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Scolarizzazione e alfabetizzazione nel Medioevo italiano
a cura di Monica Ferrari e Federico Piseri [versione 1.1 - giugno 2013]
© 2013 -
Monica Ferrari e Federico Piseri
per "Reti Medievali" A Monica Ferrari si deve il paragrafo 1, a Federico Piseri i paragrafi 2 e 3, a entrambi gli autori il paragrafo 4 per gli argomenti e la bibliografia di rispettiva competenza. Giuseppe Manacorda scrive, nel 1913, nella prefazione alla prima parte del primo volume della sua Storia della scuola in Italia, relativo all’epoca medievale che qui interessa: «L’opera che io intraprendo – non lo ignoro – è di ben vasto disegno, e tale da richiedere non solo lunghi anni di ricerca attraverso un materiale vastissimo, ma ancora sintesi larghe, che delineino la fisionomia storica e giuridica dell’istituto scolastico nelle varie età» (s.d. [1914], vol. I, parte I, p. VII). A cento anni di distanza le sue parole sono ancora pienamente condivisibili e, nonostante le nuove ricerche condotte in questo ambito, molto resta da fare in un campo d’indagine che si trova «à la croisée de plusieurs chemins» in quanto connesso a circostanze complesse quali, appunto, quelle concernenti i fenomeni dell’acculturazione e dell’educazione (cfr. Ariès 1960-1968; Julia 1996). Storia della scuola e delle istituzioni educative, storia delle istituzioni, storia delle professionalità educative e della formazione alla professione magistrale, storia della pedagogia, storia dei “costumi educativi”, storia dei dispositivi e dei congegni formativi, storia delle pratiche culturali (della lettura, della scrittura), storia dell’alfabetizzazione, storia dei saperi e storia delle discipline scolastiche, storia del diritto e dell’amministrazione, storia della famiglia, storia dell’infanzia: ecco alcuni dei territori di ricerca che si incontrano e si sovrappongono al di là delle barriere disciplinari relative alla tradizione che, appunto, ci siamo inventati, come ci ricordano gli studi di André Chervel (1998) sulla storia delle discipline scolastiche, studi che aprono nuove prospettive di indagine sul senso stesso della parola “disciplina”. L’intrico di questioni che si addensano intorno ai fenomeni dell’acculturazione (Dupront 1966) non si esaurisce, insomma, nell’analisi (pure assai complessa, come si è detto) delle istituzioni che approntano un itinerario formativo più o meno formalizzato, ma si dilata in altri contesti in cui operano istanze, figure e realtà educative plurali e difformi, secondo pratiche pedagogiche e strategie didattiche di non semplice ricostruzione. Nello specifico, il tema della “scolarizzazione” che, pur nella consapevolezza del dibattito (circa la denotazione dei termini in questione si veda Sangalli 2000), potremmo intendere come la serie dei molteplici processi relativi alle forme di accesso ad agenzie educative di diversa tipologia (cfr. Moscato 1994) e dell’“alfabetizzazione” (cioè «ogni diffusione dell’insegnamento strumentale di base» cfr. Desideri 1989, p. 317) nel Medioevo “italiano”, è particolarmente complesso per molte ragioni. Ai problemi connessi a un arco cronologico tanto ampio, si sommano, in quella che oggi chiamiamo Italia, le questioni relative a una geografia della scolarizzazione e dell’alfabetizzazione caratterizzata da un territorio fortemente frammentato dal punto di vista politico e socialmente assai differenziato. Non ultimo, occorre precisare, con Graff (1987-1989), che i termini “scolarizzazione” e “alfabetizzazione” sono legati, a loro volta, a una tradizione culturalmente orientata. Graff ci ricorda, infatti, quanto l’idea dell’alfabetizzazione come prodotto della scolarizzazione sia un «pregiudizio» (Graff 1987-1989, vol. 3, p. 284), in cui cercheremo di non incorrere nella nostra rassegna degli studi sul Medioevo italiano. Inoltre, se è vero che «esistono molti tipi di ‘alfabetismi’» e che «non bisogna distinguere solo fra alfabetismo elementare o di base e livelli superiori di istruzione, ma anche tra l’alfabetismo delle lettere, visivo e artistico, spaziale e grafico, matematico, simbolico, tecnologico, meccanico» (Graff 1987-1989, vol. 1, p. 25), ci occuperemo qui soprattutto di quello che Graff chiama «alfabetismo delle lettere» (comprensivo però delle notazioni numeriche): leggere, scrivere e far di conto. Avremo cura di porre l’accento su quelli che la (recente) letteratura di settore indica come punti di svolta, nella consapevolezza, tuttavia, dell’intrico delle questioni che sovraintende ai rapporti tra persistenza e mutazione nell’analisi dei fenomeni culturali. 1.1. Scolarizzazione Quanto all’“ordine di scuola”, anzitutto abbiamo deciso di escludere da tale rassegna l’università, una istituzione educativa dell’Occidente europeo che mette a punto piani degli studi, itinerari e curricula formalizzati prima di altre organizzazioni sociali a carattere pedagogico. Lo sottolinea, tra l’altro, Dewey in un volume dedicato a Scuola e società che apre il Novecento (cfr. Dewey 1899 e 1915-1949). Altri “ordini di scuola”, relativi alla prima infanzia, “nascono” in Occidente sostanzialmente nel XIX secolo, spesso definito, peraltro, «il secolo della scuola». I processi genetici di tali istituzioni sono connessi al cambiamento complessivo della società e degli atteggiamenti sociali collettivi nei confronti dell’infanzia (cfr. Ariès 1960-1968; Luc 1996). Non si intende qui proporre un bilancio circa un dibattito assai vasto sulla storia dell’educazione nel Medioevo europeo, per cui si rimanda, a mero titolo esemplificativo, alle sintesi operate da Jacques Verger e da Pierre Riché nel 1991 e da Pierre André Sigal nel 1999 sulle pagine della rivista «Histoire de l’éducation», oltre che agli studi di coloro che si sono occupati di quel vasto campo di ricerca che è divenuta la storia dell’infanzia nella seconda metà del Novecento (cfr. ad esempio Becchi 1984; Becchi 1994; Becchi, Julia 1996; Classen 2005). Ci atterremo qui, piuttosto, ai fenomeni educativi relativi a una fascia della “scolarità” che va da quella che oggi chiamiamo “primaria” alla cosiddetta “secondaria”, pur nella consapevolezza dell’ambiguità di tali termini riferiti ai processi di scolarizzazione medievali. Quanto all’età degli allievi, precisiamo però che, come è noto (cfr. Ariès 1960-1968), “andare a scuola” nel Medioevo europeo (e dunque, ovviamente anche nel territorio che corrisponde, grosso modo, ai confini di quella che oggi chiamiamo Italia) non significa nulla di analogo a quanto accade con il finire