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Didattica |
FontiPredicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)a cura di Roberto Rusconi © 1981-2006 – Roberto Rusconi Sezione II – Movimenti religiosi e sette ereticali: la lotta per la predicazione ai laici2. Ai laici solo il «verbum exhortationis»La lettera di Pier Damiani al prefetto di Roma, Cencio, ha uno scopo preciso: procurare solide alleanze per garantire il successo del movimento riformatore ecclesiastico alla metà del secolo XI. In essa egli ribadisce l'immagine gregoriana del predicatore: del quale conta di più l'esemplare santità di vita che non l'eloquenza oratoria. Pier Damiani ne approfitta anche per riaffermare l'orientamento fondamentale dei riformatori gregoriani, ricollocare al loro posto i vari ordines della società. Così ai laici compete di appoggiare la riforma religiosa (i diritti della chiesa, come si legge nel testo) e, al massimo, proporre al popolo non prediche vere e proprie, ma semplicemente «verba exhortationis», parole di esortazione: la dottrina religiosa, infatti, resta patrimonio e monopolio dei chierici. Questa lettera di Pier Damiani viene datata al 7 gennaio 1067. Fonte: J.-P. MIGNE, Patrologia latina, t. 144, Paris, Ed. J.-P. Migne, 1853, coll. 461-464. La traduzione è mia. Al signor Cencio, prefetto di Roma, il monaco Pietro, peccatore: salve. Ascoltare l'elogio delle proprie virtù, come incoraggia i vanesî nella loro vanteria, così invece eccita coloro che sono buoni ed assennati verso la grazia dell'umiltà: anzi, tanto più sono spinti ad accrescere il loro ben operare, quanto sentono che i doni di virtù che vengono loro ascritti sono messi in evidenza dal plauso. Ieri, in verità, mentre stavamo parlando al popolo nella chiesa del beato Pietro, principe degli apostoli, in occasione della presente festa dell'Epifania, così come suggeriva la divina clemenza, tu hai parlato in modo tale, non come conveniva al prefetto dello stato, ma piuttosto ad un sacerdote della chiesa, e si è ascoltata non la parola di un uomo secolare, ma un discorso da predicazione apostolica. Ed in ciò, veramente, chi si deve pensare che tu abbia imitato, se non colui che, ad un tempo re e sacerdote, regge il mondo per volere della virtù divina e per noi offrì al Padre se stesso nel sacramento dell'ostia? Anche noi, per grazia dello stesso Redentore, delle cui membra siamo parte, abbiamo accolto lui stesso per essere ciò che lui è. Per questo Giovanni nell'Apocalisse dice: «Colui che ci ama e ci lava dai nostri peccati nel sangue suo; che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti di Dio, padre suo». E Pietro: «Voi — disse — siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo acquisito per annunziare le grandezze di colui che dalle tenebre vi ha chiamato alla sua luce ammirabile». Perciò è chiaro che ogni cristiano è, per grazia di Cristo, sacerdote, e pertanto deve, non senza motivo, annunciare la sua grandezza. Tu, in particolare, imiti palesemente l'esempio di questo sacerdozio e di questo regno, sia quando nei tribunali promulghi prescrizioni legittimamente sanzionate, sia quando in chiesa, trascinato dalla veemenza dell'allocuzione, edifichi le menti del popolo che è lì presente. Io invece, dal momento che mi è stato imposto il compito di predicare in virtù del mio grado nell'ordine sacerdotale, soffro di un inconveniente alla voce ed a causa di ciò non riesco ad innalzarmi per soddisfare le orecchie di una grande massa di persone; ma quando ripenso a sacerdoti della grazia apostolica, quali Gregorio ed Ambrogio, che si lamentavano per la gola indebolita e per la mancanza di voce, messa da parte la disperazione risollevo la mia mente ad uno stato di viva consolazione: né penso che sia calata su di me l'ira del giudice tremendo, quanto di essere giunto a custodire l'umiltà di uomini tanto sublimi. Piuttosto, ciò che mi addolora e mi trafigge con più durezza nel profondo del cuore, è il fatto che, quando sono rauco di voce, come non sono sufficientemente fluido per poter insegnare, così addirittura non riesco ad emettere neppure un sottile soffio di una chiara conversazione. Al perfetto predicatore sono necessarie soprattutto due cose, ovvero il fatto che sia ricco di concetti nella dottrina spirituale e che risplenda per la elevatezza della sua vita religiosa. E nel caso che un sacerdote non sia all'altezza di entrambe le cose, ovvero e limpido nella sua vita e ricco di capacità dottrinali, in tal caso è meglio una vita non sfiorata dal dubbio che non la dottrina. Poiché è più dolce il frutto che viene dalle azioni che non le nude foglie delle parole. Ed è più valida come esempio la chiarezza di vita che non l'eloquenza o la accurata forbitezza nell'esprimersi. Per questo motivo, nella stessa circostanza della natività del Signore si dice, come attesta il racconto del Vangelo: «Apparve ai pastori la virtù degli angeli e la gloria del Signore li avvolse di luce». E subito dopo si aggiunge: «E l'angelo disse loro: "Non temete, ecco io vi annuncio una grande gioia, che sarà tale per tutto il popolo, poiché oggi è nato per voi il Salvatore, che è Cristo Signore, nella città di Davide"». Ma nell'apparizione, con cui si mostrò a coloro che più lo attendevano, il segno rivelatore del nostro Redentore, la stella, irradiò di luce, ma non emise parole. E dunque chi si può identificare nell'angelo che rifulse di luce ed annunciò il Signore, se non il predicatore dotato