanza intensi. Il feudatario, che nell’ambito del suo castello e dei suoi possedimenti era padrone incontrastato dei contadini, rappresentava spesso la più alta istituzione giuridica e politica e non voleva riconoscere nemmeno la supremazia del duca o del re. Alla fine del XIII secolo la Polonia – come in genere tutta l’Europa orientale – era ancora un paese relativamente poco popolato. I campi coltivati erano spesso circondati da vaste foreste cui solo molto lentamente gli abitanti del luogo potevano sottrarre nuovi terreni che in seguito avrebbero potuto coltivare, arare e seminare. L’inizio del sistema di rotazione delle colture (semina in primavera, in autunno e poi maggese) avviene in Polonia alla fine del XIII secolo ed è legato all’impiego dell’aratro (in parte già dotato di un coltro di ferro) e dell’erpice. Si calcola che verso il 1300 in Polonia la densità della popolazione fosse di 5-6 abitanti per km² – vale a dire circa quattro volte inferiore a quella del­l’Italia di allora, e tuttavia, al tempo stesso, due volte maggiore di quella dei paesi russi.

A partire dalla fine del XIII secolo nella campagna polacca i sistemi di lavoro fino allora in uso subirono però a poco a poco delle trasformazioni sostanziali. Nel paese incominciarono ad arrivare dall’estero, particolarmente dalle regioni germaniche, ma anche dalle Fiandre e dall’Italia, gruppetti di agricoltori, di artigiani e di mercanti che cercavano in Polonia nuove possibilità di lavoro e di guadagno. Lo spostamento di questi gruppi dai paesi d’origine alla Polonia era spesso favorito dai duchi, dai nobili e dai conventi i quali intendevano trasformare altre superfici di terreno incolto in zone agricole e volevano fornire all’artigianato e al commercio dei centri stabili sotto la loro protezione. Si sviluppò così la colonizzazione esterna, cosiddetta tedesca, che recò vantaggi sia a coloro che in Polonia avevano organizzato tale movimento sia ai nuovi venuti. I feudatari polacchi ottennero in tal modo nuovi tributi in denaro e in natura, che moltiplicavano le loro entrate, mentre i colonizzatori divennero proprietari di terreni e nuovi abitanti delle città polacche.

Nelle campagne polacche, accanto ai vecchi contadini del luogo, si stabilirono i nuovi agricoltori; intorno ai vecchi villaggi polacchi incominciarono a sorgere, fondati dai colonizzatori, nuovi villaggi nei quali i contadini godevano di un nuovo diritto, il cosiddetto diritto tedesco, che assicurava loro la proprietà delle terre e delle case e garantiva una notevole libertà, quale, ad esempio, quella di movimento. Al tempo stesso, però, il contadino doveva pagare per ogni lán (circa 16,8 ettari) contributi in denaro e in natura ed era tenuto a compiere alcuni giorni di corvée all’anno per il padrone – il feudatario. Accanto a questi contadini si stabilirono presto nei villaggi anche altri agricoltori, cosiddetti ortolani, i quali disponevano solamente di piccoli appezzamenti di terra (circa 1/4 di lán) e che di conseguenza prestavano, per la maggior parte, lavoro nei poderi dei loro vicini più ricchi; spesso lavoravano come salariati nel podere del sindaco del villaggio (szołtys), il quale stava a capo dell’amministrazione autonoma del villaggio stesso. Dalla metà del XIV secolo i poderi dei sindaci si andarono ingrandendo, spesso raggiunsero anche un’estensione di diversi lán e, quindi, riuscirono a produrre grano non solo per il proprio consumo, ma anche per il mercato: si calcola che la resa unitaria del seme fosse in media 3. Anche questo è un livello molto basso, specie in confronto all’Italia settentrionale dove intorno alla metà del XV secolo la resa unitaria poteva arrivare a 10. Pur essendo il rendimento della cerealicoltura polacca così basso, esso consentiva tuttavia – specialmente nei dintorni delle città – la vendita del grano sul mercato locale.

Verso la fine del XIII secolo ha inizio lo sviluppo delle città polacche. Già prima, ai piedi dei castelli dei feudatari, sorgevano borghi di artigiani e di mercanti. Con la colonizzazione tedesca in queste città affluiscono nuovi abitanti stranieri, soprattutto tedeschi, che costruiscono mercati e fortificazioni secondo il modello delle città dell’Europa occidentale. Le nuove città sorgono per la maggior parte nella Slesia, nella Pomerelia, nella Grande Polonia e nella Piccola Polonia. In esse viene applicato anche un nuovo diritto cittadino, basato sui codici della città di Magdeburgo. Il cosiddetto diritto di Magdeburgo offre protezione all’artigianato e al commercio e concede ai borghesi benestanti, che godono di tutti i diritti, anche una vasta autonomia nell’amministrazione della città. Più tardi – dalla fine del XIV secolo – si assiste al sorgere di nuove città anche nelle regioni orientali della Polonia, per esempio nella Masovia. Queste città prendono già come modello i regolamenti giuridici vigenti nelle città polacche (per esempio il codice della città di Chełmno). Nelle città la produzione artigianale si orienta verso i mercati locali, è destinata cioè al fabbisogno della città stessa e dei dintorni, e dal XIV secolo è organizzata su basi corporative; ma proprio il grande numero delle corporazioni esistenti sta a dimostrare quanto la produzione artigianale fosse rimasta a un basso livello di specializzazione. Le corporazioni non avevano del resto alcun potere politico e solo a Breslavia (1333) e a Danzica (1378) si ebbero delle sommosse per conquistare maggiori diritti e l’indipendenza dai mercanti. Ma in tutte le altre città gli artigiani erano una componente troppo insignificante della struttura sociale per poter fare valere le loro rivendicazioni politiche nell’ambito cittadino o, addirittura, al di fuori di esso; nella lotta per il potere nel paese il patriziato infatti, forza politica dirigente negli agglomerati urbani, si appoggiava soprattutto sul commercio. La colonizzazione nel XIV secolo contribuì a inserire più saldamente i paesi polacchi nella rete del commercio europeo: a Breslavia, a Cracovia, a Danzica, a Poznaň, a Stettino e in altre città si crearono solide basi per regolari scambi commerciali con paesi lontani. I mercanti polacchi esportavano nell’Europa occidentale soprattutto miele, cera, pellicce e grano e importavano in Polonia panno (dalle Fiandre), rame, ferro e vino (dall’Ungheria). Nel XIV secolo iniziarono poi importanti scambi commerciali tra le città polacche e la colonia mercantile genovese di Gaffa (in Crimea), da dove arrivavano sui mercati polacchi seta e soprattutto spezie, mentre genovesi e veneziani, che avevano incominciato a stabilirsi anche sulla costa settentrionale del Mar Nero, portavano via dalla Polonia prodotti agricoli e non di rado anche schiavi che avrebbero servito nelle case dei ricchi dell’Italia rinascimentale. I mercanti in Polonia – per la maggior parte si trattava di tedeschi – si riunivano in proprie organizzazioni (gilde) in modo da poter controllare la produzione artigianale, assicurando il rifornimento di materie prime e anche lo smercio dei prodotti. I mercanti delle città sulle rive del Baltico invece aderivano alla Lega anseatica a cui facevano capo le città marinare dell’Europa settentrionale.

Solo nel XIV secolo le città polacche incominciarono quindi a partecipare alla vita economica e politica del paese. Tuttavia, in confronto con l’Europa occidentale, con l’Italia, ma anche per esempio con la Boemia, le città polacche erano poco numerose e il loro livello economico non era alto. Inoltre, anche dal numero degli abitanti si può facilmente arguire che le città polacche erano completamente inserite nel sistema economico-politico feudale. Le città più popolose alla fine del XIV secolo erano la metropoli della Slesia, Breslavia (sul finire del XIV secolo contava circa 17.000 abitanti), e Cracovia, la capitale della Piccola Polonia (circa 14.000 abitanti); le altre città – ad eccezione di Danzica e di Stettino – avevano al massimo 2000 abitanti.

