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Didattica > Fonti > Le campagne nell’età comunale > I, 9

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione I – Il potere signorile nelle campagne

9. Il monastero di Polirone e i suoi contadini

Di questo documento traduciamo l’ampio riassunto compilato da P. TORELLI nel Regesto Mantovano. Le carte degli archivi Gonzaga e di Stato in Mantova e dei monasteri Mantovani soppressi (Archivio di Stato in Milano), I, Roma, Loescher, 1914 (Regesto Chartarum Italiae, XII), p. 365, n. 580. Di analogo contenuto sono i documenti alle pp. 366 n. 581, 367 n. 582; per tutti si veda: P. TORELLI, Un Comune cittadino cit., pp. 107, 147-148, 184-187.


Nell’anno millesimo centesimo novantesimo settimo, indizione quindicesima, il settimo giorno prima della fine di aprile (24 aprile), in presenza di Girardo da Carrezedole, di Uberto da Carenda, di Gotefredo di Bionda, di Ribaldino, di Giacomino.

Alberto abate di S. Benedetto sul Po, con il consenso di Giovanni priore maggiore e di don Stefano, investi gli uomini che abitano a Villabona nelle braide [1] del monastero, presso la confluenza del Po e il bosco di Olmeda e la rotta di Mezzopane – si tratta di Giovanni Tacusso, Zucchello, Descazzato, Adamo, Domenico, Carnezzono, Manzino, Caputello, Giovanni di Brussasola, Giannetto, Tebaldino, Giannello di Bulso, Giovanni Dottore, Moreno, Buonvicino di Bianca, Giannetto di Formigosa, investiti in perpetuo per sé e per i propri eredi di ambo i sessi e per quanti verranno ad abitare in tale luogo e per i successori di questi ultimi – di tutta la terra che si estende sulle due rive del Po Lirone, dalle braide suddette sino a Govèrnolo.

Alcuni ricevettero l’investitura di un manso [2], altri della metà di un manso – fra terra e bosco, si intende – o di un quarto o di mezzo quarto di manso. Si pattuì che ciascuno disponesse di una biolca [3] per farvi una casa, per la quale casa avrebbe dovuto un fitto annuo di 12 imperiali ovvero di 2 soldi di Mantova nonché un amiscere, vale a dire una spalla di porco di una libbra e mezzo oppure, chi non potesse dare la spalla, due capponi o due galline, che ciascuno sarebbe andato a consegnare il giorno di S. Stefano all’abate o ad un suo villico o messo – ricevendo da questi il pasto della giornata.

Per la terra lavorativa ciascuno deve come canone la quarta parte di tutti i prodotti nonché la decima, da consegnarsi sul campo o nell’aia, a scelta dei rappresentateti del monastero; del vino ciascuno deve la terza parte e la decima, da portarsi al monastero – dove il lavoratore riceverà il pasto della giornata. Quanto alle terre che sono da dissodare, per i primi tre raccolti dovrà essere versata soltanto la decima, in seguito la quarta parte e la decima, come sopra. Al villico della curia [4], quando verrà a farsi consegnare le terze e le quarte porzioni di cui si è detto, dovrà essere assicurato il vitto.

Per ogni biolca di prato ognuno pagherà annualmente, alle Calende di maggio, la somma di 6 denari imperiali, che verrà riscossa e amministrata secondo la volontà della curia. Ciascuno dovrà fare gli argini a difesa della sua tenuta [5]; nel caso che si rompa l’argine maestro nelle terre abbaziali, ciascuno sarà tenuto ad accorrere agli ordini della curia.

Tutti devono giurare che staranno a difesa dei loro fondi e del territorio e difenderanno i diritti e le prerogative dell’abate e del monastero, e che abiteranno in perpetuo – loro e i loro eredi – sulla tenuta: se non abiteranno sulla tenuta, non potranno vantarvi più alcun diritto.

Se qualcuno, dopo avere apportato migliorie alla tenuta, vorrà farne atto di vendita, sarà tenuto a venderla alla curia – ove questa lo desideri – e con uno sconto di 2 soldi di denari imperiali sul prezzo fatto ad altri; se poi la curia non vorrà comprare, egli potrà venderla a una persona che abbia il gradimento del signore e dei vicini. Se uno morirà senza figli, la sua tenuta passerà alla curia; se avrà come erede una figlia e vorrà darla a marito, potrà farlo solo con l’assenso della curia: lo stesso valga per le vedove [6]. In caso di vendita della tenuta, inoltre, spetteranno al signore 12 denari imperiali per ogni lira – si intende: 12 dal compratore e 12 dal venditore.

Se incomberà al monastero l’onere di ospitare il Signor papa, il Signor imperatore, i cardinali, il duca, il marchese o persone delle loro curie, ognuno sarà tenuto – al pari degli altri uomini dell’abbazia – a prestare il proprio consiglio ed aiuto materiale.

Come corrispettivo per la tenuta, ciascuno dovrà ogni anno al monastero tre prestazioni d’opera, secondo le disposizioni della curia. Ciascuno deve piantare a viti una biolca per ogni manso, versando per sei anni la sola decima e poi la terza parte e la decima, come sopra; chi ha meno di un manso o più di un manso deve piantare viti nella proporzione indicata. Quanto al legname delle terre che verranno dissodate e zappate, per i primi due anni sarà dovuta solo la decima: in seguito la quarta parte e la decima.

Per l’investitura il signore ha ricevuto da ciascuno 12 denari imperiali. Tutti hanno giurato di non commettere furto o incendio, di non rendersene complici e di farne denunzia all’abate ove sia commesso.

Fatto nella stanza superiore dell’abate nella chiesa di S. Maria [7].

(Scritto da) Agnello notaio del Sacro Palazzo.

[1] Ancora vivo in alcune zone dell’Italia settentrionale, il termine varia di significato e indica talora campi in prossimità di una cinta muraria cittadina o di un castello, talora campi recintati e coltivati.

[2] Corrisponde qui a un’estensione di 36 biolche = 12 ettari circa; cfr. TORELLI, Un Comune cit., p. 147, nota 3.

[3] Circa un terzo di ettaro: cfr. nota precedente.

[4] Con il termine curia si indica l’ente cui fanno capo determinati diritti di carattere pubblico. Concretamente, nel nostro caso, questi diritti erano esercitati dall’abate di S. Benedetto di Polirone, “signore” di Villabona, dai suoi ufficiali e rappresentanti a Villabona, e certamente anche da una rappresentanza degli uomini del luogo; ma impiegando il termine curia l’estensore del documento voleva appunto designare l’entità astratta, la “persona giuridica” titolare di quei diritti, indipendentemente dalle persone fisiche che si trovavano ad esercitarli.

[5] I termini tenuta, tenimento e simili indicano l’insieme dei fondi concessi da un proprietario a una famiglia contadina, generalmente con l’instaurazione di quei rapporti consuetudinari e a lungo termine di cui parleremo nella Sez. III.

[6] Queste potranno cioè rimaritarsi solo con persone che abbiano il gradimento della curia.

[7] Il monastero di S. Benedetto di Polirone era intitolato anche a S. Maria.

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UpUltimo aggiornamento: 17/01/05