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Scrittori religiosi del Duecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


3. La «Legenda aurea»; la lauda

Se raffrontiamo la letteratura francescana a quella degli altri Ordini, al di là d’ogni considerazione strettamente dottrinaria si dovrà riscontrare che la pubblicistica domenicana o benedettina è ben lungi dal raggiungere l’importanza letteraria di quella dei frati minori; non manca qualche eccezione notevole: non tanto la Legenda di frate Costantino da Orvieto o il Viridarium consolationis di Iacopo da Benvenuto, ma soprattutto la già ricordata Legenda aurea di Iacopo da Varagine, volgarizzata nel secolo successivo in un testo che ebbe grande diffusione; la candida semplicità dell’animo di Iacopo si traduce in una limpida narrazione agiografica, in un clima fantasioso e garbato che in qualche momento, ad esempio nelle descrizioni dei martiri, diviene più drammatica, anche se di una drammaticità ingenua nella narrazione di apparizioni demoniache e di scene di tentazioni. E proprio per questo tenue ma delicato gusto evocativo la Legenda aurea diventerà nel secolo successivo uno dei testi maggiori di lettura del popolo e da esso trarranno spunti narrativi i novellieri del Trecento come del Quattrocento, come anche se ne gioveranno diffusamente i predicatori e gli agiografi, attratti da tanto incantato stupore e da così affascinante gentilezza di racconto.

L’ultima generazione duecentesca prepara il clima spirituale del secolo successivo con un ampio sviluppo dei temi ascetici e devozionali che avevano interessato tutta l’epoca successiva alla fondazione dei due Ordini mendicanti: il francescano Giacomo da Milano con lo Stimulus amoris, che contiene pagine di un’eccezionale intensità speculativa; il francescano Giovanni della Verna, fortissimo predicatore nelle Marche e in Toscana, in rapporti con varie personalità della vita politica ed ecclesiastica del tempo (tra questi Arrigo VII), autore dei Gradi dell’anima, un’opera di notevole esperienza mistica, ma non animata da un soffio d’ ardore poetico come nelle opere mistiche del pieno Duecento; il beato Simone Fidati da Cascia, agostiniano (morto nel 1348), celebrato predicatore a Roma, Perugia, Gubbio, Firenze, Siena, autore di laudi, di scritti latini e di due opere volgari, l’Ordine della vita cristiana e la Regola ad una figliuola spirituale (egli ebbe grande importanza nella risoluzione della crisi morale di Giovanni dalle Celle); il francescano spirituale Angelo Clareno, la cui personalità ebbe enorme influenza nel mondo religioso dei primi del Trecento, massime con la Historia septem tribulationum Ordinis Minorum; e poi Ubertino da Casale, Bartolomeo da Pisa ecc. Ma il massimo personaggio, e spirituale e letterario, di questa estrema generazione duecentesca è la beata Angela da Foligno (1249–1309), uno dei più grandi mistici del mondo cristiano; il suo Liber de vera fidelium experientia si compone di una raccolta di considerazioni e rivelazioni mistiche in tre parti, delle quali la principale è il cosiddetto Memoriale scritto su dettatura e su appunti estemporanei dal frate Arnaldo da Foligno. Angela era considerata magistra theologorum, mirabile nel restituire a evocazione poetica gli stati dell’estasi, calda sollecitatrice di spiriti dotti e di anime semplici, alla cui purificazione morale essa diede il contributo della sua parola, ora misticamente accesa, ora asceticamente persuasiva.

Ed è proprio in questo scorcio tra Duecento e primissimi del Trecento che si espande, ormai rigogliosa, e conosce le sue più alte vette liriche la tradizione della lauda, la quale nell’incontro con la letteratura francescana e in specie per virtù del talento poetico di Iacopone da Todi si inscrive tra le opere più significative del tempo, accogliendo gli stessi motivi spirituali, agiografici e devozionali dell’ascetica minoritica: l’ansia di purezza e di povertà, il bisogno di una continua comunicazione con Dio, l’esigenza di una rigorosa mortificazione della carne.

La lauda nasce, com’è noto, da una precedente tradizione salmistica e innografica latina, dai ritmi volgari, come il cosiddetto Ritmo Laurenziano e quello su sant’Alessio, oltre che dal Cantico di Frate Sole. In antiche confraternite, come quella che si formò in Firenze agli inizi del Duecento e dalla quale venne poi a costituirsi l’ordine dei Serviti, o in altra sorta a Bologna, si andavano pronunciando giaculatorie in un volgare primitivo e in forma di lasse mono rime. Nel 1233, l’anno dell’Alleluia, scaturirono vastissime manifestazioni religiose, nel corso delle quali i fedeli cantavano lasse e versetti che ancora non si possono chiamare veri componimenti poetici ma son piuttosto brevi preghiere, spesso in un testo latino intercalato da ritornelli in volgare, inneggianti all’alleluia. La prima composizione che ha già una struttura non lontana da quella che sarà poi la forma della lauda, nasce a Bologna con la Rayna possentissima, nell’ambiente di una fraternita di «servi» della Vergine (così negli studi recenti del Varanini; meno probantemente altri studiosi datano tale componimento in epoca molto più tarda, quando già in Umbria si è sviluppata la lauda).

