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Didattica

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione III – La proprietà fondiaria nella prima età comunale

3. Una donazione di Beatrice e Matilde di Canossa

Alcune tra le numerose donazioni ad enti ecclesiastici, compiute nella seconda metà del secolo XI da Beatrice, vedova del marchese e duca Bonifacio di Canossa, e dalla celebre Matilde sua figlia, sono riassunte in TORELLI, Regesto Mantovano cit,, pp. 52 e segg.; quella che traduciamo ora è a p. 64, n. 92.


Nell’anno dell’Incarnazione millesimo settantaduesimo, il quattordicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (19 gennaio), indizione decima. Noi, Beatrice del fu Federico e Matilde del fu Bonifacio, madre e figlia, contesse e duchesse, professanti legge salica [1], doniamo alla chiesa e monastero di S. Andrea apostolo del suburbio di Mantova, cui presiede attualmente l’abate Alberto, una curtis domocultile [2] che si chiama Formigada con una cappella intitolata a S. Giorgio martire, con le case e con tutti i beni che sono di pertinenza di tale nostra curtis nel contado di Mantova. Si tratta di 32 iugeri tra viti, terreni arativi, prati e gerbidi e di 3000 iugeri di terreno boscoso. Fanno da confine alla corte suddetta la terra di S. Pietro di Mantova e di S. Rufino, ad oriente, a mezzodì il fiume detto Lirone, a occidente l’arimannia e la terra di S. Pietro [3], dal lato dei monti il fosso detto Formigada e il fiume chiamato Mincio, che forma un lago […]

L’abate e il vescovo di Mantova e i loro successori non potranno vendere, donare o cedere in permuta questi beni, né alienarli a titolo di enfiteusi o di livello o di beneficio o in altro modo; potranno solo cederli in livello a persone di condizione inferiore e dietro versamento di un canone, ad uso e consumo del monastero e della sua famiglia. Se questa disposizione non verrà osservata, i beni passeranno nelle mani della madre e della figlia nominate sopra o dei loro eredi, fintantoché non saranno nuovamente destinati all’uso che si è detto.

Riserviamo a noi, per la durata della nostra vita, l’usufrutto e il dominio della selva in questione: ma l’abate e i suoi successori potranno goderne per il proprio uso e per farvi pascolare i loro porci e quelli dei propri rustici.

[1] Vigeva in quest’epoca il principio della personalità della legge, in base al quale ciascuno agiva ed era giudicato secondo le leggi e le consuetudini giuridiche della propria stirpe: romana, longobarda, salica ecc., indipendentemente dal territorio nel quale si trovava a risiedere e ad operare.

[2] Domuscultae erano state dette alcune grandi aziende agrarie dell’alto Medioevo, soggette ad un’opera di disboscamento, sistemazione e colonizzazione; in prosieguo di tempo, l’appellativo domocultile venne applicato talora alla parte dominica della curtis, talora all’intera curtis – quando in essa non era molto avanzato il processo di frazionamento della parte dominica e di assegnazione dei mansi.

[3] Gli arimanni erano degli uomini liberi, ma vincolati da un complesso di obblighi e doveri particolari nei confronti dell’autorità pubblica; arimannie erano dette le terre su cui questi uomini erano insediati, o lo erano stati in un passato più o meno recente.

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Ultimo aggiornamento: 17/2/05