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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


1. La rivoluzione commerciale e la rinascita dell'Europa

4. Le merci del commercio internazionale

Le merci si distinguevano in «grosse» e «sottili», e in base a questa dizione si è ritenuto a lungo che gli articoli ricchi costituissero il nerbo del commercio internazionale in quanto, poco ingombranti, erano facilmente trasportabili a grandi distanze senza notevoli spese, e per il loro alto pregio, anche se trattati in piccole partite, davano alti guadagni (per esempio perle e pietre preziose, profumi, spezie per la cucina e qualche materiale tintorio più caro, come la grana e la cocciniglia). Se fosse stato così, il traffico internazionale avrebbe impegnato pochissimi trasporti. Invece per le vie di terra e per quelle marittime circolavano in larga prevalenza carichi di merci povere o relativamente povere o comunque pesanti: generi alimentari richiesti dai paesi che ne erano privi o ne scarseggiavano in momenti di carestia o di guerra, e anche altri beni di cui si aveva un vero urgente bisogno non solo per la sussistenza. È il caso, per dirne una, del legname, indispensabile agli Egiziani per costruire, prima e più ancora nel corso delle crociate, navi per trasporti militari: lo avevano dai mercanti italiani che lo traevano dalle zone alpine della Dalmazia, e poi con i guadagni ritratti incrementavano a loro volta le flotte dei loro comuni contro gli infedeli.

Pochi accenni ad alcune merci «grosse» più significative perché su di esse fece leva la politica degli stessi stati.


a) IL SALE. Indispensabile alla cucina, richiesto per la conservazione del pesce di cui si faceva largo uso per i digiuni della Chiesa (mentre carne e pesci salati costituivano con le gallette le scorte alimentari dei viaggi per mare) era anche mezzo di imposizione dei pubblici poteri. Venezia, che pure ne traeva molto dalle sue lagune, monopolizzò il sale di Cipro e lottò con Genova e con Pisa per quello della Sardegna e della Sicilia, delle Baleari e dell'Africa del Nord. Un'altra controversia che si risolse con le armi si sarebbe avuta nel primo decennio del Cinquecento per la concorrenza fra le saline di Cervia e quelle di Comacchio: le prime di Giulio II e le altre di Alfonso d'Este duca di Ferrara, che in Piemonte e in Lombardia praticava prezzi più bassi di quelli del sale pontificio.


b) IL VINO. Si esportava da alcune zone della Grecia, di Rodi, di Cipro, e in maggior quantità dalla Francia che aveva i più grandi vigneti. Henri Pirenne ha scritto che nel secolo XII avrebbe sollecitato la navigazione atlantica e avrebbe influito sul diritto commerciale. Yves Renouard ha documentato che le esportazioni dalla Borgogna nel 1308-1309 raggiunsero la punta massima di 102.704 tonneaux equivalenti a 850.000 ettolitri; dopodiché, riferendosi ai dati statistici del secolo XX, e trovato che nel 1900 la esportazione dei vini di Bordeaux era di 735.000 ettolitri, e nel 1950 quella da tutta la Francia di 900.000, ha concluso che «le cifre della esportazione del vino nel Medioevo erano di importanza moderna».


c) IL GRANO. La sua produzione, rilevante nelle Puglie e in Sicilia (anche là una politica del grano degli Angioini), nonché nella Dalmazia e in alcune zone del Mar Nero, si aveva in altre località indicate nelle «pratiche di mercatura» (v. più avanti) insieme con le equivalenze delle misure di capacità fra l'una e l'altra. Dice Ruggiero Romano che se ognuna di quelle «corrispondenze» fosse una «via del grano», ossia se esse facessero testimonianza di scambi effettivi, si rivoluzionerebbero le attuali conoscenze: questo cereale avrebbe circolato per brevi tratti anche a grandi distanze, più di qualsiasi altra merce del tempo. Qualche cifra a prova di spostamenti a distanza di grosse partite. Nel 1276 Benedetto Zaccaria (v. LETTURA 13) scaricò nel porto di Genova 10.000 mine di grano mercantile caricato sulle sue navi in Dalmazia; nel 1329 la compagnia fiorentina degli Acciaioli trasse dalla Puglia 114.000 salme corrispondenti a circa 136.000 tonnellate. Non per nulla Venezia e Firenze ebbero duri contrasti per accaparrarsi la produzione del Mezzogiorno.


d) LA LANA. La maggior parte delle imbarcazioni che dal secolo XIII partivano dai porti delle isole britanniche avevano nella stiva i velli delle numerose mandrie che pascolavano attorno ai manors dei signori e dei grandi monasteri: velli portati soprattutto in Fiandra e in Italia. La sola Firenze, che ai primi del Trecento confezionava in 300 botteghe centomila pezze, usava per quelle di prima qualità (lavorate nei fondachi di San Martino) le sole lane inglesi, e per i panni di minor pregio la lana di altre provenienze, soprattutto del sultanato di Algarve (lana e panni di Garbo). Quella materia prima era così importante che l'Inghilterra vi impostò una sua politica, come si è detto che Venezia l'aveva impostata suI sale e gli Angioini sul grano. Ne favorì l'esportazione fino a che la manifattura indigena era rudimentale e i dazi percepiti all'uscita dei sacchi di lana dai porti di raccolta (stapola) costituivano i cespiti maggiori delle finanze regie; e la ostacolò a mano a mano che quella manifattura, fattasi le ossa, prese a esportare tessuti.


