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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

5. Giordano da Pisa

Fra Giordano è detto impropriamente da Rivalta o Rivalto, o dal nome della famiglia o da un villaggio nei pressi di Pisa, la quale è la sua città di nascita (nel 1260). Giordano entrò a vent'anni nell'ordine dei Frati Predicatori, e attese allo studio della teologia dapprima a Pisa, poi a Bologna, e infine a Parigi. Ritornato in Italia, insegnò le Sentenze, e cioè la teologia, nello Studio domenicano di Pisa, dal 1287; fu poi maestro a Perugia (1289), indi a Viterbo (1295), per poi recarsi nel 1301 al capitolo generale dell'Ordine a Colonia. Ancora per qualche anno (1303-1306) continuò l'insegnamento, ora a Santa Maria Novella in Firenze, e poi, nominato predicatore generale, attese all'eloquenza, sebbene talvolta ritornasse per brevissimo tempo alla scuola per supplire alle assenze di fra Remigio Girolami. Nel 1307 si dedica di nuovo all'insegnamento, questa volta della Bibbia, e ancora a Pisa; nel 1311 fu inviato a Parigi presso la Sorbona, ma durante il viaggio venne a morte, a Piacenza, il 19 agosto del 1311; venne sepolto nella chiesa di Santa Caterina a Pisa.


Dal «Quaresimale fiorentino 1305-1306» [1]

PREDICÒ FRATE GIORDANO MCCCV DI XVIIIJ DI FEBRAIO, SABATO MATTINA, AD LOCUM INTUS [VII]

«Iesus autem solus in terra». In questo vangelio si contiene sì come Iesù Cristo apparì agli apostoli, i quali erano nel mare ne la tempesta, e andava sopra l'acqua del mare; e come fuoro salvati per lui, e come il conobbero e adoraro. Or intra ·ll'altre parole che ·ssi contengono in questo vangelo si è questa che proponemmo, e avegna che questo vangelio sia tutto pieno di dottrina spirituale e di suttili e belli intendimenti, perché non potremmo dire di tutto in piccol tempo, sì predichiamo stamane di questa parola sola che dice il vangelo: «Iesus solus in terra».

«Erat navis in medio maris et lesus solus in terra». Dice che la nave era nel mezzo del mare, e Iesù solo in terra. Questa parola è da grande sentenzia e di molta sapienzia, che avegna che questo sia detto secondo la storia che fu, tuttavia, perché la Scrittura non si strigne pur a uno intendimento, ma ha molti intendimenti e grande profonditade, sì predicherremo del senno spirituale di questa parola. Per questa nave s'intende la santa Ecclesia, anzi potem dire tutta la natura umana, la quale è posta ne la tempestade e ne la varietade / di questo mare, cioè di questo mondo, nel quale non è altro che tempestade e mutamenti continui, ove non si trova né pace né tranquillità nulla. Il nigheo di questa nave, overo il marinaio, si è l'anima nostra. E dice che ·ssi affaticava remigando, imperò che tutta l'umana natura, tutte le genti durano grande fatica navigando e remigando per questo mare, acciò che possano venire al porto di salute: questo disiderio di vita eterna hae ogne gente, così il saracino, il giudeo, come 'l cristiano. Ma dice che 'l vento iera contrario – questo iera lo 'mpedimento di questa nave – e che nolla lasciava giugnere a porto, ma tenevala in pericolo e in tempesta. Per questo vento s'intende lo spirito, il buono e 'l rio: il buono non è contrario a questa nave, ma grande aiutorio; il reo spirito, cioè il demonio, questi è quel vento che sempre contasta a questa nave, acciò che perisca e non giunga a porto. Questo vento è altressì il malo spirito de la carne, la mala concupiscenzia, il disiderio vano de l'onore e di queste cose mondane e carnali. Questi sono i venti contrarii a questa nave, che ·lla 'mpediscono di venire al porto. Così potremmo sporre tutto l'altro vangelio. Or dice che Iesus era solo egli in terra, cioè a dire che solo Cristo è in pace, solo Cristo è in tranquillitade, solo Cristo è in riposo: questo è a dire che solo Iesù era in terra; e stando lui così, vide questa nave in tanta tempestade, e le fatiche in remigando in tante / contrarietadi e in tante mutazioni e varietadi. Solo Cristo è in terra, non è in tutto questo mondo che ·ssi possa dire da più che sia in terra, ma solo Cristo: solo egli è in pace e in riposo. Or tu diresti: «O i santi di paradiso, or non sono in terra, non sono in pace e in tranquillitade?». Dico che sì, che quando io parlo e dico che Cristo solo è in terra, e tutto 'l mondo è in tempesta, sì intendo del mondo di qua giù, nel quale siamo noi in questa vita; avegnadio che ancora de' santi si potrebbe dire, in quanto non l'hanno da ·lloro, ma da Cristo, e Cristo l'ha da sé.

