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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

7. Giovanni dalle Celle

Giovanni da Catignano (piccolo borgo nei pressi di Firenze), detto poi dalle Celle per il lungo soggiorno nel romitorio di questo nome presso Vallombrosa, nacque nel 1310 circa, figlio del nobile Guido da Catignano, e giovanissimo si fece monaco vallombrosano a Santa Trinità a Firenze, ove divenne abate. Dopo un anno di prigionia per una serie di eccessi, tra i quali uno apparve quasi un crimine, si ritrasse nell'eremo delle Celle, dove visse fino alla morte, nella primavera del 1394. Fu in rapporto con santa Caterina; particolarmente rilevante la sua corrispondenza con Luigi Marsili. Scrisse varie prediche e molte lettere, in latino e soprattutto in volgare; gli vengono attribuiti anche volgarizzamenti dei Paradossi e del Somnium Scipionis di Cicerone, ma solo il volgarizzamento della Summa casuum conscientiae di Barfolomeo da San Concordio sembra suo.


Dalle «Lettere» [1]

DON GIOVANNI A DONATO CORREGGIAIO; E NARRAGLI LE CAGIONI DELLA SUA STANZA NEL DISERTO: INSEGNAGLI LA FUGA DEL MONDO E DE' SUOI LACCI: E INNARRAGLI CERTI MIRACOLI [VIII]

In nomine Jesu Christi. Amen.


Sappi, che tutte quelle cose, ch' io scrissi a Guido, de' serpenti di questo diserto, son vere, e sanza alcuna menzogna: e molte altre cose arei potuto dire, se non ch'io temetti, non farlo cadere in infedelità, e credesse, ch'io sotto spezie di giuoco dicessi tali cose; ma io nol fare' mai, perché la Scrittura dice, che l'uomo, che mente, uccide l'anima sua. Onde testimoni mi sono quanti uomini ha in queste valli, che 'l vidono, ch'io vidi appiccato dinanzi alla chiesa della badia uno osso di schiena di serpente sì grande, che se io non sono ingannato, pare di grandezza di un porco di cinquecento libbre; ma questo abate il fece sotterrare pe' molti domandatori. Scrissi quelle cose a Guido nostro, per farli crescere divozione; che sai, che 'n Vita Patrum molte narrazioni v'ha di tali serpenti, de' quali alquanti erano grandi come travi, alquanti come buoi, siccome tu medesimo, ed egli avete letto più volte. E non gli scrissi quelle cose, perch'io credessi impedire sua venuta, il quale io veggio volentieri, come caro figliuolo, e fratello; avvegnaché la sua venuta non mi dia gaudio sanza tristizia. Gaudio mi dà; perché prendo diletto della sua divozione, veggendo, e considerando, con quanto amore sale questo altissimo monte: dammi tristizia, veggendo, che in me non è virtù, né grazia, per la quale io possa rispondere alla sua purissima fede; e non gli posso dare quella consolazione, si richiederebbe a tanta fatica; avvegnaché al dì d'oggi mi sia consolazione, di non vedere criatura: e quanto posso, mi spicco da loro, per potere meglio curare le fedite dell'anima mia; sanza le quali vivere non si può in questo diserto, e pellegrinazione del mondo, per gl'innumerabili morsi de' serpenti invisibili, de' quali tutto questo mondo n'e pieno. Onde voglio, che sappi, che 'l diserto terribile, nel quale abitò il popolo di Dio quaranta anni, fu figura di questo mondo; dove dice la Scrittura, che furono morsi di serpenti infocati: e tutti morivano; se non se, che Moisè fece uno serpente di rame, e puoselo su un legno: e chiunque il guatava, guariva del veleno de' detti serpenti: il quale figura Cristo, in croce posto. Questo t'ho detto, perché consideri, e ponga bene mente, che se' in regione paurosa, e mare pericoloso: e perché non seguiti questo mondo cieco, dove il fedito mortalmente ride, e il veleno si bee come dolcissimo vino; e però grida san Paolo, e dice: con grande timore, e tremore operate la vostra salute. Non ti dico ora più, se non, che tu saluti Guido per mia parte: e dilli, che per queste cose temporali non dimentichi l'eterne, né per questa vita oscura, la vita di sempiterna letizia, e gioconditade. Don Giovanni dalle Celle in Cristo ti saluta, e chi ben ti vuole.