La conoscenza dei principali dati relativi alla situazione economico-sociale dei paesi polacchi intorno al 1300, ci consente ora di comprendere meglio il significato delle divisioni territoriali a carattere feudale verificatesi in Polonia e le difficoltà incontrate dalle tendenze centralizzatrici della monarchia polacca. Al tempo stesso, però, ci rendiamo conto di come il progredire della colonizzazione e l’importanza crescente delle città, collegate anche all’attività sempre più intensa dei mercati locali, stessero formando le premesse per il futuro superamento della divisione del paese in tanti piccoli staterelli. In tale senso agiva anche il risveglio della coscienza nazionale, che si concentrava intorno al polacco, la lingua parlata nella maggior parte dei ducati di allora. Anche il potere ecclesiastico, che manteneva come unico centro per tutti i territori polacchi l’arcivescovato di Gniezno, ex capitale della Polonia, appoggiava questa tendenza che mirava a riunire tutte le regioni polacche in un unico Stato.

Nel 1300, nell’antica città di Gniezno, fu incoronato re di Polonia il re di Boemia Venceslao II della dinastia dei Přemyslidi. Egli era marito di Ryksa, la figlia di Przemysł II (1279-1296), duca della Grande Polonia e signore della Pomerelia, ucciso pochi anni prima (1296). Impadronitosi già in precedenza della Piccola Polonia (1291), dopo l’incoronazione re Venceslao riunì nuovamente, per la prima volta dopo molto tempo, entrambi i paesi sotto un unico scettro. Venceslao si rendeva conto della necessità di un potere statale centralizzato e di conseguenza cominciò a nominare nelle singole regioni del Regno di Polonia i suoi rappresentanti, cosiddetti starosta, direttamente dipendenti dal re; si venivano così a costituire i sostegni del nuovo regno, abolendo in tal modo i privilegi della nobiltà locale e dei duchi. Il regno dello straniero incontrò naturalmente l’opposizione dei nobili polacchi: capeggiò tale opposizione il duca di Kujawi Ladislao detto Łokietek (ossia «piccolo braccio» a causa della sua statura). Venceslao tuttavia riuscì a spezzare la resistenza e costrinse Ladislao a fuggire dal paese. Ma quando il re di Boemia morì (1305) e subito dopo il suo successore Venceslao III fu assassinato (1306), il trono di Polonia rimase vacante e Łokietek poté portare avanti la lotta per il trono fino alla vittoria.

Con Ladislao Łokietek compare nella storia polacca un sovrano energico e capace innanzitutto di ben organizzare gli eserciti dei nobili conducendoli alla vittoria. Già nello stesso anno 1306, infatti, egli entrò a Cracovia e a poco a poco estese il suo dominio sulla Piccola Polonia, per divenire infine, nel 1314, sovrano della Grande Polonia di cui riuscì in seguito a difendere il possesso contro gli eserciti del re di Boemia, Giovanni di Lussemburgo. Vani furono invece i suoi tentativi di conquistare i ducati della Slesia. La Slesia infatti passò definitivamente sotto il dominio del re di Boemia e vi rimase fino al XVIII secolo. Per Ladislao era ormai perduta anche la Pomerelia occidentale, dove aveva affermato il suo predominio il Brandeburgo, e al di fuori del Regno di Polonia rimasero anche Danzica e i suoi dintorni. Nella Pomerelia orientale, invece, proprio allora aveva consolidato le sue posizioni l’Ordine Teutonico, creato originariamente per combattere gli Infedeli in Terra Santa e ora chiamato a contrastare le tendenze espansionistiche dei margravi di Brandeburgo e le tribù pagane del Baltico e della Lituania: dal 1308 i crociati dominavano una larga fascia del litorale dalla foce della Vistola a quella del Njemen.

Nel 1320 ebbe luogo a Cracovia l’incoronazione solenne di re Ladislao. Già il luogo stesso dell’incoronazione dimostra come il fulcro dello Stato polacco si fosse spostato da Occidente ad Oriente (nei secoli X e XI la capitale era infatti Gniezno). L’arcivescovo di Gniezno pose sul capo di Ladislao la corona dei re di Polonia, consacrando così, dopo 150 anni, un sovrano non straniero, ma polacco. I prelati e i nobili resero omaggio al nuovo re che aveva riunito sotto il suo scettro la Grande Polonia, la Piccola Polonia e il Ducato di Kujawi. Cracovia, «un luogo – come scrive il cronista – che si distingueva per il gran numero di abitanti, le solide fortificazioni e la ricchezza di merci di ogni tipo», divenne la capitale del Regno di Polonia.

Ladislao prese le redini del potere nel rinnovato regno appoggiato soprattutto dai prelati e dalla nobiltà; le città infatti non erano bendisposte verso il re «cavaliere» che non dimostrava comprensione per le necessità del commercio e dell’artigianato. Si ebbe così, già nel 1311, l’insurrezione di Cracovia, Sandomierz, Wieliczka e altre città della Piccola Polonia contro Ladislao; alla guida dell’insurrezione si erano posti i patrizi tedeschi la cui intenzione era di far salire al trono di Polonia il re di Boemia. Ladislao però riuscì a domare la rivolta del patriziato di Cracovia, conquistò la città, e i capi degli insorti – con alla testa il sindaco Albrecht – fuggirono. Le città persero buona parte della loro autonomia amministrativa, dovettero pagare forti multe e molti borghesi furono giustiziati. Questo conflitto allontanò maggiormente il re dagli interessi delle città e contribuì a relegare in secondo piano il loro ruolo politico. I contrasti politico-sociali erano del resto accompagnati anche dall’odio nazionale e dai conflitti fra il patriziato tedesco da un lato e i nobili e i borghesi polacchi dall’altro. Tutto ciò contribuì a indebolire la posizione delle città polacche, impedendo la loro ascesa politica nell’ambito della monarchia polacca che si andava consolidando.

Il figlio di Ladislao, Casimiro il Grande (1333-1370), ereditò dal padre la corona del Regno di Polonia e con essa anche le guerre con i vicini. Dal 1329 gli eserciti polacchi combattevano contro gli eserciti del re di Boemia, Giovanni, per il dominio della Slesia. Ladislao aveva cercato invano di far passare dalla sua parte i duchi di Slesia; quasi tutti infatti si erano schierati con re Giovanni, accettando di diventare suoi sudditi. Una valutazione realistica della situazione indusse re Casimiro a desistere dal proseguire nella politica del padre: al contrario offrì al re di Boemia la pace, che fu firmata nel 1335 a Vyšehrad sul Danubio. Alla presenza del re d’Ungheria Carlo Roberto, il re di Boemia rinunciò al titolo di re di Polonia, titolo che egli manteneva nella intestazione dei documenti dai tempi del suocero Venceslao II. In seguito re Casimiro pensò di rivedere la sua politica nei confronti della Slesia; tentò infatti di ricacciare con le armi i Cechi dal territorio della Slesia, ma alla fine fu costretto a riconoscere formalmente re Giovanni (1339) e più tardi il figlio di questi Carlo IV (1348 – pace di Namysław) sovrani di Slesia. I confini del Regno di Polonia furono così fissati per secoli. Neppure nella guerra contro l’Ordine Teutonico Casimiro seguì la linea politica tracciata dal padre il quale, ancora nel 1331, combatteva contro gli eserciti riuniti dei crociati e dei Lussemburgo. Casimiro voleva conquistare l’accesso al mare per aprire al commercio polacco una nuova porta d’ingresso nel mondo. A tal fine egli cercò aiuto dal papa. Nel 1339 il tribunale ecclesiastico decise che l’Ordine Teutonico doveva sgomberare il territorio circostante la foce della Vistola e consegnare al re di Polonia la città di Danzica, ma Casimiro non disponeva di forze sufficienti per costringere i crociati a rispettare l’autorità ecclesiastica, cosicché dovette cercare la pace e ripiegare su compromessi. Con la pace di Kalisz (1343) la Polonia ottenne una parte del territorio lungo il corso inferiore della Vistola, ma la costa e la città di Danzica rimasero in mano all’Ordine Teutonico.