del XVIII secolo in alcuni Stati che si “inventano” la scuola primaria e secondaria così come la intendiamo attualmente. Si pensi, ad esempio, alla Francia o, per l’Italia, alla Lombardia austriaca e al Trentino, all’epoca Stati dell’Impero asburgico. Anche per questo l’età degli allievi che frequentano, in epoca medievale, le cosiddette “scuole mercenarie”, delle più diverse tipologie, o le scuole monastiche ed episcopali, è assai variabile. Definire la tipologia delle scuole e le caratteristiche di coloro che dispensavano, nel lungo Medioevo, un qualche insegnamento è una questione complessa (per brevità qui si rimanderà soltanto a Riché 1962-1966, 1968-1970 e inoltre: La scuola nell’Occidente latino dell’alto Medioevo 1972), specie se ci si riferisce all’insegnamento di base. I termini “scuola” e “maestro”, nel Medioevo europeo, sono caratterizzati da una irriducibile polisemia (Riché 1991; Weijers 1992), come dimostra il dibattito al riguardo (solo ad esempio sul termine “scuola” cfr. Marrou 1948-1978; Garin 1957; Riché 1962-1966; Sestan 1972; Vegetti, Alessio, Fabietti, Papi 1980; Grendler 1989-1991; Frova 1999; Black 2007a; sul termine “maestro” cfr. Le Goff 1957-1979; Alessio 1987; Verger 1997-1999; Weijers 1998). Dobbiamo aspettare la fine del XVI secolo e gli esordi del XVII e, soprattutto, la nascita di un sistema di seminaria nobilium (Brizzi 1976), a carattere transnazionale, per veder sorgere una tendenza che progressivamente “scolarizza”, a livello “secondario” coorti di allievi (principalmente maschi, con qualche notevole eccezione provocata dal riordino dei monasteri già presenti – circa i quali si rimanda a Miglio 2008 – e degli educandati) di età più o meno omogenee. Se pure Giuseppe Manacorda tenta già nel 1913 una riflessione al riguardo, molto resta ancora da fare, relativamente alla penisola italiana, per ricostruire la fisionomia della rete delle variegatissime agenzie formative, a carattere prevalentemente “primario”, che istruisce e, soprattutto, professionalizza (per una discussione in chiave metastorica e per un’analisi del dibattito storiografico sulla formazione alle professioni si rimanda, tra l’altro, alla serie “storia pedagogica delle professioni” ; a titolo esplicativo e per brevità cfr. qui soltanto Becchi, Ferrari 2009) una altrettanto complicata serie di figure del sociale, nel Medioevo. In questa sede si vuole soprattutto sottolineare la complessità del tema affrontato da Manacorda, a partire dalla difficoltà di operare una rassegna esaustiva degli studi compiuti in merito, almeno dal XIX secolo, quando nascono nuove istituzioni, società storiche e associazioni di ricerca (e nuove riviste) che si occupano di ricostruire le vicende di specifiche realtà della penisola italiana (sulle “strutture della ricerca in Italia” cfr. Cicco 2006, www.repertorio.retimedievali.it). Si vuole inoltre, come già si diceva, fare riferimento, senza pretesa di esaustività e nella consapevolezza di dover continuamente aggiornare la bibliografia, ad alcuni snodi cruciali della storiografia sugli argomenti qui tematizzati, traendo spunto dalle occasioni di riflessione offerte da talune delle ricerche accreditate. In particolare gli studi di Giuseppe Manacorda agli esordi del Novecento (da cui qui si è scelto di prendere le mosse, omettendo riferimenti alla letteratura del XIX secolo), e di Riché, nel 1962 e nel 1968, introducono alla complessità dei mutamenti che presiedono al cambiamento delle istituzioni educative tra la fine dell’età romana e il periodo carolingio. Si tratta di mutamenti complessi che coinvolgono il tramonto di un universo valoriale e, al tempo stesso, la sua sopravvivenza nella mutazione, lo sviluppo della cultura monastica, la resistenza di una cultura laica connessa alle molteplici attività lavorative nelle città. Più tardi, in Italia, a partire dall’età comunale, nel XII secolo, nei centri urbani va nascendo una pluralità di istituzioni educative, non solo religiose, ma anche laiche (Ortalli 2000 e inoltre Bordone 1984 e Patrone 1974), legate a diverse associazioni, corporazioni e gruppi di interesse. Il testo che Carla Frova pubblica nel 1973 riprende e sviluppa alcuni di questi spunti, sottolineando l’importanza di studiare la «cultura della scuola», nell’Occidente medievale, tra autorità religiosa e autorità laica, tra città e campagna, tra maestri “pubblici” e “privati” di diversa tipologia. Sappiamo pochissimo, inoltre, di quanto accadeva nelle botteghe dei mastri dei più diversi mestieri artigiani e/o della trasmissione dei saperi di padre in figlio (per una problematizzazione cfr. Pancera 1979; Pancera 1987; Santoni Rugiu 2008) e sulle forme di trasmissione di quella che Burke (1978-1980) chiama la “cultura popolare” (su questo, vastissimo, argomento, ad esempio Ginzburg 1976). Quanto ai fenomeni della “scolarizzazione” o, meglio, dell’articolarsi di una complicata rete di istituzioni educative extradomestiche, nella penisola italiana, è assai studiato il tardo Medioevo, quando si va organizzando nelle città una struttura del sistema formativo che, secondo Grendler, è destinata a durare fino alla fine dell’età moderna. Nel suo noto volume sulla scuola nel Rinascimento italiano, Grendler (1989-1991) tenta una prima ricognizione di tale panorama. Alcuni studi di caso, in contesti circoscritti (ad esempio Ortalli 1996; Nada Patrone 1996; Gazzini 2001; Black 2007a), analizzano in profondità le molteplici tipologie di fonti necessarie per mettere a fuoco le questioni cruciali in un dato ambiente sociale e culturale, tra processi formativi istituzionalizzati (Frova 1985) e informali. Non mancano le analisi sul Tre-Quattrocento, sugli esordi di quell’Umanesimo (Garin 1949, 1957, 1958, 1996; Battaglia 1960; Grendler 1989-1991; Secchi Tarugi 1992) che, all’incrocio con le questioni relative al consolidarsi di alcuni degli antichi Stati italiani, rappresenterà di fatto una rivoluzione pedagogica e non solo per le élites. (Per una recente riflessione anche storiografica al riguardo cfr. Black 2001 e Black 2007b). Vale per tutti il riferimento alla mantovana Ca’ Zoiosa di Vittorino da Feltre (Giannetto 1981), voluta e realizzata con l’appoggio dei Gonzaga nella prima metà del XV secolo, o il progetto della scuola della Sforzinda, la città ideale immaginata dal Filarete, ove «putti e putte» di modesta condizione sociale avrebbero dovuto essere educati insieme, per un nuovo futuro della comunità civile (Ferrari 2000). La storia dei processi formativi e dell’educazione “di base” nel XV