DON GIOVANNI A GUIDO: CONSOLATORIA ALLE INFIRMITA DEL CORPO, CH'AVEA: CONFORTANDOLO A PA2IENZIA NE' FRAGELLI DI DIO [IX]

In nomine Iesu Christi. Amen.


Guido, don Giovanni, benedizione, e pacienzia nella tua tribulazione. Scrissemi Donato due volte, come tu eri infermo nel corpo: e con quanta pacienzia ricevevi la celestiale, e salutevole disciplina delle mani del Signore, che ti creò, e ricomperò del prezioso sangue suo. Per la qual cosa noi ne lodiamo, e ringraziamo Iddio; veggendo, che così lodi Iddio nella infermità, come nella santa, ciascheduna riconoscendo da Dio. E in ciò seguiti quello santo Giob, il quale nella sua infermità dicea: se noi abbiamo ricevuti tanti beni dalla mano del Signore, perché non dobbiamo noi sostenere i mali? E se per la infermità della carne si viene alla santa dell'anima, siccome dice la santa Scrittura; di niuna cosa il dobbiamo ringraziare, quanto di quella. Che è altro, disse uno santo, la febbre del corpo, se non una fornace, nella quale si consumano, e ardono tutti i vizi, e peccati nostri: e uno battesimo, il quale lava d'ogni sozzura l'anima nostra? Qual segno della misericordia di Dio e maggiore, dice san Paolo, che ricevere alcuna correzione in questo mondo; acciocché eternalmente noi non siamo battuti nell'altro? E anche dice: non è legittimo figliuolo di Dio, chi non è battuto da lui. E perciò ti priego per Cristo, fratello carissimo, che ringrazi Iddio, che degna mostrarti, com'e'ha eletto per suo figliuolo, porgendoti la verga reale, colla quale e' tocca tutti i suoi eletti. Qui si priega per te, e ciascheduno prete, e quelli anche, che non son preti, è imposto le messe, e altre orazioni: e tutti il fanno tanto volentieri, quanto si può: ed hannoti compassione: e volentieri t'aterrebbono comportare le tue pene. Non dico più, per non gravare la debole mente tua. Fatta a dì XIII d'Ottobre. Cristo benedetto ti renda la santa dell'anima, e del corpo.

DON GIOVANNI A GUIDO; E DUOLSI DELLE NOVITADI DELLA CITTÀ: E CONSIGLIALO, QUELCHÉ ALLORA SIA DA FARE NEGLI UFICl DEL COMUNE: E MOSTRAGLI I TRADIMENTI DEL MONDO: E AMMAESTRALO DEL REGNO DI DIO [XI]

In nomine Iesu Christi. Amen.