Ciò che non gli era stato possibile ottenere a Occidente, Casimiro lo cercò a Oriente. Nel 1344 gli eserciti polacchi invasero la Galizia e occuparono i territori intorno ai castelli di Sanok e di Przemysł. Nel 1323 infatti si era estinta nel principato russo di Galizia-Vladimir la dinastia regnante; come erede si era impadronito del potere in Galizia il duca di Masovia, Boleslao Trojdenovič. Fu dopo la sua morte che il re di Polonia incominciò a interessarsi all’eredità: la Galizia infatti era un territorio che consentiva di accedere da Cracovia al Mar Nero e alle colonie genovesi e veneziane. Inoltre, i principi di Galizia venivano già considerati sovrani dei paesi russi. Dal titolo di «signore ed erede della Russia», assunto nel 1346 da re Casimiro, traspariva chiaramente quali fossero le mire politiche del nuovo sovrano della Galizia: assicurarsi il predominio sul conglomerato di ducati e principati russi all’estremo limite orientale dell’Europa. L’aggressione ai paesi dell’Est diede i risultati voluti: nel 1349 il re di Polonia si impadronì di Leopoli, Brzešč e Włodzimierz. Fu così che i primi ortodossi divennero sudditi di un re cattolico e i primi nobili ucraini e bielorussi si piegarono sotto lo scettro di Casimiro. Questi riuscì a estendere il suo dominio anche sulla Masovia e sulla Podolia creando un vasto Stato che chiudeva dal Baltico al Mar Nero l’accesso ai paesi russi.

Non meno importanti della linea espansionistica adottata da Casimiro furono i successi da lui conseguiti in politica interna, nel consolidamento della monarchia polacca che poggiava sulla nobiltà e sul clero. Casimiro fu un sovrano straordinariamente capace, un buon amministratore del paese, il quale – come scrive il cronista – «assunse il governo di una Polonia di legno e consegnò ai successori una Polonia di pietra». Egli favorì la colonizzazione, la fondazione di nuove città e di nuovi villaggi e al tempo stesso ebbe cura di rafforzare il potere reale. Al suo nome è legata la costruzione di ben 53 solidi castelli gotici dai quali il re governava il paese. Seguendo infatti l’esempio di Venceslao II, Casimiro cercò appoggio nell’amministrazione locale degli starosta, incaricati direttamente dal re dell’esercizio del potere statale, i quali, oltre ai diritti politici, ottennero anche poteri militari, di polizia e giudiziari. In tal modo venne limitato l’arbitrio della nobiltà e dei duchi locali, e nella vita economica furono ristabiliti l’ordine e la calma.

A differenza del padre, Casimiro favorì le città e addirittura chiamò a far parte del consiglio reale esponenti del patriziato di Cracovia; invitò i rappresentanti delle città a partecipare anche alle assemblee del Regno di Polonia che, convocate regolarmente, divennero parte integrante della vita politica del paese. Nei confronti della nobiltà Casimiro si orientò verso quella piccola e media, limitando i privilegi dell’alta nobiltà, dei magnati; intervenne anche contro i prelati (per esempio contro il vescovo di Cracovia Giovanni Grot) ogniqualvolta la Chiesa cercava di sovrapporsi al potere del re.

All’anarchia nobiliare Casimiro oppose la tendenza a creare una monarchia centralizzata. Perciò tentò anche di unificare il diritto del Regno di Polonia e di codificarlo nei cosiddetti statuti di Wislica-Piotrkov (1346-1347). Fino allora in Polonia i tribunali decidevano secondo il diritto consuetudinario e per l’interpretazione delle leggi non esisteva un criterio unitario. Gli statuti si basavano sulla posizione privilegiata della nobiltà, ma subordinavano il diritto a un’interpretazione unitaria e inserivano le leggi nel sistema dei tribunali del Regno e delle regioni. Gli statuti davano inoltre sicurezza giuridica ai contadini e di conseguenza contribuirono indubbiamente a migliorare la loro situazione; non si può tuttavia prestar fede alle leggende che cercano di presentare Casimiro come un re contadino che proteggeva i sudditi dai feudatari. Gli statuti non solo riconoscevano i doveri di sudditanza dei contadini, ma persino vietavano loro di abbandonare il villaggio senza il consenso del signore feudale, cosa che contribuì più tardi al completo asservimento dei contadini polacchi. I magnati accolsero con disappunto gli statuti, in quanto a buon diritto vedevano in essi un intervento del re contro le libertà di cui avevano goduto fino allora, quelle cioè di stabilire il diritto e di interpretare le leggi come essi ritenevano opportuno. Inoltre la tendenza del potere reale a costituire un esercito unitario, dislocato nei castelli reali, non fece che aggravare questa situazione, per cui si giunse nel 1352 a un’insurrezione dei nobili, che il re riuscì a domare soltanto dopo alcuni anni. Nel 1358 il capo degli insorti Mačk Borkowic fu messo in carcere e condannato a morire di fame.

Sotto il regno di Casimiro il Grande la Polonia si collocò di nuovo, nel campo della politica estera, tra i più importanti paesi europei. Stabilizzatosi all’interno, il paese incominciò ad avere un ruolo di primo piano nella diplomazia europea. Ciò risulta evidente già dall’incontro che si tenne a Vyšehrad nel novembre del 1335 tra Giovanni di Boemia, il margravio Carlo di Moravia e Casimiro e dalle trattative polacco-ungheresi per il possesso della Galizia. Anche il contrasto tra la Polonia e l’Ordine Teutonico fu discusso con una larga rappresentanza di uomini politici europei. La partecipazione della Polonia alla diplomazia europea si ebbe a manifestare però con particolare evidenza nel 1364 a Cracovia dove ebbe luogo l’incontro amichevole di quattro re: il re di Cipro, quello di Danimarca, il re di Polonia e quello di Boemia. In quell’occasione Cracovia fu teatro non solo di sontuose feste e tornei cavallereschi, ma anche della solenne cerimonia che dava alla Polonia la sua prima Università.

Fino al 1364 gli studenti polacchi dovevano andare a studiare nelle Università italiane, francesi o, più tardi (dal 1348), in quella di Praga. Il documento di fondazione dell’Università di Cracovia, del 1365, esprimeva il desiderio di avere a Cracovia una fonte di scienza alla quale potessero attingere tutti coloro che erano assetati di conoscenza, anche se l’interesse principale di Casimiro era quello di avere in Polonia un’Accademia che provvedesse alla formazione di valenti giuristi di cui appunto aveva bisogno in quel momento la monarchia polacca; servirono di modello alla nuova Università gli statuti delle Università di Bologna e di Padova e il fulcro dell’attività didattica era costituito dall’insegnamento del diritto. Mancava invece del tutto la facoltà di teologia, che non aveva in Polonia, nell’istituzione dello «studium generale», un ruolo così fondamentale come negli altri paesi europei. Essendo privo di questa facoltà tradizionale, la più importante a quell’epoca, l’Ateneo di Cracovia non venne chiamato infatti Università. Ebbe del resto solo alcuni anni di vita e nel 1400 si dovette fondare a Cracovia una nuova Università. Questa aveva già anche la facoltà di teologia e per la sua organizzazione interna si richiamava alla Sorbona e all’Università di Praga.

La fondazione dell’Accademia di Cracovia offre una nuova dimostrazione degli alti obiettivi che si proponeva il re di Polonia. Essa testimonia inoltre del grado superiore di sviluppo raggiunto dalla cultura polacca. Il regno di Casimiro è il periodo della fioritura dell’arte gotica e della cultura cavalleresca alla quale incominciarono a dare il loro contributo soprattutto i cronisti polacchi (Janko di Czarnow). Nella seconda metà del XIV secolo apparvero anche i primi testi scritti in polacco. Accanto al latino e al tedesco (a quell’epoca il tedesco era diventato lingua ufficiale nelle città polacche) diventa lingua letteraria anche il polacco, il che attesta i progressi compiuti dall’inizio del XIV secolo.

Casimiro il Grande era l’ultimo discendente dell’antica dinastia dei Piasti il cui albero genealogico affondava le sue radici nel X secolo. Benché sposato quattro volte e pur avendo avuto dalle sue numerose amanti diversi figli illegittimi, questo valoroso re non lasciò alcun erede legittimo. C’era il pericolo che il trono di Polonia crollasse di nuovo fra il clamore delle guerre per la successione al trono e che l’opera di Casimiro andasse dispersa. Anche in questa situazione il grande re diede prova di perspicacia e di accorgimento alleandosi al re d’Ungheria, Luigi d’Angiò. Per l’aiuto prestato a Casimiro nella conquista della Galizia russa, dopo la morte del sovrano di Polonia, Luigi ne diventava il successore.

