Logo di Reti Medievali

Didattica

Fonti

Stato e società nell'ancien régime

a cura di Angelo Torre

© 1983-2006 – Angelo Torre


Sezione III - La nascita dell'assolutismo e il ricambio delle élites (1560-1660)

1. Ruolo e peso della nobiltà tra Cinque e Seicento: un confronto tra il caso inglese e quello francese

L'ipotesi formulata da Stone negli anni sessanta sulla crisi dell'aristocrazia, suffragata da una massiccia documentazione statistica, trova ampio riscontro nelle fonti letterarie. Le due che qui si presentano sono dovute a un lavoro minore di Francis Bacon del 1592, quando non era che un promettente avvocato e aspirava a un posto a corte e nella burocrazia centrale. In quell'anno egli pubblicò un pamphlet propagandistico nel quale si esaltavano i risultati economici e sociali del regno elisabettiano (doc. a). Accanto alla crescita della prosperità, Bacon accennava anche a una nuova funzione sociale dell'aristocrazia. Alla diminuzione della quota di proprietà fondiaria egli affiancava un diverso modello di famiglia aristocratica, e in particolare un diverso rapporto tra genitori e figli, da cui derivava una disgregazione della proprietà familiare. Tali sintomi di declino sociale ed economico avevano per Bacon un riflesso politico esplicito nella nuova accettazione dell'ordine del sovrano da parte delle famiglie aristocratiche. Questo processo, tuttavia, può essere datato con maggior precisione: tipico della seconda metà del regno elisabettiano, esso doveva conoscere un'inversione di tendenza nel primo Seicento, quando incrementi della rendita agraria e rinnovati favori da parte della Corona restaurarono parzialmente la posizione dell'aristocrazia nella società inglese. D'altro canto il giudizio di Brantôme (doc. b), pur nella frammentarietà con cui viene espresso, illustra con acutezza sia il ruolo giocato dalla nobiltà minore francese nelle guerre di religione sia, più in generale, la sua funzione sociale nel quadro della crisi della monarchia rinascimentale. In primo luogo, egli si avvale dell'equazione secondo cui la guerra, e soprattutto le guerre di Francesco I e di Enrico II, ha la funzione di garantire la pace sociale interna, poiché impiega massicciamente i quadri della nobiltà inferiore, altrimenti lontani da qualsiasi funzione pubblica. Tuttavia, la guerra li immiserisce, esponendoli alla rapacità dell'usura «borghese» e in particolare dopo la battaglia di San Quintino, quando enormi somme furono pagate per riscattare i nobili fatti prigionieri. Le guerre di religione rappresentano in questo quadro una deliberata ripresa di iniziativa politica della nobiltà periferica, che trova modo di rivalersi e restaurare le proprie finanze. Il giudizio di Brantôme dà ragione quindi delle rivolte contadine che costellano i decenni finali delle guerre di religione (a partire almeno dalla fine degli anni settanta), note come lo «sciopero delle decime» di fronte alle devastazioni della guerra civile, e soprattutto di fronte alla ripresa politica della nobiltà con il conseguente incremento del prelievo signorile sulla popolazione rurale. Tale ripresa politica del ceto signorile è tuttavia di breve momento: come ricorda Brantôme, riflettendo un giudizio comune negli scrittori ugonotti di fine Cinquecento, la nobiltà minore conosce un declino di lungo periodo, trovandosi a dipendere sempre più dal patronaggio regio — in particolare quello ecclesiastico garantito dal Concordato del 1516 —, mentre crescono il benessere e il potere delle città periferiche e della capitale del regno: la struttura fiscale della monarchia francese sta già incisivamente operando lo squilibrio che verrà alla luce nella seconda metà dei Seicento, una lunga fase di depressione della economia rurale che contrasterà con gli splendori politici del «grand siècle».

Fonti: a/ Observation on a Libel, in J. SPEDDING (a cura di), The Life and Letters of Francis Bacon, London, Longman, 1857-74, in L. STONE (a cura di), Social Change and Revolution in England, 1540-1640, London, Longman, 1965, pp. 133-35; b/ PIERRE BOURDEILLE seigneur de Brantôme, Les grands capitaines François, in Œuvres complètes de Pierre Bourdeille seigneur de Brantôme publiées par Ludovic Lalanne, Renouard, Paris, 1868, tomo IV, pp. 329-31.