secolo, tra saperi più o meno forti, tra cultura delle élites e dei ceti subalterni, del clero e del mondo laico, si intreccia con quella di specifici “luoghi” (Becchi 1987), tra città e campagna. Uno di questi luoghi è senz’altro la “corte”. La storia dei processi formativi nel Quattrocento italiano è legata a quella delle corti, grande laboratorio culturale che prepara il Rinascimento europeo e influenza i fenomeni educativi nell’età moderna (cfr. anche per una bibliografia Ferrari 2010; Del Bo 2011; Fantoni 2012) e, ciò nondimeno, non si esaurisce in essa, dati i molteplici saperi necessari a una società in cui stavano mutando i meccanismi di produzione della ricchezza, unitamente al mondo delle arti, dei mestieri e delle professioni. Ci si limita qui a segnalare che per molti secoli in Occidente altri luoghi dell’acculturazione a saperi di varia tipologia fuori dalla corte e dalla familia curiale (oltre che dalla casa del padre) sono senz’altro, per uomini e donne, come già si diceva, i monasteri (Zarri 1996; Xodo 1980) e le botteghe. Sulle pagine degli «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», importante rivista di settore, come del resto leggendo la rivista «Histoire de l’éducation», si trovano preziosi riferimenti al tema che qui interessa, se pure con particolare riguardo a epoche successive, ad esempio all’età contemporanea e all’età moderna, quando si va organizzando una rete di istituzioni formative “secondarie” che lasceranno la loro impronta nell’organizzazione didattica e nel lessico di quella che oggi chiamiamo “scuola” (si segnala, tuttavia, relativamente agli «Annali», il recente studio di Marconi dedicato all’insegnamento del latino nelle scuole dell’Italia comunale, 2011; ma anche Curzel 2002 e, specie in riferimento alla prima età moderna: Zardin 1994; Turchini 1995; Matarrese 1996; Materni 2010). Non a caso Maurizio Piseri ricorda che Carlo M. Cipolla individua nel Cinquecento un momento cruciale per i processi di scolarizzazione e di alfabetizzazione in Occidente (M. Piseri 2012b, p. 15 e Turchini 1996). Per una sintesi sulla storia della scuola italiana e per una bibliografia (assai ricca sul periodo post-unitario) circa tale tipologia di opere d’insieme, si rimanda, senza pretesa di esaustività, al volume di Giovanni Genovesi Storia della Scuola dal Settecento ad oggi (1998). Per un bilancio della storia della scuola in Italia si rimanda al volume curato da Fabrizia Antinori e pubblicato nel 1998 oltre che a un saggio di Angelo Gaudio (2000) e a un contributo di Angelo Bianchi del 2001. Per un’analisi assai recente del dibattito sull’argomento e per un “atlante” della scuola in Italia tra XVIII e XIX secolo, si vedano i volumi curati da Angelo Bianchi nel 2007 e nel 2012. In Italia, come in altre nazioni europee (si pensi alla Francia, per esempio), sono numerosi gli studi e le ricerche sulla fisionomia della professione magistrale e sulla professionalizzazione dei “maestri” (per una bibliografia sul caso italiano, con particolare riferimento al crinale tra XVIII e XIX secolo, che segna un punto di svolta, qui si citeranno solo alcuni saggi pubblicati dopo il 2009: M. Piseri 2009, 2012a, 2012b; Polenghi 2009, 2012; Pagano, Vigo 2012). Gli studi sui temi dell’istruzione di base nel Medioevo italiano fanno riferimento alla storiografia di settore (solo ad esempio Frova 1973; Ortalli 1993 e 1996; Nada Patrone 1996…) e incrociano le ricerche sull’alfabetizzazione (ad esempio Cherubini 1996; Balestracci 2004); per una riflessione, in tempi recenti e in particolare, su “aspetti, problemi e prospettive di ricerca”, in riferimento a casi specifici cfr. ad esempio Avesani 2001; Marconi 2011. 1.2. Alfabetizzazione Gli studi sull’alfabetizzazione (Riché 1998) relativi al Medioevo italiano si scontrano anzitutto con la difficoltà di reperire fonti al riguardo. L’impulso dato dagli studi di Cipolla dapprima e poi, a partire dagli anni Settanta del Novecento, anche sulla scorta di quanto veniva proposto altrove (in Francia, ad esempio cfr. Furet, Ozouf 1977), dal lavoro di Petrucci, Bartoli Langeli e Toscani, è stato foriero di nuove ricerche (cfr. M. Piseri 2012a), soprattutto per quanto concerne l’età moderna, specie per gli aspetti di carattere seriale-quantitativo connessi, nell’Europa cattolica, all’analisi di una certa tipologia di fonti (firme degli atti matrimoniali, visite pastorali…). Assai diverso il contesto, sociale, culturale e ideologico dell’Europa riformata, che qui non è il caso di prendere in considerazione, in quanto siamo al di là dei limiti cronologici che ci siamo dati. Ricordiamo però che il tema delle scuole “di base” per tutti assume nuove valenze nell’Europa riformata, fino ad assurgere, con Comenio, a una nuova proposta pedagogica che, in una scuola rinnovata, possa aspirare a insegnare, con gradualità, «tutto a tutti» (Gasparini 1984). È noto che non solo nel Medioevo, ma, almeno per tutta l’età moderna, leggere, scrivere e far di conto non sono la stessa cosa; pertanto “alfabetizzare”, cioè introdurre al lessico della comunità civile e ai rudimenti dei saperi più largamente condivisi diverse tipologie di allievi e in diversi ambienti, è un’operazione connessa a processi difformi, caratterizzati da molteplici finalità (su questi temi, tra l’altro, anche per una rassegna degli studi sulla storia dell’alfabetismo: Graff 1995-2002 e 1987-1989. Per una analisi di diversi approcci al tema cfr. Roggero 2009). Le pratiche didattiche (Del Corso, Pecere 2010) e culturali (Chartier 1985), connesse alla lettura (Cavallo, Chartier 2009), alla scrittura (Petrucci, Romeo 1992), al far di conto (per una riflessione anche in chiave storiografica e una bibliografia degli studi sull’argomento cfr. ad esempio Black 2009), sono variegate, tanto quanto le figure del sociale che si suppone debbano acquisire in contesti eterogenei (tra casa, strada, bottega e “scuola”, tra città e campagna, tra corte e mondo delle professioni) diversi livelli di competenze e capacità. Marina Roggero, in un volume dedicato proprio a questo tema, cioè alla conquista dell’alfabeto (Roggero 1999), sottolinea, in riferimento al contesto italiano tra Sette e Ottocento, la presenza di una pluralità di livelli di culture, in contesti eterogenei, anche se coevi e geograficamente finitimi. Altri studi, relativi alla fine dell’età moderna (per esempio M. Piseri 2002; Vigo 2007) e all’età contemporanea (ad esempio Chiosso 2011), mostrano la complessità delle questioni, in riferimento al nostro paese e a contesti