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Didattica > Strumenti > Scrittori religiosi del Trecento > Testi, 1 (1/4)

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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

1. Fioretti di san Francesco (1/4)

Volgarizzamento d'un testo francescano antico, gli Actus beati Francisci et sociorum eius, scritto dal frate Ugolino di Monte Santa Maria nell'ultimo ventennio del Duecento, e continuato da un altro francescano delle Marche, Ugolino da Sarnano. Fino a qualche tempo addietro si riteneva che i Fioretti, ovvero il complesso Actus-Fioretti, nascessero da un più antico testo, il Floretum, ma è stato dimostrato che il Floretum non è mai esistito. Gli Actus possono essere divisi in tre parti, di cui la prima dedicata alla vita e ai miracoli di san Francesco nel primitivo ambiente dell'Ordine, la seconda ad altri primi compagni, e la terza alla vita francescana nelle Marche, con particolare riguardo ai miracoli di Giovanni della Verna (questa terza parte è opera di Ugolino da Sarnano). Il volgarizzamento dei Fioretti è operai d'un secolo dopo, tra il 1370 e il 1390, e certamente per le cure d'un frate fiorentino o, almeno, toscano. Attorno al corpus degli Actus e dei Fioretti si sono venute aggiungendo altre opere, le Considerazioni sulle Stimmate, la Vita del beato Egidio, i Detti dello stesso, la Vita di frate Ginepro.


Dai «Fioretti di san Francesco» [1]

DEI DODICI PRIMI COMPAGNI DI SANTO FRANCESCO [I]

In prima è da considerare che il glorioso messere santo Francesco in tutti gli atti della vita sua fu conformato a Cristo benedetto: imperò che, come Cristo nel principio della sua predicazione elesse dodici Apostoli a dispregiare ogni cosa mondana e seguitare lui in povertà e nell'altre virtù; così santo Francesco elesse al principio del fondamento dell'Ordine suo dodici compagni professori dell'altissima povertà.

E come uno de' dodici Apostoli di Cristo, riprovato da Dio, finalmente s'impiccò per la gola; così uno de' dodici compagni di santo Francesco, ch'ebbe nome frate Giovanni della Cappella, apostatando, finalmente impiccò se medesimo per la gola. E questo è agli eletti grande esempio e materia di umiltà e di timore, considerando che nullo è certo di dovere perseverare insino alla fine nella grazia di Dio.

E come que' santi Apostoli furono a tutto il mondo maravigliosi di santità e pieni dello Spirito santo; così que' santissimi compagni di santo Francesco furono uomini di tanta santità, che dal tempo degli Apostoli in qua il mondo non ebbe così maravigliosi e santi uomini: imperò che alcuno di loro fu ratto infino al terzo Cielo come santo Paolo, e questi fu frate Egidio; alcuno di loro, cioè frate Filippo Longo, fu toccato le labbra dall'Angelo col carbone di fuoco come Isaia profeta; alcuno di loro, cioè frate Silvestro, parlava con Dio come fa l'uno amico coll'altro, a modo che fece Moisè; alcuno volava per sottilità d'intelletto infino alla luce della divina Sapienza come l'aquila, cioè Giovanni Evangelista; e questi fu frate Bernardo umilissimo, il quale profondissimamente esponeva la santa Scrittura; alcuno di loro fu santificato da Dio e canonizzato in Cielo vivendo egli ancora nel mondo, e questi fu frate Ruffino gentile uomo d'Ascesi.

E così tutti furono privilegiati di singolare segno di santità, siccome nel processo si dichiarerà.

DI FRATE BERNARDO DA QUINTAVALLE PRIMO COMPAGNO DI SANTO FRANCESCO [II]

II primo compagno di santo Francesco fu frate Bernardo d'Ascesi, il quale si convertì in questo modo.

Essendo santo Francesco ancora in abito secolare, benché già avesse disprezzato il mondo, e andando tutto dispetto e mortificato per la penitenza, in tanto che da molti era reputato stolto, e come pazzo era schernito e scacciato con pietre e con fango da' parenti e dagli strani, ed egli in ogni ingiuria e scherno passandosi pazientemente come sordo e muto; messer Bernardo d'Ascesi, il quale era de' più nobili e ricchi e savi della città, cominciò a considerare saviamente in santo Francesco il così eccessivo dispregio del mondo, la grande pazienza nelle ingiurie, e che già per due anni così abbominato e dispregiato da ogni persona sempre parea più costante e paziente; cominciò a pensare e a dire tra se medesimo: «Per niuno modo può essere che questo Francesco non abbia grande grazia da Dio». E sì lo invitò la sera a cena e albergo; e santo Francesco accettò e cenò la sera con lui e albergò.