E a mostrare come Cristo solamente è in pace e in riposo e in tranquillitade, e non tutto 'l mondo, sì 'l ti mostro per quattro belle ragioni: ratione prioritatis, ratione veritatis, ratione totalitatis, ratione eternitatis. Dico prima che solo Cristo è in tranquillitade e in somma requie, e questo ti mostro per la prima ragione, cioè perch'egli è principio di tutta pace e di tutta tranquillitade. Dicono i filosofi che quella cosa ch'è principio conviene che da quella vegnano tutte l'altre che participano di quella; sì come vedi de la luce del sole. Onde sono tutte le cose lucenti? Dal sole. E il sole onde è lucente? Da la luce. E la luce onde l'ha? Halla da sé. E così ti dico del calore: tutte le cose calde hanno il calore non da ·lloro, ma dal fuoco. Vedi il legno caldo, onde / l'ha? Dal fuoco. E 'l fuoco onde l'ha? Dal calore. E 'l calore onde l'ha? Pur da se medesimo. Differenzia hae dal caldo al calore, da luce a lucente, da la bianchezza al bianco, e è tale che l'uno può mancare, ma l'altro no. La cosa bianca può diventare nera, la bianchezza no; la cosa calda può perdere il caldo, o diventare fredda, ma il calore non mai. E così ti dico de la luce, e la ragione si è che la luce hae la luce da se medesimo naturalmente, e non da altro; l'altre cose lucenti l'hanno da la luce del sole, sì come da principio e da fontana. Così ti dico del calore e de l'altre. Così ti dico da Cristo: Cristo si è la prima pace, il primo riposo, la prima requie e quietudine. I santi non l'hanno da ·lloro medesimi, ma da Cristo tutti, sì come il legno è caldo dal calore; Cristo è la prima pace, e è pace verage. Non è Cristo al modo nostro: i santi sono pacificati da quella pace, non è Cristo pacificato, anzi è pace, che l'ha da sé e per sé, e non fuori da sé, è pace da natura. E però ch'egli è la prima pace, il primo riposo, è mistieri dunque che chiunque ha pace, che l'abbia da ·llui; e però che Cristo è la prima pace, e egli solo è pace e non altri, potem dire che Cristo solo sia in terra, egli solo sia in pace. Potrèilti ancor provare per la Scrittura copiosamente, e spezialmente le pìstole di Sam-Paolo. Pòssolti ancora mostrare per exemplo, e quanto all'universo e quanto alle religioni. Vedi come Cristo è vera pace. Quando / venne nel mondo tutti i contrarî congiunse: congiunse i gentili e i giuderi, congiunse i nobili cogl'ignobili, i signori co' servi, i savi co' semplici, gli omini colle femine, però che Cristo non fa differenza di nullo. E questo si mostrò massimamente negli 'mperadori: non si vergognò Theodosio imperadore di ricevere la fede perché vedesse alquanti poverelli cristiani; non si vergognaro i filosofi di ricevere la fede perché vedessero a la fede alquanti poverelli sanza lettera. Vedi altressì quando egli venne nel mondo: pone Santo Augustino nell'Orosio che anzi Cristo il mondo non ebbe mai pace, e sempre fue in tempesta e battaglia; incontanente che venne Cristo fu la pace per tutto 'l mondo, tale che mai non fu più e non si aspetta. E che Cristo solo congiunga e accordi e pacifichi tutte le liti e discordie, questo puoi vedere massimamente ne le religioni. Questa è grande maraviglia: quivi sono adunati nobili e ignobili, ricchi, poveri, belli, laidi, dilicati e grossi. Che è questo, a essere tutti sotto uno pane, uno vino, una cucina, una regola, a un vestimento, che ·cci ha tante diversitadi e tante volontadi? Vedete pur quante sono le volontadi degli uomini e come sono divisate. Potetel vedere pur a' colori de' vestimenti di catuno: l'uno è rosso, l'altro / verde, l'altro cilestro, l'altro bicio, e così non è l'uno di quello colore che l'altro. Che è a dire tante condizioni e volontadi congiunte e adunate e pacificate e acordate insieme, ch'è l'uno di Francia, l'altro di Spagna, l'altro de la Magna, l'altro di Toscana? Grande cosa è questa a pénsarce, molto: qui puoi vedere la virtù di Cristo. Chi gli ha così concordati? Solo Cristo, il quale è la vera pace, e è la prima, e è cagione di tutte l'altre. Questo ti posso ancora mostrare pur per la ragione tua. Che è pace? Pace, secondo i filosofi e i santi, significa riposo, stato ove non è nullo mutamento. Movimento è segno di discordia e di lite, e non di pace. Vedi i monti come stanno fermi: avegna che vi soffino i venti, non si muta però, sta pur fermo. Così è Cristo monte fermo, e non solamente egli, ma chi a ·llui s'acosta, sì diventa monte. Odi il Profeta: «Qui confidunt in Domino sicut mons Sion, non commovebitur in eternum», chi ·ssi confida in Dio e spera in lui e acostasi a ·llui, questi si è come uno monte fermo. I mondani sono mossi continuamente.

