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Didattica > Strumenti > Scrittori religiosi del Trecento > Testi, 13

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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

13. Agnolo Torini

Agnolo Torini nacque a Firenze verso il 1315; celonaio, cioè facitore di drappi, appartenne all'Arte di Por Santa Maria, e nel 1354 fu comandante della rocca di Carmignano, poi (1356) di Cennina; podestà per cinque volte in varie località dello Stato fiorentino, fece anche parte del Consiglio del Popolo e del Consiglio del Comune. Il Boccaccio lo nominò nel 1374 esecutore testamentario e tutore dei nipoti. Fece parte della Compagnia dei Disciplinati della Misericordia del Salvatore, ove fu tra i membri più attivi e influenti, e godé dell'amicizia di Luigi Marsili e del beato Giovanni dalle Celle. Morì nel 1398. È autore di una Brieve collezione della miseria della umana condizione e di una Brieve meditazione de' beneficii di Dio, oltre che di varie rime religiose e morali.


Da «Brieve meditazione de' beneficii di Dio» [1]

IN NOMINE JESU CHRISTI. AMEN. INCIPIT BREVIS MEDITATIO BENEFICIORUM DEI AB AGNOLO TORINI COLLECTA. DEO GRATIAS

Ottimissimo Creatore mio, grazioso e benigno, volendo narrare lo 'nfinito amore e li smisurati beneficii che avete fatti e continuo fate all'umana natura, or chi potrebbe sanza la vostra grazia? Non nessuno per certo. Perch'io a quella con reverenzia ricorro, pregando che la mi concediate.

Il graziosissimo nostro Signore Iddio, padre larghissimo e copioso, creò l'uomo alla sua imagine e somiglianza, e graziosamente il dotò e adorno d'ogni vertute, di senno, di conoscimento, di ragione e di scienzia. E oltre a ciò li diede il libero arbitrio e sottopuoseli tutte le cose create sotto il cielo, le quali tutte a piacere dell'uomo creò.

Quale merito o servigio di colui il mosse a esserli sì grazioso? Or che potea meritare quelli ch'era nulla? Per questa creazione crescia a Dio gloria, o mancava non avendolo creato? Certo non. Però che la gloria del Signore sempre in uno esser permane. Perché creò elli più tosto lui uomo, che bue, asino, o cane, o altro animale bruto? Solo perché li piacque, che così gl'era l'uno come l'altro. Dunque la sua inestimabile bontade questo fece, la quale sempre sia lodata.

Creò delle sue carni e ossa la femina, e diegliele per compagna, perché di compagnia avesse consolazione e più grato li fosse il bene conceduto.

Miseli nel paradiso delitiarum, dov'è ogni piacere; e di tutto li fe' signori e diede libertade, salvo che da uno pomo comandò s'astenessono: e questo non fece perché in sé il frutto fosse reo, ma volle loro mostrare ch'era Signore e volea essere ubidito, e essaltare la virtù della ubidienzia. Il che il nostro aversario veggendo, e conoscendo che essi erano creati per possedere il bene che per suo difetto avea perduto, ebbene invidia e cercò contrapporsi loro. E fece come l'astuto guerriere, che, volendo assalire la città, raguarda la più debile parte. Onde veggendo elli la femina più fragile, fecesi da lei; e, tentandola, la condusse a fare contro al suo creatore; e fecela mangiare del frutto vietato, mostrandole come, ciò facendo, avrebbe ogni scienzia e sarebbe simile a Dio; e fece sì, ch'ella indusse nel suo fallo il suo compagno, faccendoli mangiare del detto pomo. Il quale, come gustato n'ebbe, s'avide avere peccato, e cercò di nascondersi a Dio, il quale li prevenne, riprendendolo di quello che fatto avea. E quelli con superba presunzione si scusò, e volle mostrare che Iddio fosse di ciò cagione, rivolgendo in lui il suo difetto, dicendo: «La compagna che mi desti m'ha condotto a questo». Per che indegnato il Signore, li cacciò di quello luogo dilettevole, dicendo loro: «Nel sudore del vostro volto procaccerete la vostra vita». E nella valle della miseria di questo mondo vennero ad abitare, sottoposti a centomilia pericoli naturali e accidentali, ove convenne che procacciassono i loro alimenti. Poi, morendo, discesero le loro anime al limbo; però che 'l paradiso, per lo loro difetto, a tutti fu serrato.

Era il limbo una parte nello inferno, ma era sanza pena; nel quale luogo andavano l'anime di coloro che virtuosamente operavano. Quivi prima scese l'anima d'Abel giusto. Quelle di coloro che la propia volontà e il corrotto appetito seguitavano, andavano alle etternali pene dello inferno; ove la magiore parte della umana spezie, anzi si può dire il tutto, corrotta nel suo appetito, discendea; però che pochi erano quelli che le virtù volessono seguire o Iddio conoscere. E così l'umana natura nella etternale pena il suo creatore soferse per cinquemilia anni e più giacesse abattuta.