specifici (ad esempio in riferimento all’area emiliana e romagnola in età moderna cfr. Brizzi 1985-1986). Se, non solo nel Medioevo italiano, ma in tutta la storia dell’umanità è sempre stato così, appare particolarmente interessante oggi, nella nostra società multiculturale e globalizzata, studiare tali aspetti del nostro passato (cfr. Lucchi 1978, 1982) con uno sguardo al futuro (senza pretesa di esaustività cfr. Morin 1999-2001; Nussbaum 1997-2006, 2010-2011, 2011-2012). In questa sede si accenna soltanto all’esistenza di una vastissima serie di studi sul tema dell’eterogeneità dei contesti culturali (ad esempio per una bibliografia Zoletto 2012) che affonda le sue radici nelle riflessioni dell’antropologia culturale dei primi decenni del Novecento (cfr. ad esempio Benedict 1934-1979). Parlare di “leggere, scrivere e far di conto” nel Medioevo italiano (ed europeo) significa parlare di culture e di pratiche culturali complesse, intersecantesi, tra saperi largamente condivisi e spesso orali e mondo della scrittura. Il dibattito sul rapporto oralità-scrittura è ormai vastissimo anche in ambito antropologico, da Havelock a Goody a Ong (e inoltre Graff 1981-1986, 1987-1989, 1995-2002); altrettanto vasto è il dibattito sull’origine e sulla funzione della scrittura (qui si ricorda soltanto Barthes, Mauriès 1981; Godart 2011). La complessità della questione si pone anche, nell’Occidente europeo, sul piano del rapporto tra latino (Waquet 1998-2004) e volgare (cfr. M. Piseri 2012b), prima che la scoperta della stampa facesse del libro un prodotto a più larga diffusione (la letteratura al riguardo è assai ampia: per una bibliografia cfr. ad esempio Richardson 1999-2004; Braida, Infelise 2010; per una riflessione e una prima analisi della bibliografia limitatamente all’uso pedagogico della pagina si veda Ferrari 2011; per un approfondimento, in ambito paleografico, sulle forme della scrittura, anche solo per l’età medievale, si rimanda, senza pretese di esaustività, a uno studio di Mastruzzo 2005). Le vaste sintesi degli ultimi trent’anni del XX secolo sui temi della storia della pedagogia e dell’educazione restano un primo riferimento importante di carattere generale (cfr. ad esempio Assa et alii 1971-1973; Bowen 1979-1983; Mialaret, Vial 1981-1986, ma si veda anche Geymonat 1970-1977). Riguardo a un “bilancio” e a nuove “prospettive della storia dell’educazione in Europa” si rimanda agli atti del convegno bresciano del 2004 (ora in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 2005): Si tratta di questioni che qui non è possibile affrontare. Sui recenti orientamenti della ricerca storico-educativa si veda, per esempio, la rivista «Studi sulla formazione». Quanto alla penisola italiana, non mancano le opere d’insieme (storie della pedagogia, della scuola, dell’educazione, dell’infanzia) che toccano, relativamente al periodo e al contesto che qui interessa, le tematiche della formazione ai saperi del leggere, dello scrivere e del far di conto. Si tratta soprattutto di testi scritti da chi studia e insegna le discipline pedagogiche, anche se tali opere hanno spesso orientamenti assai diversi (per una panoramica si rimanda a Caimi 2005 e all’antologia curata da Vanni 2011). Per la storia della pedagogia e dell’educazione si ricordano qui, a mero titolo esemplificativo e nella consapevolezza di una interessante letteratura al riguardo, alcuni testi che sono caratterizzati da un preciso “taglio”: Santoni Rugiu 1979; M.A. Manacorda 1983; Becchi 1987; M.A. Manacorda 1992; Cambi 1995; Sani 1999; Chiosso 2007; Chiosso 2012. Si veda anche la serie di volumi sull’“educazione dei figli”: Genovesi 1999; Loré 1999; Pancera 1999. Per la storia dell’infanzia si rimanda soltanto, scegliendo in una letteratura assai vasta a livello internazionale, ad Ariès 1960-1968; De Mause 1974-1983; Bidon, Closson 1985; Giallongo 1990; Trisciuzzi 1990; Becchi 1994; Becchi, Julia 1996; Ulivieri 1999; Orme 2001; Classen 2005; Riché 2010. Vi si discute, da un lato, di idee di scuola, di bambino e di società civile, ma, dall’altro, anche di maestri e di allievi, di contesti, luoghi e spazi dell’educare, di pratiche formative (si veda per l’Inghilterra Orme 1973). In ambito internazionale non mancano volumi sui fenomeni educativi e culturali in età medievale che concernono, quindi, questioni e problemi che interessano anche il contesto italiano (per una bibliografia cfr. Riché, Verger 2006 - 2011 ed inoltre Heullant-Donat 2000). Qualche studio pubblicato sul finire del XX e nel primo decennio del XXI secolo, qui ricordato a titolo esemplificativo di un più ampio dibattito (Lucchi 1978, 1982, 2000; Balestracci 2004; Miglio 2008), analizza da vicino, in sintonia con ricerche relative ad altri paesi europei (cfr. senza pretesa di esaustività Castillo Gómez 1997, 2002; Chartier 1985; Messerli, Chartier 2000), per contesti circoscritti, le pratiche dell’educare alla lettura, alla scrittura (ad esempio Antonelli, Becchi 1995) e al far di conto (ad esempio F. Piseri 2012), in un mondo in cui l’uso della scrittura non era prerogativa di tutti, nella consapevolezza della potenzialità di tale “dispositivo” che faceva la differenza e sottolineava le differenze nella società degli ordini, preoccupata di legittimare un assetto del sociale basato sulla disuguaglianza (per una discussione e una bibliografia in rapporto a tale specifico problema cfr. Ferrari 2011). Ancora una volta il Quattrocento italiano rappresenta un punto di svolta nello stile del vivere e non solo per il nostro paese; tale cambiamento di prospettiva trae nuovi spunti e si consolida nell’universo curiale (Tissoni Benvenuti 1987). Nelle corti italiane del Quattrocento, la pratica scrittoria (Petrucci 1986) diventa una vera “ossessione” (Senatore 1998) non solo per le cancellerie, e il debito dello scrivere soprattutto lettere (cfr. anche per una bibliografia Ferrari 1997, 2000, 2006, 2008, 2009a, 2009b, 2011; Lazzarini 2009, 2010), testimonianza di dovere e d’affetto in absentia (Petrucci 2008), sembra vincolare gli uni agli altri coloro che occupano un posto preminente nelle familiae curiali. Si inaugurano così, dapprima per le élites, nuove pratiche della lettura e della scrittura per specifici generi letterari e nuovi libri (si veda, tra l’altro: Firpo 1967; Bologna 1980; Ferrari 2000), mentre il mondo delle professioni si dedica, anche a partire dal far di conto, al rendere conto e al chiedere ragione, per iscritto, di beni e persone, avviando il grande controllo sociale operato dal dispositivo scritturale nell’età moderna (De Certeau 1990-2010; Chartier 2005-2006). 