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Didattica

Fonti

Predicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)

a cura di Roberto Rusconi

© 1981-2006 – Roberto Rusconi


Sezione IV - La predicazione evangelica e la Riforma protestante in Italia

4. Ascoltatori attenti e ascoltatori distratti: le prediche di Gerolamo Savonarola secondo un anonimo

Il venerdì santo del 1496, il 1° aprile, il frate domenicano Gerolamo Savonarola da Ferrara predica a Firenze, nella cattedrale di S. Reparata. Un anonimo, un devoto laico fiorentino, ne ha lasciato una trascrizione tachigrafica (in una sorta di stenografia) in un suo grosso quaderno, nel quale, in un arco di anni che va dal 1467 al 1502, ha preso nota degli elementi di cultura religiosa ricavati dalle prediche ascoltate in quel periodo: soprattutto i temi riguardanti il peccato, la penitenza, la confessione, la comunione, in altre parole ciò che occorre fuggire e le pratiche sacramentali da accostare per garantirsi la salvezza dell'anima. Per questo suo interesse del tutto intimistico, nel riportqre fedelmente la predica savonaroliana, ne omette la parte più infiammata, ma anche più politica. Ne riproduciamo la trascrizione letterale.

Fonte: Z. ZAFARANA, Per la storia religiosa di Firenze nel Quattrocento. Una raccolta privata di prediche, in «Studi medievali», serie III, 9-2, 1968, pp. 1058-61.


Una predicha ferie fra Girolamo da Ferrara el venerdì sancto, in Santa Liperata [1], a dì primo d'aprile, in su quelle parole che dicie nel Vangielo la somma verità: «Venite a me omnes qui laborati et onerati estis, et egho reficiam vos» [2]. E disse che gli era venuto in nell'animo la notte di narrare la fantasia e ispirazione aveva aùto di quella schala che aveva veduta nel Testamento Vecchio Iachob, che aggiungnieva dal cielo alla terra, e che da chapo aveva veduto Iddio che gli aveva detto: «Iachob, vienne su»; e chome questa schala gli pareva avessi sette schaglioni a volere salire in su e andare in cielo, cioè in vit'etterna. E il primo schalino disse era la fede; el sechondo schalino contradizione o vero dischordanza; el terzo conchordanza o chonfermatione; quarto prontezza; quinto umile chongiunzione; sesto humilità e mansuetudine; settimo perseveranza. E che chi andava su per questa schala, Iddio lo chiamava: «Venite ad me omnes qui laborati et onerati estis, et egho reficiam vos». E disse detto fra Girolamo che non voleva fare questa predicha per fare lagrimare e piangniere, chome assai predichatori in tali dì fanno. Ma che più tosto voleva tirare le chriature a divozioni e chogitazioni interiori cholla mente, che a fare piangniere e lagrimare chon atti 'steriori, di fuori, di lagrime e pianti che passono via presto; che pocho dura più la divozione che si durino le lagrime. Ma che delle chogitazioni de' 7 schalini sono dolciezze e pensieri interiori e mentali che fanno più frutto e sono più utili alla salute.

E prima che era neciessario per el primo schalino avere la fede, perché sanza la fede nulla si potrebbe fare di bene: cioè pensare a Iddio trino e uno, e della gloria del paradiso, e che chi faciesse bene di qua arebbe vita etterna di là e fruirebbe que' beni spirituali. E che questa fede è «sperandarum rerum arghumentum, non aparentum» [3]: che la fede è speranza delle chose che non appaiano, chome dicie San Pagholo. E questa fede — chome è detto — è neciessaria a salute, e che sanza questa non si fare' profitto veruno di bene, e che ongni chosa sarè vano. E qui disse molte belle chose, ch'io non so ridire, né anche me ne richorda.

Lo sechondo schalino chiamò dischordanza e chontradizione: cioè che lo spirito chontradicie alla charne e la charne chontro allo spirito: «spiritus prontus, caro autem infirma» [4]. E che e' bisongnia pungniare e chonbattere in questo mondo, a volere andare su per questa schala del paradiso: cioè cholla charne, chol mondo e chol diavolo. E qui anche disse molte altre belle chose, e chome combatté anche Giesù in questo mondo chon tutte queste chose, sino alla morte della crocie.

