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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

11. Lapo Mazzei

Lapo Mazzei nacque a Prato nel 1350, e venne a morte a Firenze nel 1412; fu notaio, ed esplicò varie ambascerie e uffici pubblici in Firenze, occupandosi, per l'appunto come notaio dell'Ospedale di Santa Maria Nuova, e consigliando negli affari il celebre mercante pratese Francesco di Marco Datini, che su suo suggerimento ideò il Ceppo de' Poveri di Prato.


Dalle «Lettere» [1]

IN PISTOIA [III]

Firenze, 21 d'ottobre 1390.

Io ho tanto a calere la vostra somma carità che verso me avete mostrata, non precedendo alcuno servigio o merito, e massime quello mi dite che volete vi prenda per amico, ch'io, per dottanza non abbiate auta mia risposta, la quale vi mandai per le mani di Niccolaio Martini, da capo vi scrivo. E per conclusione d'ogni affetto e amore, accetto esser in ogni cosa vostro minor fratello e amico; e di me, tale quale sono, prendete da cuore quella libertà che in voi propio. E questo basti, perché nell'animo e nella mente sta tutto. E sono più di voi innamorato che non potreste pensare, solo pe' belli e ottimi pensieri vi sono venuti dell'ombra e della carne, che mi scriveste; ché certo alla materia nostra più propio dire non si potea. Solo resta aver fortezza di stare in quello santo e piacevole disiderio; ché gran paura è da 'vere che tali buoni pensieri non siano come fiori d'albori, i quali ogni picciolo vento gli offende, o venga da man dritta o dalla manca. E io, dolente a me! ben l'ho provato. E vorrebbesi ogni dì ricordare di quello verso di Dio, in bocca del Profeta: «Homo, cum esset in honore, non intellexit; ideo comparatus est iumentis». Ciò a dire: «Uomo, quando fosti nell'onore del cognoscimento, non intendesti; e però sarai fatto simile agli animali e a' giumenti». Vedete gli amici e' vicini vostri e nostri, come sono atterrati dalla morte; e potete giudicare che vale loro cosa abbino fatta, se none il bene operare. Noi altri, che restiamo, dobbiàm bene vedere, se non ci ponessimo il velo dinanzi, che 'l vivere è un correre alla morte. E se volessimo fare buona stimagione degli anni hanno a venire, verrebbeci agguagliagli agli anni passati, che vedete sono un vento! Ora tutto questo ho detto per confortar me: voi so che sarete più forte di me a ricognoscere la grazia e 'l lume di Dio, che v'ha mandato, e ad abbracciarlo, e ispogliarsi l'uomo vecchio, e vestirsi nuovo uomo in giustizia e verità, come nell'altra vi scrissi. E qui fo fine.

Appresso, detto dell'anima (benché male s'accaggia), cominciarò a usare l'amistà. Io mi diletto di grossi cibi, e quegli più mi fanno forte alle fatiche che porto per regger la famiglia. Avrei vaghezza in questo anno, com'altra volta ho auto in casa, d'uno bariletto piccolo d'acciughe salate. Se a Pisa ne venisse, e' non potrebbe esser piccolo. Se sanza sconcio poteste operare con vostri ch'io l'avesse, mi fareste grande piacere. E non guardino in costo o in sconcio di vettura o d'altro; ch'io ho poco a calere i denari, lodato Dio!

Circa uno mese fa richiesi Simone vostro d'un botticello di mezza o terza botte di côrso; ora m'ha risposto e datomi l'avviso, e hollo fatto sì che da Piero Paponi sarò bene servito, come mi disse. Fo di voi e delle vostre cose come delle mie. E Simone vi raccomando quanto posso. — LAPO MAZZEI vostro. XXI d'ottobre.

IN PISTOIA [IV]

Firenze, 13 febbraio 1391.