1.3. Testi citati F. Alessio, Lo scolastico. Ritratto di un maestro, in E. Becchi, a cura di, Storia dell’educazione, Scandicci (Firenze) 1987, pp. 151-164. 2. Le fonti: problemi di identificazione e tipologie Le istituzioni scolastiche “pubbliche”, in senso odierno, hanno come scopo principale la formazione di “buoni cittadini”; sono quindi fortemente legate al progetto politico dello Stato che le istituisce. Certo è che, tuttavia, nella storia dell’Occidente anche i soggetti privati hanno istituito e istituiscono agenzie educative che concorrono alla formazione dei cittadini. La questione è assai complessa e non si intende risolverla con tale affermazione. Per una problematizzazione in chiave pedagogica e metastorica si rimanda qui soltanto al noto testo di Jerome Bruner, La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola (Milano 1997- Cambridge [Mass.] 1996). In Italia, dopo il travaglio che ha condotto all’unità nazionale, nei nuovi Archivi di Stato, funzionali alla costruzione dell’identità dello Stato italiano, vengono riorganizzate raccolte archivistiche ricchissime e antiche. Si pensi, ad esempio, al fondo Studi dell’Archivio di Stato di Milano, che raccoglie le testimonianze della legislazione e dell’attività degli istituti di antico regime (Parte Antica) e del XIX secolo (Parte Moderna). Tali raccolte non sono tuttavia presenti per l’età medievale. Concentrandosi sugli ultimi due secoli del Medioevo italiano, caratterizzati da una vivace sperimentazione politica che porta dal Comune alle nuove formazioni statuali, anche a carattere regionale, manca in molti casi un effettivo interesse delle autorità politiche per la fondazione di scuole di base (ben diverso il discorso è invece per le università). Gli studi al riguardo mettono in luce che si preferisce, insomma, regolamentare l’attività dei maestri da un punto di vista strettamente amministrativo, come per le altre corporazioni di professionisti, piuttosto che organizzare un sistema coerente dell’istruzione. In quell’epoca l’educazione alla cittadinanza passa, infatti, soprattutto attraverso altri canali, non obbligatoriamente legati alla cultura scritta, tali da raggiungere anche strati sociali non alfabetizzati o semialfabetizzati. Le fonti che trattano la scuola e la scolarizzazione sono, quindi, estremamente eterogenee, soprattutto aprendo lo sguardo al panorama offerto dagli archivi italiani e dalle grandi raccolte edite. Non potendo enumerare puntualmente fondi d’archivio, si procederà con un’analisi, obbligatoriamente sommaria e a carattere orientativo, delle tipologie di fonti e delle testimonianze utilizzate dagli studiosi del tema, nella consapevolezza di un ricco panorama di studi ancora da ricostruire, a partire dallo spoglio sistematico delle pubblicazioni delle variegatissime “strutture della ricerca” di settore in Italia (circa le quali si rimanda a Cicco 2006, www.repertorio.retimedievali.it). 2.1. Scuola e scolarizzazione Come già accennato in precedenza, l’idea di scuola nell’Occidente europeo, in particolare ai suoi primi livelli, è fortemente legata all’idea e alla forma dello Stato. Tra le prime tipologie di fonti alle quali bisogna far riferimento, nel tentativo di ricostruire una storia delle istituzioni scolastiche, ci sono quindi i testi legislativi. Nei primi secoli del Medioevo, caratterizzati da una progressiva decadenza delle istituzioni romane a favore di nuove forme statuali, si può osservare come l’educazione riscontri sempre meno interesse nei regni che si alternano nel controllo politico del territorio italiano, tanto che fino alla fine dell’VIII secolo sarà soprattutto la Chiesa a porre particolare attenzione alle istituzioni scolastiche. Da più parti si ribadisce che la fondazione delle scuole episcopali, destinate ai futuri sacerdoti, è sancita dal Concilio di Toledo (527), mentre il Concilio di Vaison (529) istituisce le scuole parrocchiali (Frova 1973). Per gli atti dei Concili, come per molti altri documenti legislativi emanati dalle autorità laiche ed ecclesiastiche, sono di straordinaria utilità i Monumenta Germaniae Historica (http://www.dmgh.de/). La letteratura al riguardo sottolinea che accanto alle scuole amministrate dal clero secolare hanno un ruolo fondamentale, anche per quanto riguarda la storia della pedagogia, le scuole monastiche. In questo caso le fonti di maggiore interesse sono le regole monastiche e gli inventari delle biblioteche dei monasteri. È noto che l’autorità laica tornerà a legiferare in modo veramente significativo sulla scuola solo in età carolingia, appoggiandosi, come nella distrettuazione politica, sulle esistenti istituzioni ecclesiastiche. Anche per i secoli a cavallo dell’XI i Monumenta Germaniae Historica sono una risorsa preziosa, per quanto riguarda sia le fonti di carattere dispositivo sia quelle di carattere narrativo. Queste fonti però poco ci dicono sull’effettiva diffusione delle scuole sul territorio, sulla frequenza e sul curriculum studiorum degli allievi. Ancora una volta sappiamo di più per quanto riguarda le scuole ecclesiastiche che per quelle istituite dalle autorità laiche, grazie alle regole monastiche e alle biografie e agiografie. Si tratta però di opere che devono essere prese e assunte con una certa cautela per quanto concerne le notizie in esse contenute circa le istituzioni e la vita nelle scuole (per un’antologia ragionata delle fonti presenti in MGH si veda Frova 1973). In Italia con la nascita dei Comuni il panorama delle fonti sulla scuola cambia notevolmente: inizia qui il percorso «che trasforma i maestri da liberi professionisti in pubblici funzionari» (Frova 1973, p. 101). Anche per questo periodo le fonti sono molto varie, ma non sempre sistematicamente organizzate dalle istituzioni. Gli statuti comunali (Nada Patrone 1996) sono ricchi di disposizioni, ma poco ci dicono sui metodi e sulle pratiche dell’insegnamento. I maestri, per lo più privati, dal Comune ottengono privilegi fiscali, un sistema tariffario con un minimo stabilito; altri documenti di carattere amministrativo, come ad esempio il catasto fiorentino studiato da Robert Black (2007a), consentono un dettagliato censimento delle istituzioni scolastiche private, ma è altrove che bisogna orientarsi per capire l’effettivo funzionamento delle scuole. Fonti narrative, innanzi tutto, permettono, attraverso il ricordo dell’autore, di conoscere alcuni aspetti delle condizioni della vita materiale, dei metodi d’insegnamento, alcuni