La seconda ragione per la quale Cristo è solo in pace, e gli amici suoi, si è ratione veritatis. Ciò che ·ssi dice di Cristo si può dire de' santi e degli amici suoi di questo mondo, però che ·cciò che ·ssi dice del capo si può dire de le membra. Onde non può avere il capo sanitade, che / l'altre membra non ne sieno partefici. Nullo è in pace, se non solo Cristo e gli amici suoi e quegli ch'a ·llui s'acostano. La pace de' mondani non è vera pace, non voglia Dio, ma è pace falsa, vana, che pare e non è; e la ragione si è perché non hanno la pace di Cristo, ch'è vera pace, e fuori di lui non è pace. Dunque la pace de' mondani non è pace, che non può essere. La pace di Cristo è dentro ne l'anima: il mondano pare ch'abbia alcuna pace di fuori, ma egli è dentro pieno di fiamma e di tempestade. La vera pace è quella dentro: la casa che arde dentro e ècci appreso il fuoco, avegna che non arda ancora di fuori, non ha però pace, tosto si scopirrà, tosto arderà quel di fuori e dentro; così è de' mondani. Vuoli vedere come e' non hanno pace, e come sono in tempestade continua? Poni mente quanti disideri egli ha, e non ne può compiere neuno. Vedi quante volontadi egli hae: vuole e non vuole, e non sa che ·ssi vuole. Vedi quante cose sono quelle che gli dispiacciono, e non vorrebbe che fosse così, e non le può mutare né azzicare, e in quanto timore egli sta continuamente d'ogni parte di molte cose ch'egli ode e vede che potrebbono intravenire, che di tutte teme e ha paura. E però dice la Santa Scrittura: / «Non est pax in corde impii». E altrove dice: «II cuore del peccatore e del mondano è come il mare boglien vel fervente, nel quale non è requia». Non è questo del santo omo e de l'amico di Cristo, imperò che s'appaga di ciò che Idio fa, e rimette in Dio tutte le cose, e sta contento e pacificato di ciò che interviene, e non ha guerra né discordia con nullo, come dice Santo Paolo: «Pacem habeatis cum omnibus hominibus, si fieri potest». Vuoli tu sapere se ·ttu se' con Cristo? Se ·ttu ami tutti gli uomini e non hai discordia né odio con neuno, almeno da la tua parte, che perché altri sia nemico a 'tte, non sii tu però nemico a ·llui né nocivo. Se vuoli vedere ancora la tempesta de' mondani, asciutti e privati da pace, sì 'l vedi pur all'operazioni loro. Vedi in quante opere mettono mano, e in quante cose e in quanti traffichi: or a questa cosa or a quell'altra, ora corre nell'oste, e non han istato; or qui, or colà, or giù, or su, e non trova luogo, se non come 'l mare che tempesta continuamente e non può stare in luogo. Or lo metti colà in casa, e di' che vi stea pur sei mesi fermo: non vi starebbe per cinquanta livre, non per cento. Non è così de l'amico da Dio: mettilo in una cella, staracci cinquanta anni e sessanta, e non uscirà, e non se ne curerà. Or che è questo a udire? Segno manifesto è ch'egli è tranquillato e è pacificato, quando vedi che / non si cura d'uscirne, anzi gli sa buono. Or mi rinchiudi uno mondano in una cella, e di' che vi stea cinquanta anni. Vedrai com'egli 'l farà! Se gli dessi una cittade, non vi starebbe, non per uno reame: gli parrebbe essere pregione, che gli gioverebbe? E però vedi come tempestano! Il riposo significa pace, il movimento difetto e discordia. Or se ·ttu dicessi degli apostoli: «Perché andavano per lo mondo e mutavano così i luoghi?» questo mutamento non iera per difetto, ma tutto venia da la pace loro, però che aveano disiderio di dare al mondo quella pace ch'aveano eglino, o di fàriine partefici. A questo modo fanno i religiosi. Disse il lettore: il nostro movimento è pur per voi, cerchiamo la cittade e andiamo predicando pur per voi, per darvi la pace e per fàrvine partefici. Molto più volontieri ci staremmo in cella e non usciremmo fuori, e più riposo n'avemo, troppo più. E disse egli: io vorrei volontieri starmi ora in cella parecchie anni, e non uscire fuori, e sarebbemi molto a grado e molto utile.