Ebbi una tua divota lettera con quella, ti mandai, che diceva de' fatti degli Ufici del Comune. E certamente compresi, ch'eri divoto, fedele amico, prudente, e cauto amadore de' servi di Cristo; della qual cosa molta letizia ricevetti, e hammi dato fidanza, e sicurtà, poterti scrivere d'ogni segreta materia. Io sapea bene certissimamente; che ciocché tu avessi fatto, non t'arebbe mosso altro, che somma divozione, e benigna caritade. Come il mondo sta, tu tel vedi, e piaccia alla misericordia di Dio, che none stia peggio; perocché la superbia, e la vanagloria regnano, e sono signori del mondo, e menanlo, come vogliono. Vedi, quanta novità ha avuta la nostra città. Gran fatica dura la vergine Maria, per poterla dirizzare; non so, se i peccati molti la potranno impedire. So, che tu ancora se' in gran travaglio per la confusione de' popoli; ma dirizza l'occhio tuo, e la mente all'onore di Dio, e bene del Comune, e alla necessità de' poveri: e se tutto il popolo a questo ti fosse contro, non temere; perocché arai Dio teco, che è sopra tutti i popoli. E non andare caendo tuo stato, né tuo bene proprio; perocché tu hai veduto, che né la malizia, né 'l senno ha potuto atare coloro, che vollono tanto, che non hanno nulla, e sono fuori di casa loro. Adunque accostati alla giustizia di Dio, e non a quella degli uomini. Seguita la parola di Dio, e non quella degli uomini: e non t'appoggiare tutto al mondo; perocché tu vedi, come cade; per la qual cosa conviene, che caggia, chi s'appoggia a lui: e sempre priega Iddio, che ti faccia fare l'onore, e la volontà sua. Che giova essere a tempo brieve signore di Firenze, e poi essere cacciato? Oh mondo cieco! Beato colui, che ti conosce. E però fuggi le sue lusinghe: e fede non avere in sua mota, la quale vedi, che ora su, ora giù manda i suoi amadori: e non la può impedire senno, né arte. Volgi dunque l'occhio tuo al vero paese, alla vera città, dove arai a stare in eterno. In quella edifica il palazzo tuo; e sempre ti ricordi, in che modo l'edifico san Tommaso al re d'India. E perciò usa questo mondo, come se tu non lo usassi: amalo, come se tu non l'amassi: abita in esso, come se tu non l'abitassi. Sospira spesse volte per lo desiderio della città superna, dov'è il tuo tesoro, il tuo Signore, e' tuoi fratelli angeli, santi, e padri tuoi apostoli, e martiri, e confessori; i quali ci aspettano, e godono, quando si riempiono quelle sedie vote, perché poi saranno i corpi loro più belli, che 'l sole. E però sia sempre umile, e fuggi la superbia del mondo. Iddio ti dia la grazia, e facciati vero cristiano; sicché sempre sii con Cristo, con tutti i tuoi. Amen. Don Giovanni dalle Celle, ecc.

LA PREDICA DI DON GIOVANNI A GUIDO, E IL CONFORTO DELL'ACQUISTO DEL REGNO DI DIO [XIV]

In nomine lesu Christi. Amen.


