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Didattica |
FontiPredicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)a cura di Roberto Rusconi © 1981-2006 – Roberto Rusconi Sezione III - Gli ordini mendicanti e la pastorale ecclesiastica nel basso medioevo16. Discorsi come predicheDi nobile famiglia pisana, ed anche per questo chierico di carriera, Federico Visconti (morto nel 1277) venne eletto arcivescovo di Pisa nel 1254. Solo nel 1257, però, poté essere consacrato, a causa dell'interdetto ecclesiastico che gravava sulla città per essersi messa in urto con il papa. Alessandro IV incaricò di svolgere il delicato compito di comporre la crisi, assolvendo Pisa dalla scomunica e dall'interdetto [1], un frate minore, Mansueto di Castiglione Aretino. Al termine della sua missione l'arcivescovo Visconti gli rivolse un discorso di ringraziamento, non a caso conservato nel suo codice di sermoni latini, perché redatto con le tecniche che le artes praedicandi avevano perfezionato per la predicazione. In pratica, prendendo le mosse da un passo biblico, adottato come thema, egli organizzò, ampliò, elaborò la sua esposizione per tessere le lodi del legato papale [2]. Abbiamo riportato le parti essenziali del sermone. Fonte: C. PIANA, I sermoni di Federico Visconti, arcivescovo di Pisa (t 1277), in « Rivista di storia della Chiesa in Italia », 6, 1952, pp. 241-42. La traduzione è mia. Questo è il discorso di risposta che il predetto signore fece a lode del legato, frate Mansueto dell'ordine dei minori, quando assolse la città di Pisa e concesse la dispensa [3] ai chierici. […] Preghiamo il beato Francesco, nella cui chiesa ci troviamo, affinché si degni di ottenere per noi questa grazia della benedizione, e ognuno di noi dica insieme a me: prega per noi, beato Francesco. […] «Inviato fedele, salvezza». Queste parole risultano piuttosto adatte per questo signore, frate Mansueto, inviato presso di noi, che si dimostrò fedele nell'opera di riconciliazione ed assoluzione della città di Pisa ed anche nel concedere la dispensa a tutti i chierici fu pure operatore di salvezza, come un medico, vale a dire producendo una duplice sanità spirituale, cioè sia nell'assolvere che nel concedere la dispensa. […] Ovunque fu inviato, e soprattutto presso di noi, si rivelò fedele per molteplici ragioni. Fu infatti fedele tre volte, vale a dire nel cuore, nella bocca e nell'agire. Nel cuore, per il suo zelo nell'opera di riconciliazione della suddetta città, come risultò evidente tanto nella curia romana che presso di noi, dal momento che, pur non essendo pisano né -per nascita né per costumi né per avere raccolto o ricevuto benefici, tuttavia il suo cuore ardeva per giungere alla predetta riconciliazione. […] Ed egualmente fu fedele nella bocca, poiché, quando il popolo di Pisa gli bloccò il passo sulla strada, contrastandolo a parole e dicendogli: «Signor legato, verrà un altro legato e ci assolverà. Voi andatevene con Dio, se non volete fare quello che vi diciamo», egli con le sue sante parole riuscì a dirigerlo sulla retta via. […] E fu parimenti fedele nell'agire, dal momento che, siccome non era in grado di portare a compimento la trattativa della riconciliazione, a causa delle spese che i mercanti richiedevano, egli offrì con generosità e con liberalità ai mercanti i calici e il tesoro [4] di San Francesco per un valore di cento libbre. […] Fu anche fedele tanto nell'offrire quanto nel non ricevere, cioè «nello scuotere le sue mani da ogni dono»: il che significa fedele di cuore, di bocca e nell'agire. […] Vi sono legati infedeli che provocano non la salute, ma l'infermità. Non fu di questo genere il nostro legato: invece, come legato fedele rigettò dalle sue mani ogni dono. Con questo non voglio dire che sia peccato ricevere doni, a meno che non siano accecanti: vi sono infatti doni di tre generi, cioè quello che acceca […], un altro che onora […], un altro che arricchisce […]. Questi due ultimi generi si possono perseguire con sufficiente onestà, e tuttavia questo signore tenne lontane le sue mani da tutti quanti, come un uomo perfetto. Per questo infatti «operò la salvezza in mezzo alla nostra terra», come si dice nel Salmo 73: per essere reputato buono nel cuore degli uomini, quando la sua bontà è nota a tutti gli uomini che lo conoscono. E poi non per essere dichiarato buono, dal momento che sia chierici che laici, maschi e femmine, vecchi e giovani per vie e per piazze lo dichiarano santo. E parimenti neppure gli vengono conferiti doni di beni temporali, dal momento che nella curia romana, grazie al peso dell'affetto e della familiarità con il sommo pontefice, avrebbe potuto ricevere un credito di oltre mille o duemila marche d'argento [5], come ricevono altri della curia: e per questo egli non sollecitò questi doni. E di ciò io stesso mi offro come testimone per la verità, io che, avendogli portato cento aurei di Bisanzio [6] per procacciare dolciumi e spezie aromatiche da portare alla curia e vesti di porpora per la sua famiglia [7], per l'onore del clero e della nostra città, mi rispose ringraziandomi calorosamente e baciando con umiltà le mie mani, che lo risparmiassi, poiché non voleva cominciare a fare in piccolo ciò che ancora non aveva fatto in grande. Il signor papa infatti gli aveva fatto assegnare del denaro per le necessità sue e della sua famiglia presso un cambiavalute. Per questo, per la grazia di Dio non gli fu necessario stendere le sue mani per ricevere doni di altri. […] E perciò ci portò la salute. E ciò è quel che segue nella nostra auctoritas: «Inviato fedele, salvezza», perché a noi portò non solo la salute delle anime, ma anche dei corpi: cosa che ho esperimentato di persona, poiché ad un suo comando la febbre terzana non mi colpì. […] Ma per dirla con Tobia: «Che cosa daremo in ricompensa a quest'uomo?». […] Ed invero per mezzo di questo Raffaele, che viene interpretato «medicina di Dio», possiamo comprendere in maniera abbastanza adeguata questo signor legato, frate Mansueto, grazie al quale ricevemmo la salute delle anime e dei corpi, dal momento che grazie al suo arrivo e alla nostra assoluzione venne a cessare la pestilenza delle infermità ed avemmo una gran parte di quiete e di pace nel recuperare il castello di Castro; ma certamente, come mi pare, non possiamo ricompensarlo con nulla che sia degno, «in cambio di tutto ciò che ha dato a sua volta» a noi, se non «invocare il nome del Signore», affinché egli venga confermato nella grazia di Dio, del signor papa e dei signori cardinali e venga inserito nel loro collegio, in modo tale che, avendolo così onorato presso Dio e presso gli uomini, noi ed i cittadini di Pisa ci conquistiamo un simile protettore, difensore e promotore nella curia di Roma e che egli, avanzando nella santa chiesa di Dio con queste parole e con questo esempio, moltiplicati i suoi talenti, meriti di raggiungere il Signore. [1] Pena ecclesiastica, con la quale si vieta di amministrare i sacramenti e di seppellire religiosamente i morti. [2] Inviato, messo del pontefice. [3] Deroga alla legge ecclesiastica, che aveva comminato l'interdetto. [4] Tesoro della chiesa minoritica di San Francesco, in Pisa. [5] Monete. [6] Monete d'oro, coniate nell'impero romano dal 49 a.C. [7] Séguito. |
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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006 |