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L'Europa orientale nei secoli XIV e XV

di Josef Macek

© 1974-2006 – Josef Macek


2. La Russia

Osservando la carta dell’Europa orientale intorno al 1300, abbiamo già potuto constatare che al di là dai confini orientali del Granducato di Lituania non esisteva uno Stato russo. Il concetto stesso di «Russia» esisteva solo come idea e, come tale, rientrava nei progetti di alcuni principi, senza però che corrispondesse ad alcuna realtà politica. Sul territorio dove più tardi doveva formarsi la Russia c’era un’infinità di principi locali, i quali soltanto nelle loro manifestazioni ideologiche e per motivare le loro tendenze espansionistiche erano fautori dell’idea dell’unità dei paesi russi, mentre in realtà la maggior parte di loro perseguiva interessi strettamente locali e particolari. Per farci un’idea delle proporzioni del frazionamento della vita politica in questi territori, è sufficiente ricordare che verso il 1300 soltanto nei dintorni di Mosca c’erano non meno di 11 principati e ducati che prendevano nome dai castelli e dalle piccole residenze locali (per esempio il Ducato di Vladimir, quello di Galič, di Kostroma, Murom, Ržev, Suzdal’ - Nižnij Novgorod ecc.).

Il forte legame che teneva uniti tutti questi rappresentanti degli Stati feudali era costituito dalla dominazione tartaromongola. Dal XIII secolo tutti i principi dei paesi russi erano soggetti all’impero dei Tartari, la cosiddetta Orda d’Oro. Tribù mongole e turche avevano creato un’organizzazione militare che riuniva tutti i nomadi denominati, nel loro insieme appunto, Tartari. All’inizio del XIV secolo l’impero dei Tartari, che compilavano i loro documenti in turco, si estendeva a est dal fiume Dnjestr fino alla Siberia occidentale di là dagli Urali e, a sud, dalla Crimea e dal Caucaso in direzione nord fino al bacino del fiume Kama. Le singole tribù, dedite all’allevamento del bestiame, erano guidate dai khan locali e sottoposte a una rigida disciplina militare. Gruppi più grandi – le orde – si riunivano regolarmente in grandi assemblee durante le quali veniva stabilito anche in quale direzione rivolgere l’espansione nei paesi limitrofi. In queste assemblee i khan locali eleggevano anche il Gran Khan, comandante supremo degli eserciti e amministratore dei tributi che venivano riscossi dai popoli soggetti. Alla fine del XIII secolo gli esperti in questioni tributarie cinesi che si trovavano alla corte del Gran Khan (la sua sede era ad Astrahan sul corso inferiore del Volga, ma spesso cambiava) elaborarono attraverso un elenco dei paesi soggetti un sistema di tributi che assicurava all’Orda d’Oro (chiamata nelle fonti orientali Ulus Džuč o Kipčak) una ricchissima fonte di entrate. Nel XIV secolo tutti i principi russi come pure i sovrani dell’Ucraina pagavano regolarmente ai gabellieri del Gran Khan tributi in natura e in denaro per ogni podere. Al momento della successione ogni nuovo principe doveva assicurarsi il consenso dell’Orda d’Oro inviando una missione speciale e pagando una tassa straordinaria. Soltanto nel corso del XIV secolo alcuni principati incominciarono a sottrarsi al predominio tartaro e ciò coincise con i primi tentativi fatti per superare il frazionamento feudale dei paesi russi.

Anche in Russia, come in Polonia, la causa principale di tale frazionamento era da ricercare nel basso livello di sviluppo della società e delle forze produttive. Qui la capacità di produzione agricola era ancora inferiore a quella dei territori della Polonia, e il numero di abitanti per km², sempre rispetto alla Polonia, non arrivava che circa alla metà (2-4 abitanti per km²) ed era quindi molto inferiore alla media demografica dell’Europa meridionale, occidentale e anche centrale. Inoltre l’invasione tartara aveva completamente paralizzato lo sviluppo delle città russe, le quali nel 1300, ad eccezione di Novgorod e di Pskov, assomigliavano piuttosto a piccoli borghi riuniti attorno ai castelli dei principi. La colonizzazione esterna, cioè quella attuata da colonizzatori provenienti dall’Europa occidentale, non rivestì carattere di fenomeno determinante nei paesi russi e anche in Lettonia ed Estonia rimase limitata alle regioni costiere. La colonizzazione russa, organizzata soprattutto dalla Chiesa e talvolta anche dai principi, incontrava insormontabili difficoltà nelle estensioni sconfinate della Russia centrale e orientale che erano per la maggior parte coperte da foreste, di modo che si riusciva a strappare solo con una lotta accanita altre superfici di terra coltivabile. In conseguenza di tutto ciò la produzione agricola era a un basso livello e al nord in particolare, ancora nel corso del periodo al quale ci stiamo interessando, si bruciava la vegetazione boschiva per poter poi procedere alla semina della terra così conquistata. Nei secoli XIV e XV in queste regioni si andò affermando solo gradatamente il sistema della rotazione delle colture. Il terreno poco fertile e le difficili condizioni naturali ostacolavano la produzione del grano per i mercati locali.

Una produzione agricola di basso livello e la caccia alla selvaggina costituivano quindi la base economica dei possedimenti feudali. La maggior parte della terra apparteneva ai principi, alla Chiesa e alla nobiltà, i cui rappresentanti più potenti venivano chiamati «boiari». Ai signori feudali appartenevano casali e villaggi dove vivevano e lavoravano la terra i contadini (cosiddetti ljudi, smerdy, siroty o krest’jane) che venivano costretti con la forza a compiere corvées nei poderi dei feudatari e a consegnare come tributo prodotti naturali. Durante due interi secoli, il XIV e il XV, in queste regioni dell’Europa orientale la fonte più importante del reddito feudale fu quella naturale (cioè grano, formaggi, miele, bestiame, pollame ecc.). Oltre ai consueti obblighi verso il signore feudale, i contadini dovevano consegnare tributi anche al principe, specialmente quando i gabellieri tartari si presentavano a riscuotere i tributi dovuti regolarmente all’Orda d’Oro. Il principe stesso con la sua corte soleva fare il giro dei singoli possedimenti per pretendere il pagamento dei tributi in natura per sé e per i propri armati.

Rapporti molto complessi regolavano poi la proprietà delle terre agricole. I nobili potevano possedere la terra, su cui vivevano i contadini, o direttamente – e in tal caso avevano su di essa pieno diritto di proprietà (la cosiddetta votčina) – oppure la terra veniva data loro in beneficio o regalata dal principe (poměstije). Da questi rapporti di proprietà si sviluppò il sistema feudale in cui i nobili minori avevano verso i boiari obblighi economici (tributi in natura) e militari, e questi a loro volta dovevano simili prestazioni ai principi locali o al granduca. I discendenti dei rami laterali delle famiglie principesche ricevevano spesso i cosiddetti uděly, ossia appezzamenti di terra con i contadini e i nobili in un determinato territorio in cui poi sorgevano piccole unità politiche. Se consideriamo che la proprietà terriera non fu mai unita né compatta, che cioè non si crearono possedimenti organici, ma al contrario un feudatario possedeva villaggi e fattorie distanti fra di loro alcuni giorni di cammino, possiamo anche comprendere la complessità del mosaico economico e politico nonché le cause della continua tensione esistente fra i signori feudali sul piano del potere. Gli incessanti contrasti che si verificavano a causa delle proprietà, le tendenze a unificare i possedimenti spezzettati, le liti per i confini delle terre e per il diritto a riscuotere dai contadini i tributi costituivano una costante premessa dell’anarchia feudale.

