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Didattica |
FontiStato e società nell'ancien régimea cura di Angelo Torre © 1983-2006 – Angelo Torre Sezione I – La formazione dello stato rinascimentale1. La ricostituzione del patrimonio regioAlla conclusione di un lungo periodo di guerre civili si profilano sia l'opera di pacificazione di Ferdinando e Isabella, sia il ripristino dell'autorità regia sull'aristocrazia. Le cortes di Toledo, cui si riferisce il documento, sanciscono le linee di questa prima fase del governo dei re cattolici, e in particolare la ricerca del consenso delle élites urbane alla ricostituzione del patrimonio della Corona. La soluzione soffre di pesanti limiti: da una parte l'atteggiamento delle élites urbane sembra dettato, più che da una precisa volontà antimagnatizia, dal desiderio di veder diminuito il proprio carico fiscale. Inoltre, dietro il contrasto tra coloro che vogliono la ricostituzione integrale del patrimonio della Corona e le proposte più sfumate di coloro che intendono distinguere tra rendite concesse per compensare un servizio svolto dal beneficiario e alienazioni originate dalle pressioni su un monarca debole e oberato di necessità finanziarie; dietro tale contrasto si può cogliere il profilarsi di una mediazione politica e sociale, che lascia inalterato il patrimonio economico dell'aristocrazia, per ribadire l'aspetto politico del problema: l'aristocrazia è libera di detenere il dominio economico e la giustizia signorile, purché lasci allo stato il potere del «governo». Perciò il cronista si sforza di estendere la portata giuridica e morale dell'Atto di reintegrazione: la moderazione e la prudenza di Ferdinando e Isabella si oppone alla concezione ancora feudale dell'autorità nel padre di questa, Enrico. In questo modo la reintegrazione perde il suo carattere restauratore, e la volontà politica indossa gli equi panni della ragionevolezza. Fonte: HERNANDO DEL PULGÁR, Cronica de los Reyes de Castilla, a cura di C. Rosell, Madrid, 1878, parte II, cap. XCV, pp. 352-53. Nell'anno del Signore millequattrocentottanta, essendo il re e la regina a Toledo, decisero di convocare colà le Cortes generali del regno. Inviarono perciò messaggeri alla città di […] che sono le diciassette città e borghi che sono solite mandare procuratori a ogni corte convocata dai re di Castiglia e di Léon. E queste inviarono […] due persone per procuratori, con poteri sufficienti per le decisioni che nelle Cortes si dovevano prendere. Allo stesso modo vennero colà alcuni prelati e cavalieri del regno; e tosto decisero di ricostituire il patrimonio regio, che si trovava alienato in modo tale che il re e la regina non possedevano nemmeno le rendite sufficienti al mantenimento loro e del principe e della principessa loro figli. E allo stesso modo non possedevano ciò che era necessario ogni anno per l'amministrazione della giustizia e il buon governo dei propri regni; per il fatto che il re don Enrico l'aveva alienato nel tempo delle passate dispute con il fratello principe don Alonso. L'alienazione delle rendite regie era avvenuta in molti modi; ad alcuni vennero concesse rendite perpetue come ricompensa delle spese sostenute; altri le acquistarono a prezzi irrisori […]. E tutte queste rendite venivano tratte dall'ammontare delle alcabalas, e delle tercias, e da altre voci delle entrate, che finivano così con lo sfuggire al re. Nel merito di tale problema i procuratori del regno supplicarono il re e la regina […] di ordinare la restituzione delle antiche rendite regie; perché altrimenti sarebbe stato necessario imporre nuovi tributi ed esazioni nel regno, con aggravio per i sudditi. Inoltre li supplicarono di reintegrare alla Corona le città, i borghi e i villaggi che in passato il re don Enrico aveva alienato, e revocare le esenzioni a esse concesse. Ciò perché erano state alienate a causa del peso della guerra a cui egli era stato costretto da alcuni nobili, e non per fedeli servigi da questi prestati, né per altra giusta causa che ne giustificasse l'alienazione dalla Corona e dal patrimonio regio e la concessione che ne venna fatta. Riguardo a tale supplica il re e la regina si consultarono con il cardinale di Spagna, con i duchi, i conti, i prelati, i cavalieri e i dottori del Consiglio, con cui essi si trovavano. E dopo molti ragionamenti decisero che la rendita e il patrimonio regio dovessero venir reintegrati, e posti in una condizione tale da poter far fronte alle necessità del regno […] senza l'imposizione di nuovi tributi e donativi. Tuttavia non si trovava l'accordo sulla forma di tale reintegrazione; poiché tali rendite e diritti spettavano ai grandi signori del regno, e ad altri prelati, cavalieri, scudieri, enti ecclesiastici e monastici, e a persone di varia condizione. La volontà di alcuni era che si dovesse istituire una revoca generale di tutte le rendite e i diritti alienati nel corso di quella guerra civile, poiché il re don Enrico vi aveva consentito dietro la pressione della necessità, e non per giusta causa: che era stato già più che sufficiente il frutto che essi avevano dato a coloro che li avevano detenuti per i tempi passati. Altri dicevano che tali rendite non erano state concesse tutte alle medesime condizioni, né per il medesimo motivo; e che se si fosse decisa una revoca generale non sarebbe stato giusto, perché alcuni le avevano ricevute per servigi effettivamente prestati, e per altre giuste cause. Altri sostenevano che non rispondeva a giustizia spogliare gli uni e non gli altri; e ognuno cercava di giustificare il motivo per il quale gli era stato dato […]. Il cardinale di Spagna, la cui opinione era particolarmente ricercata dal re e dalla regina, disse che gli pareva che quelle rendite e diritti perpetui, e tercias dei villaggi, e altre concessioni che il re don Enrico aveva fatto a cavalieri e persone che avevano procurato scandali e guerre nel regno, e avevano aggravato le necessità del sovrano al solo fine di ottenere [ulteriori] concessioni; che queste dovevano essere revocate totalmente, e per legge ognuno doveva restituire i frutti che ne aveva tratto. Invece, le concessioni fatte ad altri cavalieri e persone che l'avevano servito fedelmente, e si erano adoperate per sostenere la persona del re… allora quelle rendite dovevano venir confermate, e non revocate né in toto né in parte […]. Allo stesso modo, disse che si dovevano controllare nei registri dei conti le rendite concesse in pagamento di prestiti in denaro e in tenures. E se si fosse scoperto che il compenso era stato equo, andavano confermate le rendite da costoro ottenute: oppure, nel caso di revoca, andavano risarcite in denaro le rendite che essi avrebbero ottenuto da tali somme di denaro o tenures. E disse anche che le rendite concesse dal principe don Alfonso, quando si faceva chiamare re, a quei cavalieri e prelati che fomentavano le divisioni intestine ma nello stesso tempo con maniere subdole si facevano confermare tali concessioni dallo stesso re don Enrico, gli pareva che andassero revocate […] e [disse] che riguardo a tutto ciò andava mantenuta una equa moderazione, ben conforme alla ragione e alla giustizia, in modo che ognuno ottenesse quel che gli spettava, che a ognuno fosse sottratto ciò che indebitamente teneva; e che, se si fosse seguita questa via, nessuno avrebbe avuto il diritto di risentirsi per ciò che gli veniva tolto. |
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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006 |