Deh, perché volle il benigno Creatore, che la sua creatura, a cui tanto affetto avea mostrato, in tanto tormento e tanto tempo dimorasse oppressata, che nolla riberasse? Come non venne a liberalla, come poi fece? Due ragioni in tra molte se n'assegnano. Volle il giusto Signore fare conoscente l'uomo della sua ignoranza e superbia. Ché se fosse incontanente venuto, potea dire l'uomo: «Se tu fossi indugiato, sarebbe pure nato di me alcuno di tanta virtù, che m'avrebbe liberato»; e avrebbe presumito di sé, come ignorante, quello che non gl'era possibile. Onde, per farlo conoscente, indugiò il Signore la sua venuta infino all'ultima età. Appresso fu convenevole che la giustizia di Dio seguitasse il peccato commesso; e bene che Dio avesse all'uomo infinita carità, e per conseguente infinita pietà della sua miseria, non ebbe luogo in lui l'amore, né la pietà, infino ch'adempiuta non fu la sua giustizia; però ch'ogni virtù in Dio è infinita.

Ma, come adempiuta fu, diliberò nel secreto consistoro della santa Trinità, advegna che questo ab etterno fosse preveduto, di provedere a tanta miseria dell'uomo, e che il suo figliuolo e unico Verbo divino discendesse nella miseria del mondo e prendesse la viltà della nostra carne, ricomperando colla sua morte e passione la nostra mortalità e difetto. E veduto nel mondo una purissima vergine e sopra tutte le creature di quaggiuso degnissima, santificata nel ventre della madre, fanciulla forse di quattordici anni, nella quale li piacque che 'l suo figliuolo incarnasse; e mandatole il suo ambasciadore (ciò fu l'agnolo Gabriello) per volere l'assenso di lei; il quale sposta la sua ambasciata, e per lei risposto: «Ecco l'ancilla del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola»; incontanente il grazioso figliuolo, lo infinito Verbo di Dio, disceso di cielo, acompagnato dalla santa Trinità, e nel santissimo ventre e purissimo vasello discese di lei, passando dentro a quello non altrimenti che faccia il raggio del sole il vetro, che quello sanza rompere o forare passa; così il vero figliuolo di Dio entrò in quello vasello mondissimo sanza esso rompere o violare, ma sempre permanendo chiuso, intero e incorrotto. Fecesi il nostro Signore tanto minimo per noi, e tanto s'aumiliò, ch'elli, il quale il cielo, la terra, il mare e lo abisso, e se fossero centomilia tanti magiori che non sono, mai nol compresero né porieno comprendere, si lasciò comprendere a sì piccol luogo. Volle il Signore, secondo il naturale uso, qui dimorare nove mesi rinchiuso, avendo quella onipotenzia e scienzia ch'elli ha e avrà in etterno, nondimeno rimanendo in cielo e in ogni luogo quello ch'elli era e sarà sanza fine.

Volle il Signore nascere in somma miseria e povertade, che potea nascere in somma ricchezza, come signore d'ogni ricchezza. E potea nascere più convenevolmente in casa sua madre, avegna che povera fosse; ma permise e volle che Giuseppo, uomo vecchio, santo e vergine, sposo della Vergine gloriosa, dato a lei per compagno della sua verginitade e per guardiano della sua pudicizia e onestà, che ubidisse al comandamento di Cesare. Avea fatto lo 'mperadore comandare a tutto l'universo ch'ogni capo d'uomo si dovesse fare scrivere e pagare una certa moneta, e avea ordinito in ogni provincia uno luogo, ove quelli di quella provincia dovessero pagare; e fu nella provincia di Giudea e di Galilea a ciò deputato la città di Belleem, forse come più comune luogo. E volendo Giuseppe ubidire al detto comandamento, non volendo sanza sé lo infinito tesoro, ciò è la beata Vergine, lasciare, postala in suso uno suo asinello, perché la via nolle gravasse, ch'era gravida, ed elli la seguiva a piede, acompagnandola, menando uno suo bue, il quale, come dicono i Santi, volea vendere, forse per pagare il detto censo e per fare le spese.

E, giunti in Belleem, trovò la città piena, però che molti erano concorsi per ubidire il detto comandamento, e la città era piccola. Per che, cercando d'albergare, trovarono tutti li alberghi presi, né trovarono chi gli albergasse. Il freddo era grande, come è di dicembre; onde non volendo Giuseppo che sì prezioso tesoro rimanesse la notte all'aria e al freddo, non trovando altrove albergo, trovato uno diversorio, ciò è uno portico ch'era accostato e congiunto a una caverna d'uno monte, per stare al coperto, entrare quivi; ove trovarono stalla e mangiatoia, però ch'era luogo comune, ove quelli della villa vegnendo mettevano i loro animali. In quello luogo sceso Giuseppo la santa Vergine e messo alla mangiatoia il bue e l'asino, fece ch'ebbe del fieno e dienne loro; oltre a ciò ne puose da parte e aconciòvi, perché la gloriosa Vergine quivi si riposasse quella notte; da altra parte ne puose per riposare sé.

