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Didattica > Strumenti > Scrittori religiosi del Trecento > Testi, 6

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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

6. Bartolomeo da San Concordio

Nato a San Concordio, nei pressi di Pisa, nel 1262, Bartolomeo entrò nell'Ordine domenicano sui quindici anni, presso il convento di Santa Caterina a Pisa. Dopo aver studiato diritto e teologia a Bologna, proseguì i suoi studi a Parigi, a partire dal 1283, per poi insegnare nelle scuole domenicane di Todi, Roma, Firenze, Arezzo, Pistoia, e infine Pisa, ove fu direttore dello Studio dal 1336, e dove venne a morte nel 1347.

Scrisse i Documenta antiquorum, che volgarizzò sotto il titolo di Ammaestramenti degli Antichi, e tradusse il Bellum Catilinarium e il Bellum Jugurthinum di Sallustio; l'opera sua più nota è la Summa casuum conscientiae, volgarizzata dal beato Giovanni dalle Celle e anche detta la Pisana o Pisanella, la Bàrtolina o il Maestruzzo, ma sono anche da ricordare alcuni suoi scritti grammaticali, De arte metrica, De dicionibus proferendis e De dicionibus scribendis.


Dagli «Ammaestramenti degli Antichi» [1]

CHE A GENTE ROZZA NON SI DEBBONO PREDICARE ALTE COSE [RUBRICA VII ]

1. Sì come a popolo rozzo non si deono dire cose lunghe ma brievi, così non cose profonde ma lievi.

2. Paolo, prima ad Corinthios. Io a voi, sì come parvoli di Cristo, latte v'ho dato non esca. E dice ivi la Chiosa, che lìApostolo a coloro, sì come ad uomini grossi, predico cose minori e non profonde.

3. Gregorio, decimoseptimo Moralium. Non dee il predicatore agl'infermi uditori dire tutto ciò che sente, né predicare a' rozzi ciò che conosce.

4. Gregorio, nel Pastorale. L'alte cose a molti uditori si deono coprire, ed a pochi appena dire.

5. Rabano, sopra lo libro Numeri. Ad adunare lo popolo comandò Dio che fosse semplice suono di trombette e non suono dirotto, imperò che chi alla moltitudine predica la parola di Dio, semplice ed aperto dee parlare, a ciò che molto lo 'ntendano e sienne ammaestrati; ché, se oscuramente e disusato dire volesse, gli uditori ne vadano vòti.

6. Autore. A' rozzi popoli alte cose dire par che sia un volersi mostrare.

7. Gregorio, nel ventesimo de' Morali. Lo predicatore dee se medesimo ritraggere, e condiscendere alla 'nfermita degli uditori, a ciò che non gli divenga che, quando parla a' piccoli alte cose e che non fanno loro pro, curi più di mostrare sé che di giovare a loro.

8. Ieronimo, a Nepoziano. Avvolgere parole e appo 'l popolo non savio maravigliamento di sé fare, quello e proprio de' non dotti uomini. E niuna cosa è sì leggiere com'è ingannare per involvimento di lingua lo vile popolo e la non dotta moltitudine; la quale di ciò che meno intende, più si maraviglia.

9. Aristotile, nel primo dell'Etica. Quelli che si veggiono non sapere, si maravigliano di coloro che dicono alcuna grande cosa e sopra lo 'ntendimento loro.

CHE LA DOTTRINA SI DEE VARIARE [RUBRICA VIII ]

1. Il dottore insegnando e 'l predicatore predicando dee variare, però che le cose variate più si convengono.

2. Nel secondo de' Maccabei. Si come sempre bere vino o sempre acqua è cosa contraria, ma usare dell'uno e dell'altro è dilettevole, così a' leggitori, se sempre le parole sieno composte igualmente, non sono graziose.

3. Gregorio, in prologo sopra l'Ezechiele. Quando io mi penso che spessamente, fra 'l continuare delle dilicate vivande, eziandio i vili cibi hanno soave sapore, màndoti le cose menome a te che leggi le grandissime.

4. Bernardo in Apologetico. La varietà toglie fastidio.

5. Cassiodoro, Epistolarum libro terzo. Usanza umana è che le svariate cose danno dilettevole sapore; e quantunque in uso sieno le nobili vivande, fastidio fa ogni cosa che sazia.

6. Cassiodoro, ivi, libro septimo. Niuno dubita che gli uomini per soave varietà si riconfortano, però che nel continuare delle cose si genera fastidio. La dolcezza del mele a chi 'l continua viene dispiacevole.

7. Tullio, nel primo della Vecchia Rettorica. Molto si conviene studiare di variare lo dire, però che in ogni cosa simiglianza è madre di saziamento.

