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Didattica > Fonti > La mercatura medievale > Letture, 7

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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


LETTURE

7. Il «fondaco» del Trecento
a) Il «fondaco» e gli strumenti per il calcolo [1]

…Nella parte più in luce, come volevano gli statuti, ad evitare la frode, si svolgevano le trattative con i clienti; in un angolo, al desco, stava appartato lo scrivano, ché non tutti gli occhi indiscreti dovevano potersi posare sulle cifre che egli andava scrivendo; nel fondo fervevano le discussioni di un gruppo, sempre vario, di uomini di affari, che commentavano le disposizioni governative, o discutevano degli avvenimenti politici in rapporto ai loro traffici, e ricercavano intanto l'un l'altro, con fare semplice e con animo intento, notizie commerciali: gruppo più folto alla partenza e all'arrivo dei corrieri, ché a quelli che partivano tutti affidavano le lettere da recare ai compagni lontani, e attorno a quelli che giungevano tutti si affollavano per ricevere le missive degli agenti e dei fattori fuori di sede: missive ricche, come giornali, di informazioni, dal corso dei cambi e dal prezzo delle merci in fiera all'esito di una battaglia, alle voci di minacciati sequestri o di previsti favori da parte di principi e signori. Riunioni quotidiane, quelle per la corrispondenza, ché ogni giorno i corrieri convenivano da località diverse e muovevano in diverse direzioni, oggi ad iniziativa di una compagnia, domani di un'altra, con la scarsella sempre piena della corrispondenza di tutti: con un tale ordinato avvicendamento, che si può quasi parlare di un servizio regolare di posta, dovuto alla solidarietà dell'intera classe dei mercanti. I quali mercanti si arrestavano, nella cortesia reciproca, soltanto dinanzi al danno che a ciascuno poteva venire da quella cortesia. «Se fai merchatantia, scrive Paolo di messer Pace da Certaldo, e cho' le tue lettere venghano leghate altre lettere, sempre abi a mente di legiere prima le tue lettere che dare l'altrui. E se le tue lettere chontasoro che tu chonperassi o vendessi alchuna merchatantia per farne tuo utile, subito abi il sensale, e fa' ciò che le tue lettere contano, e poi da' le lettere che sono venute cho le tue; ma non le dare prima che tu abi fornito i fatti tuoi, in però che potreboro contare quelle lettere chose che ti schonciereboro i fatti tuoi, e il servigio ch'avresti fatto de le lettere a l'amicho, o vicino o straniero ti tornerebe in grande danno: e tu non dèi servire altrui per diservire te, e' fatti tuoi».

Fu in mezzo a tanto clamoroso, pittoresco e pur ordinato trambusto, che il mercante aguzzò la mente, imparò a irrigidire i nervi, sentì lo stimolo dell'audacia, avverti la necessità della prudenza, si formò, in una parola, quello che ci appare, e che fu, a suscitare la nostra ammirazione, e a guidarci a comprendere la grandezza dell'età a cui appartenne.

Nell'angoletto relativamente tranquillo dello scrivano il mercante completò la sua preparazione, allargando con consapevole volontà le cognizioni contabili e matematiche che a lui giovinetto il maestro aveva inculcato, adoperando altrettanto la persuasione della voce quanto la convinzione della bacchetta…

…In quell'angolo, ripeto, discreto si avevano un armadio con più scompartimenti, di sovente incassato nel muro, con entro i libri di contabilità, proporzionati per numero all'entità e alla estensione dell'azienda, che a volta a volta il computista o i computisti traevano fuori per le registrazioni, tenendone a mano più d'uno secondo il bisogno; una grande tavola, che alcune striscie, incrociate ad angoli retti, dividevano in tante caselle; un tavolo più piccolo, con sopra delle tavolette che del tavolo grande ripetevano il disegno; alcuni sacchetti pieni di una sorta di gettoni, detti quarteruoli, di diversi colori e di diversa grandezza, i quali erano disposti anche in alcune ciotole capaci; infine un quaderno più o meno grosso, continuamente sfogliato e consultato, detto «Pratica di mercatura»…

Della grande tavola, abbaco nel senso di strumento di conti, non sono rimasti, e si capisce perché, esemplari; ma a noi basta accertarci della sua esistenza, dopodiché possiamo raffigurarcela, e raffigurarci il suo funzionamento, pensando allo scacchiere inglese, che non era diversamente costituito, e nel quale non diversamente si eseguivano i calcoli; tanto più che così in Inghilterra come in Italia la lira era composta di venti soldi, e il soldo di dodici denari.

L'esistenza, nelle botteghe, di quella tavola, è provata dall'acquisto di notevoli quantità di «quarteruoli», i gettoni che servivano appunto per i conteggi, fatto dalla compagnia de' Peruzzi per il fondaco di Firenze, ossia della sede della direzione e dell'amministrazione generale.

