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Didattica > Fonti > Le campagne nell’età comunale > I, 5

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione I – Il potere signorile nelle campagne

5. I signori del castello di Roffiano vendono terre e famiglie contadine al monastero di Passignano

Il monastero di S. Michele di Passignano, nella parte meridionale del contado fiorentino, esercitava un dominio signorile sul vicino castello di Poggialvento e quindi sul territorio della sua curtis. A un paio di chilometri da Poggialvento era il castello di Roffiano, dominato dai Malapresa, un ramo familiare dei nobili Firidolfi. Il 29 settembre del 1179 Rinaldo di Malapresa e l’abate di S. Michele si accordarono per evitare reciproche molestie nei castelli di Roffiano e, rispettivamente, di Poggialvento. Nell’accordo venne anche definita la posizione di due famiglie contadine, che erano dipendenti dalla signoria dei Malapresa ma coltivavano anche terre proprie e terre altrui nel territorio curtense di Poggialvento: è questa parte del documento che abbiamo riprodotta qui, traendola dalla ricca appendice documentaria del volume di E. CONTI, La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino, I: Le campagne nell’età precomunale, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1965 (Studi storici, LI-LV), p. 269, n. 22. Per seguire la lenta e contrastata formazione della signoria monastica nella curtis di Poggialvento si possono esaminare le edizioni e i regesti alle pp. 265-290 del volume.


(Rinaldo di Malapresa e sua moglie Berta vendono all’abate e alla chiesa e monastero di Passignano, per 200 lire) i due mansi di Boncio e di Rognoso situati nella località detta Rovenzano. Cioè vendiamo e cediamo tutto il manso di Boncio e dei suoi figli e di sua moglie, dovunque si trovino, e tutto il manso di Rognoso e dei suoi figli e di sua moglie, dovunque si trovino […][1].

Le terre che Boncio deteneva a Rovenzano sono tre appezzamenti distinti, e un quarto appezzamento con un bosco è alle Tibige, al Pratolino. Per queste terre Boncio soleva darci ogni anno un canone di 2 denari, e inoltre due staia di grano, cinque pani, una torta, un barile di vino, un’opera con i buoi, una con l’asino e una manuale. Vi cediamo e vendiamo ancora tre appezzamenti, che Boncio deteneva in nostro nome dietro corresponsione di un censo: uno a Montorsi, un altro alla Lama di Rovenzano, il terzo a Saldime, o comunque tali appezzamenti siano designati e ubicati [2]. Per questi prendevamo a Boncio 12 denari ogni tre anni e l’accatto, esercitavamo usi ed abusi, ricevevamo altre prestazioni d’opera e l’albergaria e una manna di lino; e gli facevamo compiere altre prestazioni, ma estorcendole con la violenza. Di tutte queste cose facciamo perpetua concessione e rinunzia al detto abate e alla chiesa del suo monastero.

Quanto alle terre detenute da Rognoso, si tratta di quattro appezzamenti a Rovenzano (seguono le indicazioni topografiche, poi l’elenco di altri quattro appezzamenti in diverse località). Per questi egli ci versava ogni anno un canone di 4 denari e un barile di vino e due pani, a titoli di guifori [3] uno staio di grano e un denaro e un pane, forniva un’opera con i buoi, una con l’asino al tempo della vendemmia e una manuale, dava un pulcino ogni estate e una manna di lino. Con la violenza gli estorcevamo poi l’accatto e gli facevamo compiere altre prestazioni, reali e personali.

E concediamo definitivamente al detto abate e alla chiesa e al detto monastero ogni diritto, azione e diritto di uso e di abuso che esercitavamo, o che altri potevano esercitare in nostro nome, sopra le persone e le terre di cui sopra, in base alle prestazioni di cui si è detto e alla curia di Roffiano oppure al districtus o alla colletta che noi e i nostri figli, i nostri uomini, i nostri agenti potevamo riscuotere in paglia, polli, legna, camangiare [4], uova, formaggio, latte, frutta, denari o qualsiasi altra cosa […].

E concediamo definitivamente all’abate e al monastero suddetti tutte le terre e tutti i beni che il detto Boncio e i suoi figli […] detenevano in nome dello stesso abate e monastero, in nome del pievano di S. Piero a Sillano e in nome di Carucciolo o di chiunque altro […] e anche le terre che detenevano in nome proprio ossia in allodio. Rinunziamo inoltre alle terre che Rognoso deteneva in nome di Bernardo da Montecorboli, situate a Rovenzano o altrove, e a tutte le terre che egli deteneva in nome altrui oppure in nome proprio ossia in allodio […] Inoltre io, Rinaldo, libero e sciolgo il detto Rognoso e il figlio di Boncio da ogni giuramento e da ogni obbligo che li legavano a me.

[1] Il manso era l’insieme dei campi, degli incolti e delle abitazioni di una singola famiglia contadina; non era necessariamente un organismo compatto, bensì poteva consistere di terre tra loro lontane o comunque non contigue, e i membri della famiglia potevano anche risiedere su fondi diversi: di qui le precisazioni “dovunque si trovino”, “dovunque il manso sia ubicato”, e simili.

[2] Altra precisazione consueta, motivata dalla mancanza di confinazioni rigorose, dall’incertezza della toponomastica locale e dall’estremo frazionamento fondiario.

[3] Sorta di tributo, di origine e natura non chiara: c’è una connessione con il termine germanico wifa, che indicava un simbolo materiale della presa di possesso individuale di alberi o terreni (un intaglio nella corteccia degli alberi, un paletto infisso nella terra ecc.).

[4] Termine del volgare toscano: indica verdure da mangiarsi cotte, o più in generale cibi cotti.

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UpUltimo aggiornamento: 17/01/05