Nella complessa piramide del potere feudale, un posto importante spettava alla Chiesa ortodossa russa che aveva il suo capo, il patriarca, a Costantinopoli. Dopo la caduta dello Stato di Kiev, anche sotto la dominazione tartara si mantenne il sistema organizzativo ecclesiastico che aveva il proprio centro vitale nei vescovi e nel metropolita, il capo della Chiesa russa. Dopo il 1300 la sede del metropolita si spostò da Kiev nel nord, dapprima a Vladimir (a est di Mosca), sede del granduca, e più tardi (1328) a Mosca. Così con questo spostamento anche l’organizzazione ecclesiastica favorì lo sviluppo del nuovo centro della vita statale. La Chiesa contribuì però attivamente anche alla colonizzazione interna del paese; soprattutto i monasteri divennero dei grandi centri economici, furono provvisti di fortificazioni e attorno ad essi, nei secoli XIV e XV, incominciarono a poco a poco ad allargarsi le superfici di terra agricola. I più grandi monasteri sorsero intorno a Mosca (per esempio il monastero della SS. Trinità), presso Beloje Ozero, Lago Bianco (il monastero di San Cirillo), ma anche all’estremo nord, nel Mar Bianco, nell’isola Solověckij. Grazie alle donazioni e ai lasciti dei devoti, la proprietà terriera della Chiesa continuò a ingrandirsi, soprattutto ai tempi del metropolita Pietro (1308-1326). Nel XV secolo si calcolava che alla Chiesa appartenesse già oltre 1/3 di tutta la terra coltivabile dello Stato di Mosca.

I feudatari ecclesiastici non si differenziavano però in alcun modo dai principi o dai nobili negli obblighi che imponevano ai contadini; infatti li gravavano con sempre maggiori tributi in natura e con sempre maggiori corvées costringendo con la forza anche la popolazione, fino allora libera, a fornire quelle prestazioni cui erano obbligati i servi della gleba. I feudatari cercavano al tempo stesso di impedire la fuga dei contadini dai villaggi e stipulavano degli accordi impegnandosi reciprocamente a costringere i fuggitivi a ritornare. Le immense superfici della Russia centrale, settentrionale e orientale consentivano tuttavia ai contadini di fuggire continuamente dai villaggi natii e di fondare nuovi villaggi in mezzo alle immense foreste. Nel corso di alcuni secoli ciò portò alla progressiva colonizzazione di nuove zone dell’Europa orientale in cui i nuovi venuti, russi, si fusero etnicamente con la popolazione indigena, per la maggior parte di origine ugro-finnica. I nuovi villaggi sorti in territori che non avevano alcun padrone mantennero i diritti delle obščine (comunità contadine), secondo i quali l’intero villaggio gestiva in comune i pascoli e le terre incolte, tagliava i boschi e trasformava i terreni boschivi in terra agricola, mentre non rivendicava alcun diritto sulla proprietà privata (le case e parte dei campi). Un aspetto importante dell’obščina era costituito dalle assemblee dei contadini del villaggio, durante le quali venivano eletti i responsabili dell’amministrazione autonoma locale. A partire dal XIII secolo nella Russia occidentale e centrale il sistema delle obščine fu a poco a poco soppresso e sostituito dal sistema feudale; a nord e a est invece si mantenne a lungo accanto all’ordinamento feudale e in alcune zone remote della Russia sopravvisse addirittura fino ai secoli XIX e XX. I monasteri occupavano spesso con la forza le terre di queste comunità agrarie, venendo così a conflitto con i contadini. Mentre nei possedimenti dei boiari e dei nobili la soluzione più frequente cui ricorrevano i contadini per liberarsi era la fuga, nei possedimenti dei monasteri già nel XIV secolo si ebbero insurrezioni armate. Nel 1316, ad esempio nel monastero di Machrič, i contadini insorsero e con le armi in pugno scacciarono i funzionari ecclesiastici che volevano riscuotere i tributi. Tutte queste rivolte locali furono però spietatamente represse, in quanto nella lotta contro gli insorti la Chiesa trovava alleati non solo nei boiari, ma anche nei principi, i quali a loro volta cercavano di assicurarsi l’appoggio della Chiesa per i loro obiettivi politici.

Abbiamo già fatto notare che la caratteristica della colonizzazione russa, colonizzazione interna e quindi non operata da stranieri, consisteva nel fatto che nel paese non venivano fondate nuove città circondate da mura, dotate del diritto di mercato e di un’ampia autonomia amministrativa. Ciò naturalmente non significa che in Russia non esistessero affatto città, e anche nei paesi russi, a partire dal XIV secolo, la produzione artigianale cominciò a distinguersi dalla produzione agricola per concentrarsi nelle corti feudali o direttamente nei luoghi di mercato sotto la protezione dei castelli feudali. Ma queste città, fino alla fine del XV secolo, erano relativamente piccole, lontane l’una dall’altra e per di più completamente soggette ai feudatari. Il principe era il loro signore, i suoi funzionari dominavano le città, non consentivano loro la benché minima partecipazione al governo del principato e negavano ai rappresentanti delle città di far parte del corpo consultivo del principe. Le città rimasero così completamente escluse dalla vita politica attiva dei paesi russi e ciò non solo nel Medioevo, bensì fino al XIX secolo.

Nel XIV e XV secolo facevano in un certo senso eccezione a questo sistema due città occidentali: Pskov e Velikij Novgorod. Entrambe dominavano il territorio circostante, erano centri del commercio e dell’artigianato e vi avevano sede le filiali della Hansa, la lega commerciale delle città della Germania settentrionale. Era sostanzialmente attraverso i mercati di queste due città che si svolgeva la maggior parte del commercio russo con l’Europa occidentale.Nell’interno della Russia, il commercio era concentrato, oltre che nelle città, anche nei monasteri fortificati, e le carovane dei mercanti erano protette dalle scorte armate dei principi. La dominazione tartara precluse ai paesi russi ogni possibilità di avere contatti commerciali diretti con le colonie genovesi e veneziane sulle coste del Mar Nero, e l’Orda d’Oro prese a controllare anche il commercio svolto sul fiume Volga, importante arteria commerciale poiché consentiva il collegamento della. Russia con l’Asia centrale e con l’Iran da dove arrivavano sui mercati russi spezie provenienti dall’India e pregiate merci orientali. In particolare i grandi mercati di Nižnij Novgorod (l’attuale Gor’kij) permettevano ai mercanti europei di mettersi in contatto con le carovane commerciali di Buchara, Khorasan, Samarcanda e dell’Armenia.