8. Tullio, nel terzo della Nuova Rettorica. La varietà massimamente diletta l'uditore.

9. Ne' proverbi de' filosofi. Niuna cosa e dilettevole se non quella che per variamento si rifà.

10. Seneca, quarto Declamationum. Il nostro libretto sempre abbia alcuna cosa novella, a ciò che ce ne faccia venire voglia non solamente per novità di sentenze ma ancora per novità d'autori. Più forte è il desiderio di conoscere quello che l'uomo non sa, che di ripetere quello che sa. Questo vedemo noi ne' giullari, questo negli schermidori, ne' dicitori e in ogni altra cosa: che alle novità corrono le persone.

11. Quintiliano, octavo de Oratoria Institutione. Ne' grandi conviti spesso addiviene che, quando dell'ottime cose siamo saziati, la varietà eziandio delle vili piacevoli ci sia.

12. Autore. Una speziale cagione di variare uno medesimo detto pone Agustino, quarto de Doctrina Christiana, cioè a ciò che sia inteso; onde dice così: La moltitudine, desiderosa di sapere, suole per suo movimento mostrare quando ha inteso la cosa; onde infino a tanto che ciò mostri, è da risolvere quello che uomo dice con molta varietà di dire.

DELL'UTILITÁ DELLA SANTA SCRITTURA [RUBRICA IX]

1. Fra l'altre dottrine e sopra tutte, la santa Scrittura arreca nell'animo molti beni, anzi tutti.

2. Nel libro Sapientiae. Ogni bene è venuto a me colla sapienzia divina.

3. Agustino, secondo de Doctrina Christiana. Ciò che l'uomo di fuori della divina Scrittura abbia apparato, se nocevole è, in essa si condanna; se utile è, in essa si truova, e quando l'uomo avrà quivi trovato tutte quelle cose le quali utilmente apparo altrove, molto più abbondevolmente troverà ivi quelle cose che in niuno altro luogo trovare poté.

4. Ieronimo, sopra la pìstola ad Ephesios. Se alcuna cosa è la quale in questa vita mantenga l'uomo savio, e che conforti l'animo di dimorare quieto tra l'angosce e tempestadi di questo mondo, quella cosa credo io che principalmente sia la santa Scrittura e 'l suo studio.

5. Ieronimo, in una Pìstola. Usa la santa Scrittura in vece di specchio, le sozze cose racconciando, le belle conservando e più belle faccendo, perché la Scrittura specchio è che le laidezze mostra e insegnale rammendare.

6. Gregorio, nel secondo de' Morali. La santa Scrittura agli occhi della nostra mente è posta come uno specchio, a ciò che la faccia del nostro animo in lei sia veduta. Quivi conosciamo le nostre sozzure, quivi sentiamo quanto facciamo pro, e quivi quanto del fare pro siamo dilungati.

7. Gregorio, nel ventesimo de' Morali. La santa Scrittura ogni altra scienzia e dottrina sanza niuna comperazione molto trapassa, in quanto vere cose predica, alla celestiale patria chiama, da' terreni desiderii muta il cuore a' sovrani, con detti oscuri dà che fare a' savi, con parole umili lusinga i parvoli. Non è sì chiusa che uomo se ne debbia spaventare né sì palese che avvilisca; per uso toglie fastidio e tanto è più amata quanto è più ripensata; l'animo del leggitore con umili parole aiuta e con alti intendimenti leva; per alcuno modo cresce co' suoi leggitori; da' rozzi lettori quasi e riconosciuta e da' dotti sempre è nuova trovata.

9. Gregorio, sopra l'Ezechiele. La Scrittura santa mostra sua diritta statura nello 'nsegnare de' costumi e sua altezza nel promettere guiderdoni. Mostra orribile aspetto nello spavento de' tormenti; diritta è ne' comandamenti, alta nelle promesse, orribile nelle minacce.

9. Isidoro, terzo de Summo bono. Doppio dono arreca lo leggere della santa Scrittura, cioè che la mente ammaestra, e levando l'uomo dalle vanità del mondo, perduce al divino amore.

10. Cassiodoro, nono Epistolarum. Lo leggere della divina Scrittura conferma ne' buoni costumi, perché sempre si fa bene quando la celestiale paura s'oppone all'impeto delle umane volontadi. Da essa si prende manifesto cognoscimento di tutte virtudi, da essa sapienzia condita di varieta, sì che a tutte cose diventa umile quegli che e ammaestrato dalla dottrina celestiale.

11. Cassiodoro, ivi, libro decimo. Dalle ecclesiastiche lettere siamo noi sempre ammoniti di quelle che per noi fa: cioè giudicare lo diritto, volere lo bene, venerare le cose divine, e ripensare i giudicii che sono a venire.

12. Ugo, primo de Anima. Niuna cosa in questa vita si trova più dolce, niuna cosa così disparte la mente dall'amore del mondo, niuna cosa così contra le tentazioni inforza l'animo, niuna cosa così isveglia ed aiuta l'uomo, come lo studio della santa Scrittura.

[1] In Scrittori di religione, cit., pp. 76-79.

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UpUltimo aggiornamento: 10/12/06