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Didattica

Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione II – La borghesia e la chiesa

6. Una predica contro l'usura

Matteo Bandello con abile precisione descrisse nelle Novelle la Milano del Quattrocento ed è un vigoroso ed intelligente annotatore anche del mondo degli affari e delle idealità economiche del suo tempo. La borghesia milanese ebbe nel Bandello un ritrattista di insuperabile efficacia: il mondo degli affari, la tecnica mercantile, le operazioni finanziarie, le idealità economiche, l'ipocrisia, l'apparente perbenismo borghese sono da lui osservati con minuzia e vivacità.

Nel rappresentare con sereno umorismo i termini del furbesco espediente escogitato dal prestatore Tommaso Grasso [1], il Bandello ne accresce la significatività, mettendo in evidenza le crude giustificazioni da lui addotte per giustificare il suo comportamento. È questa l'espressione della nuova morale borghese, che ormai si stava diffondendo ed affermando, legata apparentemente ai dettami della Chiesa ma ben conscia che le esigenze della realtà urtavano decisamente contro i principi etici tradizionali. La mentalità borghese diventa quindi spesso portavoce di una nuova etica, che tendeva a moralizzare ed a giustificare l'idea del guadagno di marca capitalistica, in quanto «l'aver denari è una cosa che senza fine allegra il core, e quanto più se n'ha, tanto più cresce l'allegrezza».

Fonte: M. BANDELLO, Le Novelle, parte II, n. LIII, in Tutte le opere di Matteo Bandello, a cura di F. FLORA, Milano, Mondadori, 1952, vol. II, pp. 518-522.


Quando noi, signori miei, averemo detto e detto, converrà per forza dire che questa cieca cupidigia di voler aver denari fuori di modo è cagione di molti mali. E non solamente rende bene spesso l'uomo infame e fa che da tutti è mostrato a dito, ma sovente anco lo caccia a casa di trenta para di diavoli in anima e in corpo. Onde io ora vo' mostrarvi in una mia novelletta, che è vera istoria, come gli uomini oltra modo cupidi del guadagno diventano sfrontati e quanto poco stimano Dio. Fu ne la città nostra di Milano, non è gran tempo, uno chiamato Tomasone Grasso, il quale a' suoi tempi avanzò in prestar danari ad usura quanti usurai mai furono innanzi a lui, onde ne divenne oltra misura ricchissimo. Nondimeno, per nasconder il suo vizio, egli ogni dì era il primo ad entrar in chiesa e di sua mano a quanti poveri ci erano dava un imperiale per elemosina; udiva due o tre messe e altre simili dimostrazioni faceva: di modo che chi conosciuto non l'avesse si sarebbe creduto che egli fosse stato il più cattolico e santo uomo di Milano. Quando poi si predicava, egli mai non perdeva nessun sermone, ma, sempre di rimpetto al predicatore mettendosi, il tutto con sommissima attenzione udiva. Venne a predicar in Milano fra Bernardino da Siena, in quei tempi predicatore famosissimo, che poi fu da la santa madre Chiesa nel numero dei santi collocato; e poiché era d'età già vecchio ed appo tutti in opinione d'esser, come era, uomo santissimo, tutta la città concorreva ai suoi sermoni, di modo che in breve acquistò appo grandi e piccioli credito grandissimo.