La terza ragione per la quale Cristo e le membra sue sono in pace e in riposo si è ratione totalitatis, però che hanno pace perfetta, e sono pacificati in tutte le cose. Non è così de' mondani. Vedi l'avaro usuraio quante cose egli ha: / casa, tórre, moglie, figliuoli, campo, vigna, cavallo, danari. Or poni mente in quante cose egli ha pace o è tranquillato. Io dico che non in neuna: se 'l domanderai del campo, vorrebbe che fosse migliore terra; de la tórre, vorrebbe che fosse più alta o altrove; de la vigna, vorrebbela altrimenti; e così della moglie e de' figlioli, e di ciò che ha. Io dico che se ·ttu cercherai quante fonde egli ha de' danari, e dimandera'lo di ciascheuna, io dico che non è contento di neuna: in ciascheuna vorrebbe che avesse più che non vi n'ha. E così ti dico di tutte le cose: non ha pace in nulla, in tutte ha guerra e cosa che gli dispiace. Non è così la pace di Cristo, imperò ch'egli è pacificato in tutte le cose, e così gli amici suoi e che a ·llui s'acostano in tutte le cose sono pacificati, e di ciò c'hanno tutti gli uomini. Deo gratias. De la quarta, ratione eternitatis, diremo già.

PREDICÒ FRATE GIORDANO MARTIDÌ SANTO SEGUENTE, IN PLATEA AD LOCUM IN MANE [LXXX] /

«Tristis est anima mea usque ad mortem».

La Passione di Cristo fu una virtù, una medicina generale a tutti i mali, a tutte le 'nfermitadi di tutti gli uomini del mondo, che fuoro infino dal principio e che saranno insino a la fine del mondo. A ·mmodo, dicono i santi, ch'aopera la virtù del sole, ch'è principio di tutte le cose che nascono, ma non ha potenzia mai di fare nascere sanza 'l seme, ma la virtù sua coll'aiuto del seme e altre cose, sì nasce; così chiunque hae la materia aconcia dal suo lato, aggiunta a la virtù di Cristo, è sanicato. Fece e ordinò Cristo tutte le medicine, e diverse, per le diverse infermitadi, a ·mmodo del medico che non tiene pur d'una medicina, ma dimolte. Queste dicono i santi che sono i sacramenti. Sacramento suona «vasello di grazia e di medicine»: ne' sacramenti, in questi sette vaselli, sono riposte e contengono le medicine e curazioni che 'l Figliuol di Dio ordinò, e avegna che 'l medico ordini e faccia le medicine, non però operano la virtù loro in tutti, ma solamente in coloro che ·lle si apropriano e che ·lle prendono. Così la Passione di Cristo, quanto più la t'adatti, e più l'usi, o leggendo o pensando o udendone predicare, tanto ti fa più prode; altressì quanto più la senti, e più participi di quel dolore, più ricevi de la curazione e dell'utilitade. E però è buono che ·ssi predichi, e spesso, de la Passione di Cristo, chè quanto più se n'ode e più si riduce a ·mmemoria, maggior virtù opera in te e più efficace a spregiare il mon/do, a dare le virtudi, a fare nascere in te la carità di Dio, e fatti più figliuolo di Dio.