A Velikij Novgorod la Hansa, che si era impadronita del commercio di transito, acquistava pellicce, cera, strutto, burro e merci orientali che venivano trasportate sul Volga. I mercanti russi, viceversa, avevano la possibilità di comprare a Velikij Novgorod panno, tela, prodotti di metallo, vino e alcuni tipi di spezie. Questa duplice direzione del commercio russo e il ruolo di mediazione sostenuto dai mercanti russi nei contatti fra Europa e Asia risultano evidenti anche dal modo in cui era articolata l’organizzazione commerciale a Mosca. I cosiddetti «ospiti» avevano il diritto di commerciare soltanto con l’est e con il sud, mentre ai cosiddetti «pannaiuoli» erano riservati gli itinerari diretti verso l’Occidente. Ma la Hansa, per difendere i propri privilegi, consentiva ai mercanti russi di arrivare a Occidente tutt’al più fino a Velikij Novgorod, Riga e Tallin, oppure, ma solo in casi eccezionali, fino a Stoccolma e Lubecca. I privilegi della Hansa divennero in tal modo una barriera posta fra la Russia e l’Europa, e soltanto dopo aspre lotte nel XVIII secolo al commercio russo si aprì la via marittima del Baltico. Anche il commercio su terraferma attraverso la Lituania e la Polonia era quasi inesistente, a causa soprattutto delle continue lotte per il possesso dei territori della Russia occidentale, della Bielorussia e dell’Ucraina, cosa questa che contribuì ulteriormente a isolare la Russia dal resto dell’Europa.

Velikij Novgorod e Pskov si differenziavano però dalle altre piccole città russe non solo per i loro contatti commerciali con la Hansa, per la loro grandezza e la mole delle loro costruzioni, ma anche per la struttura sociale e l’ordinamento politico. Infatti mentre durante tutto il Medioevo nelle città russe, il cui sviluppo si era arrestato, non esistevano liberi borghesi, a Novgorod, invece, vediamo che oltre ai nobili anche i mercanti erano considerati liberi cittadini e godevano di tutti i diritti. Formalmente il sovrano di Novgorod era il granduca di Vladimir, in realtà però il governo era stato assunto dall’assemblea popolare, cosiddetta věče, e dal consiglio eletto dall’assemblea. I membri di quest’organo politico (sotto molti aspetti simile ai comuni sorti nel primo Medioevo nelle città italiane) erano uomini liberi, cioè boiari, nobili e mercanti. I contadini, gli artigiani e i poveri erano privi di qualsiasi diritto politico e avevano gli stessi obblighi, tipici della servitù della gleba, degli altri contadini russi. Al suono della campana si riuniva l’assemblea dei «liberi» che discuteva i trattati con i principi vicini, decideva della pace e della guerra ed eleggeva i dignitari cittadini. A buon diritto si parla perciò di Novgorod come di una repubblica feudale con cui era strettamente collegata anche la repubblica analoga esistente a Pskov. Fino alla metà del XIV secolo Pskov fu soggetta a Novgorod; ma nel 1348 (pace di Bolotov) si assicurò l’indipendenza mantenendo rapporti di alleanza con il «fratello maggiore»: Velikij Novgorod.

Queste due repubbliche feudali, a causa della loro particolare posizione economica e della loro favorevole posizione geografica, divennero ben presto il bersaglio degli attacchi dei principi vicini. Dalla metà del XIII secolo Novgorod fu esposta soprattutto agli assalti dei Cavalieri Teutonici, ai quali nel XIV secolo si aggiunsero i tentativi di conquista da parte della Lituania. Novgorod e Pskov resistettero a questi attacchi, ai quali presero parte anche mercanti danesi e svedesi, ma non riuscirono a far fronte a quello proveniente dall’est: da Mosca.

All’inizio del XIV secolo nulla faceva pensare che proprio Mosca dovesse diventare il centro della futura monarchia russa; intorno al castello non sorgeva che un piccolo borgo e il territorio del principe di Mosca si estendeva per breve tratto nei dintorni. Nel XIV secolo il granduca di Vladimir incominciò a farsi chiamare granduca di «tutta la Russia», in quanto presso di lui risiedeva il metropolita Maxim nei cui documenti appare per la prima volta anche il titolo di «metropolita di tutta la Russia». Con l’aiuto del metropolita il granduca di Vladimir intendeva riunire intorno a sé i territori di cui si componeva il primo Stato russo, lo Stato di Kiev. Ci fu però anche un altro fattore che favorì il granduca di Vladimir: il Gran Khan tartaro gli conferì con un documento (cosiddetto jarlyk) il diritto di riscuotere per l’Orda d’Oro i tributi che spettavano ai Tartari da «tutta la Russia». Con i loro sforzi volti a ottenere il massimo di tributi i khan tartari contribuirono così in notevole misura a mantenere viva l’idea dell’unità della Russia.

Chi avesse il diritto di riscuotere i tributi dovuti ai Tartari e anche dove dovesse risiedere il metropolita, queste furono le due questioni intorno alle quali si scatenò una lotta violenta in cui, per liquidare l’avversario, si ricorse a ogni mezzo: dall’assassinio agli accordi segreti con i Tartari. Le lotte ebbero fine con la conquista del privilegio tartaro (jarlyk) da parte del principe di Mosca Ivan Danilovič (1328), il quale costruì Mosca anche come sede del «metropolita di tutta la Russia» Teognosto, inviato in Russia dal patriarca di Costantinopoli. Nella prima metà del XIV secolo Mosca prendeva così il posto detenuto fino allora dall’antica città di Vladimir.

È evidente tuttavia che le lotte politiche sopraccennate non furono la causa unica e determinante del nuovo ruolo assunto da Mosca nel divenire centro del Granducato russo. Si devono aggiungere anche altri elementi: la favorevole posizione geografica di Mosca, la sua importanza economica e commerciale, il fatto che si trovava relativamente lontano dall’Orda d’Oro e sorgeva pressappoco al centro del territorio abitato nel Medioevo dal popolo russo. Tutti questi fattori, insieme alla ricchezza dei duchi di Mosca (nel XIV secolo possedevano 50 villaggi e all’inizio del XV secolo già 125) e alle loro eminenti doti personali, costituirono le condizioni grazie alle quali Mosca era in grado di diventare la capitale di uno Stato che si andava sempre più consolidando.

Ivan Danilovič (1325-1340) veniva chiamato Kalita, cioè «borsa di denari». Questo soprannome indicava l’orientamento politico di Ivan, il quale cercò in tutti i modi di ingraziarsi i khan: a questo scopo si accanì nell’estorcere ai boiari, ai monasteri, ai vescovi, ai nobili e anche ai contadini i tributi imposti dai Tartari. Con ingenti somme di denaro non solo ottenne la tranquillità e la sicurezza del suo territorio, ma anche l’aiuto militare dei reparti tartari nelle lotte contro i principi russi suoi vicini. Già nei primi anni del XIV secolo il Granducato di Mosca aveva raddoppiato il suo territorio. Sotto Ivan Kalita, chiamato dai cronisti contemporanei «collezionista della terra russa», il principato di Tver’ fu annesso con la forza a Mosca e nel 1328 Ivan divenne anche granduca di Vladimir. Tutte queste conquiste furono realizzate con l’aiuto dell’Orda d’Oro e facilitate da complotti dei boiari locali, corrotti da Ivan. A Tver’ il granduca di Mosca represse brutalmente l’insurrezione contro la dominazione tartara diventando così l’esecutore della volontà del Gran Khan; per Ivan Kalita del resto ogni mezzo era buono purché servisse ad aumentare il suo potere.

Ma dopo la morte di Kalita gli sforzi unificatori di Mosca sembrarono minati alla loro stessa base: tra gli eredi del trono granducale infatti scoppiarono le consuete lotte per la successione alle quali si aggiunse la rivolta dei boiari che rifiutavano l’obbedienza ai granduchi. In questo clima di disordini e di spargimento di sangue il metropolita Alessio diede prova di sagacia politica appoggiando Demetrio Ivanovič (1359-1389) sotto il cui regno si stabilizzò nuovamente il potere di Mosca. Ciò non contribuì tuttavia a rafforzare i rapporti di dipendenza della Chiesa ortodossa dallo Stato.