Allora messer Bernardo si pose in cuore di contemplare la sua santità; onde egli gli fece apparecchiare un letto nella sua camera propria, nella quale di notte sempre ardea una lampana. E santo Francesco, per celare la sua santità, immantanente che fu entrato nella camera si gittò in sul letto e fece vista di dormire; e messer Bernardo similemente, dopo alcuno spazio, si pose a giacere e incominciò a russare forte a modo che s'ei dormisse molto profondamente. Di che santo Francesco, credendo veramente che messer Bernardo dormisse, in sul primo sonno si levò del letto e posesi in orazione, levando gli occhi e le mani al cielo, e con grandissima divozione e fervore diceva: «Iddio mio! Iddio mio!»; e così dicendo e forte lagrimando stette infino a mattutino, sempre ripetendo: «Iddio mio! Iddio mio!», e non altro. E questo dicea santo Francesco contemplando e ammirando la eccellenza della divina Maestà, la quale degnava di condescendere al mondo che periva, e per lo suo Francesco poverello disponea di provvedere rimedio di salute dell'anima sua e degli altri; e però illuminato di spirito di profezia, prevedendo le grandi cose che Iddio dovea fare mediante lui e l'Ordine suo, e considerando la sua insufficenza e poca virtù, chiamava e pregava Iddio, che colla sua pietà e onnipotenza, senza la quale niente può l'umana fragilità, supplisse e aiutasse e compiesse quello che per sé non potea. Veggendo messer Bernardo per lo lume della lampana gli atti divotissimi di santo Francesco, e considerando diligentemente le parole che dicea, fu tocco e ispirato dallo Spirito santo a mutare la vita sua.

Di che, fatta la mattina, chiamò santo Francesco e dissegli così: «Frate Francesco, io ho al tutto disposto nel cuore mio d'abbandonare il mondo e seguitare te in ciò che tu mi comanderai». Udendo questo, santo Francesco si rallegrò in ispirito e disse così: «Messer Bernardo, questo che voi dite è opera sì grande e malagevole, che di ciò si vuole richiedere il consiglio del nostro Signore Gesù Cristo e pregarlo che gli piaccia di mostrarci sopra a ciò la sua volontà e insegnarci come questo noi possiamo mettere in esecuzione. E però andiamo insieme al vescovado dov'è un buono prete, e faremo dire la Messa e poi staremo in orazione infino a terza, pregando Iddio che nelle tre apriture del messale ci dimostri la via che a lui piace che noi eleggiamo». Rispose messer Bernardo che questo molto gli piacea; di che allora si mossono e andarono al vescovado. E poi ch'ebbono udita la Messa e stati in orazione infino a terza, il prete per priego di santo Francesco prese il messale e, fatto il segno della croce, sì lo aperse nel nome del nostro Signore Gesù Cristo tre volte: e nella prima apritura occorse quella parola che disse Cristo nel Vangelo al giovane che lo domandò della via della perfezione: Se tu vuoi essere perfetto, va' e vendi ciò che tu hai, e da' a' poveri, e vieni e seguita me. Nella seconda apritura occorse quella parola che Cristo disse agli Apostoli, quando li mandò a predicare: Non portate niuna cosa per via, né bastone, né tasca, né calzamenti, né danari; volendo per questo ammaestrarli che tutta la loro speranza del vivere dovessono porre in Dio, e avere tutta la loro intenzione a predicare il santo Vangelo. Nella terza apritura del messale occorse quella parola che Cristo disse: Chi vuole venire dopo me, abbandoni se medesimo, e tolga la croce sua e seguiti me. Allora disse santo Francesco a messer Bernardo: «Ecco il consiglio che Cristo ci dà; va' dunque e fa' compiutamente quello che tu hai udito; e sia benedetto il nostro Signore Gesù Cristo, il quale ha degnato di mostrarci la sua via evangelica». Udito questo, si partì messer Bernardo, e vendé ciò ch'egli avea (ch'era molto ricco), e con grande allegrezza distribuì ogni cosa a' poveri, a vedove, a orfani, a pellegrini, a monasteri e a spedali; e in ogni cosa santo Francesco fedelmente e provvidamente l'aiutava.