«…lbr. 212 s. 2, d. 10 a fior., per carte da scrivere e libri, ciò sono risime settantotto di carta e tredici libri di carta di pecora, e sette quaderni tra per ricordanze e per scriverci lettere; e lbr. 20 s. 11 ½ a fior. per lbr. 61, once 5 di quarteruoli…».

La descrizione dello scacchiere è presto fatta, sulla scorta del Piton: un piano di circa m 3,30 X m 1,65, cintato da una stecca di cm 8 ricorrente torno torno, e coperto di un panno di colore scuro, su cui, a gesso o in altro modo, eran tracciate, in senso verticale e in senso orizzontale, rispettivamente 6 e 4 rette parallele, che, intersecandosi, formavano 35 quadrilateri, ciascuno di m 0,47 X 0,33. I gettoni collocati nella prima colonna a destra rappresentavano i danari (pence), nella seconda i soldi (shillings), nella terza le lire (pounds), nella quarta le ventine di lire, nella quinta le centinaia, nella sesta le migliaia, nella settima le decine di migliaia.

Una tavola di tali dimensioni era adatta per la solennità dello scacchiere, ove è facile immaginarci il paludato tesoriere generale, che a mano a mano che riceverà i documenti giustifcativi da coloro che gli si presentavano in qualità di debitori o di creditori, dava ordine agli aiutanti di fare somme e sottrazioni, disponendo e spostando convenientemente i gettoni, fino a che, ottenuti i risultati finali, invitava gli scrivani a registrarli nei rolls di cartapecora, che svolgendosi e avvolgendosi si ricoprivano di cifre. Il mercante italiano non agiva in tanta pompa, né disponeva di tanto spazio: gli bastava, tutt'al più, un ragazzetto, «garzone», che gli porgesse dai sacchi i quarteruoli, mentre altri giovanetti, usciti appena dalla scuola, si avvicendavano attorno a lui a «far pratica»; e dominava da solo il suo abbaco, più modesto di dimensioni, e pur tuttavia diviso talvolta in un numero maggiore di colonne e di caselle, per farvi operazioni di importo assai elevato: quali si trovano nei libri della compagnia Bardi, che in occasione di un «saldamento generale» raggiunse le lbr. 1.266.775 s. 11 a fiorini. La relativa piccolezza delle caselle non portava, d'altronde, nocumento alla chiarezza della impostazione delle partite, in quanto, ad ovviare alla necessità di raccogliere molti gettoni in una sola (fino a 19, quale sarebbe stato il caso dei soldi), si provvedeva con vari accorgimenti a conferire il valore di più unità ad un solo gettone, sia giovandosi di colorazioni diverse, sia adoperando, come nel giuoco della dama, quarteruoli di diverso spessore, sia usufruendo della diversa collocazione entro il quadrilatero, sia combinando questi due ultimi sistemi: il che era di uso più frequente, come cosa evidentemente più pratica per evitare inconvenienti. Premesso che un «quarteruolo» di maggiore spessore, o più grande di dimensioni, collocato in alto nella casella, a destra, valeva 5 unità, e collocato, sempre in alto, ma a sinistra, ne valeva dieci, e che i gettoni che rappresentavano le lire i soldi e i danari erano di tre diversi colori, facciamo conto di entrare nel fondaco dei Bardi, e di osservare il mercante mentre collocava sull'abbaco le ultime poste della grande somma di lbr. 1.266.775 s. 11, così costituita: lbr. 37.566 s. 3 d. 7; lbr. 193.851 s. 18 d. 11; lbr. 363.262 s. 3 d. 4; lbr. 5262 s. 8 d. 1; lbr. 666.832 s. 17 d. 1.


1 000 000 100 00 10 000 1000 100 20 lbr. s. d.
 
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Addizionando le prime due poste fece sparire i quarteruoli della riga in alto, e la seconda risultò in tal guisa:


   
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Continuando la somma degli addendi fino all'ultimo, ebbe questo risultato


 
 
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Delle altre tavolette più piccole e maneggevoli, divise esse pure ma diversamente in caselle, un modello ci è dato da un mercante del tempo, Francesco di Balduccio Pegolotti, il quale alla rappresentazione grafica premette:
«Questa tavola ch'è scritta in questa faccia si mostra a mettere ogni conto di ragioni con pochi quarteruoli; al più n'aopera  nove, ma le più delle volte pure da nove in giuso; però che quando ài a mettere o dici metti la tale quantitade, poni il quarteruolo in sul numero che vuoli sapere nella casella ov'è il detto novero, e quando dice più avanti, tu rimuta il quarterolo nella tavola innanzi e indietro come conviene: e fa che i tuoi quarteruoli sieno sì piccoli che, ponendoli nella casella, non ti cuoprino il novero della quantitade che mettessi» [2]:


lbr m
900
m
800
m
700
m
600
m
500
m
400
m
300
m
200
m
100
m
90
lbr m
80
m
70
m
60
m
50
m
40
m
30
m
20
m
10
m
9
m
8
lbr m
7
m
6
m
5
m
4
m
3
m
2
m
1
900 800 700
lbr 600 500 400 300 200 100 90 80 70 60
lbr 50 40 30 20 10 9 8 7 6 5

lbr 4 3 2 1 soldi
19
18 17 16 15 14
s. 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4
s. 3 2 1 denari
11
10 9 8 7 6 5
d. 4 3 2 1            