E però al nome di Dio cominceremo a predicare de la Passione di Cristo, e predicherenne per un modo nuovo, che non vi ne predicai mai, e che non si usa di predicarne. E mosterremo come la Passione di Cristo fu la più acerba passione, e la più forte che in questo mondo potesse essere; la quale passoe tutte le pene e tutti i tormenti di tutti gli uomini del mondo, che fuoro o che ·ssaranno, che tra tutte adunate insieme non fuoro tante né s'aguagliaro a la pena propria di Cristo. E questo fue da due parti: l'uno si è per la pena corporale sensibile, l'altro per la pena mentale. Adunando queste due cose insieme, la pena di Cristo passò tutte le pene di questo mondo, di tutti gli uomini; e non che abendue, ma pur la mentale per sé, sanza la corporale passò tutte le pene di questo mondo. La corporale per sé, se bene ancora volessimo considerare la pena sua e tutte le circonstanzie ch'acrebbero la Passione sua, ancora questa per sé passò tutte le pene di questo mondo. A dire di questa conviensi più nel dì de la Passione sua. Diremo dunque de la pena e passione mentale, de l'anima, ch'è appellata per li savi tristizia e dolore; di questa diremo prima perché ·ssi conviene, che questa passione s'incominciò e ebbe Cristo prima che la corporale. E questa è la parola proposta, che Cristo disse presso a la Passione: «Tristis est anima mea usque / ad mortem».

Qual sia maggiore tra la pena sensibile o corporale, overo la mentale, non ci è aguaglio nullo, troppo smisuratamente è maggiore la mentale che la corporale! Questa passa tutte le pene corporali. Pena corporale può essere dentro o di fuori: di fuori quando se' percosso e battuto, dentro per febri e altri malori. La mentale si è tristizia non di pena propria, sì come quando t'è arsa la casa, o mortoti il marito, ché eziandio che non sia presente, ma pur absente, che se fosse mei in Francia, sì ·tti dà pena. O non vedi che alcun'otta è tanto il dolore mentale, ch'alleggerebbe l'uomo o la donna spesse volte la morte per lo dolore del marito? La bestia hae in alcun modo dolore mentale, come l'orsa quando l'è tolto il figliuolo. Poco dolore può avere la bestia, ma l'uomo il può avere sommo, perché comprende più cose e da la lunga: la bestia prende pochissimo e non da lungi, ma presente, come quando vuole essere uccisa, che vede il coltello, allora si comincia a tristare, non prima. Quanto maggiormente Cristo, che vedea tutte le cose! L'uomo vede pochissime cose, non che gli altrui, ma non pur i suoi fatti. Ecco che la pena e Passione di Cristo passò e vinse tutte le pene non solamente corporali, ma mentali di tutti gli uomini del mondo, quanti fuoro o saranno, troppo più, però che la sua pena mentale fu quasi infinita.

E questo è da mostrare per quattro ragioni, le quali fecero in lui questo tormento: propter doloris magnitudinem, / propter diuturnitatem, propter puritatem et propter simultatem. Cioè perché 'l suo dolore passò in grandezza tutti i dolori; l'altra si è perché bastò lungo tempo, per la bastanza; l'altro si è perché quella fu pena pura, sanza nullo mischiamento di consolazione; l'altra per l'aggregazione, ché tutte fuoro in lui insieme a un tratto: noi non possiamo avere molti mali insieme, ma pochi. Diremo stamani pur de la prima, cioè come la pena di Cristo, pur la mentale, passò tutte le pene di questo mondo in grandezza; e questo potemo vedere, se consideriamo tutte quelle cose le quali acrescono e acrebbero la pena sua. E queste fuoro quattro: propter scientiam, propter sapientiam, propter benivolentiam et propter potentiam. Primo dico che ·ssi mostra la grandezza de la pena di Cristo mentale, prima per la scienza ch'ebbe, che conobbe e vide, come se in presenza gli fossero, tutte le cose che fuoro e che erano e che saranno. E questa scienza gli acrebbe la pena per quattro grandi mali che vide: prima per lo male temporale, per lo male spirituale, per lo male eternale, e per lo male di purgatorio.