Veggendo uno, ch'avea nome messer Silvestro, che santo Francesco dava tanti danari a' poveri e faceva dare, stretto d'avarizia disse a santo Francesco: «Tu non mi pagasti interamente di quelle pietre che tu comperasti da me per racconciare le chiese, e però, ora che tu hai danari, pagami». Allora santo Francesco, maravigliandosi della sua avarizia e non volendo contendere con lui, siccome vero osservatore del Vangelo, mise le mani in grembo di messer Bernardo, e piene di danari le mise in grembo di messer Silvestro, dicendo che se più ne volesse, più gliene darebbe. Contento messer Silvestre di quelli, si partì e tornossi a casa.

E la sera, ripensando quello ch'egli avea fatto il dì, e riprendendosi della sua avarizia, e considerando il fervore di messer Bernardo e la santità di santo Francesco, la notte seguente e due altre notti ebbe da Dio una cotale visione, che della bocca di santo Francesco usciva una croce d'oro, la cui sommità toccava il cielo, e le braccia si distendevano dall'oriente infino all'occidente. Per questa visione egli diede per Dio ciò che egli avea, e fecesi frate Minore, e fu nell'Ordine di tanta santità e grazia, che parlava con Dio come fa l'uno amico coll'altro, secondo che santo Francesco più volte provò e più giù si dichiarerà.

Messer Bernardo simigliantemente ebbe tanta grazia da Dio, che spesse volte era ratto in contemplazione a Dio; e santo Francesco dicea di lui ch'egli era degno d'ogni riverenza e ch'egli avea fondato quest' Ordine; imperò ch'egli era il primo ch'aveva abbandonato il mondo, non riserbandosi nulla, ma dando ogni cosa a' poveri di Cristo, e cominciato la povertà evangelica, offerendo sé ignudo alle braccia del Crocifisso.

Il quale sia da noi benedetto in saecula saeculorum. Amen.

COME ANDANDO PER CAMMINO SANTO FRANCESCO E FRATE LEONE, GLI ESPOSE QUELLE COSE CHE SONO PERFETTA LETIZIA [VIII]

Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Leone il quale andava un poco innanzi, e disse così: «O frate Leone, avvegnadio che i frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione; nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è ivi perfetta letizia». E andando santo Francesco più oltre, il chiama la seconda volta: «O frate Leone, benché il frate Minore allumini i ciechi, stenda gli attratti, iscacci i demoni, renda l'udire a' sordi, e l'andare a' zoppi, il parlare a' mutoli e, ch' è maggior cosa, risusciti il morto di quattro dì; scrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando un poco, santo Francesco grida forte: «O frate Leone, se il frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio i segreti delle coscienze e degli animi; scrivi che non è in ciò perfetta letizia». Andando un poco più oltre, santo Francesco chiama ancora forte: «O frate Leone, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Angelo, e sappia i corsi delle stelle e le virtù delle erbe, e fossongli rivelati tutti i tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e degli uomini e degli albori e delle pietre e delle radici e delle acque; scrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiama forte: «O frate Leone, benché il frate Minore sapesse sì bene predicare, ch'egli convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; scrivi che non è ivi perfetta letizia».

E durando questo modo di parlare bene due miglia, frate Leone con grande ammirazione il domandò e disse: «Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia». E santo Francesco gli rispose: «Quando noi giungeremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta del luogo, e il portinaio verrà adirato e dirà: – Chi siete voi? – e noi diremo: – Noi siamo due de' vostri frati –; e colui dirà: – Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri: andate via –; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame insino alla notte; allora se noi tante ingiurie e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbazione e senza mormorare di lui, e penseremo umilmente e caritativamente che quello portinaio veramente ci conosca, e che Iddio il faccia parlare contro a noi; o frate Leone, scrivi che ivi è perfetta letizia. E se noi persevereremo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: – Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, che qui non mangerete voi né ci albergherete –; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Leone, scrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi, pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte, pur picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pur dentro, e quegli più scandolezzato dirà: – Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene com'ei sono degni –; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali noi dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Leone, scrivi che in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è vincere se medesimo, e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui, perché te ne glorii, come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, però che questo è nostro, e perciò dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo».

Al quale sia sempre onore e gloria in saecula saeculorum. Amen.

[1] Dall'ed. a cura e con prefazione di G. PETROCCHI, Alpignano, Tallone, 1973.

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UpUltimo aggiornamento: 10/12/06