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FontiStato e società nell'ancien régimea cura di Angelo Torre © 1983-2006 – Angelo Torre Sezione III - La nascita dell'assolutismo e il ricambio delle élites (1560-1660)8. Il problema delle fazioni: normalità ed esasperazione del loro peso nelle guerre di religione francesiLa serie di documenti che qui si presenta si propone di delineare gli aspetti «strutturali» della lotta di fazione nello Stato del secondo Cinquecento e al tempo stesso di mostrarne le esasperazioni nella Francia delle guerre di religione. Il rapporto tra questi due aspetti è suggerito in modo esplicito dalla riflessione di Bacone, che vi dedicò nel 1592 il LI dei suoi Essays, indagandone con sensibilità sociologica la dinamica e il peso politico (doc. a). È evidente dalle affermazioni del filosofo e uomo politico inglese come esse vadano considerate una condizione costante di cui, in ogni epoca storica, le decisioni di chi governa non possono non tener conto. Inoltre, la formazione e l'esistenza di questo tipo di coalizione danno certo ragione del fatto che nel secondo Cinquecento le fazioni siano inscindibili dai criteri con cui il sovrano o il personale del governo situato nelle sue immediate vicinanze redistribuiscono le risorse materiali prelevate nei territori di dominio regio. Da questo punto di vista, tuttavia, le fazioni hanno un significato ambivalente — come indica lo stesso Bacone — nel senso che possono costituire insieme la forza e la debolezza di un principe. Il caso francese, cui si riferiscono i documenti successivi, viene citato da Bacone quale esempio di come esse tuttavia possano costituire un limite alla libertà d'azione del principe e alla sua capacità di controllare l'ordine sociale, come con grande lucidità ricorda al figlio Caterina de Medici (doc. b). Seppure la situazione in cui si trova ad agire la madre di Enrico III costituisca, come vedremo, un caso limite, tuttavia anche in questo caso sembrano agire alcuni fattori generali. Da un lato le fazioni si manifestano all'interno stesso del Consiglio del re e della corte in un momento di crisi (le reggenze o la minore età dei successori di Enrico II). D'altro lato esse appaiono come un intreccio di alleanze e di conflitti tra le prime famiglie del regno, intreccio che si ammanta di contenuti ideologici, l'adesione o meno alla religione riformata. In realtà gli sviluppi della lotta tra le due coalizioni situate al centro del potere arricchiscono di nuovi elementi l'analisi di Bacone. La lettera di Caterina de Medici illustra con chiarezza come la regina madre si renda conto dell'impossibilità per il giovane Enrico III di evitare di appoggiarsi a una sola delle due fazioni che sconvolgono l'ordine sociale del regno francese, per giungere all'auspicata situazione di dominio incondizionato del paese: egli dovrà fondarsi in ogni provincia sui personaggi più influenti e «più disposti all'intesa». Questa indicazione ci dà un'immagine precisa dell'estensione della lotta di fazione, di come essa abbia una natura verticale e territoriale, che per province e strati sociali giunge a permeare gli schieramenti di un intero paese. È quanto affermano i membri della cosiddetta «Lega di Péronne» (1576, lo stesso anno della lettera di Caterina al figlio): è facile vedere dietro questa unione di principi, signori rurali e gentiluomini cattolici uno schieramento che comprende ordini diversi, città e campagne: insomma, intere province sulla compattezza delle quali il programma del 1576 caratteristicamente si impernia (doc. c). È chiaro dunque il senso delle indicazioni politiche della regina-madre: il figlio dovrà (doc. b) far leva su una simile coalizione per giungere a occupare la posizione centrale nella distribuzione degli onori e dei favori sulla quale si fonda il suo vero potere. Solo allora si potranno avverare gli auspici della regina madre: un sovrano che si colloca al centro del sistema di comunicazioni sociali, che domina i segretari anziché esserne dominato, che si presenta come attivo fattore di politica e non come semplice garante di decisioni prese da una delle parti in causa. Fonti: a/ F. BACON, The Essays or Counsels, Civil and Moral of Francis Bacon, a cura di S. H. Reynolds, Oxford, Clarendon Press, 