Più volte, volendovi scrivere, ho ritratta la penna e lasciato quello che dir vi volea, non sapiendo onde cominciare, per la vergogna mi pare ricevere e ricevo insino a tanto che arò fatto il mio debito. Di che, acciò ch'io ardisca a richiedervi altra volta volentieri e con fede, non dico priego, ma io voglio al tutto e per ogni modo 'scriviate qui al vostro che prendano il lor debito, come per altra v'ho scritto. Questo è il vostro onore, quando io pur così voglio; questa è la mia consolazione, siate contento.

Che se sapeste quanto io fui bene servito, n'areste piacere come ho io. E non che il barile contenti pur me, ma Guido di messer Tommaso e ser Coluccio e ser Viviano n'hanno assai conforto; ché spesso mandano per esse, tanto furono di buono sapore, e qua non ha di niuna fatta pesce. Ma più Guido, di cui sono vicino, ne prende a diletto. Or pensate che onor questo m'è, sanza gli altri che anche l'hanno aute e aranno, e quanto male fareste se altra volta io non v'ardisse a richiedere. E questo basti.

Noi siamo nel tempo che i santi uomini il chiamano la decima dell'anno, che si de' dare al Signore; nel quale i veri cristiani per digiuni, orazioni e limosine debbono fare incenso e sacrificio a Dio in ispirito, e edificare la casa in cielo, che duri in etterno. Piaccia a Jesù che la vostra sia verso sé sì bella lassù, come il palagio avete dificato quaggiù, il quale arete a lasciare. Sì che ricordivi del vostro buono proposito mentre v'è prestato il tempo della santà. El tempo avete passato è un vento; così è fatto il resto ha a venire. Io mi sento l'anima rozza, e l' cuore freddo più ch'io non vorrei; ma sommo diletto ho con l'amico ragionare di questa verità. Iddio ci allumini sì che siamo de' suoi eletti e di quegli a cui sia detto il verbo di stamane nel Vangelo: «Venite, benedicti Patris mei; percipite regnum» etc.

Sono a' vostri piaceri, e spesso mi ricordo di voi, sperando che di queste cose vi ricordiate in questo santo tempo. — LAPUS MAZZEI vester, XIII februarii.

IN PRATO [v]

Firenze, 24 giugno 1391.

Di poi ch'io tornai a Firenze con le vostre lettere, ho tardato fare alcuna risposta perché mi sentiva l'animo torbido pe' fatti di Francesco di Matteo, e per altro; e astettava qualche dì, ove io avesse la mente quieta e riposata come or mi truovo. E voi sapete che nell'acqua torbida non si cognosce nulla. E lasciando stare ora quanto dite dell'esser meco un dì tutto, e come v'è malagevole lo scrivere a me, e dello amichevole e buono animo ch'avete verso me (ché d'ogni cosa parleremo altra volta, come che Iddio ho pregato e priego ve ne renda per me merito di tutto, poi non sono in stato da potervi meritar io), solo vi dirò alcuna cosa, per mostrarvi che da cuore io v'amo e intendo questa vostra onesta amistà mantenere insino a morte.

Francesco, io non considerai mai lo stato vostro delle cento volte l'una, ch'io ho fatto poi che della vostra casa mi parti', e a cammino, e nel mio letto, e nel mio studio quando più solitario sono stato. E sopra ciò mi costrigne la carità dire il vero, el quale mi pare sia la più cara cosa fra gli amici; e farò con voi come fo spesso qui con un altro, che m'ha dato l'essere, dopo il padre mio, che è de' più cari uomini che chiudano le nostre mura.

Io avea bene udito da voi, per lettera, delle vostre angoscie e degl'impacci avete delle cose del mondo; ma, vedutole con l'occhio, sono molti più ch'io no stimava, avendo riguardo alla noia della casa che fabbricate, de' fondachi ch'avete in lontani paesi, de' conviti, delle ragioni avete a saldare, e altre cose, che mi paiono tante e di tante maniere fuor di nicissità,  ch'io ho veduto che non v'è possibile potervi celare una ora dal mondo e da' lacci suoi. E avendovi Iddio sì ripieno di grazie delle cose terrene, e datovi mille avvisi perché ve n'avveggiate, siete forse presso a sessant'anni, libero da pensieri de' figliuoli, e vorrete astettare a ravvedervi quando sarete al capezzale, e sarà aperta la stanga della morte? Vedeste la donna vostra, pochi dì fa, presso al punto abbiamo a venir noi; che fu sofficiente bastone a farvi ricogliere le sarte di tanti pensieri in quanti vivete de' fatti del mondo.

