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Scrittori religiosi del Duecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


2. La più antica letteratura francescana

La letteratura nata dal movimento di san Francesco si identifica dapprima con le biografie o le narrazioni di atti e virtù del Fondatore; solo in un secondo momento si sviluppa una creazione letteraria che, pur traendo ispirazione dall’insegnamento di Francesco, non necessariamente ci parla di lui ma ricerca ed esprime i problemi perenni dell’ascesi e della mistica cristiana. Questa letteratura a sfondo documentario e biografico nasce subito dopo il 1226, ma si sono perduti i primi elementi, come le Cedulae e i Rotuli scritti da frate Leone, confessore e segretario di san Francesco, anche se ne è rimasta traccia nello Speculum perfectionis, che per qualche studioso è opera dello stesso Leone. La prima opera francescana in linea cronologica è il Sacrum Commercium beati Francisci cum domina Paupertate, forse scritta poco dopo il 1227, e di cui è incerta la paternità (secondo molti è di Giovanni Parenti); rappresentazione in forma allegorica dell’insegnamento pauperistico del Fondatore, con sovrabbondanze letterarie e una ricca messe di citazioni bibliche e liturgiche, ma pur anche con notevole forza di significazioni spirituali e vivacità narrativa, là dove Francesco, rappresentato in forma d’un pellegrino che va in cerca della Povertà, finalmente apprende la strada per giungere alla dimora di lei, si incontra con la Povertà ed essa lo segue.

A un preciso disegno di ricostruzione biografica, pur senza rinunciare a una fervida esaltazione della santità di Francesco, si ispira una vita che per incarico di papa Gregorio IX, e forse su suggerimento di frate Elia, attese a scrivere tra il 1228 e il 1229 Tommaso da Celano: la cosiddetta Legenda prima. Ma le notizie erano troppo scarse, e poca la materia relativa ai miracoli e alla vita del Santo coi primi compagni; onde, utilizzando le relazioni che su ordine del ministro generale Crescenzio da Iesi pervennero da parte dei testimoni più anziani e autorevoli, tra il 1246 e il 1247 il Celano provvide a scrivere una nuova vita, la cosiddetta Legenda secunda, alla quale diede un’aggiunta col Tractatus de miraculis. Le due opere, per diversi riguardi notevolissime, hanno però carattere diverso anche da un punto di vista letterario. La Prima non è ben costruita e difetta d’ordine, ma possiede una carica emotiva maggiore, è scritta con vivezza e agilità, e ne scaturisce un ritratto del Poverello ricco di commozione; la Secunda presenta un materiale disposto con grande cura, mostra la sicurezza della ricostruzione storica, ma qua e là non manca d’una certa compassatezza se non proprio freddezza. Un po’ diverso appare anche il giudizio sulla personalità del Santo, vista nella Prima alla luce della interpretazione più larga della regola che in quegli anni propagandava frate Elia, mentre nella Secunda, sotto l’influsso delle correnti spirituali, Tommaso da Celano dà prevalente rilievo all’insegnamento della carità e della povertà. Nel complesso Tommaso è scrittore vero, dotato di solida cultura e che ben intende le aspirazioni e la sensibilità del lettore al quale s’indirizza, trascinandolo in una zona di emozioni rare e garbate con l’uso d’un linguaggio rapido anche se semplice, e che punta direttamente a una essenziale densità di eloquio.

Si potrebbe affermare che nel campo della prosa Tommaso abbia insegnato ai frati minori, insieme con l’alta lezione mistica di san Bonaventura, come si possa accedere al mondo delle lettere da «francescano», e cioè ha impresso alla pubblicistica dell’Ordine una sua impronta di scrittura esente da pretensioni retoriche in senso lato, ma colma di delicatezze d’espressione, sfumature d’ antitesi, dolcezze di tonalità, che verranno a costituire un modello che durerà sino al volgarizzamento dei Fioretti di san Francesco, trascorrendo agevolmente dal latino di chiesa al volgare popolareggiante. È certo che il Celanese ci appare più felice scrittore quando narra episodi direttamente visti, come il celebrato resoconto della cerimonia della canonizzazione del Serafico; si muove con sicurezza tra le citazioni bibliche e cristiane, ma senza troppo insistervi; adopera il cursus ma bada soprattutto a conservare un tono di semplicità e di sobrietà.