All’inizio del suo regno Demetrio perse l’appoggio dell’Orda d’Oro che consegnò lo jarlyk e il titolo di granduca al principe di Suzdal’, il quale era anche signore di Nižnij Novgorod. Il metropolita Alessio approfittò dei contrasti interni fra i khan tartari e per merito suo i messi moscoviti riportarono a Demetrio il titolo di granduca. Ma eliminati due rivali, Suzdal’ e Nižnij Novgorod, Mosca si trovò davanti un altro nemico: il principe di Tver’. Al principe di Tver’ si era alleato il granduca di Lituania Olgerd, il quale tentò invano due volte (1368 e 1370) di conquistare Mosca. Proprio nel periodo in cui si stava preparando alla guerra contro gli eserciti riuniti della Lituania e di Tver’, Demetrio iniziò a costruire le mura di pietra del Cremlino a Mosca, che sostituirono le antiche fortificazioni di legno. I successi militari del Ducato di Mosca furono però ancora una volta condizionati dall’avvicinamento di Demetrio ai khan tartari dai quali egli dovette di nuovo comprare la dignità granducale.

Tuttavia proprio al nome di Demetrio è legata la prima vittoria riportata dagli eserciti russi sui Tartari. Proprio allora l’Orda d’Oro stava infatti attraversando un periodo di sanguinosi conflitti interni da cui alla fine uscì vittorioso il temnik (comandante di un gruppo militare di 10.000 combattenti) Mamaj. Di questa crisi interna dell’Orda d’Oro approfittarono i principi russi che si rifiutarono di pagare i tributi. Il nuovo khan Mamaj preparò quindi una grande spedizione militare e si scontrò con gli eserciti russi, comandati dal granduca Demetrio, sul piccolo fiume Neprjadva, un affluente del Don. La battaglia di Kulikovo (1380) si concluse con una dura sconfitta dei Tartari e determinò una svolta nello sviluppo del predominio tartaro sulla Russia. Infatti, seppure i principi russi non riuscirono a sottrarsi completamente all’obbligo di pagare tributi all’Orda d’Oro, tuttavia la vittoria riportata sugli eserciti tartari stava a dimostrare che era possibile continuare la lotta contro i khan.

La battaglia di Kulikovo rafforzò anche l’autorità del granduca di Mosca. Per questo il successore di Mamaj, l’ex khan della cosiddetta Orda Bianca Tochtamiš, organizzò una spedizione militare contro Mosca. Tochtamiš dominava originariamente il territorio a est del Volga fino alla Siberia occidentale; alla testa dell’Orda Bianca aveva attaccato Mamaj costringendolo a fuggire nelle colonie genovesi in Crimea e lì, a Caffa, lo fece assassinare. A capo dell’intera Orda d’Oro, che riuniva di nuovo tutti i khan e i temnik Tochtamiš nel 1382 marciò allora contro Mosca. Invano la popolazione insorta della città, abbandonata a se stessa dal granduca e dai boiari, tentò di resistere agli eserciti tartari. Mosca fu conquistata, il Cremlino distrutto e i dintorni furono spaventosamente devastati. Il granduca Demetrio e anche gli altri principi russi si impegnarono di nuovo a pagare i tributi ai Tartari e riconobbero Tochtamiš loro sovrano.

Prima di morire Demetrio, chiamato dopo la vittoria sui Tartari Demetrio Donskoj, provvide ad assicurare la successione al figlio Vasilij Dmitrievič (1389-1425), prevenendo così le inevitabili lotte per il trono. Il granduca Vasilij del resto fu agevolato anche dalle circostanze: alla fine del XIV secolo l’Orda d’Oro fu distrutta dall’invasione dei Mongoli. Nell’Asia centrale aveva assunto il comando degli eserciti mongoli l’emiro Timur Lenk (tale nome, Lenk, significa Zoppo e gli fu dato poiché era stato ferito a una gamba e zoppicava; in Europa occidentale invece il suo nome fu storpiato in Tamerlano). Timur creò un vasto e potente impero asiatico che si estendeva dai confini della Cina fino alla Siria e al Volga, dall’India fino agli Urali. In alcune battaglie sterminò l’Orda d’Oro e nel 1395 costrinse il khan Tochtamiš a fuggire in Lituania presso il granduca Vitoldo. Timur sognava di costituire un impero mondiale e sembra sostenesse che tutti i territori della parte abitata del mondo avrebbero dovuto avere un unico sovrano. Questi piani di conquista del mondo trovarono attuazione anche nell’Europa orientale: Timur estese il suo dominio sui principati russi, si impadronì della Russia meridionale e saccheggiò le colonie genovesi in Crimea.

La lotta contro Timur tenne impegnate per molti anni tutte le forze dell’Orda d’Oro consentendo così al granduca Vasilij di impadronirsi di altri territori. La conquista più importante fu quella del principato di Suzdal’ - Novgorod. Nel 1390, con l’aiuto dei Tartari e dopo essersi accordato con i boiari in rivolta, Vasilij conquistò Nižnij Novgorod e annesse a Mosca vasti territori. In collaborazione con il granduca di Lituania Vitoldo, che dominava i principati della Russia occidentale, Vasilij cercò di sopraffare anche Velikij Novgorod, ma si dovette accontentare della conquista temporanea delle zone lungo il fiume Dvina, fino ad allora soggette appunto alla repubblica di Novgorod. Intorno al 1400quindi il Granducato di Mosca arrivava già alle coste del Mar Bianco, anche se più tardi a poco a poco Novgorod riaffermò in queste zone i suoi diritti di sovranità. Dopo la morte di Timur (1405) l’Orda d’Oro aveva infatti ripreso a consolidare il suo dominio in Russia e nel 1408 Jedigej pose persino l’assedio a Mosca. Vasti territori della Russia centrale furono devastati, Nižnij Novgorod fu incendiata e Mosca dovette pagare per la pace un forte riscatto ai reparti tartari. Il granduca di Mosca fu costretto a riconoscere ancora una volta il dominio dell’Orda d’Oro e insieme con gli altri principi continuò a pagare i tributi ai Tartari. Sotto il regno del figlio di Vasilij, Vasilij Vasiljevič (1425-1462), lo Stato moscovita fu travagliato per vent’anni da accanite lotte interne. Contro Vasilij insorsero infatti i suoi parenti più anziani, principi indipendenti (udělnij), che avanzavano pretese nei confronti del trono granducale; alla loro testa stava Giorgio Dmitrievič, principe di Galič (a nord di Nižnij Novgorod). All’inizio fra i contendenti fece da arbitro il khan tartaro, ma quando lo jarlyk fu consegnato al principe di Mosca, il principe di Galič non esitò a cercare un alleato nella Lituania e in poco tempo occupò tre volte Mosca. Nei dissidi interni russi intervennero però di nuovo i Tartari: il khan Ulugh Mohamed devastò Nižnij Novgorod e i suoi figli sgominarono gli eserciti di Mosca presso Suzdal’ (1445). Sembrava che la potenza di Mosca dovesse definitivamente tramontare; oltre alla sconfitta militare, infatti, era diventato granduca – con l’aiuto dei boiari moscoviti – il figlio di Giorgio, Demetrio Šemjak, principe di Galič. In questa situazione intervenne allora nella Russia centrale anche il re di Polonia Casimiro il quale sottomise una parte della repubblica di Velikij Novgorod. Per ben vent’anni si protrassero queste lotte nel corso delle quali il principato di Mosca scomparve quasi completamente. Ciò nonostante il granduca Vasilij II il Tenebroso ritornò alla fine a Mosca e rinnovò il suo dominio. Aveva di nuovo l’appoggio dei Tartari, ma poteva contare anche sull’aiuto della nobiltà e soprattutto aveva dalla sua parte la Chiesa.