Prima per lo male temporale, che vide tutte le pene e tutte l'afflizioni di tutte le genti. L'uomo giusto si dee dolere del male temporale del prossimo, e è virtù d'uomo santo d'avere compassione e dolore de l'aflizione altrui. Questo diede in Cristo somma pena per due ragioni: l'una per la scienzia perfetta ch'avea, / l'altra per la virtù perfetta. Ecco che io ti pongo tali due fondamenti, cioè perfezione di scienzia e sommo grado di virtude, ché per queste ragioni tutti i filosofi del mondo non potrebbono contradire; e però vogliono i santi di necessità che Cristo portasse in se tutte le pene di tutti gli uomini, e conviene che questo sia di necessità. Il fanciullo, quando si muore il padre, non ha dolore, ché non ha conoscimento. Ancora l'aflisse in questa ragione la pena sua propria sommamente, che vide che dovea sostenere. Dice Aristotile alta parola, che quasi parlò per bocca di Dio; disse che tanto l'uomo hae più innodio la morte, quanto e' si sente omo di maggiore virtude, pensando che la sua vita non nuoce a nullo, e vedendo che la sua vita è utile a molti. I peccatori non s'amano, dagli altri sono odiati, e egli medesimi s'innodiano; non è così de' buoni omini, e specialmente de' migliori. E però se questo è vero, ch'è verissimo, la pena di Cristo fu la più forte ch'essere potesse, però che vedea che la sua vita non nocea a nullo; vide altressì che la sua vita era utilissima al mondo, anzi necessaria, e aveane il mondo sommo mistieri, e conosceasi perfetto e santo; per la qual cosa egli odiò più la morte che tra tutti gli uomini che ·mmai fuoro o saranno. E però di ciò ebbe dolore e tormento inestimabile, e però ch'egli vide dinanzi tutta la Passione sua e tutte le pene / che dovea avere. Altressì l'afflisse per questo modo il dolore e la pena che vedea a la Madre sua: tutta quella pena ch'ebbe la Madre, tutta l'ebbe egli in sé. Queste sono alte cose e maravigliose, e sono tutti detti de la Scrittura Santa, e tutte parole de' santi, e sono veragi.

Aflisselo ancora i mali spirituali, cioè il male de la colpa, cioè del peccato mortale: questo fu il dolore de la contrizione. II dolore del contrito dee essere il piu forte e 'l maggiore che ·ssia, più che di tutti i mali e pene temporali, e chi conoscesse bene il peccato mortale n'avrebbe sommo dolore, ma e' non si conoscono bene eziandio per gli uomini più santi. Ecco Davìd profeta dice che nogli conobbe: «Delicta quis intelligit?». E quanto l'uomo più li conoscesse, più piagnerebbe, e e proprietà de' santi òmini dolersi de' mali altrui, del prossimo, e specialmente de' mali spirituali, quando gli vede in peccato. Questa passione e degli uomini santi e che hanno virtù. E però Cristo si dolfe di tutti i peccati, non de' suoi, ché non gli avea, ma degli altrui, onde e' vide tutti i peccati e mali spirituali, de' quali e' si dolfe, di catuno per sé, più che non fece anche nullo santo omo di nullo suo peccato, e ebbe tutti questi dolori in sé di tutti i mali spirituali di tutti gli uomini del mondo, ch'erano e che fuoro e che doveano essere o saranno. Sì che il dolore di Cristo da questa parte crebbe, e fu in tanta copia, che quasi fu infnito. E spezialmente l'aflisse il peccato / de' giuderi e quello de' discepoli, ché vide che doveano cadere, come quello di Santo Piero, che ·ssi dice che 'l pianse ben quaranta anni. Più pena n'ebbe Cristo di lui, e portò pena di tutti i nostri peccati. E però ora intenderai, quando odi dire che la penitenzia, cioè la contrizione de' peccati, è parte de la croce di Cristo, e de la pena di Cristo: cioè che hai dolore e contrizione con Cristo insieme de' peccati tuoi. Il quale dolore portò Cristo per te e di te troppo più che non fai tu, però che seppe tutte le cose, come disse Sam-Piero: «Domine, tu cognosci tutto, tu sai ch'io t'amo». E Santo Ioanni dice di Cristo: «Sciens quia omnia dedit ei Pater in manus»; se glile diede, tutte le cose, fu bisogno che tutte le conoscesse. E però e' disse per lo profeta: «0 vos omnes qui transitis per viam, videte si est dolor sicut dolor meus»; parla a tutti gli uomini che passano per la via di questo mondo, non disse agli angeli, ché quelli conobbero bene la Passione sua, e però dice a ·nnoi che siamo ne la via; gli angeli non sono in via, ma nel fine.