In questa miseria e necessitade, nel più freddo tempo dell'anno, quando sono le maggiori notti, sanza fuoco, con poca vivanda, in sì vile luogo e in tanta povertà, il signore d'ogni ricchezza volle nascere al mondo; e tutto il fece in nostro essemplo, ché ci volle mostrare che la via della povertà veramente era quella che più diritto e sanza impedimento ci menava alla nostra patria, se con pazienzia perseveriamo.

In quella notte, quando fu di suo piacere, venne nella miseria del mondo il nostro redentore, uscendo di quello abitaculo grazioso, sempre rimanendo chiuso, intero e incorrotto, così come il vetro, passato dal sole, ritraendo esso sole il suo raggio, rimane intero, come è detto. Così il figliuolo di Dio, essendo nondimeno uomo, uscì di quello mondissimo ventre, sempre rimanendo vergine, essendo anzi il parto e nel parto e dopo il parto vergine purissimo; e questo sanza dolore della gloriosa Vergine avenne. La quale, considerato l'altissimo misterio e la inestimabile grazia, quello in sé riserbava, lieta ruminandolo. E acciò che il freddo non molestasse il grazioso figliuolo, prese alcuno pannicello, nel quale lo involse. Deh, donde ebbe la santa Vergine quello panno? Penso che a se medesima sottraesse de' suoi panni; ne' quali involto, il mise nella mangiatoia. E perché 'l freddo nollo gravasse, il coperse e rincalzò col fieno. Ecco ancora la infinita umilità di Dio, che tanto si fece piccolo, che a quello presepio si lasciò comprendere! Qui l'asino e il bue, come i Santi tegnono, inginocchiandosi li feciono reverenzia. Quivi venne la chiarezza del cielo, e udito vi fu la melodia del cielo, dalli angeli cantare quello inno angelico: «Gloria in excelsis Deo». Fu annunziato a' pastori che vigilavano nel monte, per l'angeli, la grande allegrezza e ch'era nato il salvatore del mondo.

Apparve quella notte in oriente una lucida stella a tre gloriosi re, ciò è a' tre magi, mostrando loro com'era nato il re del cielo e della terra; e indusseli a venirlo ad adorare e vicitare. Permise il Signore, secondo il comandamento della legge, in capo d'otto dì essere circunciso; non perché n'avesse bisogno, ma per mostrare ch'era venuto a osservare la legge. E fu tagliata la sua santa carne e sparto il suo prezioso sangue; il quale sangue solo una gocciola era possente a ricomperare centomilia mondi. Qui li fu imposto il grazioso nome Gesù.

Giunsero i detti magi in Beleem in capo di tredici dì; e veduta quella stella fermata sopra il luogo ov'era Gesù, ripieni di letizia, però che l'aveano ismarrita, precedettero; e scesi de' loro animali, entrare dentro a quella grotta, ove trovarono quella umile vergine sedere col suo figliuolo in collo in quelli vili pannicelli involuto, stare con somma umilitade e onestade, acompagnata solo da Giuseppo. La quale, veduto coloro entrare quivi, fu ripiena d'onesta vergogna; i quali, gittandosi in terra, adorarono quello fanciullo come Iddio, e aperti i loro tesauri, li ofersono come a uomo.

Deh, or che videro costoro, perché comprendessero costui Iddio? Se facciamo comparazione da Dio a' signori del mondo veggiamo i re e i signori abitare ne' grandi palagi, nelle ornate camere, con grande compagnia e nobilemente adobbati; e qui veggiono questo fanciullo nella stalla, vilemente vestito e con poca compagnia. Che dunque li mosse, o che vidono? Certo io mi penso, che quella graziosa stella che li avea guidati, li avea allumati e mostrato loro che veramente questo fanciullo era sceso di cielo, poiché le cose del mondo elli avea a vile e nolle voleva usare.

Poi quelli santi re si tornaro nella loro regione.

E in capo di quaranta dì dalla natività di Gesù, volle la graziosa madre andare al tempio a purificarsi, non per bisogno che n'avesse, ma per osservare il comandamento; e preso il grazioso figliuolo, acompagnata dal suo sposo, portando l'oferta de' poveri, venne al tempio, ove trovarono quello santo sacerdote Simeone, il quale, spirato dallo Spirito Santo, profetò altissime cose di lui, e simile quella profetessa Anna che stava nel tempio; le quali parole la santissima Vergine ritenea nel suo cuore con letizia.

Poi, tornati alla propia casa, poco stando, amoniti dall'angelo, fuggirono in Egitto per la persecuzione che si apparecchiava loro; ove stettono in grande necessità per sette anni.