La penetrazione dello Stato di Lituania e Polonia verso l’est era accompagnata, infatti, dalla tenace tendenza a diffondere in Russia l’influenza della Chiesa cattolica. Nel 1431, dopo la morte del metropolita Fozio, a Costantinopoli era stato nominato suo successore il greco Isidoro che aveva partecipato al Concilio di Basilea e in più occasioni aveva asserito la necessità dell’unione fra la Chiesa greco-ortodossa e quella cattolico-romana. Il metropolita Isidoro partecipò anche ai Concili di Ferrara e di Firenze dove fu proclamata appunto l’Unione delle due Chiese. In seguito a tale decisione la Chiesa ortodossa fu costretta a riconoscere il papa come proprio capo e a rinunciare ad alcuni suoi dogmi. Ma dopo il suo ritorno a Mosca, Isidoro fu destituito da Vasilij II il quale lo rinchiuse in carcere; il metropolita riuscì però a evadere e a fuggire in Lituania. In seguito il sinodo dei vescovi russi elesse metropolita, senza il consenso del patriarca di Costantinopoli, il vescovo di Rjazan’, Giona (1448). Quest’atto ebbe conseguenze importantissime, in quanto spazzò i legami dell’ubbidienza ecclesiastica a Costantinopoli e determinò la nascita della Chiesa russa indipendente. L’autorità del metropolita russo era limitata però solo alla Russia centrale e meridionale. Le regioni sud-occidentali della Bielorussia e dell’Ucraina avevano conservato i rapporti di obbedienza a Costantinopoli. In Russia l’indipendenza conquistata dalla Chiesa locale approfondì i contrasti con l’Europa occidentale, ma allo stesso tempo fu proprio questa separazione a creare in parte le premesse per la formazione e il successivo sviluppo dei caratteri peculiari della cultura russa.

Con l’elezione di Giona il granduca di Mosca ottenne naturalmente il potente appoggio della Chiesa che da allora dipese completamente da lui. Mosca ebbe così di nuovo un vantaggio sugli altri principati, centri di potere, e alla fine del suo drammatico regno il granduca, divenuto cieco, fu in grado non solo di ristabilire il suo dominio su Mosca, bensì anche di allargare la sua sfera di influenza. Divenne feudatario del principato di Rjazan’ e cercò di attaccare di nuovo Velikij Novgorod. In questa campagna, pur riportando successi militari, non riuscì a ottenere dalle due repubbliche (Novgorod e Pskov) che l’impegno da parte dei rispettivi governi a non prendere in futuro alcuna iniziativa contro Mosca. La direzione in cui Vasilij aveva orientato le sue conquiste lasciava intendere che la lotta decisiva per l’egemonia in Russia si sarebbe svolta tra Velikij Novgorod e Mosca. Proprio il figlio e successore di Vasilij, Ivan III (1462-1505) riuscì a espugnare la repubblica di Novgorod: la repubblica dapprima resistette e si difese con l’aiuto degli eserciti lituani, ma nel 1471 i reparti militari di Novgorod subirono una sconfitta decisiva sul fiume Šelon e spettò a Mosca dettare le condizioni della pace. Novgorod dovette rompere le sue relazioni con gli alleati lituani e promettere amicizia a Ivan. Il granduca non si accontentò però di questi successi. Per indebolire i boiari di Novgorod fomentò contro di loro una rivolta contadina e poi, con la motivazione ufficiale di volerli proteggere, accorse in loro aiuto. In realtà, però, spezzò completamente il potere dei boiari e dei mercanti, cosa che gli permise di mandare in esilio le famiglie più in vista. Gli esponenti dell’aristocrazia di Novgorod dovettero stabilirsi a Mosca e nei dintorni sotto il controllo di guardie armate, con il divieto di tornare nella città natale. Nel 1478, sottoposta a una diretta pressione militare, Velikij Novgorod abbandonò il suo ordinamento statale, sciolse l’assemblea popolare e dovette accettare la supremazia di Mosca. Le campane, simbolo dell’indipendenza dell’ordinamento repubblicano, che convocavano l’aristocrazia alle assemblee, furono tolte dai campanili e trasportate a Mosca nel Cremlino. Sotto il dominio del granduca di Mosca si chiusero così i ricchi mercati e le vie commerciali che conducevano alle regioni del Baltico, e la repubblica di Novgorod perse anche vasti territori che a nord arrivavano fino alla Carelia finlandese e al Mare di Murmansk. Quasi contemporaneamente Ivan conquistò anche il principato di Tver’ il cui sovrano aveva cercato, invano, aiuto presso il re di Polonia Casimiro. Il granduca di Mosca estese inoltre il suo dominio anche su Pskov e sul Principato di Rjazan’ e creò un vasto e potente organismo statale in cui, anche se i principi indipendenti conservarono ancora una certa autonomia, si verificava sempre più chiaramente la tendenza a rafforzare le istituzioni del potere centrale a Mosca. Il Granducato di Mosca divenne così il più potente Stato russo.

Lo sviluppo economico che vide in questi anni protagonista Mosca rafforzò ulteriormente la posizione del Granducato; Mosca stessa divenne un centro nel quale si andavano stabilendo in sempre maggior numero gli artigiani e un punto di incontro di mercanti russi e stranieri. Soltanto alla fine del XV secolo però in questa parte dell’Europa la produzione artigianale si rese indipendente dall’agricoltura e cominciò a rifornire di prodotti il mercato interno. Lo sviluppo dell’economia di mercato è anche attestata dall’incipiente trasformazione dei tributi in natura, corrisposti dai contadini, in tributi in denaro (fine del XV secolo). Oltre a Mosca si affermò come importante mercato anche la città di Tver’ dove i cacciatori portavano dal nord le pellicce che poi venivano trasportate sul Volga verso i mercati dell’Asia centrale e in Crimea. Un mercante di Tver’, Afanasio Nikitin, è anche l’autore del primo libro di viaggi russo (1466) in cui viene descritto il viaggio in India, attraverso la Persia, di una carovana di mercanti russi. Dall’India giungevano ai principi russi gioielli, pietre preziose e spezie. Il Viaggio al di là dei tre mari di Nikitin testimonia l’alto grado di sviluppo del commercio estero russo da cui i principi traevano notevole profitto.

Oltre a questo incremento delle attività artigianali e commerciali, dalle quali il Granduca di Mosca seppe trarre enormi vantaggi, è da tener presente la vittoria da lui conseguita nei confronti dei boiari che riuscì a domare e a ridurre in soggezione. Per il potere centralizzato del granduca il maggior pericolo era costituito dai discendenti dei rami laterali della dinastia dei Rjurikidi, che stavano creando dei governi locali autonomi e cercavano non solo di rendersi indipendenti ma anche di estendere il proprio dominio sui vicini. Questi membri della dinastia granducale costituivano il più alto strato dei boiari, uomini liberi, indipendenti dal granduca. La libertà dei boiari si manifestava soprattutto nel cosiddetto diritto di partenza: in qualsiasi momento i boiari potevano lasciare il territorio sottoposto alla sovranità del granduca, recarsi nel territorio vicino e contrarre rapporti di vassallaggio con un altro principe. Nel 1474 Ivan III riuscì ad annullare questo diritto e costrinse i boiari a giurare che «non avrebbero abbandonato il loro signore, il granduca». Entro la fine del XV secolo i boiari divennero in tal modo sudditi del granduca rafforzando il potere sovrano di Ivan III.