Quando nel 1370 Casimiro il Grande morì, il trono di Polonia passò al re d’Ungheria Luigi il quale riunì entrambi i regni in un potente Stato. Il regno di Luigi d’Angiò fu però splendido e solido solo in apparenza; all’interno della Polonia egli non trovò appoggio nella nobiltà, anzi i magnati della Grande Polonia gli si opposero apertamente. Ad aumentare l’insicurezza della nuova dinastia regnante in Polonia contribuì il fatto che Luigi non aveva discendenti maschi, per cui cercò di assicurare la successione alle sue due figlie: Maria ed Edvige. Egli era perciò disposto a fare concessioni ai magnati e a conferire loro notevoli diritti e libertà; nel 1374 infatti emanò il privilegio per i «domini, magnati et nobiles» e ridusse al minimo i loro obblighi tributari. In futuro il re avrebbe riscosso dai nobili tasse e tributi nella misura di non oltre 2 grossi per lán all’anno e ciò solo previo consenso dei rappresentanti della nobiltà, convocati per decidere in merito. Re Luigi si privò così delle risorse finanziarie che consentivano di organizzare l’esercito e il potere statale centralizzato; il paese quindi precipitò di nuovo nell’anarchia e soltanto con un grandissimo sforzo Luigi indusse i magnati a promettere che avrebbero riconosciuto Edvige erede del trono di Polonia.

Dopo la morte di Luigi (1382) i due Stati da lui riuniti furono di nuovo divisi. In Ungheria doveva regnare Maria (di cui divenne marito il figlio dell’imperatore Carlo IV, Sigismondo di Lussemburgo) e in Polonia divenne regina Edvige. Chi però in realtà governava la Polonia erano i magnati i quali indugiarono non poco nella ricerca di uno sposo per la principessa. La loro scelta cadde infine sul sovrano di uno Stato limitrofo, il duca di Lituania Jagellone.


L’ascesa al trono di Cracovia del duca di Lituania ci induce a rivolgere la nostra attenzione al territorio presso il fiume Njemen (in tedesco: Memel), dove alla fine del XIII secolo vivevano tribù lituane che il duca Mindove († 1263) riunì in un organismo statale unitario. Dopo la sua morte violenta nel paese dilagò l’anarchia e dovettero passare trent’anni prima che, sotto il granduca Vytenis (1293-1316), risorgesse un forte Stato lituano. I motivi principali che fecero superare in Lituania la rivalità fra i vari duchi e lo spezzettamento tribale del paese vanno ricercati non solo nel progressivo sviluppo dell’artigianato e del commercio e nel sorgere dei mercati locali, ma soprattutto negli interessi comuni delle tribù lituane pagane, minacciate dall’aggressione dei nobili tedeschi e dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici e dei Cavalieri Portaspada. Questi apostoli del cristianesimo attaccavano le coste del Mar Baltico e insieme realizzavano un’espansione economica e politica. Con i Cavalieri dell’Ordine avanzavano infatti passo a passo i mercanti, membri della Lega anseatica, che fondavano nuovi centri commerciali e nuove città (Riga, al nord Tallin, Tartu e altre). Ma anche i colonizzatori che si stabilivano nei territori disabitati, creando vaste aree di terreno coltivabile, entravano in queste zone come propagatori del cristianesimo. Soltanto la colonizzazione diede alla Lituania città simili a quelle dell’Europa occidentale e diffuse il diritto cittadino: alla fine del secolo XIV le città lituane si possono paragonare ormai alle città minori della Polonia.

L’Ordine dei Cavalieri Teutonici, in cui già nel XIII secolo erano organizzati anche i cosiddetti Cavalieri Portaspada o, più esattamente, i Fratelli-cavalieri al servizio di Cristo, che dominavano una parte del territorio sul quale sarebbero sorte in seguito la Lettonia e l’Estonia, attaccava senza tregua le tribù lituane nel tentativo di assoggettarle. L’aggressione dell’Ordine non si arrestò nemmeno quando una parte dei principi di queste tribù si fece battezzare entrando così nella Chiesa cattolica. Alla testa della Lituania unificata si pose a quell’epoca un combattente e un organizzatore molto capace: il granduca Gedimino (1316-1341), il quale sconfisse gli eserciti dell’Ordine Teutonico e impedì loro di avanzare all’interno del paese. Entro la metà del XIV secolo la Lituania si trasformò in uno Stato potente che divenne meta dei mercanti dell’Europa occidentale, i quali vi si recavano a comprare non solo pellicce, miele e cera, ma soprattutto ambra, pietra preziosa molto ricercata nel Medioevo e di cui erano ricche le coste del paese. I confini della Lituania si andarono allargando verso nord e verso est. Con un’abile politica di matrimoni Gedimino entrò in possesso di Vitebsk (1318) e divenne padrone anche del castello di Minsk e dei suoi dintorni. Gli eserciti lituani conquistarono Smolensk e penetrarono in Ucraina fino a Kiev. Nella lotta per la conquista della Volinia e di Włodzimierz Gedimino si scontrò con i Polacchi.

La pressione espansionistica del regno polacco di Casimiro il Grande costrinse i granduchi di Lituania a rivolgere i loro attacchi verso l’est. I figli di Gedimino, Keistut e Algirdas (1345-1377), penetrarono nelle regioni russe e sottomisero i duchi del Černigov del Nord. Contemporaneamente il granduca Algirdas conquistò Kiev (1362) e vi installò come duca il proprio figlio. Gli eserciti lituani si scontrarono allora per la prima volta con i reparti armati dei khan tartari, che essi sbaragliarono nella battaglia di Modre Vody (1362). Se si tiene conto del fatto che un altro figlio di Algirdas divenne duca di Volinia e che lo stesso Algirdas ebbe il sopravvento sul duca di Tversk e negli anni 1368-1370 tentò, anche se invano, di conquistare persino Mosca, si riesce a comprendere come il Granducato di Lituania fosse diventato uno dei più potenti Stati europei. Il territorio dominato da Algirdas e dai suoi figli si estendeva dal Baltico al Mar Nero e dal fiume Bug fino ai dintorni di Mosca.


Fu al sovrano di questo potente regno, al figlio di Algirdas, Jagellone, che si rivolsero i nobili polacchi per fargli sposare la principessa Edvige. C’era però un grave ostacolo al matrimonio dell’erede cattolica al trono: Jagellone non era ancora battezzato. In Lituania continuava infatti a esistere il culto pagano delle divinità locali dei boschi, dei fiumi e delle sorgenti, e quello del dio del tuono, che ne dominava molti altri. È vero che nelle regioni orientali del Granducato di Lituania operavano dei sacerdoti cristiani, ma questi facevano parte della Chiesa ortodossa che aveva il suo centro spirituale a Costantinopoli. A Vilna, capitale del Granducato di Lituania, cattolici e ortodossi, pagani, ebrei e maomettani vivevano gli uni accanto agli altri senza che esistesse alcuna oppressione reciproca. Soltanto l’arrivo dei missionari cattolici tedeschi e polacchi incominciò a suscitare dissidi religiosi che vanno però messi in relazione anche con le condizioni politicosociali: la nobiltà pagana lituana rifiutava l’organizzazione ecclesiastica che rafforzava la posizione del granduca e aiutava Jagellone a consolidare il potere statale. Già nel 1381 scoppiò la lotta tra il granduca di Lituania e la nobiltà pagana, capeggiata dallo zio di Jagellone, Keistut. Jagellone dovette fuggire da Vilna e soltanto dopo l’assassinio di Keistut poté condurre a termine le trattative con i nobili polacchi.

Nel 1386 a Cracovia ebbero luogo diverse cerimonie: Jagellone fu battezzato e gli fu imposto il nuovo nome cristiano di Ladislao; subito dopo fu celebrato il suo matrimonio con la principessa Edvige; infine la solenne cerimonia dell’incoronazione installò sul trono di Polonia il nuovo re, Ladislao della dinastia degli Jagelloni (1386-1434). Prima di poter prendere in mano le redini dello Stato polacco, Jagellone dovette però sedare i disordini in Lituania. In base agli accordi preliminari di Kreve (1384) Jagellone riunì la Lituania e la Polonia in un unico Stato di cui egli, come re di Polonia, doveva essere il sovrano. Il nuovo re si appoggiò completamente alla Chiesa cattolica, istituì la sede del vescovato a Vilna e sostenne i missionari che stavano facendo proseliti tra la nobiltà e anche tra i contadini. Una carta concessa nel 1387 assicurava alla nobiltà lituana il possesso ereditario delle terre, conferiva loro il potere sui contadini e li esentava dalle tasse e dagli obblighi militari: tutto ciò alla condizione unica, ma importantissima, che si facessero battezzare. I diritti di proprietà e, ancor più, quelli politici, erano assicurati solo a chi accettava il battesimo; così la cristianizzazione della Lituania progredì rapidamente.