Poi, rivocati dal detto agnolo, ritornare in Nazaret, stando in grande povertà, sempre quello umilissimo figliuolo essendo reverente e ubidiente alla santa madre e al suo sposo. E avendo il fanciullo dodici anni, il menaro al tempio per la sagra al perdono; ove essendo venuti, il sapientissimo figliuolo si celò da loro; i quali, cercando per lui, e non trovandolo, pensando si fosse tornato a casa, ove non essendo trovato, cercarono per lui a casa li amici e i parenti, e non lo trovarono. Per che con fatica e con dolore ritornati al tempio, videro il grazioso fanciullo, in mezzo de' dottori della legge, di quella disputare e amaestrare con grandissima amirazione di tutti; le quali cose la madre con gaudio riservava nella sua mente. Poi si tornarono a casa, ove l'umile Creatore stette con grande umilitade e povertade del vestimento e della vita, paziente nella sua necessitade, ubidiente e reverente alla sua madre e al suo sposo.

Appresso, avendo trent'anni, volle essere battezzato, non perché necessità li fosse, ma per dare principio al misterio del santo battesimo. E venuto al fiume Giordano, quivi a santo Giovanni Batista si fece battezzare; ove s'aperse il cielo e la boce del suo padre fu udita, grandissima, dicendo: «Questi è il mio figliuolo diletto in cui mi sono compiaciuto». E lo Spirito Santo fu sopra lui veduto in ispezie di colomba.

Poi se n'andò Gesù al diserto, e digiunò quaranta dì e quaranta notti, stando sanza mangiare e sanza bere. Il che il nostro nemico veggendo, il quale le sue opere osservava, imaginò ch'elli fosse figliuolo di Dio, vegendo le sue grandissime operazioni. Ma poi, veggendoli avere fame, dubitando di quello che pensava, per esserne certo, prese abito d'uno santo uomo, come i Santi dicono, e andòne a Gesù, confortandolo che non si lasciasse perire di fame, ma se era figliuolo di Dio, come si credeva, comandasse alle pietre ch'erano quivi, che si facessero pane, e mangiasse. Al quale Gesù rispuose: «Tu sai ch'elli è scritto: non di solo pane vive l'uomo, ma d'ogni parola che procede dalla bocca di Dio». Onde confuso il nimico, il prese, com'elli permise, e portello nel tempio, e puoselo nel più alto luogo di quello, dicendoli: «Se tu se' figliuolo di Dio, gettati giù! e tu sai ch'elli è scritto: li angeli tuoi ti porteranno e sosterrano, sì che non offenderai il piede alla pietra». E Gesù li rispuose: «Tu sai ch'elli è scritto: non tenterai il tuo Iddio. Perché vuo' tu ch'io il tenti gittandomi quinci, che ne posso scendere salvamente?». Onde altresì il nimico confuso, ancora il prese, e portollo in su uno alto monte e mostrolli tutte le regioni del mondo e disseli: «Di tutte ti farò signore, se, gittandoti in terra, m'adori». Per che indegnato Gesù, disse: «Fuggi da me, Satanas! Tu sai ch'elli è scritto: il tuo Signore Iddio adorerai e lui solo servirai». E partito quindi colui, vennero li angeli e aministravano e servivano a Gesù.

Il quale, sceso quindi, trovò quelli santi e perfetti uomini, i quali fece suoi discepoli, e con loro insieme, cominciando da Galilea, ond'elli era, per tutto il paese andò predicando il santo battesimo e la religione cristiana, agiugnendo alle sante parole i grandissimi miracoli, sanando li 'nfermi e sucitando i morti. Onde molti concorrevano a questa grazia ed erano battezzati e sanati. Seguivano grandissima turba per udire le sue sante predicazioni e ottimi amaestramenti. Riprendeva i vizi e i peccati, e massimamente i maestri della legge, i quali per loro avarizia quella pervertivano. Per le quali riprensioni coloro indegnati, come superbi ed elati, più volte li vollono fare villania, ma ritennorsi per le turbe, avegna che ancora non era il tempo nel quale avea diliberato di morire. Ma pure ordinarono ch'elli morisse.

Il che sentendo Giuda Scariot, suo discepolo, il quale Gesù avea fatto camarlingo e spenditore delle limosine che loro erano date, essendo ladro, imbolava la decima di ciò che riceveva. Costui, indegnato contro a Cristo per certo unguento che per divozione li fu versato in capo, mormorò, dicendo ch'era meglio a venderlo e dare a' poveri; e ciò non dicea per cura ch'avesse de' poveri, ma per imbolare la decima di quello che venduto fosse. Per questa indegnazione se n'andò a' principi de' sacerdoti e promise dare loro preso Gesù sanza le turbe; e quelli ordinarono che, se ciò facesse, avesse certa moneta.