Il successo conseguito dal granduca di Mosca nella lotta contro i boiari fu dovuto anche all’appoggio fornitogli dalla nobiltà di grado inferiore, quella cosiddetta di servizio. Data la sua enorme disponibilità di terre, Ivan III aveva la possibilità di donare campi e boschi ai nobili che avevano particolari incarichi alla sua corte o che secondo i suoi ordini prestavano servizio militare: a questi nobili si dava appunto la denominazione di «nobili di servizio». Questo tipo di proprietà della terra si chiamava poměstije ed era valida finché il beneficiario era in vita. Dopo la sua morte il granduca poteva farne dono a un altro combattente o funzionario benemerito. Fu così che si andò rafforzando, rispetto ai proprietari ereditari delle terre (votčina), il gruppo dei cosiddetti poměščiky, rappresentanti della piccola nobiltà che offrirono un forte appoggio al potere del granduca.

Ivan III seppe sfruttare abilmente l’appoggio della nobiltà di servizio non solo per combattere i boiari e i principi vicini, ma anche nella guerra contro i Tartari. Dal tempo della battaglia di Kulikovo infatti il nome di Mosca era legato alle speranze di liberare la Russia dal «giogo tartaro»: più di una volta Ivan III e i suoi predecessori si erano rivolti ai principi russi con un appello alla lotta comune per la liberazione di tutti i paesi russi dalla dominazione pagana.

Nel XV secolo la pressione dei Tartari sulla Russia gradatamente diminuì, in quanto all’interno dell’Orda d’Oro proseguiva il processo di disgregazione da tempo iniziato. Fra le tribù nomadi che vivevano negli immensi territori tra il Volga e i confini con la Cina non esistevano infatti dei solidi legami politico-economici. Le singole tribù piuttosto si portavano avanti isolatamente le loro lotte e non volevano dividere il bottino con il Gran Khan. I Turchi inoltre cominciavano a penetrare nell’Ucraina meridionale e nel 1475 si impadronirono di Caffa e sottomisero il Khanato di Crimea. Dall’oriente poi stava estendendo il suo dominio sulle zone lungo il Volga la cosiddetta Orda di Nogaj, che aveva il suo centro nella Siberia occidentale. L’ex territorio dell’Orda d’Oro si stava quindi disgregando in diversi khanati fra cui il più importante per la storia russa fu il Khanato di Kazan’. Da qui partirono appunto i più pericolosi attacchi contro i principi russi, e per questo Ivan III cercò di ridurre in suo potere Kazan’. Con alcune spedizioni nelle regioni settentrionali lungo il fiume Vyčegda e con l’avanzata di una spedizione militare oltre gli Urali (1499) iniziò l’operazione di accerchiamento del Khanato di Kazan’. Ivan III riuscì infine a espugnare la fortezza di Kazan’ e a far prigioniero anche il khan Ali. Ciò avvenne nel periodo in cui il granduca di Mosca si era già completamente sottratto all’obbligo di pagare tributi all’Orda d’Oro. Inutilmente il khan Achmat tentò di conquistare Mosca e altrettanto vani furono i suoi tentativi di costringere Ivan III, con incursioni e saccheggi, ad assolvere agli antichi obblighi. Di contro, il granduca di Mosca approfittò abilmente dei dissidi tra i Tartari e aizzò contro l’Orda d’Oro il khan di Crimea Mengli-Girej, capo di una spedizione brigantesca contro Kiev. Nel 1480 gli eserciti dell’Orda d’Oro dovettero fuggire dalla Russia, il khan Achmat fu assassinato e fra i principi russi Ivan III si attribuì alti meriti per la liberazione comune dal predominio tartaro.

Nella lotta contro i pagani il granduca fu ampiamente sostenuto dalla Chiesa russa il cui capo, il metropolita, risiedeva a Mosca ed era divenuto, dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (1452), il principale rappresentante della Chiesa ortodossa in generale. La caduta di Costantinopoli e l’incarcerazione del patriarca confortarono i prelati della Chiesa russa, in quanto ciò dimostrava la giustezza del loro rifiuto d’obbedienza alla Chiesa di Roma. Secondo questi massimi esponenti della Chiesa russa, i Turchi erano i vendicatori divini del tradimento commesso al Concilio di Firenze in cui era stata sancita l’unione della Chiesa greca e di quella latina. La Chiesa russa era ormai assolutamente indipendente da ogni influenza esterna. Nei documenti della Chiesa ortodossa si comincia a parlare di Mosca come della «Terza Roma», come del luogo in cui risiede il vero rappresentante di Cristo in Terra. Più tardi un frate del monastero di Pskov, Filofeo, definirà Mosca l’erede di Roma e di Costantinopoli: «Due Rome sono cadute, la terza sta in piedi e non ci sarà mai una quarta». Il mito della città eletta, che stava nascendo, doveva diventare uno strumento dello Stato moscovita in continuo sviluppo: tali idee, infatti, diffuse soprattutto nel XVI secolo, accrebbero indubbiamente il prestigio del nome di Mosca e favorirono Ivan III nella sua opera di unificazione dei paesi russi.Anche le vicende interne della Chiesa russa contribuirono all’affermazione delle tendenze accentratrici del granduca di Mosca. Proprio alla fine del XV secolo il clero russo si scisse in due campi. Un gruppo di sacerdoti e monaci aderì alla dottrina del monaco Nil del monastero di Beloe Ozero. Questi seguaci di Nil, che si facevano chiamare «disinteressati» (nest’ jažateli) erano contrari alla grande proprietà ecclesiastica e prendevano a modello Gesù Cristo e i suoi apostoli che erano vissuti in povertà; al pari di alcuni ordini religiosi nella Chiesa di Roma (per esempio i francescani), i «disinteressati» invitavano i cristiani all’umiltà e alla povertà e avrebbero voluto che monaci e sacerdoti consegnassero i loro beni ai feudatari laici e conducessero una vita casta e ascetica in assoluta povertà. I loro avversari prendevano il nome di osifl’ jane dal monaco Josif Volockij del monastero di Volokolamsk. Gli osifl’ jane consideravano obiettivo principale della riforma ecclesiastica una presa di posizione della Chiesa a favore del granduca, signore di tutta la Russia. Secondo loro i beni ecclesiastici non costituivano un ostacolo alla perfezione morale; era da considerare piuttosto un pericolo il fatto che la Chiesa russa, l’unica giusta ed eletta, potesse essere sopraffatta dal nemico, da Roma e dai pagani, qualora non si fosse schierata con l’unificatore dei paesi russi. Secondo la dottrina degli osifl’ jane il granduca di Mosca, e dal secolo XVI in poi lo zar di Russia, è illuminato dalla grazia divina, è il rappresentante di Dio in Terra e non soggetto ad alcun giudizio. In questo assolutismo teocratico la Chiesa viene ad assumere un ruolo completamente subordinato al sovrano, e tutti i principi indipendenti e anche i boiari sono tenuti a rendere omaggio al granduca come a Dio. Josif Volockij scrisse addirittura che il granduca di Mosca era «dei sovrani di tutto l’impero russo il sovrano».

