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Didattica |
FontiPredicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)a cura di Roberto Rusconi © 1981-2006 – Roberto Rusconi Sezione V - La Controriforma e il concilio di Trento24. Contro i barocchismi nella predicazioneAnche se nella Ratio studiorum della Compagnia di Gesù, approvata nel 1599, si ammetteva l'uso di «pii inganni», cioè di artifici diretti a fare colpo sugli ascoltatori delle prediche, non manca chi, come il gesuita Daniello Bartoli, si scaglia contro la moda dell'oratoria «barocca» e contro la predicazione «a concetti», di cui descrive con arguzia la preparazione in questo brano. Fonte: D. BARTOLI, L'huomo di lettere, Roma, Heredi di F. Corbettini, 1645, citato in E. SANTINI, Precisazioni e aggiunte sulla sacra predicazione nel secolo XVII, in «Studi seicenteschi», 1, 1960, pp. 4-5. Sederà il valent'uomo a una tavola, circondato di libri e tutto in silenzio inteso al suo lavoro. Poco rilieva che l'occhio vi si avvenga in una predica di questo o di quell'altro argomento, perocché elle saranno tutte divisate a una medesima foggia, tutte stampate con un medesimo conio. Due o tre descrizioni v'hanno a entrare, voglia o no l'Evangelio di quel dì. […] Or l'arte e l'ingegno starà in trasformare o almen travestire queste descrizioni; talché quella che nel poeta è una Venere diventi nella predica una Maddalena. […] Apparecchiate le descrizioni, seguirà appresso il trovare un paio d'Imprese o d'Emblemi di peregrina invenzione […] che, spiegandole, aprano all'ingegno campo da pompeggiare e agl'intendenti porgano materia di diletto. […]Poi bisognerà qualche testo di Scrittura, ch'ella pur si vuol framezzare, ma più che null'altro le Cantiche di Salomone. […] Per riputazione anco e per mostrarsi uomo che sa, ci vuol un passo di teologia, ma della più sottile e fina, tratta dalle quistioni della prima parte, colà dove si disputa di Dio uno e trino. E se avverrà che, come disse S. Agostino, il popolo che ha l'intelletto di cortissima vista non giunga con l'occhio della mente a discernere neanche il dito che gli mostra la stella […] ciò appunto sarà quel che si vuole; ché il volgo non adora se non quel che non intende, né ha per grande altro che quello dove egli non arriva. Finalmente v'hanno ad essere tre o quattro paradossi, che a prima giunta paiono eresie, ma poi dichinandosi a poco a poco si scuoprano essere misteri. Come le palle alate, gli scarafaggi, le serpi avvolte in cerchio, che i savi dell'Egitto scolpivano nelle aguglie, mascherate dall'interpretazione si trovano essere Iddio, il Sole, l'Eternità. Così apparecchiata la materia, ella s'ordina, intrecciando l'una cosa con l'altra, perché se la novità cagiona maraviglia, la varietà rende diletto, e se n'esprime ciascuna col più florido e concettuoso dir che si possa, a continue metafore, trasportate da più lontano che i mondi che sognava Democrito [1], a lunghe enumerazioni, da corrersi, come i pianeti il loro epiciclo, or dirette or retrograde, a spessi contrapposti dei quali l'uno combatte l'altro, e così recano il diletto che già cinquanta e le cento paia de' gladiatori, che negli antichi teatri di Roma armeggiavano a duello. Così lavorato il discorso, rimane a recitarlo e si cerca di farlo con una tal prestezza di lingua che gli orecchi degli ascoltanti, come i zoppi al corso si stanchino in seguirla e ciò perché secondo l'aforismo di S. Girolamo, nihil tam facile quam vilem plebeculam et inductam concionem linguae volubilitate decipere, quae quidquid non intellegit plus miratur [2]. [1] Filosofo greco (morto nel 360/350 a. C. circa). [2] «Nulla è tanto facile quanto ingannare con il discorso, con la mobilità della lingua, la plebe disprezzabile e ignorante, che più non comprende una cosa e più se ne meraviglia». |
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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006 |