E essendo venuto la pasqua, nella quale Gesù avea ordinato mangiare co' suoi discepoli l'agnello, e fatto apparecchiare in quello grande cenaculo e quivi co' suoi discepoli venuto, a tutti lavò i piedi, mostrando loro che così dovessero fare tra loro: che 'l maggiore si dovesse umiliare al minore per suo essemplo, ch'era loro maestro e signore, dicendo che chi qui s'aumiliarà, sarà con lui essaltato in cielo. Poi, essendo a mensa, palesò la sua morte e come sarebbe tradito, dicendo come il traditore era tra loro. Onde con dolore il domandarono i discepoli, quale era desso; e nol disse loro, ma a uno di loro in secreto il palesò. Comunicolli del suo corpo e sangue prezioso, non sdegnando comunicare il suo traditore, amaestrandoli che questo dovessono fare in sua commemorazione; e avisolli della persecuzione che seguirebbe loro; e con grandissima affezzione pregò per loro il suo padre.

E levato da mensa, andò alla orazione. Era uno orto fuori di Gerusalem, nel quale co' suoi discepoli spesso Gesù andava ad adorare; al quale Giuda non andò, ma andonne a' principi de' sacerdoti e domandò loro li dessero la famiglia per pigliare Cristo. Il quale, orando, mostrò grandissima tema della morte, pregando il suo padre, che, se fosse di suo piacere, passasse da sé questa passione; e venne in tanta ansietade e angoscia, che sudò sangue, il quale scorse infine a terra.

E sentendo Cristo che Giuda e' Giudei eran venuti per pigliarlo, disselo a' suoi discepoli. Faccendosi loro incontro, e' videro Giuda con grande turba d'armati, con facelline e lanterne. Avea Giuda dato loro segno, dicendo: «Colui cui io bacerò, è desso; pigliatelo e menatelo cautamente». E venuto a Gieso, disse: «Iddio ti salvi!» e basciollo. A cui elli rispuose: «Amico, a che venisti?» ciò è: tu che dovresti essere amico, a che t'ha fatto venire il tuo peccato! Poi si fece innanzi alle turbe, dicendo: «Che domandate?». Al quale rispuosono: «Gesù Nazareno». Ed elli disse loro: «Io sono esso». A questa parola tutti caddono in terra come morti. E volle mostrare qui il Signore un poco della sua onnipotenzia. Poi, come li piacque, si levarono; e da capo Gesù li domandò: «Che chiedete?». A cui rispuosero: «Gesù Nazareno». Ed elli ancora rispuose: «Io v'ho detto ch'io sono. Se me volete, lasciate costoro andare». Allora quella turba, come permise, li venne furiosa a dosso, sospignendolo e percotendolo; e di fatti e di parole oltragiandolo, li legarono le mani come a uno ladrone. I suoi discepoli tutti l'abandonarono.

E così i Giudei, straziandolo, il menarono a casa Anna, ch'era stato l'anno passato sommo pontefice. Quindi il menare a casa Caifas, che al presente tenea il detto uficio; il quale essaminandolo, ed elli umilemente rispondendo, uno servo di Caifas li diede una grande gotata, dicendo: «Come, uomo pessimo, rispondi tu così al nostro principe?». Al quale l'umilissimo nostro Signore rispuose: «Deh, s'io ho detto male, raporta mala testimonianza di me; e s'io ho detto bene, perché mi batti?».

Oh ismisurata pazienzia di Dio, con quanta dolcezza e mansuetudine rispondesti a quello misero! Signore benigno, onnipotente in cielo e in terra e in ogni luogo, e a cui tutte le cose ubidiscono, e potavate e potreste ognora il cielo e la terra e ciò ch'è in quelli fare divenire cenere o essere nulla, con quanta umilità rispondeste a quello vermine! Datemi grazia, che questa virtù io l'usi in ogni mia adversità e abia in ogni mia operazione; che veramente ella è adornamento d'ogn'altra virtù.

Qui Gesù tutta notte fu istraziato. La mattina, come un ladro legato, fu menato a Pilato preside, il quale era quivi, per li Romani, signore. E domandando Pilato i Giudei quello che Gesù avesse fatto, rispuosero: «Tu dei credere, che s'elli non fosse malfattore, noi non te l'avremo menato». «E che male ha egli fatto?» disse Filato. Al quale rispuosono: «Costui, cominciando da Galilea, ond'elli è, per tutta Galilea e Giudea è ito predicando ch'elli è figliuolo di Dio; e ha seminati molti errori contrarii alla nostra legge, e pervertito e somosso tutto il paese a seguitarlo. S'elli avesse mille vite, hae meritato di perderle e di morire». Onde Pilato essaminandolo, trovollo tanto grazioso, sì piacevole e dolce, ch'elli pensò che' Giudei per invidia gliel'avessono menato. Per che, venuto a loro, disse: «Io non truovo in costui cagione per che meriti pena». Ed e' rispuosero: «Guarda, che questi è un pessimo ingannatore di lingua». Disse Pilato: «A me pare elli buono e giusto; s'a voi pare il contrario, toglietelo voi e sì 'l giudicate». Ed eglino rispuosono: «Pilato, tu sai che noi non possiamo giudicare nessuno». A' quali elli rispuose: «Né io non posso giudicare costui, però che non è di mia giuridizione; ma in questa terra è Erode, di cui giuridizione elli è: a lui il menate, ed elli, come li pare, il giudichi». Il che i Giudei udendo, e vedendo Pilato non essere disposto a giudicarlo, temendo che nollo lasciasse, presono Gesù, e così legato il menarono a Erode; il quale, veduto, fue allegro, che, per le grandi cose udite di lui, disiderava di vederlo e che facesse alcuno miracolo. E ciò conoscendo il Signore, non che facesse miracoli, ma nolli parlò, né rispuose a parola. Per che Erode imaginando ch'elli fosse uno stolto, vestillo di bianco per dirisione e rimandollo a Pilato.