Già da questa breve sintesi delle principali idee professate dalle due parti contendenti non è difficile comprendere quale di esse abbia prevalso. All’inizio il granduca si sentì attratto dall’idea che sarebbe potuto divenire padrone dei beni ecclesiastici, come proclamavano i «disinteressati», ma in seguito subentrò il calcolo politico. Al sinodo del 1503 ebbero il sopravvento gli osifl’ jane. Ivan prese apertamente le parti del monaco Josif e dei suoi seguaci e li aiutò a sbaragliare gli avversari. La Chiesa russa si fuse completamente con il grande potere del granduca di Mosca e divenne un importante strumento nell’edificazione dell’assolutismo teocratico.

Contemporaneamente al movimento della riforma all’interno della Chiesa russa ci furono anche dei tentativi radicali di riforma sociale. Gli strati più bassi della popolazione, in particolare i piccoli borghesi e i contadini, mal sopportavano l’oppressione alla quale erano soggetti. Alcuni impugnarono le armi e cercarono di strappare qualche concessione così da migliorare la loro condizione. Ma a Galič le rivolte dei contadini furono represse nel sangue per ben tre volte consecutive: nel 1340, nel 1370 e nel 1469. I più grandi moti contadini si ebbero in Ucraina negli anni 1490-1492: gli insorti erano guidati dal contadino Mulja e al loro fianco, nella lotta contro i nobili, si schierarono anche i contadini della Moldavia. I nobili polacchi, lituani e russi riuscirono a reprimere anche questa rivolta e Mulja e i suoi compagni furono condannati a morte. Altri contadini, specialmente nelle regioni russe, per sottrarsi allo sfruttamento preferirono fuggire nelle zone disabitate del nord e dell’est.

Fra coloro che non condividevano il sistema di ingiustizia e di malcostume sociale, alcuni si riunirono attorno ai sacerdoti, certi di potere, con un ritorno allo spirito originario del Vangelo, porre rimedio alla situazione. Nella seconda metà del XV secolo a Velikij Novgorod sorse la setta eretica dei cosiddetti «giudaizzanti» i quali intendevano vivere secondo i principi della Bibbia. Molto spesso a questa setta si unirono anche altri eretici, i cosiddetti strigolnizi. Nemmeno gli strigolnizi riconoscevano il potere temporale della Chiesa, l’autorità dei vescovi, dei sacerdoti e dei monaci, e inoltre la loro opposizione si manifestava anche nel rifiuto del sistema sociale vigente. Questi due gruppi di eretici fecero molti proseliti: a Velikij Novgorod tra i borghesi e nelle campagne russe tra i contadini. Ad essi si unirono anche alcuni sacerdoti colti che si dedicavano a traduzioni dall’ebraico e diffondevano misteriose profezie astrologiche. Contro gli eretici intervennero i vescovi i quali al sinodo del 1490 li espulsero dalla Chiesa; contemporaneamente, con l’aiuto del granduca e dei suoi soldati, gli strigolnizi e i giudaizzanti furono arrestati e messi in carcere. Nella lotta contro gli eretici la Chiesa ortodossa non si comportò diversamente da quella di Roma. Anche in Russia centinaia di oppositori della proprietà ecclesiastica e dell’oppressione feudale morirono sul rogo. Altri gruppi riuscirono a fuggire in regioni remote e quasi disabitate a nord del paese. All’interno della Chiesa ortodossa si affermarono così nel modo più completo i principi feudali economici e di potere.

Ivan III riuscì a creare gradatamente tutte le condizioni necessarie per far gravitare attorno a Mosca uno Stato centralizzato, governato da un sovrano dispotico, rappresentante di Dio. Egli eliminò spietatamente dal suo cammino chiunque si opponesse al suo governo: fratelli, parenti o discendenti delle famiglie principesche di un tempo. Non esitò a far decapitare il principe Semjon Rjapolskij-Starodubskij e a mandare altri principi in esilio o in convento. In Russia incominciò a svilupparsi il cosiddetto samoderžavie (autocrazia), ossia il governo dispotico del sovrano-Dio, quale tipica forma del successivo potere zarista che ebbe vita fino al XX secolo.

Il granduca di Mosca seppe tuttavia conferire a ogni proprio atto anche il dovuto splendore e seppe approfittare di ogni occasione per aumentare il prestigio della sua dignità di sovrano. Anche il suo matrimonio con Zoe (Sofia) Paleologo rientrava in questo suo programma volto a creare il culto della dignità e del potere del granduca che alcuni contemporanei incominciavano già a chiamare zar, vale a dire imperatore. Zoe era figlia del fratello dell’ultimo imperatore bizantino e viveva a Roma; Ivan III accolse la proposta della Chiesa di Roma e sposò «l’erede dell’impero bizantino», ma non accettò la proposta di unire la Chiesa russa a quella di Roma. Respinse anche tutti i tentativi dell’imperatore di incorporare la Russia sotto la sovranità del Sacro Romano Impero Germanico, appellandosi ai sacri diritti della sua dinastia e della Chiesa russa. Il matrimonio con l’imperatrice Sofia gli consentì viceversa di far propri alcuni simboli dell’impero bizantino: innanzitutto lo stemma con l’aquila bicipite, che divenne l’insegna dell’impero moscovita, e inoltre il titolo di erede dell’impero bizantino. Mosca doveva dunque diventare non solo la «Terza Roma», ma anche la nuova Costantinopoli. Anche nella cerimonia dell’incoronazione, nella forma introdotta da Ivan, si riflettevano simbolicamente queste tendenze politiche. Durante l’incoronazione i granduchi di Mosca, i futuri zar di tutta la Russia, ponevano sulla testa un berretto che, secondo la tradizione, sarebbe stato donato nel XII secolo al principe di Kiev, Vladimir Monomaco, dall’imperatore Costantino. Non aveva alcuna importanza il fatto che il berretto risultasse in modo evidente un prodotto degli artigiani dell’Asia centrale: nella leggenda diffusa dalla Chiesa e dal sovrano esso diveniva un ulteriore simbolo della continuità del potere imperiale, trasferito da Costantinopoli a Mosca. Proprio questo concetto di continuità doveva diventare la forza motrice dell’espansione russa; in virtù di esso, infatti, si sarebbe potuto motivare il dovere di proteggere gli ortodossi e, nello stesso tempo, l’eredità di Costantinopoli avrebbe potuto spiegare gli sforzi che venivano fatti per rinnovare il potente impero bizantino, allargando così i confini dell’impero moscovita in tutte le direzioni.

È pertanto evidente che all’inizio del XVI secolo in Russia si stavano creando le basi per lo sviluppo del futuro impero zarista. Infatti, anche se Ivan III non fu incoronato zar, tuttavia egli preparò ai suoi discendenti quelle basi su cui gli zar poterono poi edificare il loro potere. Risultavano a questo punto fondamentali le limitazioni poste al potere dei boiari. Inoltre, se egli aveva permesso ai nobili di dare consigli al sovrano (gosudar), ciò avveniva solo per suo ordine o per suo espresso desiderio. La duma di Mosca (cioè il consiglio dei boiari) non era quindi l’organo dell’opposizione dei nobili, non faceva da contrappeso al potere del sovrano, come avveniva nell’Europa occidentale dove l’assemblea dei nobili e dei borghesi aveva di diritto il suo posto accanto al re e spesso si opponeva al re stesso, ma poteva esistere e operare solo come suo consiglio privato e solo nella misura voluta dal granduca.