Ricevetti una tua lettera, così piena di carità, e amore, come di divozione, nella quale mi pregavi, ch'io ti confortasse. E vuogli, ch'io ti predichi tanto di lungi, ch'hai i santi predicatori così presso? I quali prendendo le due trombe dell'argento, siccome comando Iddio a Moisè, trombano colla scienza del nuovo, e vecchio Testamento, acciocché ti confortino alla spirituale battaglia della carne, del mondo, e delle dimonia. I quali ancora, come i galli, cantano nella profonda notte di questo mondo, il quale è appellato tenebre dalla santa Scrittura: e annunziano il dì eterno, il quale succede dopo questa misera e angosciosa vita. I quali ancora seminano il seme celestiale della parola di Dio nella terra, e nel campo del cuore, del quale è iscipato ogni vizio, e passione, e allavorato col bomere del santo Evangelio. I quali, come il sole, alluminano l'anima tenebrosa, come fonti, bagnano gli aridi cuori, e come banditori dello eterno Imperadore, annunziano le pene eterne, e carcere perpetua dell'abisso, a chi trapasserà gli statuti, e le leggi di Dio. E se queste cose non ti muovono, come vorresti; come ti potrà far muovere la negrigenzia mia, uomo sanza virtude, e vera scienzia: uomo legato dal giudicio di Dio in questo diserto, acciocch'io non guasti la Chiesa di Dio: e il quale, poiché non so vivere cogli uomini, sono fatto compagno de' lupi, e degli orsi? Cessati adunque, in Cristo diletto fratello, cessa di chiedere a me cotali cose: perocché se pensi, a questo io sia sufficiente, molto se' ingannato, anzi sono ingannato io; perocché a te pietosa cosa e in quella virtù, che ogni cosa crede, pensare di me quello, che non è in me. Ma tu perdere non puoi; imperciocché, quando è amato quello, che non è, ma pensa, che sia; non l'amadore, e amore ha nulla; ma quello che è amato. E però, se non ti muovono i santi predicatori, che vorresti, volgiti al santo Evangelio; e in esso specchia, e contempla cinque uomini ricchi, e potenti delle cose del mondo, come se' tu: e furono santi, quello che non se' tu. E impara da Gioseppo, di sconficcare Cristo dalla Croce, e andare a Pilato, podestà di Gerusalem a chiedere il corpo suo arditamente. La qual cosa farai, quando colla tua potenza diliberrai gli afflitti, e' tribolati, e' crucifissi, e' rubati da' mali uomini; atare, e difendere le vedove, e i pupilli tribulati, i quali Iddio ti manderà alle mani, quando sarai a ciò disposto: e per la giustizia di Cristo t'armerai contro a' crucifissori. E se questo non ti diletta, contempla, e vivi, come Niccodemo santo; il quale di notte favellava a Cristo, e di dì si guardava di non essere veduto favellare con lui: e va' con lui, e ugni il corpo di Cristo con preziosi unguenti; le quali cose farai, quando co' mondani ti mosterrai mondano nell'abito, e ne' sembianti, ma la notte non farai altro, che leggere, e orare. Le quali cose niuna altra cosa sono, che udire Cristo leggendo, e orando favellare con lui; ovvero quando gli uomini, e le persone crocifisse, e tribolate non difenderai, ma conforterai occultamente, e ungera'li co' santi tuoi conforti: visiterai gl'infermi, ovvero visiterai gli afflitti incarcerati, porterai gli unguenti di consolazione, a consolargli colle parole, e co' fatti. E se questo non ti diletta, ragguarda Zaccheo santo, il quale con tanta allegrezza ricevette Cristo in casa sua; la qual cosa farai, quando riceverai a casa tua a mangiare, e albergo i poveri pellegrini: e avere la bella camera, diputata per loro: e quando l'uno, e quando l'altro ricevere in persona di Cristo in casa tua: e come se ricevessi Cristo, darli l'acqua alle mani, e quando lavarli i piedi; imperciocché molti, faccendo queste cose, meritano di ricevere Cristo in persona, siccome dice santo Gregorio: alquanti ricevono Angeli in forma d'uomini, siccome fece santo Lot, fratello d'Abram; e Abram meritò di ricevere tutta la Trinità. E odi quello, che disse Zaccheo a Cristo: Signore, e Maestro, io do a' poveri, e pellegrini la metà di ciò, ch'io ricolgo: e s'io ingannai mai persona, rendo quattro per uno. Per la qual cosa Cristo gli disse: questa è casa di Dio e veramente tu se' figliuolo del buono Abram. Forse, Guido, queste cose ti vergogneresti di fare, perché 'l mondo cieco la chiama stolta semplicità. Onde è scritto in quello Vangelo, che Zaccheo ricchissimo, non potendo vedere Cristo nella turba, salìo in sul seccomoro per vederlo; e però meritò d'essere chiamato da Cristo. Dice santo Gregoro sopra questa parola: seccomoro è interpretato