1890, pp. 345-47; b/ HECTOR De LA FERRIÈRE - BAGUENALUT DE PUCHESSE (a cura di), Lettres de Catherine de Médicis, Paris, 1880-1909, vol. V, pp. 73-75; c/ P. U. PALMA CAYET, Chronologie novenaire, in J. PETITOT (a cura di), Collection de mémoires sur l'histoire de France, Paris, Foucault, 1823, serie I, XXXVIII, pp. 254-57. a/ Delle fazioniDa molti è condivisa un'opinione poco saggia, secondo la quale un aspetto principale della politica di un principe nel governo dei suoi stati, o di un grande nobile nella conduzione dei suoi affari consiste nell'agire nel rispetto delle fazioni; mentre, al contrario, per entrambi la cosa più saggia si ha nel prendere decisioni di carattere generale, che nondimeno possono riscuotere l'assenso dei seguaci di fazioni distinte, oppure nel trattare gli affari singolarmente con ciascuna delle persone interessate. Con ciò non intendo affatto affermare che vada sottovalutata la considerazione delle fazioni. Infatti vi aderiscono le persone mediocri nella loro ascesa; tuttavia i grandi, che da soli costituiscono una forza, ricavano maggiori vantaggi dal mantenersi indifferenti e neutrali: ma di solito anche per chi inizia una carriera aderire così blandamente a una sola fazione, da poter mantenere rapporti con l'altra, pare la scelta migliore. La fazione più lontana dal potere e più debole raggiunge una più solida coesione; e si verifica spesso che pochi uomini molto fermi riescano ad avere la meglio su di un numero maggiore di individui più moderati. Allorché una delle fazioni si esaurisce, quella che resta subisce divisioni intestine […] coloro che in una fazione hanno posizioni secondarie, alla divisione di questa possono divenire i capi; ma a volte si da pure il caso che questi si rivelino delle nullità e vengano scavalcati; perché la forza di un individuo si manifesta a volte principalmente nell'opposizione; e quando questa viene meno, egli diventa inutile […]. Lo stesso barcamenarsi tra una fazione e l'altra non deriva sempre dalla moderazione, ma dalla fiducia in se stessi nella possibilità di usarle entrambe […]. I principi devono star molto attenti a come si schierano, e ad atteggiarsi a capitazione o partito; perché le leghe, all'interno di uno stato, costituiscono sempre un pericolo per le monarchie; esse infatti fanno sorgere obblighi più vincolanti di quelli comportati dalla sovranità, e costringono il sovrano ad assumere la posizione di membro di un partito allo stesso titolo degli altri; come si è verificato nella Lega [cattolica] in Francia. Quando le fazioni acquistano troppa forza e troppa violenza, ciò è segno della debolezza dei principi, con grave pregiudizio sia della loro autorità che delle loro fortune. I movimenti delle fazioni nelle monarchie dovrebbero essere analoghi a quelli (come dicono gli astronomi) delle orbite inferiori, che non hanno un moto propriamente autonomo, ma subiscono docilmente l'influenza del moto principale del primum mobile. b/ Memoria di Caterina a Philippe Hurault de Cheverny, cancelliere di Francia, da recapitare al figlio Enrico III (8 agosto 1574)Sire di Cheverny, direte al re mio figlio che, poiché è piaciuto a Dio di chiamarlo a governare questo regno e farlo Re, […] lo prego […] di non farsi trattare come un pari, ma come un padrone […] e non permettere che si pensi: è giovane, potremo far di lui quel che vorremo, e imporre perciò l'abitudine di non conceder nulla a chi lo circuirà […]; e lo supplico di interrompere questo costume cominciando con due o tre dei peggiori e più sfacciati. Gli altri si comporteranno allora come dovranno. Sia lui stesso a gratificare quelli che lo serviranno con lealtà e fermezza nelle loro cariche, senza che siano quelli, per primi, a esercitare pressioni per ottenere riconoscimenti, e così tutti faranno a gara per servirlo meglio e di persona nelle proprie funzioni […]; e provveda allo stato e non alle persone, poiché ciò minaccia il servizio che gli è dovuto, nel senso che, per ricompensare il singolo, gli si concede una carica di cui non è degno, e se proprio si trova qualcuno che meriti un premio per i suoi servigi, lo si ricompensi con denaro o beni compatibili con la sua condizione […]; e dovrà evitare che una sola persona detenga tutte le cariche, poiché in tal modo, invece di