Tra le altre opere del Francescanesimo primitivo spetta un posto di rilievo a due scritti un tempo considerati come assai antichi, ma che, pur dovendo essere datati in epoca più recente, nulla perdono della loro importanza documentaria e letteraria. L’uno è la Legenda trium sociorum, risultante da una vasta manipolazione di un vetusto, e purtroppo perduto, memoriale che tre compagni del Santo, Leone, Rufino e Angelo, inviarono da Greccio al Capitolo generale. Il materiale offerto da questa Legenda non è soltanto di grande importanza storica, ma è svolto con un senso fresco della narrazione, in un disegno lindo e affettuoso di scrittura che si sofferma con grazia su episodi anche secondari della vita di Francesco e su talune caratteristiche della sua umanità (la cordialità del tratto, la giocondità del carattere, il suo amore per il canto), ma non perde mai di vista quella concezione cristocentrica che dominerà poi tutte le interpretazioni di Francesco: il suo interiore rapporto con Cristo, il conformarsi della sua vita a quella di Cristo, la continuità degli incontri del Santo con Cristo. Per di più la Legenda trium sociorum mostra un modo di raccontare la vita del Serafico, destinato poi a fruttificare, e cioè la narrazione non organica ma svolta attraverso esempi, documenti singoli, aneddoti, flores. Nasce di qui quella tradizione squisitamente francescana dei «fioretti», degli «assempri», come la maniera più idonea per comporre antologicamente la vita del Santo in una prospettiva di efficace presa devozionale.

La struttura episodica è analoga in un altro scritto del tempo, lo Speculum perfectionis, attribuito a frate Leone, che l’avrebbe redatto nel 1227 sulla base dei Rotuli che egli andava compilando ancora vivente san Francesco. Ma una data così antica non regge a un sereno esame critico; lo Speculum è prodotto d’una successiva compilazione sopra quell’antico materiale documentario, e forse nemmeno opera d’un solo scrittore; vi si nota uno spiccato interesse per l’ episodio singolo, per il «fioretto», inteso a rivelare la soave intimità dell’animo del Santo, e poco attento alla ricostruzione delle grandi vicende dell’Ordine (lo Speculum è infatti l’unica raccolta francescana antica che ci tramandi il Cantico di Frate Sole); è piacevole alla lettura, dovizioso di temi edificanti, nello spirito perciò di quella letteratura devota e di gradevole intrattenimento spirituale che caratterizza una seconda fase dell’attività letteraria dell’Ordine, e che favorisce la conquista di uno stile espositivo fluido e agevole, in un clima di serene e commosse effusioni narrative. Se pur da un lato indulge ad aspri riferimenti alle polemiche interne dell’Ordine, specialmente contro frate Elia, lo Speculum perfectionis è rilevante soprattutto per le pagine dedicate a rappresentare per esempi lo spirito di povertà e di umiltà di Francesco.

