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Scrittori religiosi del Duecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

2. Francesco d'Assisi

Nasce ad Assisi il 26 settembre del 1181 (o 1182) e viene battezzato col nome di Giovanni, ma il padre, ricco mercante di panni, Pietro di Bernardone, volle chiamarlo Francesco per ricordare la nascita «francese» di sua moglie, madonna Giovanna detta Pica. Studiò presso il pievano di San Giorgio un po’ di latino e di francese, e imparò a scrivere, ma mediocremente. Visse un’agiata giovinezza con una brigata di nobili gaudenti poco lavorando nel fondaco paterno; ma dovette abbracciare le armi quando Assisi venne a guerra con Perugia (1201-1202). Nella battaglia di Collestrada venne fatto prigioniero, cadendo ammalato. Ritornò in libertà (1204), tentò di nuovo di darsi alla carriera militare, cercando di raggiungere (1205) in Puglia le truppe di Gualtieri di Brienne; ma a Spoleto si ammala di nuovo. Durante questo periodo cominciò a maturare in lui una profonda crisi spirituale, che ben presto culminerà nella conversione (1206). Si ritira in un eremo, onde confermarsi nella sua vocazione, e invano il padre lo cerca per farlo desistere dai suoi propositi. Tornato ad Assisi, il padre lo cita in giudizio davanti al vescovo, e Francesco si spoglia anche degli abiti che ha indosso (1207). Datosi a un’ incessante opera di proselitismo restaura le chiesette di San Damiano, di San Pietro, di Santa Maria degli Angeli (detta la Porziuncola), e infine svela ai primi compagni (Bernardo da Quintavalle, Egidio d’Assisi, Pietro Cattani, Angelo Tancredi, Masseo e Leone) la sua decisione di costituire una comunità. Ottiene l’ approvazione di Innocenzo III; ad Assisi si stabilisce dapprima a Rivotorto e poi alla Porziuncola, ove concede l’abito a santa Chiara (1212). Dopo un primo sfortunato tentativo (1213 circa) sbarca in Africa, nel Marocco, ma in Spagna una grave malattia lo fa desistere (1215 circa) dall’impresa di evangelizzare le genti d’Africa. Vi riesce solo nel 1219, giungendo a Damiata, assediata dai Crociati, e presentandosi poi al sultano al-Malik al Kamil, che non riuscì a convertire ma che lo trattò benevolmente, consentendogli di recarsi in Terrasanta. È costretto quasi subito (1220) a rientrare in Italia, perché gli giungono notizie che in seno all’ Ordine, ormai assai accresciuto, si stanno verificando gravi lotte e dissidi intorno all’ interpretazione del messaggio evangelico. La curia romana, preoccupata della grandiosa ma disordinata proliferazione degli accoliti, cerca di porre il movimento sotto il proprio controllo; in considerazione di ciò Francesco affida (1220) la carica di superiore generale prima al Cattani, e alla morte di questi (1221) a frate Elia, serbando per sé la direzione spirituale; ma non accetta il consiglio di adottare per i suoi frati una delle regole tradizionali (quella di san Benedetto o quella di sant’Agostino) e, dopo due tentativi non riusciti, è finalmente in grado di dettare una regola nuova, capace di conciliare l’originale fisionomia del suo Ordine con le esigenze della curia. La Regola è approvata da Onorio III il 29 novembre 1223.

Ammalato, quasi cieco, si reca più d’una volta in meditazione sul monte della Verna (che un nobile, Orlando de’ Cattani, gli aveva donato) ricevendovi nel 1224 le Stimmate; si reca poi, ancor più gravemente ammalato, nella valle di Rieti; risiede qualche tempo nell’episcopio di Assisi, e infine si reca a morire alla Porziuncola, congedandosi dai suoi frati con un Testamento, che volle fosse divulgato in appendice alla Regola. Il transito avvenne al tramonto del 3 ottobre del 1226. Due anni dopo, nella chiesa di San Giorgio, papa Gregorio IX proclama la santità di Francesco (16 luglio 1228).


Cantico di Frate Sole [1]


Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so le laude, la gloria e l’onore e onne benedizione.

A te solo, Altissimo, se confano
e nullo omo è digno te mentovare.

Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature,
spezialmente messer lo frate Sole,
lo qual è iorno, e allumini noi per lui.

Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:
de te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:
in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle.

