Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Strumenti > Scrittori religiosi del Trecento > Testi, 10

Strumenti

Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

10. Filippo Agazzari

Filippo Agazzari nacque a Siena verso il 1339; fu agostiniano nel convento di Lecceto dal 1353, e ivi fu priore (1398), passando poi nel convento dei canonici regolari di San Martino di Siena (1408), ma per poco tempo; tornato a Lecceto, venne eletto vicario generale della Congregazione agostiniana d'osservanza, carica che tenne sino alla morte, avvenuta nel 1422.
È autore di sessantadue Assempri, editi per la prima volta nel 1864, da D. F. C. Carpellini, da un codice della Biblioteca Comunale di Siena.


Dagli «Assempri» [1]

D'UN FANCIULLO RELIGIOSO, AL QUALE APPARBE GESÙ CRISTO IN FORMA D'UN VENERABILE UOMO, E MOSTROGLI LA PIAGA DEL COSTATO [II]

Fue ne la città di Siena un fanciullo, el quale avea da quattordici anni a quindici, e avea nome Giovanni: figliuolo di Guccio Molli, el quale fu grande uomo nel reggimento de la città. El quale fanciullo, essendo spirato da Dio, entrò ne la religione di santo Augustino. Era el detto fanciullo savio e prudente molto sopra la sua età; e mirabilmente era umile, e devoto, e reverente, e ubbidiente a Dio e al suo prelato; et era tanto riposato e modesto in tutti e suoi fatti, che chiunque el conosceva se ne meravigliava. E avvenga che vivesse longo tempo, sampre mantenne pura e santa virginità; e nonestante ch'egli fusse ordenato e accostumato sopra 'l modo in tutti e suoi fatti, nondimeno recò ne la religione un costume, el quale, benché sia bello nel secolo, ne la religione de' servi di Dio è molto brutto e vitoparoso: cioè, che sopra 'l modo era schifo.

Et essendo el sopradetto fanciullo, nel convento di Selva di Lago, novizio, non poteva mangiare pane ch'egli nol mondasse; e rade volte in cucina, e quelle volte che ne mangiava, si conveniva ch'egli avesse la scudella molto bianca e bella. El più delle volte, el priore del luogo gli faceva cuòciare due uova appoggiate al fuoco, et era un fastiggio a vederlo mangiare.

Avvenne che, un dì, gli altri novizi suoi compagni gli cominciaro a dire: – Come farai, quando sarai a Siena, che non avarai queste cose, e saratti posto innanzi la cucina mal netta e peggio stagionata; e un monticello di bocconcelli di pane, e quali le donne arrecano ne le borse e ne le tascucce, pieni di lino e di capelli, e méttongli nel cassone di chiesa, fra' topi, e fra la pòlvare, e fra' rannitegli, e converràttegli mangiare, vogli tu o no.

Allora il fanciullo, el quale aveva buon sentimento di Dio, con lagrime se n'andò a la cella; e gittòssi in orazione, e cominciò amaramente a piangere; e diceva ne la mente sua: «Signore Iddio, tu sai che tu mi mettesti ne la mente che io venissi a servirti in questa santa religione; ora vedi che, per lo difetto de la mia natura, cioè di questa schifità, io non ci potrei perseverare, però che questi cibi e vivande grosse io non le potrei mai mangiare; anco mi morrei, innanzi, di fame. Unde se io ci stesse di necessità, poi che io fusse professo, mi converrebbe escire dell'Ordine. Sì che, dove io venni per salvare l'anima mia, io la perdarei; e dove io venni per servirti, io ti diservirei. Credo, adunque, che sia 'l meglio che io me n'esca novizio che professo. Unde io ti prego, Signor mio Gesù Cristo, per la virtù del tuo santissimo Nome, e per quelle cinque piaghe che ricevesti per me sul legno de la croce, che tu m'aiti in questa battaglia; e consegliami de la via che io abbia a tenere».

E così stette in queste parole, con amaro pianto, tutto 'l dì e la notte; e poi la mattina per tempo diterminò pur d'escirsi de l'Ordine. Et entrando ne l'orto, passò la macchia (ch'era allora intorno all'orto, oggi nel muro); et escì per una callaia et entrò nel lecceto che è intorno all'orto. E come fu presso che fuore, se gli parò dinanzi un uomo antico, di molto venerabile aspetto; e dissegli: – Frate Giovanni, e dove vuoli tu andare, figliuol mio? – El fanciullo si fermò, e tutto avvenne, e disse: – Voi mi parete sì venerabile persona, ch'io vel dirò. – E dìsseli per ordine de la sua schifità, e come non poteva mangiare di quelle vivande e cibi grossi de la religione, e che vedeva che per forza gli conveniva uscir dell'Ordine, o novizio o professo, s'egli non voleva morir di fame. Sì credeva che fosse 'l meglio a escirne novizio, con ciò sia cosa che ne poteva uscir con buona coscienza; ché, doppo la professione, sarebbe scomunicato.