Tuttavia, nonostante questi provvedimenti, il paese non giunse a una pacificazione interna. I membri della ramificata dinastia degli Jagelloni infatti non accettavano di buon grado la presenza in Lituania dei magnati polacchi e si arrivò così a una nuova insurrezione. Ai contrasti politicosociali si aggiungono, oltre alla diversità di confessione religiosa, anche i primi conflitti nazionali; benché allora non si stessero ancora formando né la nazionalità ucraina né quella bielorussa e benché le differenze tra i Lettoni e i Lituani incominciassero appena a farsi sentire, rimaneva un fatto inconfutabile: che sotto il governo del granduca di Lituania si erano ritrovate nazionalità che si differenziavano sia per la lingua sia anche per la precedente tradizione politica, ecclesiastica e culturale. Soprattutto la popolazione russa, che aderiva alla Chiesa ortodossa, rifiutava il predominio della Polonia cattolica.

Alla testa di coloro che si opponevano a tale stato di cose si pose, con l’appoggio dell’Ordine Teutonico, l’energico cugino di Ladislao, Vitoldo, che il re di Polonia fu costretto nel 1392 a riconoscere granduca di Lituania. Sembrava che l’unificazione della Lituania e della Polonia dovesse essere rimandata ancora di molti anni. Vitoldo rinnovò infatti i suoi attacchi contro i vicini orientali e allargò i confini del Granducato fino a Mosca e fino all’interno dell’Ucraina; egli vedeva già delinearsi un grandioso impero dell’Europa orientale, che avrebbe avuto il suo centro a Vilna e avrebbe liberato definitivamente l’Europa dalla minaccia delle incursioni mongole. Una nuova occasione per proseguire nella sua espansione verso l’est gli fu offerta dal khan tartaro Tochtamyš il quale, rifugiatosi a Vilna come esule, aveva chiesto aiuto contro Tamerlano, «signore del mondo». Ma questi sogni di grandezza furono bruscamente troncati dalla sconfitta subita da Vitoldo sul fiume Vorskla nell’Ucraina orientale (1399), che arrestò l’avanzata degli eserciti lituani nei territori dell’impero mongolo di Tamerlano. Vitoldo dovette capitolare, rinunciò a ogni pretesa sui ducati russi e sotto la pressione di Ladislao accettò nuovamente l’unione con la Polonia. Dopo i congressi di Vilna e di Radom (1401) fu ripristinata così l’unione polacco-lituana con cui il re di Polonia diventava sovrano della Lituania, mentre a Vitoldo rimaneva il titolo di granduca. Più tardi, al congresso di Horodla (1413), fu deciso che in futuro il granduca di Lituania sarebbe stato eletto anche con il consenso dei magnati polacchi e che, viceversa, per l’elezione del re di Polonia sarebbero stati necessari anche i voti dei nobili lituani. Tra i due ordini privilegiati si venne così verificando un processo di accostamento che è testimoniato dall’uso, introdottosi tra i nobili lituani, di adottare gli stemmi delle famiglie magnatizie polacche a loro vicine per legami di amicizia o di sangue. Così, all’inizio del XV secolo l’unione polacco-lituana era divenuta l’organismo statale più potente nell’Europa orientale.

Mentre lottava per assicurarsi il dominio della Lituania, re Ladislao dovette al tempo stesso respingere i ripetuti attacchi degli eserciti dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici. L’Ordine appoggiava Keistut e Vitoldo, e cercava di frenare in ogni modo lo sviluppo del Regno di Polonia, poiché si rendeva perfettamente conto che una forte monarchia polacca avrebbe cercato di conquistare a ogni costo l’accesso al mare. Dall’inizio del XV secolo si andava preparando il conflitto bellico che culminò nel 1410 nella battaglia di Grunwald (Masovia). Gli eserciti polacchi insieme ai loro alleati lituani e ai reparti mercenari boemi sbaragliarono l’esercito dei Cavalieri Teutonici. La battaglia di Grunwald segnò una svolta determinante nei rapporti tra l’Ordine e la Polonia: benché infatti la pace di Torun non aprisse ancora alla Polonia l’accesso al mare, essa tuttavia allargò i confini del Regno, avvicinandoli alla costa, e infranse definitivamente la potenza dell’Ordine. La vittoria polacca incoraggiò anche l’opposizione delle città contro il rigido predominio ecclesiastico nei paesi controllati dall’Ordine; e la città di Danzica rese immediatamente omaggio a re Ladislao quale proprio sovrano.

Ladislao Jagellone seppe sfruttare abilmente i nuovi eventi della politica internazionale europea, assicurandosi inoltre anche l’amicizia del re di Boemia Venceslao IV, cosa che gli permise di dedicarsi completamente all’organizzazione dei paesi riuniti sotto la corona polacca. Dai tempi di Casimiro il Grande il concetto di «corona» era diventato uno strumento della politica di potere del re riunendo in un unico organismo tutti i territori dominati dal re di Polonia. Anche il papa e la Chiesa appoggiarono Ladislao, anzi si schierarono dalla parte della Polonia nella guerra da essa condotta contro l’Ordine Teutonico. Un’eminente personalità della Chiesa polacca, il vescovo di Cracovia Zbigniew Oleśnicki, divenne il principale rappresentante della politica polacca che si orientava allora verso una stretta collaborazione con Roma.

Tuttavia, critiche sempre crescenti giungevano in Polonia alla Chiesa cattolica da particolari strati della popolazione, specialmente per quanto concerneva i suoi beni e il potere temporale dei sacerdoti e dei prelati. Già nel XIV secolo dalla Slesia erano penetrate nella Grande Polonia le prime sette dell’eresia popolare, i cosiddetti valdesi, i quali chiedevano che la Chiesa ritornasse ad essere quella dei tempi di Cristo, che rinunciasse cioè ai beni e si attenesse al Vangelo. Dall’inizio del XV secolo poi si cominciò a far sentire in Polonia l’influenza del movimento della Riforma ceca, guidato da Giovanni Hus e dai suoi discepoli.

Nel 1420 apparvero nella Grande Polonia gruppetti di ussiti polacchi che più tardi crearono un proprio centro nella città di Zbąszyn, ma furono perseguitati come eretici. Durante tutto il XV secolo la Chiesa cattolica organizzò con l’aiuto dei magnati polacchi azioni di polizia contro gli ussiti polacchi nella regione di Kujawi, nella Masovia, nella Grande e nella Piccola Polonia. La struttura sociale delle organizzazioni segrete degli ussiti polacchi (costituite per il 40% da sacerdoti e per il 50% da borghesi e contadini) rivela la forte componente sociale e rivoluzionaria di questi oppositori dei ricchi prelati e dei magnati. Dal 1423 all’Università di Cracovia studenti e professori dovettero giurare che «non avrebbero professato le idee eretiche di Giovanni Hus». Nonostante questi giuramenti si trovavano tuttavia tra i maestri universitari di Cracovia dei seguaci degli ussiti, alcuni dei quali se ne andarono persino in Boemia (per esempio A. Gałka).

Il movimento ussita in Polonia si ricollegava sia all’avversione dei borghesi e dei contadini contro la nobiltà sia a un fermento di carattere politico e nazionale. La lotta contro i magnati da parte della piccola nobiltà polacca, che era stata poco a poco privata dei suoi diritti politici dai prelati e dai magnati stessi, fu condotta anche attraverso il movimento ussita; sotto la guida dell’ussita Spytek di Mełsztyn, nel 1439 si costituì infatti una confederazione di 168 nobili che volevano conquistare il diritto di partecipare al governo. La sconfitta della confederazione e la morte di Spytek resero vani però questi tentativi e rafforzarono le posizioni dei prelati e dei magnati cattolici. Nel campo culturale gli ussiti ponevano l’accento sulla necessità di tradurre la Bibbia nella lingua nazionale ricollegandosi alle tendenze della cultura nazionale polacca che allora si andava sviluppando. La più antica traduzione polacca della Bibbia (1455) fu ispirata dalla Bibbia ussita ceca e contribuì sostanzialmente allo sviluppo della lingua e della letteratura polacche.

