Logo di Reti Medievali

Didattica

Fonti

Stato e società nell'ancien régime

a cura di Angelo Torre

© 1983-2006 – Angelo Torre


Sezione II - I tentativi di riorganizzazione amministrativa e la loro crisi (1520-1560 circa)

6. I rapporti tra stato e Chiesa: gli aspetti politici della riforma inglese

I documenti a e b che qui si pubblicano costituiscono il punto d'avvio della prima fase della riforma enriciana, e aprono la strada a una rivoluzione politica nel governo della Chiesa, ottenuta con l'istituzione di una Chiesa inglese autonoma dall'autorità papale, al cui vertice si pone il sovrano medesimo. Tale rivoluzione politica si sviluppa attraverso una serie di editti: il primo è rappresentato dal documento a, che proibiva il ricorso in appello alla corte di Roma per tutte le cause riguardanti successioni, matrimoni e decime, e ne attribuiva la competenza alla corte arcivescovile di Canterbury. Nella prima sessione del «Parlamento della Riforma» altri quattro importanti editti segnarono le tappe della Riforma: l'editto delle Annate impediva il pagamento delle decime e dei «primi frutti» a Roma e stabiliva la procedura per l'elezione di vescovi e abati, rendendo inutili le bolle papali di consacrazione dei medesimi. L'editto di dispensa trasferiva l'autorità per la concessione di dispense e licenze all'arcivescovo di Canterbury. L'editto di sottomissione del clero sottometteva il diritto canonico all'autorità regia, attraverso il parere di una commissione, e trasferiva il diritto di appello dalla corte arcivescovile a quella della cancelleria regia. Infine l'editto di successione dichiarava eredi al trono i figli di Enrico VIII e di Anna Bolena, applicando il reato di lesa maestà a chi osasse criticare tale unione (doc. b). Questi editti troncavano i legami della Chiesa inglese con Roma, e provvedevano a sottometterla alla nuova autorità regia. L'editto di supremazia, promulgato nella seconda sessione del Parlamento della Riforma, ribadiva l'autorità di Enrico sulla Chiesa inglese, e attribuiva alla Corona il diritto di ispezione e controllo sul clero. L'editto dei primi frutti e delle decime annetteva tali esazioni alla Corona, ma le estendeva alle parrocchie e ad altri benefici spirituali. Tali mutamenti incontrarono debole opposizione. A parte vittime illustri quali Thomas More e il vescovo di Rochester, Fischer, solo quarantacinque martiri furono prodotti dallo scontro tra Corona e clero. Questo fatto chiarisce anche il carattere dell'alto clero della Riforma, che si segnala per atteggiamenti conservatori, e ha meritato il nome di «clero enriciano»: si tratta di prelati che sì autodefiniscono cattolici, e sostengono la politica scismatica di Enrico VIII senza volervi introdurre alcuna innovazione dottrinale o nella pratica religiosa. Alcuni di essi, inoltre, sono stretti collaboratori del sovrano, e anche dopo la Riforma saranno impiegati come ambasciatori. Il solo vicario generale Cromwell, e l'arcivescovo di Canterbury, Cranmer, manifestano una propensione all'innovazione dottrinale. La morte del primo, nel 1539, segna perciò anche la fine del partito del cambiamento. Il documento ci illustra infine il tentativo infruttuoso di Enrico VIII di attribuire a determinate decisioni del suo Consiglio lo stesso valore di legge detenuto dagli statuti promulgati dall'autorità parlamentare. L'interpretazione di questo editto è particolarmente controversa. Mentre la storiografia whig vi ha colto un atto chiaramente dispotico di usurpazione dei poteri del Parlamento, la storiografia conservatrice del secondo dopoguerra vi ha visto piuttosto il ribadimento di una prerogativa della Corona riconosciuta dal diritto comune. Un gesto tradizionale, dunque, che aveva di nuovo semplicemente il riconoscimento dell'impossibilità di affidare al solo istituto parlamentare il carico di un'amministrazione enormemente cresciuta con la rivoluzione cromwelliana. Tale interpretazione, a sua volta, ha conosciuto critiche di fondo nella seconda metà degli anni sessanta, che fanno del documento in questione un tentativo di estendere la prerogativa regia, a prescindere dalla sua compatibilità con il diritto comune, a scapito dell'istituto parlamentare. Lo scarso successo dell'editto, infine, consente di propendere per quest'ultima interpretazione, e di vedere nella successiva forza dell'istituto parlamentare un elemento capace di contrastare le strategie politiche qui delineate.