Il quale, vedendo, disse a' Giudei: «Vedete, che Erode, considerando che non ha peccato, l'ha rimandato sanza farli male; e ha fatto dovere. Voi altressì farete bene a lasciarlo ire». Questo udendo i Giudei e vedendo la loro intenzione anullata, adirati gridarono: «Pilato, tu fai male, e male te ne potrebbe avenire! Tu non se' amico di Cesare; ché se tu fossi, non sofferesti che costui, che l'ha tanto offeso, impunito uscisse delle tue mani. Questi l'ha in due cose offeso: prima, ch'elli si fa re, e chiunque si fa re, contradice a Cesare; a presso, è ito predicando e dicendo per tutta Giudea che 'l tributo non si dea a Cesare. Credi tu che lo imperadore abbia per bene, quando saprà che sanza punirlo l'abbi lasciato? Certo grande male te ne potrebbe avenire». Per le quali parole il misero Pilato rivolto del buono proponimento, temendo non perdere la signoria che da Cesare tenea, disse a' Giudei: «Io vi soglio lasciare per questa pasqua uno malfattore: elli ci è Barraba, ch'è ladro e micidiale, [e] ecci Cristo; quale di questi volete ch'io vi lasci?». Quelli maggiori aveano indettato la turba che chiedessero Barraba e dicessono che Cristo fosse morto. Onde gridando rispuosono: «Rendici Barraba!». Disse Pilato: «E che volete faccia di Cristo?». Tutti gridarono: «Crucifigelo, crucifigelo!». «Oh!» disse Pilato, «e che male ha elli fatto?». E essi ancora gridarono: «Crucifiggelo! che l'ha meritato».

Oh ignoranza nostra, quanta fu ed è! Il santo e giusto e innocente, che non fece mai peccato, né della sua bocca uscì una minima parola oziosa, è detto sia straziato e morto, e il ladro e micidiale sia liberato!

Credendo Pilato, con fare male a Cristo, contentare i Giudei e mitigare la loro ira, disse loro: «Io voglio che me lo lasciate gastigare». E fecelo spogliare e legare a una colonna, e a due forti rubaldi il fece battere e flagellare quanto poterono menare le braccia; tanto che quella tenera carne tutta fu livida, rotta e sanguinosa.

E che faceva il dolce Signore? Paziente sofferia ogni cosa. O benigno Padre, fatemi considerare con dolore tanta vostra afflizzione.

Fue il Signore rivestito, e dato alla masnada di Pilato, perché lo straziassero; i quali li misero indosso uno mantello di porpora, puosonlo a sedere in suso una sedia, e misongli in capo una corona di spine pugnenti e dure e sì gliele pontarono in capo, che 'ntorno a quello li passarono infino all'osso con grandissima sua angoscia. Fulli velata la faccia, postoli una canna in mano; e standoli dintorno, deridendolo s'inginocchiavano, dicendo: «Iddio ti salvi, re de' Giudei!» e davanli le gotate. Alcuno li percotea il capo e dicea: «profetizza chi ti percosse»; l'uno gli sputava nella faccia, l'altro li pelava la barba; chi 'l percotea di qua, e [chi] di là; e elli, così straziato, sopportava ogni cosa.

O Signore mio, molto sofferisti per me! Fatemene conoscente per la vostra bontà. Quella faccia, la quale li angeli e' Santi disiderono di vedere, dalla quale procede quello bene, allegrezza e consolazione, la quale occhio non vide, orecchio non udì, né giammai per cuore d'uomo fu compresa, la quale a' vostri servi avete riservata, Signore mio, è sputacchiata, percossa e pelata! Concedetemi grazia di sì aoperare che in tra' vostri elletti mi degnate, sì che quella veggia, e assaggi della dolcezza che da essa procede.

Intanto i crudeli Giudei seppero sì aoperare, che 'l misero Pilato sentenziò, che Cristo fosse crucifisso; e per più dispetto con lui condannò due ladroni a simile tormento. Fue posto in collo a Cristo una croce pesante e grave; ed essendo elli doglioso e afflitto sì che appena si sostenea, sotto quello peso tutto trangosciava e veniva meno, né si potea muovere. Per che i Giudei, non per farli appiacere, ma per più tosto conducerlo ove morisse, ebbono alcuno e fecero torre quella croce a Gesù, e condussonlo in sul monte Calvario, ove era il luogo della giustizia. Quivi, posta la croce in terra, fecero una tana, ove poi la ficcarono. E spogliato ignudo Gesù, mostrò ogni sua parte vergognosa; ma fu di presente ricoperto.