La Boemia ussita si trovò al centro dell’interesse della politica polacca anche per il fatto che nel 1420 gli uomini rivoluzionari ussiti avevano offerto a re Ladislao il trono di Boemia. Jagellone sarebbe dovuto diventare il successore del re Sigismondo d’Ungheria che gli ussiti avevano detronizzato. Ma il re di Polonia, che all’inizio aveva promesso di assumere il regno della Boemia, poi, sotto la pressione del papa, rinunciò alla collaborazione con gli «eretici cechi». Egli acconsentì soltanto che un nipote del granduca Vitoldo, Sigismondo Korybutovič, si recasse con l’esercito in Boemia (1422). Da allora migliaia di Polacchi combatterono al fianco degli ussiti cechi, aprendo alla Riforma ceca vaste possibilità di affermarsi in Polonia. D’altra parte, proprio sotto il pretesto della lotta contro gli «eretici ussiti», Zbigniew Oleśnicki consolidò l’unione dei prelati e dei magnati e negli ultimi anni del regno di Ladislao riuscì ad avere voce in capitolo nel governo. Sul piano della politica interna re Ladislao non disponeva di forze sufficienti per far fronte alle aspirazioni di potere dell’unione dei prelati e dei magnati. Non si dimostrò abbastanza deciso nell’appoggiare la piccola nobiltà né dimostrò uno spiccato interesse a favorire gli obiettivi politici delle città polacche. Inoltre, dopo la morte di Vitoldo (1430), si trovò a dover affrontare di nuovo le lotte per il trono granducale: i nobili lituani cercavano di imporre, come successore di quel grande sovrano ch’era stato Vitoldo, il fratello di Ladislao, Švidrigal; i prelati e i magnati polacchi desideravano invece come successore il fratello di Vitoldo, Sigismondo. Durante queste lotte, nel 1432 a Grodno fu ripristinata l’unione polacco-lituana e il granduca Sigismondo si sottomise al re di Polonia. Che si trattasse di una vittoria polacca risulta evidente dal fatto che il Regno di Polonia ottenne dalla Lituania Luck, i suoi dintorni e la Podolia.

Tutte queste difficoltà, e in particolare il timore di non riuscire ad assicurare la successione al trono al giovane figlio Ladislao, costrinsero il re a fare concessioni ai magnati. Nel 1430 i nobili polacchi ottennero il privilegio chiamato, secondo le parole iniziali del testo, «Neminem captivabimus». In esso il re proclamava solennemente di non avere il diritto di tener prigioniero un nobile finché il tribunale non avesse dichiarato colpevole l’imputato. Ai nobili veniva altresì riconosciuto il diritto di negare al re l’aiuto militare qualora gli eserciti del re combattessero oltre i confini della corona di Polonia. L’oligarchia nobiliare ricevette così un nuovo appoggio mentre il potere del sovrano subiva gravi limitazioni. Ladislao III (1434-1444) non fu capace di spezzare il potere della coalizione venutasi a formare tra prelati e magnati, essendo sempre più legato all’Ungheria di cui nel 1440 era divenuto re. Qui i problemi più pressanti erano costituiti dalla difesa del territorio del paese dalle incursioni degli eserciti turchi che erano giunti fino ai confini meridionali del Regno. Il giovane re cadde combattendo contro i Turchi nella battaglia di Varna (1444); tale vittoria aprì al sultano la via per la conquista di tutti i paesi balcanici e contribuì sostanzialmente anche ad affrettare la caduta di Costantinopoli.

Il breve regno di Ladislao III consentì ai magnati polacchi di rafforzare le posizioni di potere strappate a Jagellone. Per l’ulteriore sviluppo della storia della Polonia è significativo il fatto che, proprio nella prima metà del secolo XV, i magnati conquistarono posizioni economiche decisive e posero le basi per lo sviluppo in Polonia dei latifondi dei nobili. Fino ad allora le loro rendite erano costituite da prodotti in natura e da tributi in denaro che ricevevano dai contadini loro sudditi: secondo il diritto tedesco, nel XV secolo già la maggior parte dei contadini pagava ai feudatari due volte all’anno un tributo in denaro (soltanto nella Masovia il passaggio dalla rendita feudale in natura a quella in denaro non avvenne che alla fine del XV secolo). Alla metà del XV secolo i nobili in Polonia incominciano però ad adottare un nuovo sistema di amministrazione delle loro proprietà terriere: la principale fonte di entrate diviene infatti il latifondo direttamente appartenente al feudatario che vi fa lavorare gli ex contadini come salariati o addirittura come servi della gleba. Nonostante che il periodo del massimo sviluppo del latifondo feudale polacco si verifichi nel XVI secolo, possiamo seguirne quindi gli inizi già dalla metà del XV secolo.

Il punto di partenza per la formazione dei latifondi furono i poderi – cosiddetti folvark – dei sindaci dei villaggi (szołtys), che producevano in sempre maggior quantità grano per i mercati cittadini. Nel 1423 i magnati polacchi ottennero il diritto di occupare il folvark di un sindaco ribelle o le cui mansioni non fossero ritenute più necessarie; e poiché a decidere in merito a tali qualità del sindaco erano i nobili del luogo, ai magnati si aprì la possibilità di impadronirsi dei poderi e di riunirli in latifondo. Accanto al latifondo ecclesiastico (soprattutto dei monasteri) incominciarono quindi a moltiplicarsi in Polonia i latifondi dei nobili, dei magnati. Sempre più numerosi furono i contadini privati dei diritti di proprietà sul podere, i quali dovettero abbandonare i loro campi e le loro case e trasferirsi nel latifondo per prestarvi la loro opera. A differenza del folvark degli szołtys, il folvark dei magnati si fondava soprattutto sul lavoro dei servi della gleba e solo in parte si valeva di contadini salariati. Accadeva normalmente, già nel XV secolo, che i contadini, i quali per volontà del padrone erano rimasti proprietari del podere, oltre a pagare un tributo in denaro, fossero costretti a lavorare 1-2 giorni alla settimana nei campi del latifondo. Anche la servitù della gleba andò assumendo maggiori proporzioni e al tempo stesso si rafforzarono i legami che tenevano vincolato il contadino alla terra e al villaggio. Nel 1423 fu emanato dal re l’ordine di procedere contro chiunque, all’insaputa del feudatario, abbandonasse il podere e il villaggio. In tal modo i magnati e i nobili, ricorrendo alla forza, si assicurarono la manodopera occorrente.

Il costituirsi del latifondo feudale, che produceva grano per il mercato locale, offrì naturalmente ai magnati nuove possibilità finanziarie e rafforzò la loro posizione politico-economica. Fu però soprattutto il periodo di anarchia che seguì all’improvvisa morte del re – nel 1444 – che diede loro la possibilità di consolidare il proprio potere. A Ladislao successe infatti il fratello minore Casimiro che dalla morte di Sigismondo (assassinato nel 1440) era granduca di Lituania. A quell’epoca la Lituania era di nuovo separata dalla Polonia e il dodicenne Jagellone era stato riconosciuto dai nobili sovrano dello Stato indipendente. Dopo il 1444, però, venne richiesto a Vilna, da parte polacca, che Casimiro fosse innalzato al trono di Polonia. Le trattative con i nobili lituani si protrassero a lungo e soltanto nel 1446 fu decisa la nuova unione dei due paesi che tuttavia rimanevano fra loro indipendenti: la loro unità doveva basarsi solo su un legame fraterno e su un unico e comune sovrano.