Che il preambolo del Pegolotti sia, a prima vista, chiaro, non potremmo certamente dire: ma non occorre un grande sforzo per trovare la «chiave» della sua tavola. Do un esempio del  funzionamento, supponendo di dovere addizionare lbr. 879 s. 16 d. 5 con lbr. 263 s. 8 d. 10. Si scrive, a così dire, la prima posta, collocando sei quarteruoli uno in ciascuna delle seguenti caselle: lbr. 800, lbr. 70, lbr. 9 s. 16 d. 5. Per sommare la seconda posta si comincia dai denari, che sono 10. Si prende in mano il quarteruolo nella casella dei d. 5 e si sposta di dieci caselle a sinistra, contando uno quando si passa sulla casella 6, due sulla casella 7, e cosi via; arrivati, contando fino a sette, sulla prima casella dei soldi, vi si lascia il quarteruolo, e si continua con un altro a contare fino a dieci, cominciando dalla prima casella dei danari. Questo quarteruolo rimarrà sulla casella dei d. 3 (e infatti d.5 + d. 10 = s. 1 d. 3). Poi si passa ai soldi, per aggiungere gli otto della seconda posta ai sedici già segnati. Prima si toglie dalla tavola il quarteruolo dalla casella s. 1, e si sposta di una casella a sinistra, fino alla 17, il quarteruolo collocato nella 16; quindi si prende questo quarteruolo e, col procedimento detto sopra, si sposta di otto caselle a sinistra. Come risultato avremo che il quarteruolo rimarrà sulla casella delle lire 1 e un altro sarà collocato nella casella dei s. 5 (s. 16 + s. 9 = lbr. 1 s. 5). Infine si passa alle libre; e, manovrando ugualmente, avremo, alla fine della manovra stessa, i sei quarteruoli disposti ciascuno nelle seguenti caselle: lbr. 1000, lbr. 100, lbr. 40, lbr. 3; s. 5; d. 3 (e difatti lbr. 879 s. 16 d. 5 + lbr. 263 s. 8 d. 10 = lbr. 1143 s. 5 d. 3). Con il che avremo «aoperato in tutto», per usare il termine del Pegolotti, con soli sette quarteruoli. Ed anche se avessimo voluto fare addizioni di grandi cifre, come ad es. lbr. 444.999 s. 15 d. 4 + lbr. 455.000, s. 4 d. 8, sarebbero bastati nove quarteruoli, col risultato che sulla tavola ne sarebbe rimasto, terminata la operazione, uno solo nella casella estrema in alto a sinistra, delle lbr. 900.000. Per la sottrazione si procede con manovra inversa. E la «chiave» della somma e della sottrazione serve anche per la moltiplicazione e la divisione, ben inteso che si tratti di non grandi operazioni. Tutto ciò non è di poca importanza, quando vi si ponga mente ripensando ancora una volta alla composizione della classe dei mercanti, che abbiamo diviso in due gruppi, uno numeroso dei piccolissimi, e uno più ristretto dei medi e dei veramente grandi: il primo costituito di persone di scarsa o di quasi nessuna istruzione, e il secondo di uomini variamente colti: tutti bisognosi, però, sia pure in misura profondamente diversa, di fare dei conti per seguire il movimento di danaro, lento o rapido, modesto o ingente, delle loro aziende. I primi bastò che conoscessero i numeri e sapessero contare per uno, perché, con movimenti quasi automatici, da apprendere con breve esercizio senza necessità di corsi scolastici, potessero servirsi di questo abbaco per le addizioni, le sottrazioni, e le piccole moltiplicazioni: che era tutto ciò che poteva occorrere per i loro bisogni. Inoltre la lettura in cifre dei risultati rendeva a costoro particolarmente utile questo abbaco, a differenza di quello precedente: nel quale, per di più, si aveva la complicazione di attribuire diverso valore ai quarteruoli a seconda delle colonne in cui erano sistemati.