E però, conchiudendo, vorrei che v'avvedeste di regare a termine molti vostri fatti che voi stesso dite sono isquadernati; e ancora più presto poteste far fine a più murare, e delle vostre ricchezze e entrate fare limosine con vostra mano, e che queste ricchezze voi ne faceste quella stima se ne dee fare, cioè averle come se no l'aveste, e non porvi sì su a giacere il cuore vostro che voi ne dimentichiate Iddio che v'ha dato ogni cosa; ché vedete che ogni cosa avete a lasciare, e la ruota volge per voi come per gli altri che tutto dì vedete morire e cadere.

Non dico vi facciate frate o prete, ma dico diate modo al vostro vivere; che quel ch'è di Cesare date a Cesare, quel ch'è  di Dio a Dio; cioè parte della settimana o del dì a Dio, parte a' parenti e agli amici, nelle cose oneste che appartengono a mercatanti; che pare a me vi sia molto richiesto. Più non dico, ch'io non saprei ristar con voi. Priegovi bene questi miei pensieri fedeli e pieni d'amore siano segreti, e siano tagliate tra noi tutte le lusinghe che s'usano nelle lettere. E allora vedrò esser vostro amico quando mi scriverete come a Simone fareste, il quale io vi raccomando.

Solo restava dire de' fatti di Niccolao Martini, per cui io ho fatto e farò come per voi propio, poi che così volete. S'egli avesse un pelo che pensasse di me altro che tutto suo bene, egli errerebbe; ma Iddio vede i cuori; e Lui priego mostri a voi e a lui il mio. Ma oltra 'l possibile, niuno è tenuto. E pur domane debbo fare per lui alcuna operazione. E sanza più dire, credo crediate io non fosse mai lieto se le cose andassono male. E io avesse potuto far fare la pace; la quale io temo Niccolaio propio non abbi isconcia per voler credere pure a sé, e non a chi l'ama più che non pensa. Ma più savi di lui hanno errato ne' loro fatti! Il dì di San Giovanni, 24 di giugno. — LAPO MAZZEI Vostro.

IN PRATO [VI]

Firenze, 20 d'agosto 1391.

Onorando amico ecc. Lo specchio ch'io mando alla donna vostra mi fu presentato a questi dì per una fedel persona che l'avea fatto a mio nome; e avendolo io appiccato in sala e poi in camera e in fine nel mio studio, in niuno luogo mi parea stesse bene; anzi mi parea che si dolesse del salvatico abergo ch'io gli dava. Il perché pensai che si contentasse nel mezzo della vostra loggia, in mezzo di que' capoletti e di quel candido  sprendore delle dilicate mura, nel più bello castello del mondo, e nella più nobile parte del castello. E perché a voi sia picciola cosa a mandarvela sì da lungi, non riguardate al dono, ma alla fede; la quale fa spesse volte le cose vili molto preziose. — LAPUS MAZZEI vester. XX aug.

IN PRATO [x]

Firenze, 13 novembre 1395.