e) IL COTONE E I TESSUTI DI COTONE. Il cotone si produceva in molte località: a detta del Pegolotti il più scadente era quello di Sicilia; di media qualità quello della Spagna, della Grecia, di Cipro, di Malta, di Creta, e in Italia delle Puglie e della Calabria; il migliore era prodotto nella Siria, ad Aleppo e soprattutto a Damasco. Così i mercanti genovesi e veneziani andavano a cercarlo fuori della cristianità. Fra i tessuti di cotone, i fustagni entrarono di buon'ora nel circuito del commercio internazionale: fabbricati dapprima quasi tutti in Italia, più che altro nel nord, scrive Franco Borlandi (a cui si deve lo studio più ricco di dati in proposito) che invasero nel secolo XII i mercati mediterranei da Costantinopoli all'Egitto alla Francia meridionale alla Spagna, e col Trecento si erano diffusi nell'Europa centrale da Basilea a Norimberga, nella Boemia, e avevano raggiunto le Fiandre e l'Inghilterra. Non erano un bene ricco; e povero addirittura era il materiale, il guado, che serviva per la tintura di quei panni e che, sebbene ingombrante, via via che i fustagni furono prodotti più largamente anche fuori d'Italia, fu portato esso pure a grandi distanze e in grandi quantità. L 'autore dice di carichi che avrebbero occupato «una dozzina di carri ferroviari attuali». Il traffico del guado, conclude, «espresso in cifre monetarie superò il livello toccato da quello complessivo degli altri articoli tintorii più ricchi».


f) L'ALLUME. Pressoché esaurite, e comunque abbandonate, le miniere del tempo romano dell'Aragona, del Tirolo, della Sicilia, di Ischia e di Volterra, questo minerale si trovava soltanto in partibus infidelium sulle coste dell'Asia Minore. Necessario per sgrassare le fibre e fissare il colore dei panni, nonché per alcune lavorazioni del cuoio e delle pelli, i mercanti delle repubbliche marinare italiane lo acquistavano a Focea, centro della produzione, e a Smirne e in Siria, dove era raffinato, e lo diffondevano dovunque si trovasse una manifattura di panni, il che vuol dire attraverso tutte le strade dei traffici. Dopo che Genova nel 1267 si impadronl di Focea, monopolista divenne Benedetto Zaccaria che lo estraeva con il propri mezzi e lo trasportava con le proprie galee. L 'impresa continuò in mano dei Genovesi fino al 1455 quando i Turchi presero Focea. Poco dopo, un fortunato esame della particolare configurazione rocciosa delle colline presso Civitavecchia nel territorio pontificio portò a trovare un altro, grande giacimento, ed ecco l'allume di Tolfa che risolse la crisi da cui erano state colpite le manifatture tessili del mondo cristiano. Un'idea dell'importanza della scoperta si può desumere dall'annunzio dato da Pio II («abbiamo vinto la più grande battaglia contro i Turchi») e dalla denominazione di «allume della santa crociata». Ecco ancora una volta un atto politico, la politica dell'allume, con la diffida che il pontefice fece ai principi cristiani di fare entrare nei loro stati l'allume comprato dagli infedeli.


g) GLI SCHIAVI. Nella cornice della morale cristiana, agente di trasformazione della schiavitù pur senza il proposito di sopprimerla; nel quadro delle deliberazioni dei concilii, intese al miglioramento delle condizioni materiali e morali degli schiavi, pur senza prendere atteggiamento contrario alla istituzione; sullo sfondo della politica della Chiesa, mirante soprattutto a che gli schiavi non rafforzassero le forze militari degli infedeli, gli schiavi si vedono in movimento dall'Europa centrale alla Penisola Iberica, dalle coste dell'Asia Minore a quelle africane, mutando i soggetti e cambiando le direzioni in rapporto con le vicende politiche. Non si pensi però agli schiavi di una Roma prima della pace romana o a quelli del periodo carolingio. E anche quando divamperanno le lotte per la conquista araba e la riconquista e i combattimenti crociati, sono da tener presenti i trattati fra i principi e i Comuni italiani e i principi musulmani per lo scambio di prigionieri. In sostanza ora lo schiavismo sarà alimentato tutto dalla «tratta». A parte la vendita ai sultani per rafforzare le truppe scelte dei mamelucchi, gli schiavi, maschi e femmine, erano richiesti prevalentemente per usi domestici, nonché in minor misura per i lavori, in specie agricoli, soprattutto presso gli stabilimenti italiani in Terrasanta. Un principio di documentazione a questo proposito risale ai primi anni delle crociate, e la documentazione si allarga al seguito della deviazione degli interessi dei mercanti italiani dalla Siria e dalla Palestina verso le isole dell'Egeo, Alessandria d'Egitto, Costantinopoli, il Mar Nero. Si può aggiungere che la mano d'opera schiavistica ebbe un qualche peso anche in zone (non però italiane) dove sono provati finanche aspri interventi dei lavoratori liberi per ovviare al danno della concorrenza degli schiavi. Pertanto: numero limitato degli schiavi, vasto raggio dei loro spostamenti, e guadagni notevoli ottenuti dai mercanti dalla loro vendita. Fino a poco tempo fa quel commercio era stato studiato soprattutto sotto gli aspetti giuridico e sociale, e ora anche in funzione economica, secondo lo schema suggerito da Marc Bloch, nelle molte opere di Charles Verlinden.

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UpUltimo aggiornamento: 19/11/06