distribuire gli onori a molti per farli sentire obbligati, e avere dei fedeli in ogni provincia, dovrebbe contare su una dozzina di persone dalle quali, nel caso che siano grandi e potenti, si troverebbe ben presto a dipendere, perché gli terrebbero testa invece di riconoscere il loro debito permanente nei suoi confronti; e perciò in ogni provincia egli dovrà render debitori a sé i più influenti e i più disposti all'intesa distribuendo loro uffici, benefici, cariche e dignità come era solito fare re Luigi e poi Enrico suo padre: favorire servitori che gli devono tutto e persone che tengono il paese nell'obbedienza, nel senso che nulla si può intraprendere nella provincia senza che loro non lo sappiano […]. Ma per ottener ordine deve esser lui il primo a imporlo a se stesso; poiché senza di questo sia io che lui sappiamo che è impossibile; piuttosto, dovrà compiacersi di svegliarsi a un'ora prefissata e, se anche vorrà star ancora un poco in letto, non perda tempo e ne approfitti per farsi leggere i dispacci e sbrigare la corrispondenza, cosa che dovrà fare con i segretari […]; e quando questi avranno letto i dispacci e conosciuto la sua opinione in merito, dovranno ritirarsi nei loro appartamenti, senza disperdersi da ogni parte, per provvedere ai dispacci del giorno successivo, che gli verranno a presentare di primo mattino […]. So bene che ciò recherà danno a quanti sono avvezzi a esercitare pressioni sul segretario perché decida in prima persona, costringendo il re alla mera funzione di annuire a cose fatte […] e così facendo invece non si dovrà render grazie che al re, e non si seguirà che lui […]. c/ La struttura e il programma della Lega cattolica fondata a Péronne nel 1576Nel nome della Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, nostro solo vero Dio, al quale vanno gloria e onore. I. L'associazione dei principi, signori e gentiluomini cattolici deve essere e sarà costituita per ristabilire la legge di Dio nella sua interezza, per restaurare e mantenere il suo santo servizio secondo la forma e la maniera della santa Chiesa cattolica, apostolica e romana, abiurando e rinunciando a tutti gli errori contrari. II. Per conservare il re Enrico terzo di questo nome, per la grazia di Dio e i suoi successori re cristianissimi, nello stato, splendore, autorità, dovere, servizio e obbedienza loro dovuti dai sudditi, come è contenuto negli articoli che gli verranno presentati all'assemblea degli Stati, i quali egli giurerà e prometterà di osservare in occasione della sua consacrazione ed incoronazione […]. III. Per restituire alle province di questo regno e ai loro Stati i diritti, preminenze, franchigie e libertà antiche, quali si trovavano ai tempi del re Clodoveo, primo re cristiano, e ancora migliori e profittevoli se sarà possibile escogitarne, sotto la protezione suddetta. IV. Nel caso si diano impedimenti, opposizioni o ribellioni a quanto sopra […] gli associati saranno tenuti e obbligati a impiegare tutti i loro beni e mezzi, e le loro stesse persone, fino alla morte, per punire […] i responsabili […]. V. Nel caso che qualcuno degli associati, loro sudditi, amici e confederati siano molestati, oppressi, ricercati per i casi sopraddetti […] i detti associati saranno tenuti a impiegare i loro corpi, beni e mezzi per aver vendetta di quanti abbiano arrecato molestie e oppressioni […]. VII. I detti associati giureranno di prestare la più pronta obbedienza e servizio al capo che verrà deputato, di seguirlo e dargli consiglio, conforto e aiuto, tanto per il trattamento e la conservazione della detta associazione, quanto per la rovina dei suoi nemici, senza riguardo o eccezione alcuna […]. VIII. Tutti i cattolici dei corpi di città e di villaggio saranno ammoniti e segretamente convinti dai singoli governatori a entrare nella detta associazione, fornirle armi e uomini per la sua esecuzione, secondo la potenza e le facoltà di ciascuno […]. X. Si fa proibizione ai detti associati di entrare in conflitti o combattimenti reciproci senza il consenso del capo, all'arbitrato del quale i contravventori verranno puniti, tanto per riparare al proprio onore che per ogni altro motivo. […]. |
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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006 |