Francesco carissimo. In questa ora 3 di notte, libero e solo nel mio studiolo, ho riletta la vostra lettera. Benché piena di piacevolezze che spesse volte si richeggiono nelle amistadi, pure il fine del pensieri vostro era et è ottimo, cioè del luogo delle Sacca, presso al vostro abitare, ecc. E prima ch'io ne dica mio parere, vi farò questo preambulo nell'amore di Cristo, che tanto amòe quella sua serva Brisida, ch'io leggo, che trovarete tosto darà gran sole e gran lume al mondo e alla fede ch'era come spenta, e forse molto maggiore che non fé  la povertà e la ubbidienza e le stimate di san Francesco. Il qual proemio o preambulo è questo: ch'io tengo che catuno vivente abbia alcuno singular dono e speziale grazia da Dio in questo mondo. E penso che i più, per li viluppi in che giriamo, non la sappiamo pigliare né onorare, quella grazia e quello ambasciadore che Cristo ci manda. Torno a voi, e dico che avervi Iddio mandato innanzi Guido per amico e consigliatore, non è de' minor doni che v'abbi fatti. Tutte l'altre amistadi, o le più d'esse, sono state chi per piacere, chi per godere, chi per ingannare, chi per richiedervi, chi per vantaggiare; e in somma e' mi pare che voi non abbiate tal cura al vostro stato, che non è piccolo, qual voi dovete. E credo che, invecchiato in vostri costumi, anche nol vedete qual sia la via. E, che peggio è, a uno pari di Guido, amico dell'anima vostra come è egli, non credere, questo avanza ogni errore; ché a me non pare gli attendiate a credere come dovreste. Solo dico per dirizzarvi. Ma voi istesso l'avanzereste in vedere, se vi levaste da tante e tali angosciose fatiche e imprese a che tutto dì vi sottomettete con tutta l'anima e con tutte le forze del corpo.

Che è a dire che qua ha tanti e tali, e sì savi e virtuosi anche, cittadini, che tutto dì murano e fanno delle cose che voi; e tutti fanno con modo, salvo che voi! Chi ha fattore, chi ha amico, chi ha il prezzolato; e co' danari fa fare i suoi bisogni, e alcuna volta visita i suoi lavorii, e poi attende ad altro. E voi tanto avido, e disideroso che uno solo danaio non vada male o uno solo mattone non si ponga a traverso stando meglio per lungo (come se fosse l'abitaculo dell'anima eterna!), che e' non si muta barella che non pognate mano, non si bagna pietra o mattone che nol tramutiate gridando e tribolando. Io nol so, ma io il credo; e anche qualche cosa n'ho veduta e ne sento.