Nel 1447 re Casimiro fu accolto solennemente a Cracovia e ivi incoronato. Larghi strati della popolazione polacca riponevano in Casimiro (1447-1492) le loro speranze, fiduciosi che egli avrebbe instaurato nel paese un clima di pace e avrebbe anche alleviato le condizioni delle città e dei contadini. Anche all’Università di Cracovia Giovanni di Ludzisk, lodando il nuovo sovrano, espresse questa speranza, pregandolo nello stesso tempo di salvare i contadini maltrattati: «I contadini sono qui spaventosamente oppressi come schiavi, più di quanto non lo fossero un tempo i figli di Israele in Egitto dal faraone». Forse all’Università di Cracovia si levarono queste voci critiche contro la nobiltà in quanto era risaputo come in Lituania Casimiro avesse preso le difese dei contadini contro i nobili. Re Casimiro non fu però in grado di realizzare queste speranze essendo alla mercé dei magnati del cui aiuto aveva bisogno. Egli cercò, è vero, di sottrarsi gradualmente alla loro influenza e trovò alleati e appoggio nelle città reali polacche, ma questi non furono che timidi tentativi. Sotto Casimiro le città polacche cercarono di partecipare attivamente alla vita politica del paese, i rappresentanti delle città divennero membri dell’assemblea della Dieta, parteciparono quindi alle Diete e ai tribunali del Regno, ebbero la possibilità di esprimere il loro giudizio quando si trattava di eleggere il re o di inviare i propri rappresentanti nelle missioni diplomatiche. In sostanza tutto ciò non riguardava che alcuni patrizi, anche se, accanto ai Tedeschi, figuravano sempre più numerosi i Polacchi. Per quanto concerne però le amministrazioni autonome delle città, il re non favorì affatto gli interessi della borghesia, ma al contrario cercò di subordinare le città al rigido controllo dei suoi funzionari per fare di esse dei contribuenti sottomessi. A poco poco si diffuse la prassi, introdotta nel 1456 nella Piccola Polonia, secondo la quale i funzionari del re imponevano alle città tasse e tributi senza aver prima consultato le autorità cittadine. Di conseguenza la base economica delle città, già di per sé poco solida, venne ulteriormente indebolita e le città polacche non furono in grado di tenere il passo con lo sviluppo delle città dell’Europa occidentale. Casimiro ottenne più successi nella lotta condotta contro la feudalità ecclesiastica. Le vaste proprietà terriere dei conventi e dei vescovi e gli interventi della politica papale indussero i prelati polacchi a opporsi alle tendenze centralizzatrici del re. Casimiro si sforzò costantemente di limitare i privilegi dei prelati subordinandoli alle autorità istituite dal re, e quando, alla fine, nella cosiddetta «guerra dei pope», i vescovi e gli abati tentarono di opporglisi, egli non esitò a servirsi dell’esercito per domare i prelati ribelli, finché nel 1479 l’ultimo capo della resistenza ecclesiastica, il vescovo di Warmia Nicola Tungen, gli rese omaggio. Casimiro tentò anche di liberarsi almeno in parte della supremazia di Roma. Nell’Europa occidentale e centrale il XV secolo vide la lotta vittoriosa delle monarchie nazionali contro l’universalismo di Roma. In Polonia, tuttavia, soltanto sotto il regno di Casimiro incominciò a profilarsi la prima fase di questa lotta, la lotta cioè per il diritto del re di Polonia di partecipare alla nomina dei prelati che godevano di benefici ecclesiastici; si manifestò inoltre la tendenza a ridurre i tributi pagati dalla Polonia al papa. Ma re Casimiro riuscì solo parzialmente a sottrarsi alla supremazia di Roma, da cui dipendeva anche finanziariamente; e i sovrani polacchi che gli succedettero non riscossero, in questo senso, maggiori successi. Al contrario, la stretta dipendenza dello Stato polacco dalla politica papale divenne tradizionale e le lotte condotte dalla Polonia contro i principi ortodossi russi non fecero che rafforzare quest’alleanza che ebbe a incidere così profondamente sulla storia polacca moderna.

Con la politica di Casimiro si accordavano anche le idee di Giovanni Ostrorog, eminente pensatore politico polacco. Nella sua opera Monumentum pro Reipublicae ordinatione del 1470, Ostrorog proclamava la necessità di liberare la Polonia dall’influenza papale. In passato più di una volta si sarebbe potuto dire che «il re di Polonia era in catene nel carcere del papa» – così potente era l’influenza di Roma sulla politica polacca. Casimiro doveva quindi superare questa cieca soggezione, doveva decidere da solo, secondo i bisogni del paese. Innanzitutto bisognava però eliminare i contributi annuali (le annate) che il clero polacco versava nelle casse del papa. L’ideale di Ostrorog era un forte potere reale, una solida monarchia centralizzata che garantisse lo sviluppo della società polacca.

Casimiro non intendeva però spingere all’estremo la lotta che conduceva per allentare i rapporti che lo legavano a Roma; viceversa egli sottolineò sempre il fatto che si considerava un difensore e un sostenitore degli interessi della Chiesa. Inoltre si rivolse ripetutamente al papa perché lo aiutasse nei perenni conflitti con l’Ordine Teutonico. Già in passato, nella lotta contro i Gran Maestri dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, i re di Polonia avevano avuto nella maggior parte dei casi la comprensione e l’aiuto dei legati papali. Al concilio di Costanza il prelato polacco Paolo Włodkowic aveva nuovamente difeso la corona polacca sostenendo che l’avanzata dell’Ordine era diretta contro pacifici popoli cristiani e che ai Cavalieri non premeva più affatto la diffusione del cristianesimo, ma si trattava di un atto di violenza in contrasto con il diritto naturale, divino e canonico.

Sotto re Casimiro la secolare lotta fra la Polonia e l’Ordine Teutonico si concluse con la vittoria polacca. E ancora una volta al fianco del re di Polonia, che rivendicava la Pomerelia e Danzica, stava il legato papale. Nei paesi dell’Ordine il re di Polonia poté valersi anche della resistenza opposta al Gran Maestro dalla nobiltà, dalla borghesia e dalle città. Da tempo ormai per Danzica e per le altre città il dominio dei Cavalieri Teutonici era un pesante fardello, in quanto rappresentava una barriera che separava i mercanti dal ricco retroterra. Già nel 1440 i borghesi e i nobili avevano costituito la cosiddetta Lega prussiana trasferendo così sul piano militare la lotta contro il dominio dei Cavalieri; essi richiedevano inoltre che venissero attuate delle riforme e che il paese avesse un governo di nobili, ossia che accanto al Gran Maestro, il quale stava a capo di tutto il paese, fosse assicurata la partecipazione al governo anche alla nobiltà laica e ai rappresentanti delle città.

Nel 1454 Casimiro sfruttò questa debolezza interna dell’Ordine, gli dichiarò guerra (la cosiddetta Guerra dei tredici anni) e incorporò la Pomerelia fra le terre della corona di Polonia. La spedizione alla foce della Vistola vide la vittoria delle armi polacche. Come già detto, a questa vittoria contribuì anche il fatto che contemporaneamente erano insorte le città soggette all’Ordine Teutonico. Nel 1463 gli eserciti polacchi avevano già conquistato Gniew, Starogard e Chojnice ed erano completamente padroni di un’importante arteria commerciale – il fiume Vistola, fino al suo sbocco nel mare. Al Gran Maestro dell’Ordine, Ludwig von Erlichshausen, non rimase altro che concludere la pace con il re vittorioso (Toruň – 1466): con la partecipazione del legato papale Rudolf von Rüdesheim si giunse ad un accordo secondo il quale la Polonia sarebbe entrata in possesso di Danzica, della Pomerelia, di Chełmno e Warmia. L’antica Prussia fu così divisa nella cosiddetta Prussia reale (ossia polacca) e nella Prussia dell’Ordine. L’Ordine Teutonico mantenne il suo predominio soltanto sul territorio intorno alla città di Kralovec (l’odierna Kaliningrad) e a nord di essa. Ludwig von Erlichshausen fu costretto a dichiararsi vassallo del re di Polonia.

Il Regno di Polonia aveva raggiunto finalmente il mare e le navi cariche di grano polacco, destinato ai mercati dell’Europa occidentale, in particolare ai Paesi Bassi, potevano navigare più sicure sulla Vistola. La vittoria ottenuta sui crociati finì così col giovare più ai produttori di grano (i magnati) che alle città. I nobili polacchi riuscirono a ottenere da Casimiro altri privilegi in modo da rafforzare ulteriormente la loro posizione. Durante la guerra contro l’Ordine Teutonico, i magnati, approfittando del fatto che il re non poteva fare a meno degli eserciti dei nobili per attaccare il Gran Maestro, erano riusciti a strappare a Casimiro i cosiddetti statuti di Nieszawa (1454), in cui il re si impegnava a non emanare leggi e a non dichiarare la guerra senza la partecipazione della nobiltà e senza il consenso della Dieta. Inoltre i nobili rafforzarono la loro supremazia politica sui rappresentanti delle città nelle Diete. Pertanto tutti gli sforzi di Casimiro, volti a costituire una salda monarchia centralizzata, dovettero cedere di fronte ai nobili uniti. Accanto al re acquistò potere determinante la Dieta, che egli doveva consultare praticamente riguardo a tutte le fondamentali questioni di governo. Nella vita politica della Polonia si inserì così una nuova tendenza: incominciò a svilupparsi la cosiddetta democrazia nobiliare che doveva assumere aspetti singolari. Da una parte si veniva a creare la possibilità di una partecipazione attiva alla vita politica, che si apriva in questo modo ai rappresentanti della nobiltà (insieme ai magnati si stava affermando soprattutto la media nobiltà), quindi a un ambiente più largo di quello costituito fino allora soltanto dai parenti e dai funzionari del re; dall’altra però c’era il pericolo che si determinassero periodi di anarchia, specialmente durante il regno di un sovrano debole oppure nel corso delle accanite lotte per la successione al trono.