Laudato si, mi Signore, per frate Vento,
e per Aere e Nubilo e Sereno e onne tempo
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si, mi Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile e umile e preziosa e casta.

Laudato si, mi Signore, per frate Foco,
per lo quale enn’allumini la nocte:
ed ello è bello e iocundo e robustoso e forte.

Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sostenta e governa,
e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba.

Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore
e sostengo infirmitate e tribulazione.

Beati quelli che ’l sosterrano in pace,
ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullo omo vivente po’ scampare.

Guai a quelli che morrano ne le peccata mortali!
Beati quelli che trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ca la morte seconda no li farrà male.

Laudate e benedicite mi Signore
e rengraziate e serviteli cun grande umilitate.


Dagli «Opuscula»: Ad populorum Rectores [2]


Universis potestatibus et consulibus, iudicibus atque rectoribus ubique terrarum et omnibus aliis, ad quos litterae istae pervenerint, frater Franciscus, vester in Domino Deo servus parvulus ac despectus, salutem et pacem omnibus optans.

Considerate et videte, quoniam dies mortis appropinquat. Rogo ergo vos cum reverentia, sicut possum, ne propter curas et sollicitudines huius saeculi, quas habetis, Dominum oblivioni tradatis et a mandatis eius declinetis, quia omnes illi, qui eum oblivioni tradunt et a mandatis eius declinant, maledicti sunt et ab eo oblivioni tradentur. Et cum venerit dies mortis, omnia quae putabant habere, auferentur ab eis. Et quando sapientiores et potentiores fuerint in hoc saeculo, tanto maiora tormenta sustinebunt in inferno.
Unde firmiter cunsulo vobis, dominis meis, ut omni cura et sollicitudine posthabitis, et sanctissimum corpus et sanctissimum sanguinem Domini nostri Iesu Christi in eius sancta commemoratione benigne recipiatis.
Et tantum honorem in populo vobis commisso Domino conferatis, ut quolibet sero annuntietur per nuntium vel per aliud signum, quo omnipotenti Domino Deo ab universo populo laudes et gratiae referantur.
Et si hoc non feceritis, sciatis vos debere coram Domino Deo vestro Iesu Christo in die iudicii recidere rationem.
Hoc scriptum qui apud se retinuerint et observaverint illud, a Domino Deo se noverint benedictos.


A coloro che governano i popoli


A tutti i podestà e consoli, giudici e rettori di tutte le parti della terra e a tutti gli altri ai quali perverrà questa lettera, frate Francesco, vostro piccolo e spregevole servo nel Signore Iddio, desidera salute e pace a voi tutti.


Considerate e badate che «il giorno della morte si avvicina». Vi prego dunque con rispetto, come meglio posso, che, per le vostre cure e preoccupazioni di questo mondo, non mettiate in dimenticanza il Signore e non decliniate dai suoi comandamenti, perché tutti coloro che lo dimenticano e «declinano dai suoi comandi» sono maledetti e sono da lui dimenticati. E quando verrà il giorno della morte, tutte le cose «che credevano di possedere, saranno loro tolte »; e quanto più sapienti e potenti saranno stati in questo mondo, tanto maggiori tormenti sosterranno nell’inferno.
Perciò fortemente vi consiglio, signori miei, di posporre ogni altra cura e sollecitudine, e di ricevere con affetto il santissimo corpo e il santissimo sangue del Signor nostro Gesù Cristo, in sua santa commemorazione.
E per cercare che il Signore abbia grande onore dal popolo che vi è stato affidato, fate in modo che ogni sera, o per mezzo di un banditore o per qualche altro segno, il popolo tutto sia invitato a rendere lode e grazie al Signore Iddio onnipotente.
E se non farete ciò, sappiate che dovrete renderne conto davanti al Signore Iddio vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio. Coloro che terranno presso di sé questo scritto e lo osserveranno, sappiano di essere benedetti dal Signore Iddio.

(Trad. da Gli scritti di San Francesco d’Assisi e i «Fioretti», a cura di A. VICINELLI, Milano, 1955, pp. 161-162).

[1] Da V. BRANCA, Il Cantico di Frate Sole, cit., pp. 83–87.

[2] Da Opuscula Sancti Patris Francisci Assisiensis, a cura di L. LEMMENS, Quaracchi, 1949, III ed.

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UpUltimo aggiornamento: 16/08/08