Quanto ai mercanti più istruiti, essi si servirono, per tutto ciò che poteva rendere, della tavola: la quale, però, non dobbiamo credere che costituisse il mezzo unico dei loro calcoli. Da tempo, carta penna e calamaio si erano affiancati al vecchio sistema dei gettoni: e le settantotto risme acquistate per il fondaco dei Peruzzi, non tutte al certo destinate alle lettere, e i fogli bambagini, ricoperti in tutti i sensi di cifre, che sono rimasti qua e là tra le pagine di pergamena dei libri di commercio, provano che il mercante vi ricorse abbondantemente. Il computista delle compagnie si servì, a seconda dei casi e del tipo e della mole delle operazioni, alternativamente o congiuntamente dei due mezzi di calcolo; e quando li praticò entrambi per uno stesso conteggio, è da credere che si sia valso dell'uno come di controllo dell'altro, controllo utilissimo perché l'ordinamento contabile non permetteva facilmente il rilievo degli eventuali errori matematici.

Ugualmente è da aggiungere, a riprova del desiderio del mercante di non commettere errori, o almeno di ritrovarli, che dei detti «quarteruoli» egli si servì anche per conseguire uno degli scopi del registratore di cassa: a volta a volta che, procedendosi nelle vendite della merce, si introitava del danaro, mentre il cassiere lo racchiudeva nella cassa, un commesso deponeva in apposite ciotole tanti quarteruoli, di più colori, corrispondenti alle varie monete; e alla sera si provvedeva a una rapida e abbastanza sicura verifica.

…Del terzo ferro del mestiere, la «pratica di mercatura», si ha un'idea dalle intestazioni di due «pratiche» a stampa, quella del ricordato Francesco di Balduccio Pegolotti del Trecento e quella erroneamente attribuita a Giorgio di Lorenzo Chiarini del Quattrocento. La «Pratica» del Pegolotti: «Questo libro è chiamato libro di divisamenti di paesi e di misure di mercatantie, e d'altre cose bisognevoli di sapere a mercatanti di diverse parti del mondo, e di sapere che usano le mercatantie e cambi, e come rispondono le mercatantie da uno paese a un altro e da una terra a un'altra, e simile s'intenderà quale è migliore una mercatantia che un'altra e d'onde elle vengono e mostreremo il modo a conservarle più che si può». La «Pratica» dello pseudo Chiarini: «Qui comincia uno libro di tutti i costumi, cambi, monete, pesi, misure e usanze di lettere di cambi, e termini di dette lettere che ne' paesi si costuma, e in diverse terre».


b) Le «masserizie» di un fondaco [3]

MCCCXXXVI

 

Le maserizie del fondacho che tengniamo da
Chatellino Infanghati deono dare, di 13 di
novenbre '336, lire Il s. 6 d. 9' a ffior. Furonne
per quindici asse d'abete che ssi chonperarono
s.38 d.5 a ffior., e per uno descho grande da
scrivere, e per uno chassone da danari a Fruosino
chasettaio, e per una toppa e chiave del detto
chassone lire 4 s.17 a ffior., e per due asse d'albero,
e per tre chorenti di fagio, e per nove tappi per le
panche dentro, e per sei libre d'aghuti, e per maestero
di due maestri, e per più altre spese menute, e per
una schala, e per uno paio di forvici, e per due
chalamai da scrivere, e per tre sacha per le panche
di fuori lire 4 s. 11 d.4 a ffior. Monta.
lbr. 11s. 6 d. 9 a ffior.
E deono dare, dì 20 di settenbre '337, per una pancha
Che si chonperò da Lippo chassettaio, chostò s. 26
pic. Monta a ffior.
lbr. 9 s. 8 d. 6 a ffior.
E deono dare, dì 20 d'ottobre '337, lire 20 s. 3 pic.
Furono per dicessette asse d'abete, e per piane e
chiavatoi e aghuti e maschi e toppa e
chiavistello e chiave e maestero.
Messi a uscita, dì 16 di dicenbre
anno detto. Monta a lbr. 3 s. 2 pic.
il fior. Monta a ffior.
lbr. 9 s. 8 d. 6 a ffior.
E deono dare, dì 8 di lulglio '338,
s. 22 pic. Furono per una pancha che
chonperamo da Lippo chassettaio.
Monta a ffior.
lbr. – s. 11

[1] A. SAPORI, Studi di storia economica (secoli XIII-XlV-XV), terza ed. accresciuta, Firenze, Sansoni, 1955, vol. I, fra le pp. 70-79. Vedi nel testo «4. La figura del mercante: 1. Il mercante italiano dell'età eroica» sgg. Di particolare interesse la spiegazione del modo di fare le operazioni.
[2] Nelle prime 27 caselle la m sopra le cifre significa 1000.
[3] Libro giallo della Compagnia dei Covoni, per cura di A. SAPORI, con uno studio di GIULIO MANDICH, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino, 1970, pp. 20-21.

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UpUltimo aggiornamento: 19/11/06