Fino alla fine del XV secolo, epoca in cui si conclude il nostro panorama storico, tale situazione non mutò, al contrario si rafforzò il carattere particolare della monarchia in Polonia, basata sulla partecipazione al governo dei nobili, i quali acquistarono accanto al re un potere politico di importanza decisiva. Sotto il regno del figlio di Casimiro, Giovanni Olbracht (1492-1501), i nobili ottennero facilitazioni per quel che riguardava tributi daziari, cosa che consentì loro di consolidare i propri privilegi relativi al commercio del grano. Al tempo stesso essi costrinsero con la forza i contadini a lavorare sui loro latifondi: secondo la costituzione reale (1496), nel corso di un anno un solo contadino poteva lasciare il villaggio per andare a stare in città e solo un figlio di ogni famiglia contadina poteva – sempre con l’autorizzazione dei padroni – andare a studiare oppure dedicarsi a un mestiere o al commercio. Il contadino polacco era ormai ridotto in condizioni di completa servitù e i nobili con tali privilegi si erano ormai assicurata in permanenza una quantità sufficiente di manodopera. Va da sé che questa stabilizzazione forzata della situazione nella campagna polacca privava la cultura nazionale della possibilità di sviluppo dei talenti, condannava la produzione industriale a vegetare e contribuiva all’arretratezza della società polacca rispetto, per esempio, allo sviluppo dell’Italia o dei Paesi Bassi dove, con il fiorire delle città e dell’economia di mercato, si andavano allentando i rapporti feudali e dove, nelle condizioni che vedevano crescere il sistema capitalista, si formava uno strato sempre più largo di popolazione che godeva delle libertà personali. All’esterno la dinastia degli Jagelloni portò la Polonia a una immensa espansione territoriale. Per di più nel 1471 un figlio di Casimiro, Ladislao, divenne re di Boemia e nel 1490 anche re d’Ungheria. Se si aggiunge che un altro principe di questa dinastia, Sigismondo, era sovrano della Lituania, agli inizi del XVI secolo vediamo riunito sotto lo scettro degli Jagelloni un territorio vastissimo che andava dalla Boemia fino a Mosca, dal Mar Baltico al Mar Nero e all’Adriatico. Sembrava che l’Europa centrale e orientale fossero riunite per l’eternità in un potente impero dominato da un’unica dinastia. Dal precedente esame della situazione politica interna in Polonia risulta però l’insufficiente stabilità politico-sociale di questo Stato che riuniva tante forze contraddittorie. Era quindi prevedibile che il futuro non avrebbe confermato l’esistenza duratura dell’impero jagellonico. Effettivamente fu sufficiente che si estinguesse il ramo ceco-ungherese degli Jagelloni (1526) perché alla dinastia polacca subentrasse una dinastia nuova, quella degli Asburgo, che poi regnò sull’Europa centrale e su parte dell’Europa orientale fino al XX secolo.

Mentre la grande espansione politica e territoriale raggiunta dalla dinastia degli Jagelloni alle soglie del XVI secolo non ebbe lunga vita, nel territorio polacco-lituano si crearono invece degli organismi che diedero buona prova per ben due secoli: il XVI e il XVII. Pressappoco entro i confini raggiunti dal Regno di Polonia sotto Casimiro Jagellone, continuò per lunghi secoli lo sviluppo dei popoli polacco e lituano, fino al periodo cioè della divisione della Polonia nel XVIII secolo.

Anche la cultura polacca del XV secolo lasciò un retaggio duraturo ai posteri. Anzitutto fu nella Polonia jagellonica che si venne a costituire la reale nazione polacca medievale. In quel periodo il polacco divenne lingua scritta e letteraria e in parte sostituì anche il latino e il tedesco; comparvero anche altri testi religiosi polacchi, preghiere e canti, e nel 1455 ci fu persino un primo tentativo di tradurre la Bibbia in polacco. Contemporaneamente i primi poeti polacchi cercarono di esprimere nella lingua nazionale non solo i loro sentimenti, il loro amore, ma anche considerazioni e osservazioni critiche sulla loro epoca (soprattutto in versi satirici che prendevano di mira la Chiesa). Il polacco divenne anche la lingua ufficiale usata nell’ufficio del re, nei tribunali e nei documenti dei nobili.

Durante il regno della dinastia degli Jagelloni dall’Italia penetrò in Polonia una corrente di educazione umanistica che poneva l’accento sullo studio delle opere degli artisti e dei filosofi dell’antichità. Intorno all’umanista italiano Filippo Buonaccorsi detto Callimaco (1437-1496), che visse alla corte dei re di Polonia, si formò un circolo di dotti polacchi, dediti allo studio del latino classico e più tardi del greco; tra questi si distinse Gregorio di Sanok, naturalista di tendenza filosofica epicurea.

L’umanesimo polacco ebbe dunque dapprima un orientamento latino e, come avvenne per esempio anche in Italia, svalutò la lingua nazionale. Inoltre, in questa prima fase gli umanisti polacchi subordinarono il culto dell’antichità al rispetto per l’autorità del clero, evitando così ogni critica antiecclesiastica. Scritta in latino e di orientamento cattolico assolutamente ortodosso è anche la più importante opera letteraria della cultura polacca di questo periodo, la Historia Poloniae del canonico di Cracovia Giovanni Długosz. Questo prelato, conservatore, prese a modello Livio e ne seguì l’esempio di modo che tutta la sua vasta opera risulta pervasa da un forte pathos patriottico. Długosz esalta la Polonia e la cultura polacca, ma al tempo stesso dimostra di saper usare con sapienza un metodo storiografico progredito che gli consente di raccogliere diligentemente i documenti, di selezionarli e, solo in seguito, di raccontare gli avvenimenti dei tempi passati. L’opera di Długosz, perfetta dal punto di vista letterario, è la prima vera storia della Polonia e per le sue caratteristiche artistiche si colloca a cavallo del Medioevo e del Rinascimento.

In complesso tuttavia nel XV secolo la cultura polacca viveva ancora completamente nello spirito delle concezioni medievali e coltivava di conseguenza forme artistiche cavalleresche tipiche di quell’epoca. Ciò vale anche per le arti figurative: infatti l’architettura (il castello reale di Wawel a Cracovia), come la pittura (gli affreschi nella chiesa di Santa Brigida di Lublino) e la scultura (le tombe dei re di Polonia nel castello di Wawel a Cracovia) risentono fortemente dell’influenza dello stile gotico evoluto. Tuttavia, come nella letteratura si erano affermate le prime influenze umanistiche, così anche nelle arti figurative incominciarono a penetrare sul finire del XV secolo elementi dell’arte rinascimentale. Si andò affermando in particolare un più profondo interesse a conoscere l’uomo, il corpo umano, le passioni umane, le gioie e i dolori. Questo nuovo aspetto dell’arte gotica appare evidente soprattutto nelle magnifiche sculture in legno di Vito Stwosz (1445-1533), un artista di Norimberga che operò a Cracovia. Stwosz creò per le chiese di Cracovia grandi altari in tardo stile gotico, in cui scolpì nel legno figure di santi e di uomini semplici che raffigurò con sorprendente perfezione e freschezza. Nelle sculture di Stwosz l’uomo è la raffigurazione vivente dei suoi contemporanei, vive in una profonda devozione al culto di Gesù Cristo e della Vergine, ma al tempo stesso il suo volto rivela sentimenti e slanci più profondi ed è inserito in quadretti di genere della vita d’ogni giorno di Cracovia. Il realismo di simili opere figurative testimonia in modo indubbio che alle soglie del XVI secolo la Polonia stava ormai entrando in una fase assolutamente nuova del suo sviluppo culturale.

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Ultimo aggiornamento: 26/06/06