Fonti: a/ The Statutes of the Realm, London, 1810-22, vol. III, 9 voll., pp. 427-29; b/ Ibidem, pp. 508-9; c/ D. C. DOUGLAS (a cura di), English Historical Documents, vol. V: C. H. WILLIAMS (a cura di), 1485-1558, London, Eyre & Spottishwoods, 1967, pp. 521-23.


a/ Un editto secondo il quale nei casi in cui era consuetudine rivolgere l'appello alla sede di Roma d'ora in avanti questo dovrà essere rivolto all'interno del regno (1533: 24 Henry VIII, c. 12)

Poiché in numerose antiche e autentiche storie e cronache viene manifestamente dichiarato che questo regno d'Inghilterra costituisce un impero, la qual cosa gode di piena e universale accettazione, ed è governato da un capo supremo e sovrano, dotato di dignità e condizione regale derivantegli dalla natura imperiale della sua Corona; e poiché a esso un corpo politico composto da ogni sorta di persone, divise per funzione e per nome tra una condizione spirituale e una temporale, è tenuto e deve portare l'umile e naturale obbedienza dovuta a Dio; ed essendo egli dotato dalla bontà e sofferenza di Dio onnipotente del plenario, integro e universale potere, preminenza, autorità, prerogativa e giurisdizione al fine di rendere e produrre la giustizia e la decisiva determinazione a ogni sorta di abitanti e di sudditi di questo regno riguardo a ogni genere di cause, materie, conflitti e contese che possono occorrere, insorgere o svilupparsi entro i confini del regno, senza il limite o l'intervento di principi stranieri o potentati di questa terra: perciò, poiché il corpo spirituale è dotato di potere ogniqualvolta un aspetto della legge divina o del nutrimento spirituale è posto in dubbio, si è dichiarato, interpretato e mostrato come la parte del corpo politico chiamata usualmente la Chiesa d'Inghilterra, la quale è sempre stata ritenuta e reputata tale che per conoscenza, integrità e sufficiente consistenza numerica si è rivelata, così come lo è ora, autonoma e capace, di chiarire e determinare ogni dubbio e di offrire tutti i servizi e di assolvere tutte le funzioni alle quali è tenuta nella sfera spirituale, senza che sia necessaria l'intromissione di qualsiasi persona o persone esterne. A tal fine e per la debita amministrazione sua, così come per impedire corruzione e nocive propensioni al suo interno, i nobili progenitori del Re, e gli antecessori dei nobili di questo regno, hanno cercato di dotare la detta Chiesa di onore e possessione sufficienti. Parallelamente, le leggi temporali riguardanti i delitti contro la proprietà delle terre e dei beni, e la conservazione della popolazione in unità e pace, senza rapine o privazioni, vennero e vengono amministrate, giudicate poste in esecuzione da numerosi giudici e funzionari appartenenti all'altro settore del corpo politico, chiamato temporale, ed entrambe queste autorità e giurisdizioni si devono congiungere nello scopo di espletare la dovuta amministrazione della giustizia, e devono reciprocamente collaborare […]. In considerazione di ciò, Sua Altezza, i suoi Nobili e i Comuni, avendo presenti le enormità, i pericoli, la lunghezza delle dilazioni e gli ostacoli che pesano su Sua Altezza, i detti nobili, sudditi, manenti e residenti di questo regno nelle cause riguardanti testamenti, cause di matrimonio e divorzio, decime oblazioni e legati […] e col consenso dei Lords spirituali e temporali e dei Comuni riuniti nella presente assemblea del Parlamento, e in virtù dell'autorità di questo, decretano, stabiliscono e ordinano che tutte le cause concernenti [le materie sopraddette] […] d'ora in avanti verranno esaminate udite, discusse, chiaramente e definitivamente giudicate e determinate nell'ambito della giurisdizione e dell'autorità del Re e non altrove.