 

a/ L'opinione di Francis Bacon sulla crisi dell'aristocrazia

È vero che nel passato sono esistiti (come suppongo) nobili dotati di possedimenti più ampi e di maggior autorità e potere di quanto ne abbia la nobiltà d'oggi. Una ragione della riduzione dei possedimenti credo che vada ricercata nei costumi sontuosi e nelle propensioni allo spendere — ornamenti, divertimenti, mantenimento di stuoli di seguaci e servitori e così via —, molto più diffuse che in passato. Un'altra ragione consiste nel fatto che oggigiorno i nobili si occupano maggiormente dell'avvenire dei propri figli, in particolare dei cadetti, di quanto fossero avvezzi nel passato, e ciò comporta l'erosione del patrimonio familiare. Venendo all'autorità, che invero non ha più la forza che ebbe in passato, ritengo che rappresenti piuttosto il frutto dei tempi. Infatti la gente cercava un tempo di mettersi faziosamente alle dipendenze di qualche nobile; da ciò derivavano numerose parzialità e divisioni, e soprattutto interruzioni della giustizia, poiché i grandi cercavano di favorire quanti erano loro legati; e così i sovrani di questo regno, avendo a lungo osservato come tale genere di autorità nobiliare nuocesse alla Corona e danneggiasse il popolo, meditarono di limitarla con provvedimenti di legge; perciò presero provvedimenti contro il gran numero di servitori; e ora la gente dipende dal principe e dalla legge, e da nessun altro. Problema, questo, che va messo in relazione con la natura dei tempi; come si può constatare in altri paesi, e soprattutto in Spagna, dove i grandi non godono più di un potere assoluto come in passato.

b/ Un'ipotesi sulla nobiltà francese

I ricchi mercanti, gli usurai, i banchieri e altri strozzini, e persino i preti che nascondevano scudi nei loro forzieri, non concedevano un soldo a prestito senza volerne ricavare grandi interessi e usure eccessive, o senza profittarne per accaparrare terre, beni e case a prezzo vile; e così il gentiluomo, che durante le guerre combattutesi fuori dal regno si era impoverito e aveva alienato i propri beni, o li aveva perduti, era giunto al limite della sopportazione, e non sapeva più con quale legna scaldarsi; poiché tali feroci usurai gli avevano portato via tutto: ma questa proficua guerra civile (la chiamavano proprio così) lo ristorò e lo riportò a galla. A tal punto che mi è capitato di vedere un gentiluomo d'ottimo lignaggio, che prima delle guerre si faceva vedere in giro con un tiro da due e un solo lacché, durante e dopo di esse esibiva ben sei o sette bestie alla sua carrozza […] e così faceva gente d'ogni luogo e parte, avendo recuperato e incrementato la proprietà. I riscatti imposti ai grassi usurai, una volta messagli paura, facevano sì che il denaro uscisse più facilmente dalle borse a loro stesso discapito, anche se se lo nascondevano addosso.

Ed ecco come la spavalda nobiltà francese si riprese per grazia (ma sarebbe meglio dire il grassaggio) di questa fortunata guerra civile. E la gente all'antica e di provata onorabilità, alla quale mi pregio di appartenere, ne avrebbe delle belle da raccontare e da riesumare, per far risaltare la disinteressata verità.

Ma non è tutto; perché il nostro sovrano Carlo [Carlo IX], così carico di debiti verso Dio e verso il mondo, anche a causa di quelli accumulati dal padre e dal nonno [rispettivamente Enrico II e Francesco I] si sarebbe ridotto sul lastrico senza tale provvidenziale guerra civile, dalla quale poté invece ricavare lauti profitti e tesori in virtù della vendita e alienazione di reliquie, gioielli e beni temporali della Chiesa; e ciò con il permesso del Santo Padre, con il ricavo di grandi somme, esasperò tutta la Francia, e in particolare i gentiluomini, cui ho sopra accennato, e gli uomini d'arme, sia delle compagnie d'ordinanza che della fanteria: questi, per nulla avari, ma al contrario nobili e generosi, gli fornivano il denaro, chi in un modo, chi nell'altro, con gravi spese e danni, ma senza trarne vantaggio alcuno.

Ed è così che vediamo oggi in Francia maggior quantità di dobloni di quante modeste pistole corressero cinquant'anni or sono […].

Di più, e questo è proprio strano, se ci si fa caso e si pondera per bene, si può scoprire che tutte le città della Francia, che pure hanno patito i saccheggi e le guerre, i riscatti e le spese, hanno oggi un'apparenza ben più opulenta e ricca di quelle degli altri paesi, che pure non han dovuto subire tutti questi danni; e ciò senza ovviamente escludere la grande città di Parigi, che tempo fa era tanto povera e triste da non poterne più, al punto che le donne si concedevano per un tozzo di pane; la si ritrova oggi più bella e superba, più ricca e magnifica che mai; e pare così naturale, oggi, e nessuno ha da ridire sul fatto che ogni sorta di beni vi affluisca e vi abbondi, fino a esserne satolla. Il fatto è che essa si dimostra insaziabile, e credo che non si riuscirà mai a soddisfarne le brame.

© 2000
Reti Medievali
Ultimo aggiornamento: 01/03/2006