Aflisselo altressì il male eternale, che vide tutti gli uomini i quali si doveano salvare, e andare a quelle pene, o doveansi così partire da ·llui, in modo che ·mmai non poteano ritornare. Questo l'aflisse di somma aflizione: se 'l santo omo vedesse che alcuno si dovesse dannare, avrebbegli compassione grande secondo il conoscimento ch'egli n'avesse. Questo male afflisse Cristo di somma afflizione, ché pur de la perdizione d'uno gli diede somma afflizione. Che pena e che dolore e quanta / afflizione dovea avere de la perdizione di tutti quelli che vide che ·ssi doveano perdere! E spezialmente l'aflisse la perdizione de' giuderi, di quelli che ·ssi perdero e che non si convertiro. Onde, vegnendo egli a Ierusalèm, veggendo la città, pianse amaramente, e disse inverso lei: «Quia si cognovisses et tu». Cioè: tu non piagni, che non vedi i mali tuoi, ma io, che gli veggio, porto questa pena per te. Ancora l'aflisse il male e le pene che vide, eziandio pur ne' salvati, cioè in quelle che doveano patire nel purgatorio, ché tutte queste erano per loro difetto, e tutti ierano mali e pene: di tutti portò Cristo somma pena.

De la seconda cosa, onde Cristo fu sommamente afflitto, cioè per la sapienzia, diciamo pur un poco. Scienzia si è conoscimento di queste cose, sapienzia si è cognoscimento del volere di Dio, e de le sue secrete cose, e de le cose divine. E però questa sapienzia altissima di Cristo diede in lui, e fu cagione e orrigine di pena inestimabile in quelle cose che dette sono; cioè che vedea il male temporale e lo spirituale del peccato, e che ·ssi rompea il comandamento di Dio, e vedea il fine di tutte le cose. Questa differenzia hae da la sapienzia di queste cose a la scienzia, che Cristo non solamente vide tutti i mali di questo mondo e de l'altro per numero, ma videli in quantità; cioè tutta la malizia, tutto 'l danno e tutte le circonstanzie, e 'l peso e 'l valore di ciascuna cosa. E per questa ragione non si dolea d'ogni male e afflizione corporale del prossimo, cioè di quella ch'egli vedea ch'era / utile a la salute de l'anima, chè nullo santo omo si dee dolere del male, di nullo del quale egli crede che sarà utile a l'anima sua, e che ·ssi rimanga da male, overo che ·nne diventi migliore. Ma doleasi Cristo di tutti i mali temporali, i quali egli vedea ch'erano impedimento a le virtudi, e alla salute de l'omo; e di questo avea sommo tormento ne l'anima sua. Altressì che conoscea il peccato, la gravezza sua, e 'l male che fa: gli uomini non conoscono i peccati, che s'egli conoscesse bene la malizia quanta è, e 'l male che fa, e 'l bene che toglie, or chi peccherebbe? Ma non si conosce bene, eziandio per li santi òmini. Or che intendi tu che ·ssia inferno o paradiso? Ben l'odi dire, ma che ·nne puoi tu sapere? E però non te ne curi, e se ·tti ne curi si è poco, e poco ti ne duoli; ma se bene il conoscessi, quasi smemorresti. Or quanta fu dunque la pena di Cristo che porto in sé, quando si dolfe di tutti i peccati di tutti gli uomini? Non si potrebbe non che dire, ma pur pensare. Altressì che ·ssi ne rompea il comandamento di Dio, e 'l male vedea chente era, e altressì vedea il fine perfettamente di tutte le cose. Sommo dolore fu in quella anima, che dovete sapere che non ne la divinità sua, ma ne l'anima erano tutte queste pene, per la speculazione e visione chiara di tutte le cose, e per la perfezione de la santità sua, ch'era una cosa con Dio unito.

Di / questa sapienzia non diciamo più; avemo dunque veduto de la Passione e de le pene di Cristo mentali, come passano tutte le pene, e tutte l'aflizioni, e tutti i dolori che sono, che fuoro o che saranno per tutte le genti insieme e troppo più, e questo avemo veduto per due ragioni, ch'erano quattro; de l'altre diremo inanzi. Deo gratias.

[1] Dall'ed. critica a cura di C. Delcorno, cit., pp. 27-34, 383-389.

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UpUltimo aggiornamento: 10/12/06