O Signore mio, ogni vergogna volesti portare per noi, dandoci essemplo che grave non ci sia, se alcuna per piacervi ne sofferiamo.

Fue Gesù in sulla croce steso rovescio, e prese le sue sante mani e ciascuna fortissimamente tirata, con uno grandissimo aguto fu confitta, forando la sua santa carne e' gloriosi nervi con infinito suo dolore.

Ecco il merito, che quelle graziose mani, che crearono il cielo, la terra, l'uomo e tutte l'altre cose, e che sostengono ogni cosa in cielo e in terra, ricevettono! Or come permarrebbe niuna cosa in suo essere, se non fossono quelle sante mani?

Sottentrarono alcuni alla croce, dirizzandola, facendo la parte di sotto entrare in quella tana, e rincalzaronla perché stesse ferma; e presono i santi piedi di Cristo, quelli fortissimamente tirando, acciò agiugnessono ove voleano, tanto ch'elli non ebbe congiuntura nel suo corpo che non si schiavasse o aprisse. E per questo, quelle sante mani, a quelli aguti che le teneano, tutte si stracciarono, e' suoi santi nervi tutti si sfilarono con infinita sua pena. E posto l'uno piede sopra l'altro, amendue con uno grandissimo aguto li passarono conficcando, forando la nobile sua carne e' preziosi nervi.

Oh pena inestimabile e dolore immenso, che per noi, Padre, elegesti! Bene potavate fare di meno; ma voleste, benignissimo Creatore, che lo infinito dolore correspondesse allo infinito amore ch'alla umana natura aveste. Raguarda, anima divota, la forma della passione del tuo redentore, e consideralo levato in alto, nudo, tremare per lo tempo freddo! E tu vuogli stare coperto e involto con tanti panni! Vedi che non ha ove si riposi, se non in sulli aguti che il tengono confitto, i quali per lo peso del corpo, che naturalmente il tira a terra, tagliano i suoi nervi e fendono la sua carne tenera nelle parti più dogliose, ciò è nelle mani e ne' piedi, ove sono i nervi e l'ossa. E tu sempre cerchi riposarti morbidamente! Guarda come tracolla la sua testa, non avendo ove la riposi! E tu, non contento del soave pimaccio, vuoli il dilicato guanciale! Seguita Cristo, anima cristiana, nelle sue aversità e tribulazioni, se vuoli participare con lui nelle sue prosperità e consolazioni. Signore mio, per la vostra pietade, concedetemi che tanta vostra pena, quanto m'è possibile, abbia nella mente confitta, nel cuore scolpita e nella memoria segnata, sì che sempre la veggia e consideri con divozione, con reverenzia e con dolore.

Il sangue preziosissimo d'ogni parte si versa, e 'l Signore ha sete e domanda bere. E fulli dato aceto con fiele; ma come il gustò, nol volle bere. Oh Giudei crudeli! bene vi bastava l'aflizzioni che di fuori dato li avavate, sanza volerlo ancora tormentare dentro. Perché di sì vile cosa, come l'acqua, noi contentasti, avendogliene dato? Ma volle il Signore darci essemplo, che non cercassimo di contentare il gusto nel mangiare o bere, perché quindi molti vizi procedono.

Vide il Signore la madre e 'l discepolo, ch'elli amava. E perché non intenerisse, nolla chiamò madre, ma dissele: «Femina, questo è il tuo figliuolo». E al discepolo disse: «Questa è tua madre». E pertanto s'accettarono insieme.

Quelli due ladroni, che con Cristo furono crocifissi, furono posti in croce, l'uno dal lato ritto di Cristo, l'altro dal manco. Quelli che dal lato manco era, si rivolse a Gesù, dicendo: «Se tu se' figliuolo di Dio e possente, com'hai voluto fare credere, ché non ce lo mostri? ché non aiuti te e noi, posti in tanta pena? Ma credo, se potessi, aiuteresti te, che n'hai bisogno». L'altro, ch'era dal lato ritto, per la virtù dell'ombra del corpo di Cristo, che venne sopra lui, come i Santi dicono, conobbe ch'elli era Iddio, e riprese il suo compagno, dicendo: «Misero! tu sai che pe' nostri difetti siamo posti a questa pena, meritando peggio; e questo santo e giusto, che non fece mai peccato, è posto in tanto tormento! Tu li dovresti avere compassione, e tu lo strazi! Or non temi tu Iddio?». Poi si rivolse al Signore, dicendo: «Io ti priego che ti ricordi di me, quando sarai nel tuo regno». E 'l grazioso Signore li rispuose: «E io ti dico che oggi sarai meco in paradiso». O benigno Padre, graziosamente li rispondesti e atenesti la promessa. Piacciavi darmi grazia, che con questo santo ladrone mi ritruovi con voi!