È il moto dei Disciplinati che dà avvio a questo genere. Nel 1260, l’anno nel quale Gioacchino da Fiore aveva preannunciato l’avvento del regno dello Spirito Santo, nella città di Perugia Raniero Fasani, che aveva già praticato la disciplina della flagellazione, mosse le turbe con un’ esaltante predicazione che annunciava sventure al popolo se non si fosse sottoposto a un’aspra pratica di mortificazioni corporali; i suoi seguaci, detti i Battuti o i Disciplinati o i Flagellanti, si costituirono in confraternite, dapprima in varie città dell’Umbria e poi in moltissime località dell’Italia centro-settentrionale, percorrendo le vie delle città e delle campagne flagellandosi e pregando con inni liturgici, litanie, lodi della Madonna e di Cristo. Questi canti ebbero in un primo momento soltanto una tradizione orale, ma poi si affidarono a testi scritti, variati a seconda delle esigenze e del tipo particolare di disciplina e di spiritualità della singola società o località, e ovviamente trattenendo consuetudini linguistiche e religiose delle varie zone di nascita e di sviluppo. Molta importanza avevano, per la creazione di un tipo di poesia più raffinata o più popolareggiante, lo sfondo sociale e le costumanze di vita di queste località; un notevole influsso, peraltro non sempre chiaramente accertabile, derivò inoltre dalla vicinanza di grandi centri monastici o conventuali o anche laici.

Lo studio della lauda comporta infatti un attento sceveramento di questi motivi ed elementi etico-sociali. A carattere più drammatico si presenta la lauda dei centri di produzione a oriente del Tevere, ispirata a una visione sovente oltranzistica e pessimistica della vita, e quindi ricca di tonalità forti e a tratti anche amare e disperate; la disciplina ivi praticata dovette essere senza dubbi più dura, e più diretto il rapporto tra la concezione cristocentrica e le imposizioni della mortificazione. Vi domina una costumanza di vita sociale più accentuatamente popolare, con difficoltà e bisogni di vita più sofferti. Diverso è invece, sempre per restare alla terra d’ origine della lauda, l’Umbria, il peso di un ambiente più agiato e libero quale è quello delle città a occidente del Tevere; la spiritualità vi appare non meno autentica, ma meno tesa drammaticamente e con un senso più sereno della vita, avvertibile in componimenti che parafrasano o interpretano episodi evangelici o della prima età cristiana con gusto letterario raffinato o almeno non altrettanto impetuoso ed esasperato del misticismo delle terre dell’ex-ducato di Spoleto. Si tende meno a esaltare l’uditorio che a commuoverlo ed educarlo, sul piano che è della religiosità ma finisce anche per essere del gusto letterario. E del pari si possono stabilire zone di diffusione in rapporto con l’ambiente benedettino di Montecassino, con gli spirituali marchigiani e soprattutto con i monaci abruzzesi di Pietro da Morrone (i Celestini si costituirono in congregazione verso il 1264, e siamo pertanto in un’età molto arcaica).

È dunque vario l’ambiente religioso che contribuisce a creare la lauda, e poi a determinarne uno sviluppo interno dalla giaculatoria al vero e proprio componimento lirico e da questo alla lauda drammatica. Occorre constatare che questo fenomeno di drammaticizzazione della lauda è inerente alla attività delle confraternite duecentesche, ma segue anche un’elaborazione strutturale di genere liturgico. Al canto corale vengono ad alternarsi parti affidate a un solista, e la sostituzione di un secondo solista al primo, finita di cantare una lauda e passando alla successiva, risponde all’uso liturgico di affidare la dizione delle varie parti della Messa o dell’Ufficio, al celebrante, al diacono, al suddiacono, a tutti i fedeli. Col passare del tempo le «parti» vengono a essere distinte in maniera più netta, con dialoghi precisi, e il processo evolutivo concerne anche la melodia musicale che da unica giunge a complicarsi nelle parti in cui risulta diviso il testo poetico, come d’altronde è anche influenzato dal fenomeno, non ignoto all’Italia, del dramma liturgico. Si vanno designando i contorni di quella che sarà poi, nel secolo successivo, la Sacra Rappresentazione, ma che per il momento è ancora soltanto l’effetto del motivo di contrasto, di tenzone che c’è nella lauda duecentesca: tra l’anima e il corpo, o tra Dio e il diavolo, o tra Cristo e i Giudei. La funzione del solista si accentua sempre più rispetto a quella del coro non soltanto in quanto «parte» recitante o cantante, ma come oggetto di una più elaborata creazione letteraria.

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UpUltimo aggiornamento: 16/08/08