![]() |
Didattica |
|
|
|
Didattica > Fonti > Predicazione e vita religiosa > IV, 22 | |||||||||
FontiPredicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)a cura di Roberto Rusconi © 1981-2006 – Roberto Rusconi Sezione IV - La predicazione evangelica e la Riforma protestante in Italia22. La predicazione condizionataIl frate Agostino Mainardi, dopo la denuncia nei suoi confronti (cfr. doc. 18), non si rassegna, ricorre direttamente alla curia romana e alla fine ottiene da Paolo III, nel 1535, di poter predicare le sue affermazioni, già incriminate. Di esse egli dà una spiegazione, sottilmente ambigua sul piano teologico, perché è difficile distinguere tra dottrine di sant'Agostino e dottrine «lutherane». Esse però hanno una presa sul pubblico, perché toccano l'argomento che più interessa, la salvezza dell'anima. In realtà, la contraddizione è tra chierici come Agostino Mainardi, che rifiutano ogni limite alla libertà di predicare, e chi teme che la mancanza di controllo possa minare alla base l'ordinamento ecclesiastico. Fonte: FONTANA, Documenti vaticani contro l'eresia luterana in Italia cit., pp. 146-48. La traduzione è mia. Al diletto figlio Agostino Mainardi, professo dell'ordine degli eremiti di sant'Agostino. Al diletto figlio, salve etc. Essendo stato in passato denunciato al nostro predecessore, papa Clemente VII, di felice memoria, che tu avevi proposto come vere alcune conclusioni erronee e poco cattoliche nel corso delle tue predicazioni e in altri colloqui privati e dispute nella città di Asti, lo stesso mio predecessore incaricò il nostro venerabile fratello, che allora era vescovo di Asti, con alcune lettere in forma di breve [1], affinché ti facesse revocare o correggere o non ti permettesse di predicare più in futuro le dette conclusioni o articoli, come viene ampiamente esposto nelle lettere in questione. Ma poi tu, per controbattere questa cattiva fama insorta nei suoi confronti, come asserisci, ti sei recato personalmente nella curia di Roma e ci hai rivolto umili suppliche perché volessimo far esaminare da un esperto queste conclusioni, che tu pretendevi essere cattoliche e non erronee, di modo che, se fossero state trovate tali quali tu sostenevi, tu potessi togliere di mezzo quella cattiva fama insorta nei tuoi confronti, come si è detto. E noi abbiamo affidato l'esame di questi testi all'amato figlio Tommaso Badia, maestro del nostro Sacro Palazzo, e detto Tommaso, affermando di avere esaminato tali conclusioni, ha ritenuto che esse, nella forma in cui le avevi esposte, siano cattoliche e non erronee; pertanto tu ci hai rivolto umili suppliche perché ci degnassimo di venirti in aiuto con la nostra benevolenza apostolica contro le molestie che ti potevano derivare da queste vicende. Noi dunque, non volendo che tu debba soffrire ingiustamente alcunché a causa delle cose sopradette, ben disposti nei tuoi confronti da tali suppliche, vogliamo e decretiamo in virtù della nostra autorità apostolica che tu non possa essere in alcun modo impedito, molestato o perturbato con il pretesto della dichiarazione delle dette conclusioni, il cui tenore viene inserito più avanti, come si vedrà, ordinando tanto allo stesso vescovo che a qualsiasi superiore e agli altri interessati, che non si assumano l'iniziativa di molestarti, impedirti o perturbarti con questo pretesto. Queste disposizioni riguardano le persone predette e tutti quanti agiscano contro di esse, chiunque essi siano ed a qualsiasi titolo. Segue dunque il tenore delle sopradette conclusioni, ed è questo: prima conclusione: se non ci fosse la predestinazione eterna, nessun uomo potrebbe agire rettamente; seconda: la predestinazione divina è la causa di tutte le buone opere; terza: coloro che dicono che non si deve predicare al popolo intorno alla predestinazione divina, ignorano il valore della parola di Dio e ostacolano la grazia di Dio; quarta: senza la grazia di Dio non possiamo con il nostro libero arbitrio fare nulla di buono, ma soltanto peccare; quinta: il dogma di Aristotele, che dice che l'uomo è padrone delle sue azioni, è erroneo; sesta: qualunque cosa facciano gli uomini senza la fede o la grazia o la carità è peccato, perciò senza la fede è impossibile piacere a Dio; settima: gli uomini giusti sono sempre in stato di peccato; ottava: i bambini che muoiono con il solo peccato originale sono condannati alle sofferenze eterne del fuoco dell'inferno; nona: nessuno può soddisfare il comandamento dell'amore di Dio, come prescrive la Legge, se non chi giungerà al sommo grado di carità, che sarà nella patria celeste; decima: peccano in tale comandamento uomini santissimi, perché sono manchevoli di carità. Segue parimenti il tenore delle tue dichiarazioni delle dette conclusioni ed è tale: la prima e la seconda conclusione si devono intendere non come riguardanti la predestinazione eterna, che è propria soltanto degli eletti, bensì la divina predestinazione nella sua accezione più comune e generale, nello stesso modo in cui Dio muove tutte le cose secondo l'intento della sua volontà (lettera agli Efesini, capitolo primo); la terza si deve intendere per ciò che si trova nelle Sacre Scritture, con pietà, moderazione e a lode della grazia di Dio; la quarta viene così spiegata: dal peccato di Adamo la natura del nostro libero arbitrio è stata tanto infermata ed indebolita, che da soli si può peccare, ma non compiere opere gradite a Dio; la spiegazione della quinta: anche se, dal punto di vista cattolico ammettiamo che in noi c'è il libero arbitrio, nondimeno è erroneo affermare che l'uomo è padrone delle sue azioni, come fu opinione di Aristotele, ed escludere la grazia di Dio; la spiegazione della sesta: tale conclusione viene provata con la stessa argomentazione della quarta, ed un ragionamento di Agostino contro il pelagiano Giuliano [2] (e allo stesso modo nella terza, nello spirito e nella lettera); la spiegazione della settima è la seguente: per il fatto che, sino a che vivono la loro vita mortale, non sono mai liberi dalla concupiscenza, come scrive Agostino a proposito dell'opinione di Giacomo a Gerolamo e parimenti a proposito della perfezione della giustizia, contro il parere di Celestino; la spiegazione dell'ottava è tratta dal 14° sermone di Agostino sulle parole dell'apostolo, e dello stesso intorno alla fede a Pietro e in molti altri passi. La nona la interpreto come Agostino, nell'ultimo capitolo dello spirito e della lettera, e parimenti a proposito della perfezione della giustizia contro Celestino e a proposito dell'opinione di Giacomo a Gerolamo. La spiegazione della decima: in tale prescrizione chiamo peccato quel difetto o imperfezione della carità che si trova anche in uomini santissimi. Dato a Perugia il 28 settembre 1535, anno primo del nostro pontificato. (Fabio Vigili) [3]. [1] Documento pontificio meno solenne di una bolla. [2] Si accenna agli scritti di sant'Agostino contro i seguaci delle dottrine di Pelagio, monaco bretone emigrato in Nord-Africa (morto nel 427 ca.), il quale negava il peccato originale. [3] Sigla del cancelliere pontificio che redige il documento. |
||||||||||
© 2000 Reti Medievali |
![]() |