Simile i Giudei, menando il capo, dicevano: «Va, tu che dicevi che disfaresti e rifaresti il tempio in tre dì e ti facevi re e figliuolo di Dio, se tu se' re d'Israel, discendi della croce, e crederenti». Le quali parole l'umile Signore dolcemente portava.

Or come si saria turbato delle parole colui che i fatti avea così pazientemente soferti? Vedi che pregò per loro il suo padre, dicendo: «Padre, perdona loro, che non sanno che si fare». Oh altissima e profondissima benignità di Dio! il quale, posto in tante pene, afflitto di tanti tormenti, punto di tante parole dure, non s'adira, ma priega per li suoi perseguitori. Questa bontà mai non fu usata, né udita che alcuno usasse. Questa inestimabile benignitade. Padre, ha dato e darà grande speranza a' peccatori, e massimamente a me misero, che de' miei difetti appo voi medesimo facciate scusa. Signore, sostenetemi, ch'io no' caggia offendendovi, che agevolmente m'inchinano e fanno cadere le cose del mondo. Dirrizzatemi, Redentore grazioso, ché sanza voi non mi potrei levare, e non mi potrei tenere, se voi non mi teneste; e permettete ch'io aoperi sì che in tra' vostri elletti, Padre, mi degnate.

Vennero le tenebre sopra la terra, scurò il sole, la luna e le stelle, tremò la terra, le pietre si spezzarono e il velo del tempio si fesse. Per che molti riconoscendo il loro errore, tornarono a penitenzia, confessando che veramente era figliuolo di Dio. Volle la santissima anima di Cristo partirsi dal corpo, e gridò al suo padre, dicendo: «Nelle tue mani raccomando lo spirito mio». E partitesi da quello, discese al limbo e trassene l'anime de' santi padri, menandole nel paradiso delitiarum ove, infino che con lui salirono in cielo, aspettarono. Poi, partite le tenebre, fu veduto che Cristo era passato; per che tutti si maravigliarono come sì tosto fosse morto.

E venne Lungino, cavaliere di Pilato, per vedere se morto fosse; acostandosi al corpo di Gesù, però ch'avea la vista corta, e con una lancia li diede una grande fedita nel costato, onde uscì miracolosamente sangue e acqua in abundanzia. E, secondo i Santi, scorse quello sangue giù per la lancia, toccando le mani di Lungino; e con quelle toccandosi li occhi, riebbe la vista bella e chiara. E, per quello miracolo e altri veduti, tornò a Dio e fece penitenzia, e martire di Cristo finì la sua vita.

Col quale, Signore mio, fatemi grazia ch'io mi ritruovi nel vostro regno.

Poi, essendo l'ora tarda, venne Giuseppe, da Bramanzia a Pilato e chieseli il corpo di Gesù, ed elli gliele concedette. E venne elli e Niccodemo e levarlo di croce. E potè la madre dolorosa e le donne, ch'erano con lei, toccare quello santissimo corpo; il quale considerato tutto insieme e ciascuna parte per sé, veggendo che dal capo al piede no' v'era parte che non fosse rotta, livida e sanguinosa, piansero amaramente. E aconcio quello come si convenia, il misero nella sepoltura nuova. E le donne si tornarono alle loro case.

Or dove tornò la reina del cielo che none avea casa? Convenne che tornasse in casa altrui la madre di Dio. Laudata ed essaltata siate voi, degnissima madre, che 'l vostro figliuolo sempre voleste seguire in umiltà, in povertà e in ogni bontà!

Questa, essendo dolorosa per la morte del suo figliuolo, divenne lieta e consolata per la sua presenzia; però che, risucitato, prima a lei apparve sì come a più amata cosa, sì come i Santi tengono. E apparve più volte a' suoi discepoli, consolandoli e confermandoli nella santa fede.

Poi, stato quaranta die nel mondo, salì in cielo alla sua gloria infinita, menandone la preda che trasse del limbo; ove con letizia fu dal suo padre ricevuto e dalla sua mano diritta collocato.

Quindi verrà a giudicare i vivi e' morti, i giusti e' peccatori, rendendo a ciascheduno il suo merito. A' peccatori darà il ninferno colle etternali pene; a' giusti il paradiso e la sua infinita gloria, dicendo loro: «Venite, benedetti dal padre mio, possedete il regno che anzi il principio del mondo vi fu apparecchiato».

Al quale, Padre e Creatore ottimo, concedetemi ch'io pervegna, operando sì in questa vita che in quello mi degnate ricevere; nel quale regno voi siete e sarete etternalmente glorificato e essaltato col Padre e collo Spirito Santo in una essenzia per infinita secula seculorum. Amen. Deo gratias.


Explicit Brevis meditatio beneficiorum Dei. Deo gratias. Absunsit is Thorini de sacris dictis Angelo. Deo gratias.

[1] Dall'ed. cit. di I. HIJMANS-TROMP, pp. 329-344.

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UpUltimo aggiornamento: 10/12/06