b/ Un editto secondo il quale diversi reati ricadono sotto il delitto di alto tradimento (1534: 26 Henry VIII, c. 13)

Poiché è sommamente necessario, sia per la politica del regno, sia per i doveri dei sudditi, proibire anzitutto, provvedere, limitare ed estinguere ogni forma di vergognosa diffamazione, pericolo o rischio imminente che può insorgere, presentarsi o accadere al nostro sovrano signore il Re, alla Regina o ai loro eredi, le quali diffamazioni provocano in chi le ascolta, vede o capisce nient'altro che vergogna e aborrimento di ogni genere nei veri e fedeli sudditi per quegli aspetti che possono toccare il Re, la Regina, i loro eredi e successori, dai quali dipende l'intera unità e l'universale bene di questo regno […] viene perciò stabilito, col consenso dei Lords spirituali e temporali e dei Comuni riuniti nel presente Parlamento, e in virtù dell'autorità di questo […] che qualsiasi persona o persone, a partire dal primo di febbraio prossimo venturo, che proverà desiderio, piacere, volontà, attraverso parole, scritti, immagini acconce, invenzioni, pratiche o tentativi o danneggiamenti fisici da farsi o commettersi alla regale persona del Sovrano, della Regina o dei loro legittimi eredi, o che vorrà tutti loro o in parte privare della dignità, titolo o nome della loro condizione regale, oppure vergognosamente o maliziosamente pubblicare ed esplicitamente affermare che il Re nostro signore sovrano è eretico, scismatico, tiranno, infedele o usurpatore della Corona; oppure chiunque sediziosamente tenga, mantenga e conservi in nome del Re nostro sovrano signore, dei suoi eredi e successori, castelli, fortezze, autorità all'interno di questo regno o di altri domini e marche del Re […] ogni persona o persone che si macchiano di queste colpe, i loro complici, consiglieri, seguaci o assistenti dovranno rispondere, secondo le leggi e le consuetudini di questo regno, del delitto di tradimento; e che ogni reato del genere sopra esposto, commesso dopo il primo di febbraio sarà ritenuto accettato e giudicato come alto tradimento: e i rei, complici ecc. saranno condannati alla pena di morte o alle pene connesse ai casi di alto tradimento.

c/ Tentativi di rafforzamento dell'autorità centrale

Considerato che la regale Maestà del Sovrano, per diversi motivi e con il parere del suo Consiglio, ha prima d'ora promulgato numerosi e svariati proclami, concernenti sia molteplici aspetti della religione di Cristo, sia l'unità e la concordia tra gli amati e obbedienti sudditi di questo regno e di altri domini, sia il progresso del bene pubblico e la sana tranquillità della popolazione; e considerato che tali proclami sono stati disprezzati e disobbediti da sudditi ribelli, cocciuti e ostinati, dai quali non si tiene conto di ciò che un sovrano ha effettivamente in potere di fare […] considerato anche che si danno spesso cause e circostanze che richiedono un pronto rimedio, e che in tali occasioni attendere la convocazione di un Parlamento non può che recare grande pregiudizio al regno; e tenendo presente che sua Maestà (che per il potere regale e sovrano concessogli dal Signore può prendere molte iniziative in tali casi) non sarà indotta a estendere l'autonomia e la supremazia del potere e dell'autorità regia dall'ostinazione di sudditi ribelli; si è perciò pensato che è più che necessario che l'Altezza del Re, a partire da questo momento e con il parere del suo onorevole Consiglio, debba promulgare e far rispettare proclami intesi ad assicurare un buono e civile ordine e governo al regno d'Inghilterra, Galles e altri domini del Re, la protezione della dignità regale e il progresso del bene pubblico e della giovevole tranquillità della popolazione, quando ciò sia richiesto dalla necessità […] e che tali proclami dovranno venir obbediti, osservati, e intesi come se fossero emessi dal Parlamento.

© 2000
Reti Medievali
Ultimo aggiornamento: 01/03/2006