Tomasone non lasciava giorno che non l'andasse ad udire; ed avendolo sentito dodici o più sermoni, deliberò, veggendo che non predicava contro gli usurai, andarlo a visitare, e v'andò. Era Tomasone un uomo di venerabile presenza e autorità, e vestiva molto civilmente. Fra Bernardino, visitato da colui, lo raccolse amorevolmente e con lui entrò in onesti e santi ragionamenti, essendosi posti a sedere. Tomasone faceva da ser Ciappelletto [2] e si mostrava tutto religioso e zelante de l'onor di Dio e de la salute de l'anime. Onde, dopo molti ragionamenti, egli al santo frate in questo modo parlò: «Padre riverendo, tutti noi milanesi abbiamo un infinito obligo al nostro Redentore messer Giesù Cristo, che abbia inspirato la vostra santissima religione [3] a mandarvi in questa nostra città a predicare, perciò che mediante la grazia del Salvatore io spero che le vostre predicazioni faranno bonissimo frutto e saranno cagione d'emendare la mala vita di molti, che vivono discorrettamente. Regnano in questa nostra città dei vizi e peccati assai, ma più che vizio alcuno che ci sia, v'è il maledetto peccato de l'abominevole usura, e molti ci sono che altro mestiere non fanno. Io, mosso da carità, ve l'ho voluto dire, a ciò che nei vostri fruttuosi sermoni possiate talora riprendere questo scelerato vizio e diradicarlo da questa città». Il santo uomo, che altrimenti non conosceva chi fosse Tomasone, e buono e leale gentiluomo lo giudicava, lo ringraziò assai ed essortò a perseverare in buon proposito. Poi cominciò ferventissivamente a predicare contro il vizio de l'usura, di maniera che in tutte le prediche altro mai non faceva che biasimare e riprendere chi prestava ad usura; il che agli auditori non poco di fastidio generava. Onde, essendo da alcuni uomini da bene visitato, fu avvertito che non s'affaticasse tanto contro gli usurai, ma seguitasse il suo solito modo di predicare. «Non vi meravigliate di questo» — disse il santo frate — «perciò chè io sono stato spinto da quel gentiluomo vestito di pavonazzo, che ogni dì mi sta a sedere per iscontro quando io predico». E dati alcuni altri contrasegni, fu da tutti conosciuto che egli era Tomasone Grasso. Onde uno di quelli: «Oimè — disse — che è ciò che io sento? Costui, padre, che dite, è il maggior usuraio che in tutta Italia sia, e in questa città non si troverà chi presti ad usura se non egli. Ed io per me più volte, astretto da' bisogni, ho preso con grandissimi interessi danari da lui». Udendo fra Bernardino questa cosa, restò fuori di modo pieno di meraviglia; e volendo certificarsi, mandò per lui, il quale subito venne. Il santo frate entrò seco in ragionamento e venne a dirgli che egli era un grande usuraio e che, essendo così, molto si meravigliava che egli l'avesse stimolato con tanta istanzia a predicar contro l'usura. «Per questo — rispose allora Tomasone — venni io a pregarvi ed essortarvi che voi predicaste contro l'usura, perché vorrei esser solo a questo mestiere, per guadagnar più denari. E chi v'ha detto che altri non ci sia che io, che presti ad usura, s'inganna, ed io lo so, che da qualche giorno in quà non guadagno la metà di quello che io soleva guadagnare; il che mi fa conoscere che altri ci siano così savii come io, che anco essi attendono al denaro. E dicovi, padre mio, che chi non ha denari, e pur assai, è una bestia. Voi siete, perdonatemi, poco pratico delle cose del mondo, e il viver vostro è a un modo e il nostro a un altro. E la somma del tutto è questa: che conviene, a chi vuol essere reputato e fra gli altri onorato, aver denari. Sia pur l'uomo nasciuto nobilissimamente e de la casa de' Visconti, che è la casa del nostro signor duca: se non averà denari, non sarà di lui tenuto conto alcuno. Io ho qualche pochi denari, che non pensaste che io fossi tutto oro, e se vado in castello per parlar al duca, subito son fatto entrare, se ben egli fosse in letto, perché quando ha avuto bisogno di diecento e trecento migliaia di ducati, io l'ho servito con quel profitto [4] che tra lui e me s'è accordato. Non ci è anco gentiluomo o cittadino o mercante o povero in questa città che non mi onori, perché io faccio servizio a tutti. Direte mò voi che io deverei prestare i miei denari senza premio [5] alcuno. Padre mio, cotesto modo di prestar non si costuma e non sarebbe il fatto mio. Io voglio il pegno in mano e voglio che i miei denari tornino a casa con guadagno. Basta a me ch'io non sforzo nessuno, né astringo a venire a torre denari in prestito da me. E perché l'avere denari è una cosa che senza fine allegra il core, e quanto più se n'ha tanto più cresce l'allegrezza, io mi mossi, quando vi parlai, a pregarvi che voi predicaste contro gli usurai, a ciò ch'io solo tutto il guadagno avessi». Si sforzò il santo frate con verissime e sante ragioni di voler levare questa fantasia di capo a Tomasone, ed assai gli predicò, mostrandogli negli Evangeli che Cristo nostro Salvatore di bocca sua comanda che si debba prestar denari al prossimo senza speranza di cavarne uno spilletto. Egli puotè allegare la ragione [6] civile e la canonica e il Testamento Vecchio col Nuovo, ma niente profittò, perciò chè il Tomasone perseverava ostinato nel suo proposito. Strinsesi il santo frate ne le spalle di compassione, udendo così fatte risposte di Tomasone e da sé licenziatolo, pregò nostro signore Idio che gli occhi de la mente gli illuminasse.

E poi che di Tomasone tanto ve n'ho detto, vi dirò ancora un fioretto che, poco innanzi a questo ragionamento che fece col santo frate, avvenne. Andava, come avete già inteso, Tomasone ogni dì a la predicazione ed, avendo fra Bernardino gagliardamente predicato contro gli usurai, un povero calzolaio, che era ito per pigliar denari in prestito da lui, finito che fosse il sermone, sentendo così acerbamente gridar il frate contro l'usura, si smarrì. E tornando Tomasone a casa, non ardiva ricercarlo, ma dietro passo passo lo seguitava. Veggendolo, Tomasone gli disse: «Compagno, vuoi nulla da me?» «Io vorrei bene qualche cosa — rispose il calzolaio — ma non ardisco a chiedervi, avendo sentito il frate sì fieramente garrire contra gli usurai; e dubito che voi non siate convertito e più non vogliate prestare». Disse allora Tomasone: «Dimmi, che mestiero è il tuo?». «Io sono calzolaio — rispose egli. «Sta bene — disse Tomasone — tu sei stato al sermone e vai a bottega: che mestiero sarà ora il tuo?» «Sarò calzolaio — rispose il povero uomo — perché non so far altro mestiero». «Ed io — soggiunse Tomasone — sarò prestatore, perché altro esercizio non ho per le mani». E gli diede quei denari che volle. Questo è quel Tomasone che poi si convertì [7] e restituì tutto il mal tolto, certo ed incerto, e lasciò tante elemosine e cose pie, che tutto 'l di in Milano si fanno; il quale, se visse male, almeno, per quello che si può giudicare, morì bene e da cristiano.

[1] Per questo personaggio realmente esistito cfr. anche lettura 6, sezione IV.

[2] È un richiamo all'ipocrisia di quest'altro usuraio, protagonista della famosa novella di Boccaccio.

[3] Ordine religioso.

[4] Interesse.

[5] Usura, interesse.

[6] Il diritto.

[7] Cfr. il testamento di Tommaso Grossi, sezione IV, lettura 6.

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Ultimo aggiornamento: 01/09/05