arbore della santa pazzia; e dice: il piccolo adunque Zaccheo salì sul seccomoro, e vide Cristo; imperocché coloro, che umilmente eleggono la stoltizia di questo mondo, sottilmente contemplano la sapienzia di Dio. Zaccheo nella turba non può vedere Iddio; perocché chi 'l vuole vedere, conviene, che viva altrimenti, che la turba, e salghi sopra loro. E se in queste cose non ti diletti, contempla il grande Centurione, e santo, e da Cristo tanto lodato, il quale fu di tanta umiltà, e fede, ch'egli disse, che non era degno, che Cristo gli entrasse in casa. Costui s'esercitò nella divozione; degli amici di Dio, e facea loro le chiese, e avea gran fede ne' servi di Cristo, e inverso loro faceva ogni bene, potea. Allora seguiterai tu Centurione, quando nella casa tua ritroverrai i santi amici di Dio: e a cui edificherai le celle, e a cui altri difici necessari; e spesso gli viciterai, e raccomandera'ti umilmente alle loro orazioni, e messe. E se questo non ti diletta, ragguarda il nobile Cornelio, il quale, secondoché recitano gli Atti degli apostoli, fu di tanta orazione, e limosine, che, in sulla nona orando, gli apparve l'Angelo, e fu ammaestrato da lui della salute sua; e così sarai tu, se farai il simigliante. Or vedi, quante belle prediche tu ricevi da' frati, e quanti belli esempli tu ricevi da' santi, e ricchi, come se' tu; e vai caendo la limosina spirituale da me, uomo più povero certamente di te. Dicesti nella lettera, che ci verresti; priegoti, che non ci venga. E voglio che tu sappi, ch'io non scrissi la lettera, che tu vedesti a Donato; perch'io disideri, ch'egli, né creatura ci venga; ma perché uscisse un poco della servitudine del mondano Faraone, sotto il quale mi parea molto legato, e increscevami di lui. E però ti priego, che mi lasci dormire al mondo, e non mi destare colle lettere tue, e limosine, che mi fai più, che non è di necessità. Ma io conosco la malizia tua, che tu nol fai per altro, se non perch'io faccia quello, che in questa lettera fo: e perch'io ti scriva spesso; ma io me ne sono avveduto, e guarderommene. Gli altri gentili uomini vanno cacciando per le selve pe' porci salvatichi, e lepri, e cavriuoli; ma tu vai cacciando per li servi di Cristo; i quali come salvatichi animali, s'appiattano dal mondo, per serrare in loro le cinque porti della Città loro; ma da te nascondere non si possono. Non temi di salire l'alte montagne: non ti spaventano i feroci animali di questo diserto, né i serpenti, e draghi terribili, che ci sono. Che per certo sappi e credi, come cosa vera, quello che io ti dirò: ch'egli è ancora vivo tra noi uno converso, al quale sì gittò addosso uno dragone, e le zampe gli pose sull'omero suo: e quegli, e per lo puzzo, e per lo terribile aspetto, si turò il volto collo scapolare, e diegli d'uno coltellino per lo corpo; per la qual cosa sentendosi il dragone fedito, si fuggì nella caverna, e il converso uscì quasi di sé, e appena tornò a casa col coltellino insanguinato; e questo intervenne qui appresso di noi. Un altro ce ne fu, che andando una mattina presso a uno fossato, vide un drago terribile bere: e disse, che gli pareva tutto pieno di specchi; per la qual cosa tornò a casa, e per la paura morì, ovvero per veleno, che 'l dragone gli gittasse. Un altro è qui appresso da noi che vide in una siepe uno basalischio, e dice, che gli occhi suoi pareano ardentissimo fuoco; per la qual cosa egli si tornò a casa, e stette in fine più dì, e pure è campato; or vedi a che rischio tu ci verresti. Non ti dico de' crudeli lupi, i quali di mezzo dì io ho veduti allato a noi, i cui visi paiono terribili dimoni. Vidi tale, che l'orso gli diè tale della branca, che gli scorticò tutto il capo; e però non ci venire. Se 'l Boezio ti piace, sonne contento: voglio, che 'l tenga per segno della nostra caritade, e torra'mi fatica, che non lo scriverò più. E non mi scriver nulla; perocché io non mi posso difendere dalle tue lusinghe, e prieghi, che così divotamente mi fai. Cristo ti benedica, e guardi l'anima tua: mostriti la faccia sua, e abbi misericordia di te: volga il volto suo a te, e deati pace, non solamente a te, ma a tutti coloro, che t'amano legittimamente, e a tutti coloro, che priegano Iddio per te, e fannoti alcuna limosina spirituale. Amen. Don Giovanni tuo, ecc.

[1] In Lettere del beato don Giovanni dalle Celle monaco vallombrosano, a cura di B. SORIO, Roma, 1845, pp. 58-63, 67-69, 79-88.

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UpUltimo aggiornamento: 10/12/06