Anche il tentativo di raccogliere i documenti giuridici e le sentenze dei tribunali di tutto il paese nel cosiddetto Codice del 1497 (suděbnik) era rivolto anzitutto contro i boiari, in quanto limitava il loro privilegio di dettare legge. Infatti, non appena il codice fu compilato e il granduca l’ebbe approvato, i boiari dovettero attenersi a queste disposizioni centrali. Al tempo stesso però il Codice consolidò anche un altro aspetto specifico della vita medievale russa: codificò la servitù della gleba. Dalla fine del XV secolo in poi il contadino poté abbandonare la terra e il villaggio solo una volta all’anno, il giorno di San Giorgio (questa festa veniva celebrata dalla Chiesa russa il 26 novembre, cioè dopo la fine dei lavori nei campi) e dovette pagare al signore feudale un’alta tassa per ottenere il suo consenso. Di conseguenza nelle campagne russe divennero sempre più numerosi i servi della gleba, legati alla terra, e questa rimase una caratteristica della società russa fino alla seconda metà del XIX secolo.

Prima di morire, Ivan III poteva quindi considerare con profonda soddisfazione l’impero che lasciava ai suoi successori. Per quanto riguardava la successione, il granduca aveva rifiutato nel modo più categorico il cosiddetto principio del maggiorasco (secondo il quale doveva salire al trono il membro più vecchio della dinastia regnante). Ancora mentre era in vita infatti egli fece porre dal metropolita il berretto di Monomaco sul capo del proprio figlio e proclamò il principio assolutamente univoco, valido anche per il futuro, che la scelta del successore al trono di Mosca spettava unicamente al granduca. Agli ambasciatori di Pskov Ivan III chiarì come egli intendeva la questione della successione: «E che? Io, granduca, non sono libero di decidere dei miei figli e del mio regno? Il governo lo consegno a chi voglio».

All’inizio del XVI secolo l’Europa accolse con sorpresa nella famiglia degli Stati europei un nuovo potente membro. L’impero di Mosca non arrivava a occidente che a Smolensk e a sud toccava appena l’Ucraina, ma a nord dominava le coste del mare di Murmansk e a est andava già oltre gli Urali. Era oramai solo questione di tempo, bisognava attendere che si sfasciasse completamente la dominazione tartaro-mongola sulle regioni del Volga perché lo zar di Mosca potenziasse la sua pressione sullo Stato di Polonia e Lituania e avanzasse nella Bielorussia e nell’Ucraina.

Tutti questi territori si trovavano ancora fuori della sfera politica del gosudar di Mosca, tuttavia la Chiesa ortodossa autorizzava il capo della Chiesa russa a liberare i paesi in cui gli ortodossi erano oppressi dai cattolici o dai pagani. Inoltre si andava gradatamente affermando la coscienza delle affinità etniche fra questi paesi; infatti col rafforzarsi dello Stato di Mosca si consolidava anche l’unità della nazione russa, e dal paleoslavo – la lingua ecclesiastica, letteraria e anche ufficiale – cominciò poco a poco a svilupparsi la lingua letteraria propriamente russa. Accanto alla nazione russa si venivano intanto formando, a ovest e a sud, quella ucraina e quella bielorussa. Il nome di Ucraina si riferiva però allora solo al territorio che si estendeva lungo il corso centrale del Dnepr; tutti gli altri territori, in cui nei secoli XIV e XV incominciò a costituirsi la nazione ucraina, venivano chiamati allora Piccola Russia. Anche la denominazione di Bielorussia non esisteva ancora e comparve soltanto nel XVI secolo in connessione con l’esistenza di una nazione che parlava una lingua diversa dal russo.

Ciò nondimeno tra i Russi e quelli che più tardi dovevano chiamarsi Ucraini e Bielorussi, e che costituivano la maggioranza della popolazione di questa parte dell’Europa orientale, esistevano anche molti legami culturali. Tra il popolo si tramandavano leggende di cui, in epoca posteriore, troviamo documenti nelle varie zone della Russia (le cosiddette byliny) e anche alcune trascrizioni di leggende che narravano la vita dei santi della Chiesa ortodossa. La comune lingua letteraria avvicinò fra loro queste nazioni medievali che si stavano sviluppando. Nella produzione letteraria appare poco a poco l’esaltazione di Mosca e dei principi di Mosca, considerati eroi soprattutto per la loro abile e vittoriosa lotta contro i Tartari (per esempio il poema epico Zadonština sulla vittoria di Kulikovo o la narrazione storica della lotta contro il khan Tochtamyš).

Sempre nel campo della narrazione storica è significativo il tentativo del cosiddetto Cronografo russo (della metà del secolo XV) di fornire un quadro della storia mondiale, naturalmente come veniva concepita dalla Chiesa ortodossa. A partire dalla fine del XV secolo la tesi, secondo la quale la Chiesa russa era da considerare l’unica legittima erede di Bisanzio, fece nascere fra i monaci e i sacerdoti un vivo interesse per lo studio dell’antichità, in particolare per i manoscritti greci. Questi studiosi però non furono in grado di fornire un’elaborazione originale di tali temi: erano impediti in questo dal loro stesso rigido atteggiamento negativo «di veri unici cristiani» nei confronti dei pagani. Nelle arti figurative la Chiesa russa adottò lo stile bizantino e dal XIV secolo cominciò a costruire, secondo l’esempio degli architetti greci, piccole chiese di pietra. Dopo secoli queste erano le prime costruzioni in pietra, dato che per il resto la Russia era «un paese di legno», tipico esempio, questo, dell’arretratezza della Russia. A Mosca le prime chiese di pietra sorsero soltanto nel XV secolo. Anche in questo campo Ivan III si dimostrò uomo di ampie vedute: fece venire dall’Italia architetti che crearono nella capitale dell’impero stupende costruzioni in stile rinascimentale. L’esempio più eloquente di questo indirizzo, inaugurato da Aristotele Fioravanti, Pietro Solari e altri artisti italiani, è il palazzo granducale nel Cremlino a Mosca (la cosiddetta Granovitaja palata); ma anche altre chiese (Uspenskij, Blagověščenskij) sono opera di architetti italiani che in Russia lavorarono assieme agli artisti locali. Gli elementi più caratteristici dell’arte russa originale si trovano nella pittura. La Chiesa ortodossa rifiutava e persino vietava opere scultoree ed esigeva l’osservanza di rigidi canoni nell’esecuzione di dipinti di santi e di scene bibliche. Ciò nondimeno alcuni pittori di quadri sacri (icone) seppero infondere vita alle figure dei santi e dare loro sembianze umane. Ciò vale anzitutto per il maggiore pittore medievale russo, Andrej Rublëv (vissuto agli inizi del XV secolo), eccellente conoscitore dell’animo umano. Rublëv e anche Teofane il Greco, venuto dalla Grecia a Mosca dopo la caduta di Costantinopoli, furono gli autori di mirabili opere in cui le scene della vita sono raffigurate in maniera realistica e ciò sia nei dipinti su legno che in superbi affreschi (per esempio nella chiesa Uspenskij a Vladimir, a Novgorod e a Mosca). Le icone infatti e le opere dei pittori russi del secolo XV costituiscono un importante capitolo nella storia delle arti figurative europee.

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Ultimo aggiornamento: 26/06/06