contenuti delle materie di studio: i “libri di famiglia” e di ricordi da questo punto di vista sono ricchi d’informazioni non solo sulla vita quotidiana nelle scuole, ma anche sui costi e sulle ragioni delle scelte educative operate dai genitori (Cherubini 1989). Le cronache cittadine danno informazioni sul numero di scuole, sulla frequenza degli alunni e sulla qualità dell’insegnamento, spesso però con intenti eccessivamente celebrativi. Si tratta di informazioni preziose quanto al dover essere, alle attitudini culturali e agli atteggiamenti collettivi, ma non certo quanto alla fedele ricostruzione dell’assetto delle agenzie formative. La vera miniera documentaria da cui attingere è quella offerta dai fondi notarili degli Archivi di Stato italiani. Esclusi alcuni casi in cui la ricchezza di documentazione notarile legata alle scuole rende queste ricerche meno dispersive, è estremamente difficile un’indagine sistematica a causa della vastità dei fondi e della mancanza di censimenti documentari. Tra le imbreviature e gli atti dei notai, a partire soprattutto dal XIII secolo, compaiono le tracce dei contratti tra le istituzioni o le famiglie e i maestri. I contratti di questi ultimi con i loro collaboratori (Goldthwaite 1972-1995; Lucchi 1982), in alcuni casi, particolarmente fortunati, consentono di ricostruire le vicende delle scuole e dei docenti che vi lavorano (Ulivi 2004). 2.2. Alfabetizzazione Gli studi che hanno caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso propongono una definizione di alfabetizzazione in base alla quale può variare il sistema di documenti, fonti e testimonianze utilizzabili e utilizzati dai ricercatori. Infatti, a partire soprattutto dagli anni Settanta, la storiografia si è basata sullo studio dei «fatti di scrittura» (Bartoli Langeli 1978, p. 438) in senso lato; le fonti in questa prospettiva sono pertanto «tutti i materiali che attengono, direttamente e indirettamente, alla scrittura. Quindi, il libro ma non solo il libro: appunti, documenti, sottoscrizioni, scrittura d’apparato, scritte murali e così via» (ibidem, p. 439). Il dibattito sulle fonti riguardanti l’alfabetizzazione e sull’uso che di esse può essere fatto si dimostra estremamente vivo già nel confronto tra gli studiosi nell’ambito del seminario perugino che indica il vero punto di svolta nella ricerca sull’alfabetismo, non solo in età medievale. Per l’età presa in considerazione risultano difficili studi di carattere quantitativistico sulla documentazione, comunque tentati, basati, ad esempio, sulle sottoscrizioni autografe di atti notarili: l’impossibilità di avere un dato anagrafico attendibile impedisce di stabilire percentuali che restano valide solo nella ristretta cerchia dei testimoni e degli attori. La prospettiva di ricerca basata sulle sottoscrizioni però è limitativa se per alfabetizzazione si intende la capacità di scrivere e leggere; per l’età medievale bisogna inoltre considerare l’ampia fascia di popolazione semialfabetizzata, su cui si concentrano soprattutto Petrucci e i suoi allievi diretti ed indiretti, guidati da una forte sensibilità per la dimensione sociale dei fenomeni scrittori. Le testimonianze in questo senso sono caratterizzate da un «minimo quoziente di durabilità» (Petrucci 1978, p. 454). Proprio il paleografo romano, già nel 1977, segnala i fondi su cui dovrebbe concentrarsi l’attenzione dei ricercatori: «fondi amministrativi pubblici […]; fondi giudiziari […]; archivi privati […]; fondi manoscritti di biblioteche […]; graffiti o scritte […] eseguiti sui muri» (Petrucci 1978, p. 455). Partendo da queste considerazioni, di primaria importanza, è stato possibile assegnare valore documentario anche a tracce scrittorie ben lontane dalla classica definizione diplomatistica di documento come testimonianza di un atto giuridico. Anche da qui nascono gli studi basati sui carteggi, che in età rinascimentale, diventano particolarmente ricchi e densi a diversi livelli sociali e senza barriere di genere: dai mercanti ai principi (Doglio 1993; Zarri 1999; Ferrari 2000, 2011; Lazzarini 2009, 2010; Nico Ottaviani 2006; Piseri F. 2012a). 3. Studi e ricerche Nell’affrontare una selezione della bibliografia sui temi della scolarizzazione e dell’alfabetizzazione nel Medioevo è sembrato opportuno separare i due argomenti. A partire degli anni Settanta, con l’interesse degli studiosi di paleografia, la scuola (istituzioni scolastiche, metodi pedagogici), i processi di scolarizzazione e l’alfabetizzazione diventano argomenti di studio oggetto di approcci metodologici spesso molto diversi, dovuti alla differenziazione delle fonti che, grazie all’opera di Armando Petrucci, per lo studio dell’alfabetizzazione si ampliano notevolmente: come scrive Duccio Balestracci (2004, p. 12) «non era più l’istruzione scolastica istituzionalizzata ad incentrare su di sé l’attenzione ma, al contrario, erano i molteplici mezzi attraverso i quali si realizzava l’approccio con la scrittura ad essere analizzati». È sembrato quindi opportuno dividere la bibliografia qui presentata in due sezioni che, per quanto intrinsecamente legate, procedono dialogando con metodi di ricerca, fonti di riferimento e vicende storiografiche diverse, come faceva notare Attilio Bartoli Langeli nella premessa al già ricordato seminario di Perugia del 1977 su alfabetismo e cultura scritta. Si tiene a ribadire che, qui, come in tutti gli altri paragrafi dell’intero contributo, data la vastità del tema, all’incrocio di diverse piste di ricerca, l’elenco dei testi citati, che segue, non ha pretesa di esaustività. Si è operata una selezione (che ci si riserva di aggiornare nel tempo) tra le pubblicazioni segnalate dagli studiosi di settore che se ne occupano di recente e a esse si rimanda per un ulteriore approfondimento dell’indagine. 3.1. Scuola e scolarizzazione Il tema della scolarizzazione di base nel Medioevo è estremamente variegato così come sono varie e differenti le istituzioni che propongono un’offerta pedagogica. Esistono quindi storiografie che si concentrano sulle periodizzazioni. Il tema dell’istruzione scolastica di base nella storiografia, per decenni è stato «assai defilato», per usare le parole di Gherardo Ortalli (1996). Ancora oggi importantissima è comunque la prima opera che tenta uno studio sistematico della scuola medievale, la Storia della scuola in Italia di Giuseppe Manacorda che mette già in luce, come evidenziato da Eugenio Garin nell’introduzione alla ristampa dell’opera (Manacorda s.d. [1914], rist. anast. 