Fonti
Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI –
metà sec. XIV)
a cura di Paolo Cammarosano
© 1974-2005 – Paolo Cammarosano
18. Due prestiti su pegno fondiario nel libro dei fratelli Del Bene In appendice al saggio del SAPORI, I mutui cit., pp. 214-219,
sono pubblicate alcune partite dal libro di “ricordanze”
di Jacopo e Amerigo Del Bene, mercanti e banchieri attivi in Firenze
nella prima metà del secolo XIV. I prestiti in denaro da loro concessi
vengono accompagnati spesso da una garanzia reale, nella forma illustrata
dai due esempi che riproduciamo qui (loc. cit., pp. 216-217; le note
sono nostre): il debitore “vende” (in realtà cede in pegno)
un proprio possedimento fondiario, il creditore lo cede in locazione
(nel primo esempio allo stesso debitore, nel secondo a una persona diversa
dal debitore) e percepisce così gli interessi nella forma di un affitto
(nel primo esempio si tratta di 28 fiorini d’oro l’anno,
e siccome ne erano stati prestati 350 si può calcolare un interesse
– il “dono” di cui parla la fonte – dell’8%).
In ambedue i casi si vede come, trascorso un anno, i fratelli Del Bene
si facessero rimborsare il capitale da altre persone, alle quali trasferirono
il credito e il pegno connesso. A complemento della lettura di queste
due stipulazioni si vedano le altre partite edite dal Sapori e si esamini
accuratamente il saggio citato: in particolare, per le modalità, del
pegno, l’analisi svolta nelle pp. 198-205. Simone di Lapo di Guazza ne de’ [1]
dare, dì 30 di gennaio ’330, fior. trecentocinquanta d’oro,
de’ quali demo il detto dì a Guido suo fratello per lui fior.
314 d’oro; e fior. 36 n’ebbe contanti in sua mano: a fior.
lbr. 507, s. 10 [2]. Per li
detti danari avemo in vendita dal detto Simone – carta fatta per mano
di ser Nardo Chai dì 26 gennaio ’330 – uno podere con chase, e
vingna, e albori e terra aratoia e fonte posto nel popolo Sancto Stefano
a Pozzolatico, luogo detto a Morli, così confinato: da j
[3] strada, da ij Ulivieri di Lapo, da iij via
e Schalglia Tifi, da iiij il detto Schalglia e Coppo Stefani. A la detta
vendita fu mallevadore Ulivieri detto e Niccholò del Tegghia Tornaquinci
e Lapo di messer Angiolino. Presesi la tenuta per lo detto ser Nardo
[4] dì 5 febbraio ’330.
Alloghamolo [5] al detto Simone
– carta per lo detto ser Nardo fatta dì 10 di febraio ’330 – in
due anni, per fior. 28 d’oro l’anno. Avenne [6]
avuto, dì 1 di febbraio ’331, dal detto Simone fior. 350 d’oro
contanti, i quali ci diede Francesco Davizzi per lui, e nnoi gli vendemo
il detto podere per nostro dato e fatto solamente [7],
siccome il detto Simone volle; carta per ser Alesso ser Barone, dì detto.
A fior. lbr. 507, s. 10. Anche ne diede il detto Simone per dono di
questi danari fino dì 1 di febraio ’331 fior. 28 d’oro.
Ser Ciolo Brunelli degli Schiattesi da Peretola del popolo di Santa
Lucia d’ Ognessanti ne de’ dare, dì 22 di giugno ’334,
i quali prestamo contanti: portò Jacopo suo figliuolo fior. 40, d’oro.
Avemo in vendita dal detto ser Ciolo e dal figliuolo la metà per non
diviso d’un chanpo di terra [8]
la qual’è in tutta staiora 11 a corda [9],
posta nel popolo Santa Maria da Peretola, e questi sono confini: a j
strada, ij e iij la chiesa di Santa Maria a Peretola, a iiij degli Spini,
ed è il luogo detto ne’ Chastri. Piero Morandi e Valore di Lapo
degli Schiattesi sono mallevadori alla detta vendita; carta per ser
Nardo Chai da Chastello Fiorentino, inbreviata dì detto. Allogamola
a Benivieni Mandati da Peretola per tre anni per staia 15 di grano per
anno; carta per lo detto ser Nardo. Monna Letta, moglie del detto ser
Ciolo, consentì alla detta vendita; carta per lo detto ser Nardo, dì
30 settembre ’334. Brunello e Benedetto, figliuoli di ser Ciolo,
s’obbligarono alla detta vendita dì 30 di settembre ’334;
carta per ser Nardo detto. Presesi la tenuta dì 28 ottobre ’334
per lo deto ser Nardo. Avemo dall’Oretta moglie di Jacopo, dì
22 di giugno ’335, fior. 40 d’oro siccome apare a nostra
ragione al libro degl’Acciaiuoli [10],
e fummo in concordia co llei che lla detta terra fosse sua con quelle
condizioni che ll’avavamo noi dal sopradetto ser Ciolo fior. 40
d’oro.
[1] Ne de’ = ci deve.
[2] Si esprime qui il valore
del fiorino d’oro in termini di lire e di soldi: un fiorino valeva
nel 1330-1331 29 soldi, cioè 1 lira e 9 soldi.
[3] Intendi: sul primo lato
(e poi: sul secondo, sul terzo, sul quarto).
[4] Il notaio Nardo Cai, dopo
avere steso l’atto di compravendita (in realtà di pegno), rogò
anche l’atto di “tenuta”, con cui si immettevano: formalmente
i creditori nel possesso del fondo.
[5] Lo abbiamo “allogato”,
cioè dato in locazione.
[6] Avenne = noi abbiamo.
[7] Creditori di Simone che
adesso, soddisfatti da Francesco Davizzi, cedono a questi il pegno,
non sono responsabili per difetti occulti del bene impegnato o per l’eventualità
di una rivendicazione da parte di terzi: dei danni che dovessero derivare
da simili circostanze è fatto responsabile solo Simone.
[8] Ciolo e i suoi familiari
ed eredi non hanno proceduto a una divisione della proprietà del campo,
che appartiene quindi in solido (pro indiviso) a tutto il nucleo familiare:
ciò non toglie che una quota (nel nostro caso la metà) possa venire
distolta per essere impegnata, che i suoi frutti possano essere percepiti
dal creditore e che questi possa disporre dei pegno nel modo che vedremo.
[9] Lo “staioro a corda”
o “stioro” corrispondeva a mq 525.
[10] Oretta versò dunque
i 40 fiorini in un conto che i fratelli Del Bene tenevano presso la
celebre compagnia mercantile e bancaria degli Acciaiuoli.
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