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Didattica > Fonti > Stato e società nell'ancien régime > IV, 2 | |||||||||
FontiStato e società nell'ancien régimea cura di Angelo Torre © 1983-2006 – Angelo Torre Sezione IV – La ristrutturazione dello stato e i suoi meccanismi sociali nel secondo Seicento2. La limitazione della libertà d'azione dei corpi intermedi: i primi anni di governo personale di Luigi XIVI tre grandi problemi che il nuovo re si trovava di fronte all'ascesa al trono consistevano indubbiamente nell'indisciplina e nella corruzione dei corpi intermedi, nonché nella capacità da questi dimostrata durante la Fronda di ribellarsi alla stessa autorità della Corona. Di qui la scelta di almeno due direzioni di rafforzamento del controllo. Estremamente spinoso, e di non facile soluzione era il compito di una riforma della giustizia. Questa doveva necessariamente partire da una riforma delle corti sovrane, e in particolare dei Parlamenti, che ponevano il problema più urgente, vista soprattutto la propria disponibilità alla ribellione dimostrata durante la Fronda. Il colpo più duro inflitto dalla Corona alle corti sovrane è senza dubbio l'abolizione del diritto di inviare rimostranze al sovrano prima della registrazione degli editti, nelle quali esse chiedevano la modificazione di clausole in essi contenute: di qui il mutamento dell'editto del 1673, che si riferisce a «costi superiori» di giustizia. Fin dal 1667, anno delle grandi ordinanze sulla riforma della giustizia, veniva stabilito che la registrazione dovesse divenire un atto automatico, e che le rimostranze potessero soltanto seguire, e non precedere la registrazione medesima. Già sei anni più tardi era tuttavia necessario ribadire tale regolamento. Interessante è in ogni caso notare come il comportamento delle corti non si concentrasse tanto sulla protesta violenta e lo scontro frontale con l'autorità sovrana, ma preferisce un sordo conflitto e la sistematica deroga alle norme nella routine quotidiana dell'amministrazione della giustizia. Era ben più vantaggioso accettare la registrazione degli editti nelle forme previste dal sovrano e procedere in seguito a deroghe agli editti registrati di fronte a singoli contendenti. Sembrerebbe essere questo il caso dell'Alvernia, nella quale a numerose riprese vengono segnalati disordini di tale entità da mettere in forse lo stesso monopolio regio della violenza e dell'ordine sociale. Da una parte (doc. a) sono frequenti i casi simili a quello segnalato dall'intendente La Ribe a Colbert nel 1661, di corruzione spicciola e diretta. Dall'altro è la stessa nobiltà locale ad approfittare del disordine amministrativo per gestire in proprio la violenza. Anello più debole della catena, è su di essa che si abbatte la volontà repressiva del sovrano. Lo strumento è quello di un tribunale speciale di grande prestigio, quello dei Grands Jours, il quale tuttavia richiedeva un cospicuo dispiegamento di uomini e di mezzi, e doveva perciò rivolgersi ed essere applicato in un'area di grande corruzione e disordine. Tale area, inoltre, a sottolineare ancora una volta la disparità di pareri tra governo centrale ed élites locali, non poteva che cadere nella giurisdizione del Parlamento di Parigi, poiché i Parlamenti periferici si sarebbero rifiutati di gestire in prima persona un'azione repressiva di tale portata. Se queste considerazioni spiegano la scelta dell'Alvernia per questo grande esperimento repressivo, non vanno dimenticate le opinioni dei «governati», o meglio di settori più influenti localmente. Dal loro punto di vista la giustizia regia si presenta come un elemento arbitrariamente perturbatore (doc. b). E, nonostante lo sforzo repressivo che il vescovo di Nîmes ci descrive in tutta la sua brutalità, l'ordine sociale (del re) non venne raggiunto neppure in questo caso. Se, dunque, i documenti qui presentati testimoniano ampiamente di una iniziale volontà innovatrice da parte del nuovo sovrano, i frutti della sua politica nella periferia, come vedremo, andranno ricercati in più avveduti sforzi di mediazione. Fonti: a/ Lettera di La Ribe, intendente, a Colbert, in G. B. DEPPING (a cura di), Correspondance administrative sous le règne de Louis XIV, in «Collection des documents inédits sur l'histoire de France», 4 voll., Paris, Imprimerie Nationale, 1850-55, vol. II, pp. 9-10; b/ Esprit Fléchier, Mémoires sur les Grands Jours d'Auvergne en 1665, (1862²), cit. in R. METTAM (a cura di), Government and Society in Louis XIV's France, London, Macmillan, 1977, pp. 159-61. a/ I disordini della giustizia in Alvernia: il punto di vista dell'istituzione (1661)I disordini sono tanto frequenti in Alvernia, e vengono commessi di solito da ogni sorta di gente, che ho ritenuto mio dovere avvertirvi che tutti, e in particolare gli ufficiali, ciascuno nella sua sfera di competenza, proteggono i colpevoli invece di punirli. Voglio anche riferirvi, Monsignore, un episodio accaduto nella scorsa quaresima, un'aggressione compiuta da sei uomini, tra i quali un certo La Sale, trombettiere del re, il quale, dopo averlo costretto a battersi, uccise un certo Du Verry, cavaliere in una compagnia del reggimento Mazzarino, che era di guarnigione in una cittadina del Limousin, Bort. Gli ufficiali del luogo presero le dovute informazioni, e vi erano ampie prove di ciò che vi riferisco, e soprattutto una dichiarazione del detto Du Verry, che denunciava le sopraffazioni del detto La Sale, e in base alla quale gli amici di quest'ultimo avevano deciso di esercitare pressioni sul signore che deteneva la giustizia nel territorio in cui era avvenuto il fatto di sangue; dietro il compenso di seicento lire, raccolte tra gli interessati, costui diede ordine al proprio giudice di bruciare le informazioni fino allora prese, e di redarne altre nelle quali si mostrasse come lo scontro fosse stato casuale, e l'uccisore fosse una persona diversa da quella indicata nelle precedenti denunce dell'ucciso. Solo da poco si è avuta la nuova formulazione delle accuse, ed è questo il motivo per il quale ho tardato a informarvi; ne sentivo l'obbligo per le quotidiane insolenze commesse dal detto La Sale, il quale si è preoccupato di non prestare servizio nel trimestre di sua spettanza senza aver prima risolto la faccenda nel modo che vi ho riferito. Converrete, Monsignore […] che è necessario che questa mia lettera non giunga nelle mani degli amici che costui vanta a corte; spero altresì che riterrete verosimile la mia versione dei fatti, e potrete avere un riscontro quando tra breve riceverete la visita del padre del defunto, il quale, conosciuti gli sviluppi distorti dell'inchiesta, ha manifestato l'intenzione di ricorrere direttamente al re per ottenere da lui il castigo che il detto La Sale indubbiamente merita […]. firmato b/ I disordini della giustizia in Alvernia: il punto di vista delle élites localiHo potuto osservare come nella campagna e nella stessa Clermont si sia diffuso un terrore generale. Tutti i nobili si preparavano a fuggire, e non si trovava un solo gentiluomo che non stesse facendo un esame di coscienza, ritornando con la memoria ad aspetti spiacevoli del passato, o cercasse di riparare a torti compiuti nei confronti dei propri contadini, per prevenire e controllarne le eventuali doglianze […]. Quanti si erano comportati come tiranni dei poveri ora ne divenivano i supplici […]. L'arresto del sire La Mothe de Canillac era la fonte principale delle loro paure. Eravamo appena giunti quando, dopo il 25 settembre, il signor presidente [dei Grands Jours] e il signor Talon decisero di ordinare l'arresto del signor visconte de La Mothe de Canillac, che gode di grande rispetto nella provincia per la qualità della sua nascita, e che nella opinione di ognuno è considerato certo il meno colpevole dei Canillac […]. Un aspetto singolare di questo processo, che senza dubbio può accadere solo in una provincia tanto abituata al delitto come questa, è che l'accusatore, l'uomo che aveva proceduto all'inchiesta, e tutti i testimoni, potevano esser considerati criminali ben più pericolosi dell'accusato stesso. Il primo era stato in passato accusato dal padre di aver fatto uccidere il fratello, di tentato parricidio e di un centinaio di altri crimini; un secondo, testimone, era un noto falsario, già condannato per truffa; mentre il resto della cricca consisteva di personaggi accusati di una varietà di crimini per i quali avevano già fatto la conoscenza delle galere del re, o erano stati banditi da questi luoghi […]. Si poteva osservare come nel corso di tali processi i contadini dimostrassero una grande loquacità, e manifestassero una notevole propensione a dolersi del comportamento dei nobili, in un'occasione in cui non subivano la costrizione della paura. E se qualcuno mancava di rivolgersi loro con rispetto o di salutarli civilmente, poteva poi vedersi citato di fronte al tribunale dei Grands Jours […]. Una dama di campagna si lamentava del fatto che i suoi contadini si erano comprati i guanti, e pensavano di non aver più l'obbligo del lavoro […]. Tanta era dunque la speranza che il popolo nutriva per il tribunale dei Grands Jours, e altrettanta era la paura della nobiltà. |
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