1980), il rapporto tra scuola e istituzioni degli Stati. A partire dagli anni Settanta del Novecento, l’attenzione degli storici sul tema, anche grazie all’impulso della storia della pedagogia e della storia dell’infanzia (Ariès 1960-1968; Becchi, Julia 1996), si accende fino ad una stagione molto ricca di studi, quella a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, che vede tra i suoi protagonisti alcuni studiosi, tra cui Carla Frova e Giovanna Petti Balbi per l’età comunale, Paul Grendler e Robert Black per quanto riguarda il Rinascimento. In questo periodo vengono date alle stampe diverse monografie che trattano studi di caso di particolare interesse: ad esempio Gherardo Ortalli per l’area veneziana, Anna Maria Nada Patrone per il Piemonte, ancora Black per Arezzo e il territorio fiorentino. La partizione che segue è, ovviamente, arbitraria come qualunque tentativo di periodizzazione. Nella consapevolezza di tale arbitrarietà, pare comunque opportuno inserire i singoli lavori citati con l’indicazione di un ambito che si intende solo come prevalente. In alcuni casi a tale criterio si unisce la scelta di sottolineare i temi di ricerca di singoli autori, mantenendo accorpate le citazioni dei loro studi. 3.1.1. Opere di carattere generale sulle istituzioni scolastiche medievali e opere di impianto storico-pedagogico (su questo aspetto cfr. il paragrafo 1) Ph. Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Bari 1968, 19813 (Paris 1960). 3.1.2. Alto Medioevo G. Arnaldi, Scuole nella Marca Trevigiana e a Venezia nel secolo XIII, in G. Arnaldi, a cura di, Storia della cultura veneta, vol. 1, Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 358-386. 3.1.3. Età dei Comuni e delle Signorie P.L. Falaschi, I bandi dei maestri, in Scuola e insegnamento. Atti del 35° Convegno di studi maceratesi, Abbadia di Fiastra (Tolentino), 13-14 novembre 1999, Macerata 2001, pp. 23-42. 3.1.4. Umanesimo e Rinascimento R. Avesani La storia della scuola. Aspetti, problemi e prospettive di ricerca, in Scuola e insegnamento. Atti del 35° Convegno di studi maceratesi, Abbadia di Fiastra (Tolentino), 13-14 novembre 1999, Macerata 2001, pp. 1-21. 3.2. Alfabetizzazione Il saggio di Armando Petrucci del 1969, intitolato Scrittura e libro nell’Italia medievale, segna il punto di svolta nella definizione di un nuovo approccio metodologico applicato allo studio dell’alfabetizzazione in età medievale. L’impulso paleografico dà vita a una stagione ricca di studi che culmina con la nascita della rivista «Scrittura e civiltà» (1977) e con il convegno tenutosi a Perugia sul tema Alfabetismo e cultura scritta nella storia della società italiana. Alcuni dei contributi di questo incontro, introdotti da una premessa programmatica di Attilio Bartoli Langeli, vengono prima pubblicati nel numero monografico di «Quaderni storici» del 1978 e poi, rivisti e aggiornati, nell’edizione degli atti del convegno sempre del 1978 (per una riflessione storiografica al riguardo cfr. Balestracci 2004, pp. 9-17). Nel 1983 un altro seminario, organizzato da Egle Becchi, svoltosi a Milano presso la Fondazione Feltrinelli, contribuisce in modo significativo allo sviluppo delle ricerche sull’alfabetizzazione – non solo nel Medioevo – grazie all’apporto dei pedagogisti, degli storici della pedagogia e della scuola, ma anche e soprattutto grazie a un vasto dibattito culturale transdisciplinare che vede storici di diverso orientamento dialogare e discutere tra loro e con chi si occupa specificatamente di fenomeni educativi (cfr. Bartoli Langeli, Toscani 1991). In questi studi sono già presenti molte delle linee di ricerca condivise in un dibattito internazionale che andrà sviluppandosi in quegli anni (cfr. Graff, 1987-1989): il rapporto tra cultura scritta e cultura orale, la necessità di definire l’alfabetizzazione non solo in base alla capacità di scrivere, ma anche in base alla capacità di leggere e comprendere un testo, il rapporto tra cultura alta e cultura semialfabetizzata. La sensibilità per lo scrivente, l’attenzione per la cultura grafica di chi lascia una testimonianza (fondamenti dell’opera di Petrucci) hanno una grande influenza per gli studi che, tra gli anni Ottanta e Novanta, porteranno avanti la ricerca sull’alfabetizzazione, con una particolare attenzione alla dimensione sociale dello scrivere, abbandonando le prospettive quantitativistiche dei decenni precedenti. Nel lavoro di Luisa Miglio, in particolare, è evidente l’incontro tra il rigore paleografico, l’ascendente antropologico (Cardona 1981) e la storia di genere. La lezione di Petrucci, la sua attenzione per la storia della cultura scritta e la cultura dello scrivere, continua anche con importanti contributi internazionali come quelli di Antonio Castillo Gómez e Béatrice Perez, particolarmente attivi anche nell’organizzazione di convegni (nel 2012 Espacios y formas en la escritura epistolar en el área románica), incontri che sono importanti in quanto rappresentano floride occasioni di dialogo e confronto tra studiosi di diversi settori scientifico disciplinari, come agli esordi del dibattito sull’alfabetizzazione. G. Avarucci, R.M. Borraccini Verducci, G. Borri, a cura di, Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso Medioevo. Atti del convegno di studi, Fermo, 17-19 settembre 1997, Spoleto (Perugia) 1999. Di particolare interesse ai fini del nostro discorso le voci di due enciclopedie: dell’Enciclopedia, diretta da R. Romano,edita da Einaudi: dell’Enciclopedia pedagogica, diretta da M. Laeng, edita da La Scuola: Scolarizzazione (M.T. Moscato), vol. 6, Brescia 1994, pp. 10507-10510; Scuola (E. Damiano), vol. 6, pp. 10526-10536. 