El terzo schalino a volere andare al cielo, chiamò confermatione: cioè non stante molte fortune s'à in questo mondo, d'avere a morire e pensare di morire — o di te, o de' figliuoli, o di padre, o di madre —, o di perdere lo stato, o la roba, e avere molte altre avversità, conformarti cholla volontà divina e dire: «Singniore mio, io son bem chontento a tutto quello che tu vuoi e fai e farai, per ciò che tu fai, fai per nostro bene e a nostra salute». E che chi faciesse questo era inpossibile perdersi e che e' non si salvassi, e che era di chosì gram merito, e che veramente e' mostrava essere degli eletti e figliuolo di Dio.

El quarto schalino era e chiamò prontezza; cioè essere pronto e presto al bem fare e al chonfermarsi a essa volontà d'Iddio chon ongni buona volontà e in verità, e non perder tempo: «domani farò, e l'altro dirò», ma farlo presto e prontamente e volentieri, e dire: «io vo' chominciare oggi, perché non so s'i' mi potrò domani».

El quinto schalino humile chongiunzione: cioè chon humiltà e bassezza chongiungniersi chon Dio, averlo sempre nel chuor' e nella mente, disiderare di fare la sua volontà e parerti che ciò che e' fa sia ben fatto. E non fare chome fe' San Piero appostolo, quanto a questo atto, perché inchonsiderato, e non chon umilità, disse: «andiamo, e se farà di bisongnio morrò chon teco». Non le disse, queste parole, chon umilità, e però Iesù Christo gli disse: «Piero, Piero, innanzi che el ghallo chanti due volte, tu mi negharai tre», chome e' fecie. Sicché e' beni che tu ti proponi fare, e que' che tu fai, sempre richorri a Dio ed a lui gli richonosci e credi che sanza la grazia sua non faresti bene nessuno, né chosa che fusse a perfezzione e a salute.

El sesto schalino chiamò umilità e mansuetudine, cioè che e' bisongnia ongni chosa fare chon umilità: «qui se aumiliat exaltabitur, et qui se exaltat aumiliabitur» [5]; chome fecie esso Iesù Christo, che s'aumiliò sino alla morte della crocie, per dare exempro a noi che non s'entra in paradiso se non per umilità e pazienza. E qui acchadde che e' disse a' cittadini non fussino ambiziosi, non cierchassino stato, perdonassino l'uno all'altro e faciessino bene: e che chosì facciendo aremo le grazie n'erano sute promesse, e che ne stessimo di buona voglia.

El settimo lo chiamò perseveranza, perché chominciando avere fare bene e non perseverare, era niente, e pocho valeva, perché dicie la Schrittura: «qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit» [6].

E disse chome nostra Donna non pianse e non fecie molte chose d'atti, chome si fa per l'altre. E che ella non fu chonfortata, ma che ella chonfortava l'altre Marie e San Giovanni. E che egli è da chredere che Iesù Christo, suo figliuolo, quando ella si trovava dove lui, che gli dicieva e disse ongni chosa circha della morte sua, e ch'ella sapeva ongni chosa e teneva a sé. E che, chome è detto, non fecie atti né dimostrazioni di passione e di dolore di fuori, ma che andava chon modestia, né troppa trista, cioè malonchonosa, né anche lieta: chon modestia, chome savia, e che, sappiendo ella quello sapeva, disiderava la morte d'esso suo figliuolo, e non arè voluto non fusse morto, sappiendo quello voleva la sanctissima Trinità, cioè esso Iddio, per la redenzione e salute del mondo.

E quello che piacque assai al popolo e agli aulditori, si che tutti questi sette scalini gli ordinò e disse a proposito di sette misteri in fra gli altri che chorrono e che acchaggiono in detta passione di Iesù Christo.

[1] S. Reparata, chiesa cattedrale di Firenze.

[2] «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò».

[3] «Sostanza di cose sperate, argomento di cose che non si vedono».

[4] «Lo spirito è pronto, ma la carne è inferma».

[5] «Chi si umilia sarà esaltato, chi si esalta sarà umiliato».

[6] «Chi persevererà sino alla fine, quegli sarà salvato».

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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006