Allora quel venerabile massaro gli disse: – Or vedi, figliuol mio, io non voglio che tu faccia così; ma va, e torna a la religione; e ogni volta che tu hai nessuna cosa dura a smaltire, o cibo che tu non possa mangiare, sì lo ugne qui. — E subbitamente gli mostrò la piaga del costato, e de le mani, e de' piedi; de le quali uscì tanto splendore, che quello del sole non è cavelle, respective; e tutte parevano sanguinose; e poi subbito sparì.

Allora el fanciullo subbito si ritorno a la cella, per quella medesima via ch'era andato, con tanto pianto e con tanta compunzione di cuore che, venendovi el priore e 'l maestro suo e dimandandoli del suo pianto, e che, s'egli non fosse contento di stare ne la religione, mandarebbero pe' parenti suoi e rimanderèbbornelo: allora el fanciullo rispose ch'era contento ne la religione più che fusse mai, e che per nullo modo ne voleva andare. Poi tanto lo 'nfestaro che lo' disse la cagione del suo pianto in confessione; e quella schifità al tutto si partì. Poi crescendo in virtù e in molta santità, fu fatto priore nel detto convento: e molte volte egli medesimo diceva el sopra detto assempro in persona d'un altro.

Questo frate Giovanni Gucci, en tutto 'l tempo de la vita sua, mai non gli fu potuto pónare difetto; e veramente fu uomo irreprensibile. Poi, quando venne a morte, manifestò la sopraddetta visione al suo confessore, che prima mai non s'era saputo che fosse stato egli.

Questo assempro udii da parecchi frati che 'l conobbero.

D'UN UOMO CHE, PER AVERE DENARI, SI DETTE. AL DIAVOLO E POI EL PORTÒ IN ARIA, IN ANIMA ET IN CORPO; E LASSÒLLO CADERE [III]

In Valdichiana, in un Castello che si chiama Chianciano, fu un uomo molto bizzarro e iracondo, el quale per ogni piccola cosa invocava el diavolo, e raccomandavasi a lui. E una volta avendo giocato e molto perduto, e invocando l' diavolo molto perfidamente, e 'l diavolo gli apparbe in figura umana, e dìsseli: – Tu mi chiami tanto sollicitamente; vuoli tu cavalle da me?
El misero rispose che voleva alcuna quantità di denari. El diavolo gli disse: – Se io te li do, che vuoli tu dare a me? – El misero rispose che voleva essere suo, in anima e in corpo. Allora il diavolo gli dette e denari che gli adimandò, e sparì.

E poi, doppo alquanto tempo, andando co' la moglie sua a un suo prato, e gionto, vidde 'l diavolo venire da longa verso lui, ne la forma ch'egli l'aveva veduto la prima volta, e cominciò tutto a impallidire e a tremare di paura. Allora la moglie, vedendo questo, el dimandò perch'egli era così impaurito e tremava così forte. Egli le disse 'l fatto com'era stato e come 'l diavolo veniva per lui. Allora la moglie gli disse: – O misero sciagurato, come non l'hai detto già cotanto tempo, a ciò che tu te ne fusse potuto confessare, e rèndare in colpa?
E sopragiognendo 'l diavolo disse: – Tu se' mio, in anima et in corpo; si che io posso fare di te ciò ch'io voglio. – E dette queste parole, el prese per le braccia. Allora la moglie l'abbracciò ne le gambe, e tenevalo. El diavolo, tirandolo per le braccia, attrascinò lui e lei un buon pezzo, su per lo prato. A la perfine la moglie, non potendolo tenere più el lassò. El diavolo allora el portò in aria, in tanta altezza, che la moglie sua nol poteva più vedere. E doppo questo se ne portò l'anima sua, e 'l corpo lassò cadere in terra.

Questo assempro udii da un uomo degno di fede, el quale l'udì da un frate che confessò la moglie, e udìllo da lei medesima.

[1] In Scrittori di religione, cit., pp. 336-339.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 10/12/06