4. Risorse digitali Notizie sul tema della scolarizzazione e dell’alfabetizzazione nel Medioevo italiano, come si è più volte detto, si trovano in fonti e archivi diversi e dispersi. Come afferma Marina Gazzini nella scheda del Repertorio di Reti Medievali dedicata al tema delle confraternite religiose laiche (www.repertorio.retimedievali.it), la Guida generale degli Archivi di Stato italiani, consultabile, in cartaceo e online, resta la prima risorsa per qualunque ricerca anche su queste tematiche (http://www.guidageneralearchivistato.beniculturali.it/). Quanto alle risorse digitali, si segnala la presenza, in Italia e nel mondo, di interessanti musei della scuola spesso connessi a centri di ricerca, che offrono al pubblico le loro collezioni anche online (per una serie di link al riguardo si rimanda al sito della rivista «History of Education & Children’s Literature», http://www.hecl.it/en/). Cominciano a diffondersi in Italia collezioni digitali di oggetti e strumenti legati alla didattica e al mondo della scuola, non necessariamente legati a una struttura museale (cfr. ad esempio http://www-5.unipv.it/lezcose). Va detto però che, nel caso specifico del nostro paese, i musei della scuola che offrono al visitatore collezioni consultabili online e le collezioni digitali dedicate presentano soprattutto materiali relativi al XIX e al XX secolo. (Per una riflessione su “luoghi e strumenti della ricerca e dell’insegnamento della storia dell’educazione in Italia” si veda il saggio di L. Caimi nel numero 12 del 2005 della rivista «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», pp.317-340). È banale affermare che biblioteche, archivi e musei pubblici e privati oggi dispongono di un catalogo online e hanno digitalizzato e/o stanno digitalizzando una serie importante di materiali prima accessibili solo per consultazione in loco. A titolo meramente esemplificativo si pensi alle collezioni digitali della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (http://www.bncf.firenze.sbn.it) o alla possibilità di consultare in rete il catalogo dei manoscritti e una grande varietà di fonti anche iconografiche offerta dalla Bibliothèque Nationale de France (http://www.bnf.fr/fr/acc/x.accueil.html). Inoltre le società e gli istituti di studi storici, le deputazioni di storia patria, i Centri di ricerca universitari sono ormai reperibili in rete (per uno specifico approfondimento si veda quanto scrive, nel 2006, Giuseppe Gianluca Cicco, www.repertorio.retimedievali.it). Spesso i link dei loro siti rimandano l’uno all’altro. Per fare solo un esempio, sul sito della Società napoletana di storia patria (www.storiapatrianapoli.it) si trova un elenco relativo a 15 deputazioni di storia patria, a 13 società di storia patria e a 1 società di studi storici italiane, corredate da uno specifico indirizzo digitale, ove presente. Tali link, che tuttavia necessitano di un costante aggiornamento, sono senza dubbio assai interessanti per un’analisi di studi di caso non solo a livello locale, in quanto sono sempre più frequentemente presenti in rete gli indici di periodici e delle pubblicazioni editi a cura dei diversi istituti. Per un’analisi delle riviste di ambito medievistico in rete si rimanda al contributo di Andrea Barlucchi (www.repertorio.retimedievali.it). Si ricorda qui in particolare, per la rubrica dedicata al tema delle scuole e dell’insegnamento, il noto (lo cita anche Avesani 2001) repertorio Medioevo latino. Bollettino bibliografico della cultura europea da Boezio a Erasmo (secoli VI-XV). Molte riviste che sono di grande utilità per un approfondimento circa la tematica in oggetto – e che sono state citate in precedenza in questo saggio – recano i loro indici online (si ricorda qui soltanto a mero titolo esemplificativo la rivista «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche» o la rivista «Histoire de l’éducation»), mentre il crescente interesse per la cultura materiale relativamente alle istituzioni educative e ai processi di scolarizzazione trova spazio in convegni e ricerche a livello internazionale. Ad esempio K. Priem, G.M. König, R. Casale curano sulle pagine della rivista «Zeitschrift für Pädagogik», 58 (2012), un numero monografico su questi temi. In riferimento al caso della ideologia pedagogica e dei materiali didattici in due corti europee, in Italia e in Francia, tra XV e XVII secolo cfr. il saggio di M. Ferrari, Education and things. Pedagogical ideologies and didactic materials in two European courts (15th-17th centuries), http://www.pedocs.de. Anche Youtube si presenta oggi come una nuova e interessante risorsa online. Alcune istituzioni hanno cominciato a filmare e riprodurre in rete i convegni da loro organizzati, prima che vengano pubblicati gli atti. Proprio su temi legati ai processi educativi per le élites tra tardo Medioevo ed età moderna si rimanda al canale Youtube della Scuola Normale Superiore di Pisa, per la visualizzazione del convegno “Itinerari del sapere”, svoltosi nel dicembre 2012: 4.1 Riferimenti sitografici per alcune riviste citate Molti importanti saggi citati nelle bibliografie proposte in questo contributo sono stati pubblicati in riviste che trattano in modo ampio le tematiche della scolarizzazione, dell’alfabetizzazione e della cultura scritta, non solo nel Medioevo. Non potendo per ovvie ragioni citare tutti gli articoli pubblicati, in taluni casi sull’arco di decenni, pare comunque opportuno dare al lettore almeno i riferimenti sitografici per raffinare le ricerche, secondo specifiche esigenze, negli indici di alcuni dei periodici sopra menzionati. «Aevum» «Annales. Histoire, Sciences sociales» «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche» «Archivio storico italiano» «Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze» «La Bibliofilia» «Bollettino di storia delle scienze matematiche» «Bollettino storico piacentino» «The Catholic Historical Review» «Genesis. Rivista della Società Italiana delle Storiche» «Giornale storico e letterario della Liguria» «Histoire de l’éducation» «History of Education & Children’s Literature» «The Journal of European Economic History» «Journal of the History of Ideas» «Lettere italiane» «Mélanges de l’École française de Rome» «Micrologus» «Nuova Secondaria» «Quaderni per la storia dell’Università di Padova» «Quaderni storici» «Quaderno di comunicazione» «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken» Renaissance Quarterly» «Reti Medievali - Rivista» «Rinascimento» «Studi Medievali» «Studi sulla formazione» Questa pagina è periodicamente aggiornata. Chi desiderasse segnalare mutamenti e novità relativamente alle risorse a stampa e in rete può contattare direttamente i curatori, Monica Ferrari (monica.ferrari@unipv.it) e Federico Piseri (federicopiseri@gmail.com). Monica Ferrari, dottore di ricerca in Pedagogia, è professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale presso l’Università di Pavia, ove insegna anche Storia della Pedagogia. Studia strategie, materialità e congegni pedagogici in ottica diacronica. Federico Piseri, dottore di ricerca in Storia medievale, è cultore della materia (Pedagogia e Storia della pedagogia) presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Pavia. Si occupa, in particolare, di questioni di formazione delle élites e di formazione alle professioni |
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Ultima modifica: 11/06/2013 |