Anche momenti e fatti di delicato rilievo devozionale, ma in prevalenza un robusto senso storico e una notevolissima copia di documentazione sulla dottrina e l’insegnamento del Santo contraddistinguono la seconda biografia ufficiale che l’Ordine dedicò al Serafico, e della cui preparazione e redazione il Capitolo generale di Narbona diede incarico, nel 1260, allo stesso generale, Bonaventura di Bagnorea. Il gran de mistico già da tre anni reggeva con molta prudenza le sorti della famiglia francescana, e l’iniziativa di scrivere una vita di san Francesco doveva esser motivo di prendere posizione precisa anche se non polemica sulle varie interpretazioni che correvano o dell’uno o dell’altro aspetto della vita dell’Assisiate, e di offrire un testo che potesse mediare le contrastanti opinioni degli Spirituali e dei Conventuali. La preparazione del materiale fu lunga e accurata, con frequenti consultazioni del materiale depositato ad Assisi e nuove interrogazioni dei testimoni ancora in vita. Il Capitolo di Pisa del 1263 approvava il testo di questa Legenda cosiddetta maior o anche nova; il successivo Capitolo, tenutosi a Parigi, ne sanciva l’ufficialità, ordinando nel contempo la distruzione di tutte le biografie precedenti. Alcuni anni più tardi Bonaventura estrarrà dal suo testo una redazione più breve, la Legenda minor, d’uso liturgico.

Non è il luogo di determinare l’ampiezza e precisione storica della vita bonaventuriana, sì piuttosto della sua importanza letteraria, non tale da raggiungere l’alto livello di tensione spirituale e di densa scrittura delle opere mistiche del Bagnoreense, dall’ Itinerarium mentis in Deum al De triplici via, ma pur sempre in stile limpido e fermo e con chiara efficacia d’esposizione. Sulla scia della biografia di san Bonaventura s’ebbe poi un vivo rifiorire di raccolte francescane, in gran parte determinate dalla ripresa di ricerche storiche che si ebbe con decreto del Capitolo di Padova del 1276; così pagine di candida purezza devozionale e di fresca narrazione si possono ammirare in una parte della Legenda aurea di Iacopo da Varagine, nella cosiddetta Legenda perusina, nella Legenda antiqua vaticana, nell’ Anonymus perusinus e infine nella più bella e ricca silloge di episodi francescani, gli Actus beati Francisci et sociorum eius, scritti nell’ultimo ventennio del Duecento da Ugolino da Monte Santa Maria e continuati da un altro frate marchigiano, Ugolino da Sarnano: un’ opera di ragguardevole importanza artistica; da essa cento anni dopo sarà tratto il fortunatissimo volgarizzamento dei Fioretti di san Francesco.

Negli Actus è dato avvertire, accanto a una ancor più morbida e delicata tessitura di aneddotica francescana, un’eco almeno delle grandi battaglie dottrinarie di fine Duecento; il che difficilmente si può accogliere in una serie di scritti dell’Ordine dedicati ad altri personaggi del mondo francescano, dalla Legenda sanctae Clarae virginis dello stesso Tommaso da Celano alla Legenda prima sancti Antonii, forse di fra Tommaso da Pavia, dalla leggenda di Margherita da Cortona alle vite di frate Egidio e di frate Ginepro, alle Passioni dei martiri francescani. Un posto a se stante spetta, all’interno della letteratura dell’Ordine, a una delle più notevoli opere dell’ascetica duecentesca, le Meditationes vitae Christi, un tempo attribuite a san Bonaventura ma quasi certamente di un frate sangimignanese, Giovanni de’ Cauli. Il trattato ebbe una enorme risonanza in tutto il mondo religioso del XIII secolo e si disse anche ispiratore di un movimento rinnovatore del gusto pittorico: in ampi quadri l’autore descrive le vicende della vita di Cristo, soffermandosi in modo particolare sulla Passione (ne fu tolto infatti un estratto, ancor più fortunato della redazione maggiore, le cosiddette Meditationes Passionis Christi), e ne trae motivo per intense riflessioni ascetiche e notazioni umane, di così profonda spiritualità e vivezza di rappresentazione narrativa da ingentilire il linguaggio sino a una estrema purezza stilistica. I motivi della compassione e della umiltà sono tipicamente francescani; ogni atto e parola dei protagonisti della Passione sono sottoposti a una stretta correlazione con la meditazione personale dell’anima devota, attraverso una indagine interiore ricca di gusto psicologico e di senso drammatico.

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UpUltimo aggiornamento: 16/08/08