Doh! per Dio e per l'amore che regnare fra noi insino alla morte, e forse anche poi, io vi prego e iscongiuro ch'a simile cosa come è le Sacca attendiate e procuriate; ché gittandosi questi buoni pensieri a drieto, credete credete che ci è il danno e la vergogna a vita e a morte. Ma vuolsi avere ottimo consiglio, che non si ispendesse in questi grandi fatti e poi non avessono frutto. Vedete Lemmo, c'ha speso più di venticinque mila di fiorini in tanto Spidale, e credesi, per non aver preso buono luogo, che mai non vi si farà frutto. Io me ne voglio affaticare in pregare il mio buono Guido che per voi duri fatica in pensare, ecc. Voi anche mettetevi tempo, per Dio. Se direste: – Tu come fai? – dìcovelo. S'io avessi male in sul letto un anno, non farei altro ordine o altro testamento, cioè, che quel poco o pochissimo c'ho, sia de' miei figliuoli, ché altrove non è da pensare. Ben farei a dare alcuna cosa di mia mano, ché so che vale quello che vi disse la Monaca da Pisa: ma voi non ve ne ricordate. Ella viene ora a entrare nel santo monisterio di Santa Brisida, che fa messer Antonio. E messer Antonio vende tutto ciò che ha e dòtalo, e ha vestite tre sue figliuole; e già v'ha delle compagne di santa Brisida che con lei s'allevarono. E molti grandi monisteri sono levati in Roma, in Svezia, in Grecia e in Ponente. È tutto 'l mondo sempre di questo nuovo amore, che Cristo ha mostrato a' cristiani per lei. E non è vent'anni ch'ella morì, a Roma, allato a San Lorenzo in Damaso, presso a' muri della chiesa ove l'Angelo, che Cristo le mandava ogni dì, le dettava le lezioni e la regola de' monisteri ch'ella dovea ordinare. La cui vita e regola la Chiesa ha approvata, e lei calonezzata di presente. Truovansi scritti da' discepoli e dal confessero suo, di lei, nel primo anno, centinaia di miracoli, i quali tutti ho letti, di ciechi, sordi, muti, zoppi, leprosi, secchi, dogliosi, morti e risuscitati, e massime nel traportare si fé'  ora il suo corpo da torcia in Svezia. Et ebbe questa maravigliosa donna marito e figliuoli, che vi direi cose che per udirle lascereste lavorare i manovali a' quali attendete più ch'a Cristo. Che non sarebbe punto da maravigliare, alle cose a che vi mettete, che non accaggia qualche isciaura o di legno o di pietra o di caduta, da non esser mai contento. Confortisi la donna vostra, benché sia in matrimonio, e appariamo da costei come ella fe', e faccianne parte, e saremo salvi. È vero che 'l forte della sua perfezione fu nello stato vedovile. E come ch'io non abbia ancor potuto avere el suo grande libro ch'ella lascia al mondo, che si chiama il Libro delle Revelazioni che Cristo le fece e dettòlle di parola a parola, pure, per quanto ho letto nella Regola ch'ella lascia a' suoi monaci e monache, la somma e l'effetto della 'ntenzione del Nostro Signore in questi tempi d'oggi, cioè nella nostra etade, è questa: ch'egli vede guasta la sua Chiesa, e vede che e' non può più sostenere che non provvegga alla salute de' cristiani. E dice ch'egli intende fare una vigna nuova che renda frutto, e farla in buona terra, di buoni vitigni, con buoni lavoratori, che renda il frutto suo a Dio. E tutto vuole sia per onore e per gloria della sua santissima Madre. Il perché e' vuole siano nuovi monisteri tutti di Nostra Donna, in luogo di questa vigna. E certo, se vivete punto, vedrete costei esser stata uno sole, uno vasello di Cristo; vedrete preti e gente disutile rinnovarsi; vedrete le profezie adempiersi che parlano contra' rei cristiani. Io sono stato col Vescovo, che mi fu detto ha tanto fatto ch'egli ha quel libro delle Rivelazioni segrete di Dio; e dicemi che mai non ristarà di predicare questo nuovo amore che Cristo ci mostra per la persona di costei. Tutti i dubbi delle Scritture, or l'Angelo or Cristo or Nostra Donna chiarisce a costei in persona, a faccia a faccia. La teologia e le Sentenze, sopra che i maestri s'aggiravano, assolve e chiarisce maravigliosamente. Il perché io vi priego e conforto (come che vile e fracido sia e presuntuoso a scrivere di tal materia, che è come se un porco o una capra volesse parlare del tessere la seta) che vi piaccia a di queste cose porre l'animo, la mano e la persona, se piacesse a Dio avvisarvi di qualche cosa che fosse vostra salute e suo onore.

Dice questa donna di Dio in un apparlare facea con Cristo, o vero con l'Angelo (s'io mi ricordo bene), che Cristo le dice: – Sai tu come m'è accetto uno servigio o uno amore che mi mostri uno cristiano che quasi per forza, cioè al capezzale, mi mostra volermi servire? Come se voi uomini voleste e comandaste servigi ad altri uomini, et essi nol facessono e non se ne ricordassono se none quando gli aveste messi ne' ceppi o nelle prigioni, e allora dicessono: “ O! io sono tuo” ecc., e prima, di pagare il debito non si fossono ricordati. Così, io accetto i servigi fatti in libertà d'animo e in carità ed amore sanza essere stretti; degli altri reputo quasi l'opere per nulla. Che se io ordinasse che catuno non potesse fare se none servirmi, nullo premio sarebbe a coloro che mi servissono, perché non sarebbono in loro libertade.

Or io fo fine, che troppo sono trascorso. Ma piacesse a Dio ch'io conoscesse i miei difetti come a me pare vedere l'altrui, e caro arei mi fossono ricordati. Priego io voi reverentemente che accettiate queste cose in amore, però che tutti i cristiani e tutti i buoni debbono esser e sono un pezzo e un corpo e una vite; e che da me siate paziente di ogni cosa, che tutte le vostre lettere leggo volentieri quanto più sono lunghe. Sono a' piacer vostri, XIII novembre. Voi sapete chi io sono.

[1] In Scrittori di religione, cit., pp. 241-245, 249-253.

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UpUltimo aggiornamento: 10/12/06