di entrambe queste virtù, che cioè e trabocca di eloquenza dottrinale e rifulge dello splendore della santa religione? E chi si intende con la stella se non un semplice sacerdote dalla vita onesta, che sebbene non ricco di particolari doti di facondia, tuttavia sfavilla per la bontà delle azioni come per í raggi di una vita degna di lode e che, se non riesce ad erudire gli altri con le parole, tuttavia li conferma nella fede con l'esempio di una vigorosa pratica? Poiché, dunque, i sacerdoti della chiesa sono «i cieli che narrano la gloria di Dio», è indispensabile che il sacerdote che svolge il ruolo di predicatore sia grondante della pioggia della dottrina spirituale e rifulga dei raggi di una vita religiosa, simile a quell'angelo che annunciando ai posteri la nascita del Signore sia rifulse di luce splendente sia espresse con parole ciò che era venuto ad annunciare. E ciò è l'equivalente di quanto dice Malachia: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione, poiché egli è il messaggero del Signore». E, se non può essere il messaggero il quale con la lingua adempia perfettamente al compito di predicatore, sia almeno la stella che emette i raggi di una pratica santa. E ciò proprio per il fatto che la stella con la sua luce rese più noto ciò che l'angelo annunciò parlando ai pastori con la lingua. Per questo si dice in Daniele: «Coloro che saranno savi risplenderanno come lo splendore del firmamento, e coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle in eterno». Ma tuttavia è necessario che colui il quale non è dotato di una ricca facondia nel predicare, rifulga con maggiore chiarezza per i meriti di vita. Da ciò si intende quanto Mosè diceva di se stesso al Signore, il quale gli parlava: «Ti prego, o Signore, non sono un buon parlatore né da ieri né da ieri l'altro; da quando hai parlato al tuo servo sono ancor più tardo e più impedito nella lingua». E per questo il suo viso era diventato raggiante, per fiaccare la vista dei figli di Israele e perché essi non potessero fissare lo sguardo su di lui per l'intensità dello splendore; mentre ad Aronne, a proposito del quale gli rispose la voce divina: «C'è Aronne tuo fratello sacerdote; io so che è un buon parlatore», non toccò nessuno splendore della luce dei cieli. Chiaramente, mentre considero con solerte attenzione che cosa il divino volere ingiunse loro, ricerco in che modo esattamente tu imiti e supplisca con le tue opere il compito dell'uno e dell'altro. «Io, disse il Signore, sarò nella tua e nella sua bocca, e vi insegnerò quello che dovete fare; egli parlerà per te al popolo e sarà la tua bocca, tu invece lo sarai per lui nelle cose attinenti a Dio». Infatti, quando tu governi la massa del popolo con la tua autorità di prefetto e con la forza del potere giudiziario, che altro fai se non adempiere al compito di Aronne? E quando stimoli il medesimo popolo con sante esortazioni alle cose di Dio, che altro fai se non mettere in pratica, pio imitatore, il modello spirituale di Mosè? Orsù, dunque, onore alla tua virtù, uomo animoso, e nel campo del Signore adoperati come colui che agisce in due direzioni: renditi utile, sii occupato, datti da fare; ed in queste cose che con onore hai intrapreso, con ancor maggiore onore persevera: sia nel dirimere una controversia forense in base all' ago della giustizia, sia, pur mantenendo la misura del tuo rango, nel pronunciare in chiesa parole di salutare esortazione: sia che ricalchi ora le orme di Mosè nelle cose che riguardano gli affari di Dio, sia che riproponi l'esempio del sacerdote Aronne nel computo delle cause e degli affanni secolari. Sii anche simile a Beniamino, ed usa entrambe le mani in luogo della destra e sino al punto in cui tu possa reprimere le contese del popolo in tumulto con il vigore delle disposizioni di legge; almeno per quanto basta il potere del tuo rango, regola anche i diritti dello stato ecclesiastico. E si veda in te uscire come dalla bocca di Gesù una acuta spada a due tagli, affinché la spada di cui sarai cinto possa atterrire gli animi ribollenti dei ribelli e possa difendere dalle violenze di qualsiasi malvagio i poveri, gli orfani, e soprattutto i diritti della chiesa. I trasgressori delle leggi ti vedano come il vendicatore della giustizia oltraggiata; i rettori delle chiese gioiscano di avere te che, come sollecito e valoroso custode, vegli su di loro. Sii discepolo di Davide nell'arte del santo discernimento: egli che fu indulgente nel perdonare coloro che lo perseguitavano, ma mantenne la severità del giudizio nel punire i delitti commessi contro altri. Mostrati anche fedele imitatore di Giuda Maccabeo, il quale non cessava mai di irrompere come un fulmine sul nemico o di troncare i colli turgidi dei tiranni con la spada vendicatrice, per proteggere gli appartenenti alla sua tribù dalla strage incombente dei barbari selvaggi. Combattendo inesorabilmente per difendere i beni della chiesa, punisci i violenti oppressori dei poveri, mantieni la corazza dell'equanimità e della giustizia, adopera tutto te stesso, costantemente, non per l'interesse privato, ma per il bene comune. Così e Roma ti proclamerà superstite padre della patria e la santa chiesa si rallegrerà di avere un idoneo difensore. Anche dopo la tua morte presso l'una e l'altra il tuo ricordo sarà sempre lodato e il tuo nome benedetto. |
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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006 |