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Strumenti
Silvana Anna Bianchi – Cinzia Crivellari
Un nuovo manuale di storia per il biennio delle scuole superiori
C. Frugoni, Le origini del nostro futuro
Considerazioni sul II volume: Dalla crisi dell’impero romano al XIV secolo
Ed. Zanichelli, Bologna 2003
© 2006 – Silvana Anna Bianchi e Cinzia Crivellari
SCHEDA
Pagine XV + 319, così suddivise:
- Indice pp. III – XIV
- Premessa – Come è fatto questo libro p. XV
- Moduli H – O pp. 1-312
- Repertorio di siti internet per approfondimenti pp. 313-315 (a c. di L. Marisaldi)
- Indici analitici pp. 316-319
Manuale di storia per il biennio della scuola superiore; volume per la classe
seconda (fa seguito al vol. I, curato dalla stessa C. Frugoni e da A. Magnetto)
I contenuti sono ripartiti in sei Moduli, indicati nel manuale con lettere alfabetiche. Ciascun modulo è a sua volta costituito da un numero variabile di Unità Didattiche.
I moduli risultano tematizzati in questo modo:
- La fine del mondo antico e l’inizio del medioevo
- L’Islam e l’Europa carolingia
- Le grandi invasioni e l’Europa feudale
- La rinascita dopo il Mille
- Le crociate in Oriente e Occidente e la vita religiosa nel duecento
- Fra Duecento e Trecento, la ricomposizione politico-territoriale
Struttura del volume:
- Dopo l’Indice generale, la Premessa Come è fatto questo libro contiene note esplicative dell’autrice sulla struttura del testo al fine di favorirne un migliore utilizzo da parte di studenti e docenti.
- Seguono i sei Moduli, H-O (i Moduli erano sette nel I volume, contrassegnati con le lettere A-G), ognuno dei quali si apre con un inquadramento spazio-temporale (carta geografica + linea del tempo) e con l’indicazione delle conoscenze e delle competenze che verranno attivate.
- Le unità didattiche del II volume sono 16. Ognuna si apre con una breve narrazione che sintetizza il contenuto dei singoli paragrafi, in cui è articolata l’unità, e con la lettura di un’immagine ritenuta significativa del periodo trattato. La pagina iniziale è completata da un test d’ingresso (a sinistra della pagina) che indica le conoscenze e le competenze specifiche attivate in quell’unità.
- I paragrafi numerati, da 3 a 5 per ogni unità didattica (59 in tutto nel II volume), contengono in forma narrativa la parte di storia generale vera e propria. Ciascun paragrafo inizia con una parte introduttiva che dà le informazioni essenziali in forma sintetica sui contenuti da studiare, i quali sono sempre organicamente rapportati a immagini selezionate, frapposte alla narrazione storica.
- I paragrafi sono quasi tutti corredati da diversificate rubriche dedicate alle parole, ai luoghi, ai libri, al presente/passato. Alcuni paragrafi contengono delle schede, che costituiscono una parte integrante del testo e si configurano quali proposte di approfondimento, per lo più dedicati alla civiltà materiale o alla storia della quotidianità.
- In chiusura di ogni unità si trova una pagina dedicata a fare il punto, che fornisce schemi, cronologie, mappe concettuali e altri strumenti per facilitare l’apprendimento. A ciò seguono due pagine di esercizi di laboratorio che propongono alcune attività di verifica formativa, seguendo gli obiettivi in termini di conoscenze e di competenze selezionati in apertura.
- Ogni modulo si conclude con una scheda di verifica finale, costituita di quattro esercizi. Alla fine di ogni modulo si trova anche un inserto intitolato Studiare con metodo, che si propone di fornire suggerimenti operativi allo studente, mettendolo a contatto con i principali problemi della storiografia.
FRA NOVITÀ E TRADIZIONE:
IL “RACCONTO” E IL “LABORATORIO”
La mole crescente dei contenuti storici obbliga oggi i docenti a scelte precise, invita a costruire percorsi più agili rispetto a quelli tradizionali, costringe a operare tagli che talvolta sono sentiti come dolorosi. La consapevolezza, da un lato, del problematico rapporto tra gli adolescenti e la storia (nella sua accezione di disciplina scolastica) e, dall’altro, della fondamentale importanza degli aspetti motivazionali e affettivi spinge poi gli stessi docenti a puntare su tematiche coinvolgenti (soprattutto nel rapporto passato-presente) utilizzando strumenti vicini al vissuto giovanile (prime fra tutte le immagini) in funzione delle competenze da acquisire. Ma come ridistribuire i nuclei fondanti della propria programmazione storica, privilegiando un approccio motivante, senza banalizzare? E con quali guide esperte su questo impervio cammino didattico?
Il recente manuale curato da Chiara Frugoni offre un punto di riferimento per la pratica didattica quotidiana e un’occasione di riflessione critica sull’uso dello strumento manualistico e sulla didattica della storia in generale.
La scelta di esaminare più a fondo il secondo volume e di elaborare una serie di riflessioni sulla sua struttura, deriva, da un lato, dal nostro personale interesse di studio, dall’altro dalla consapevolezza della difficoltà degli insegnanti del biennio delle superiori nel selezionare le rilevanze di un periodo storico – quello medievale appunto – da poco inserito in toto nei loro programmi, sul quale non hanno spesso maturato una specifica formazione (molti sono laureati in lettere classiche) e di cui non di rado hanno conoscenza solo attraverso gli stessi manuali adottati per gli studenti.
La nostra attenzione si è concentrata sui percorsi di storia medievale cercando di cogliere nel volume le modalità con cui alcuni nodi storiografici e alcune categorie concettuali caratterizzanti hanno avuto dall’autrice una trasposizione didattica in qualche modo innovativa, che non si risolve nella solita narrazione della storia generale. Il racconto storico, anzi, appare forse la parte più debole e nell’insieme meno valorizzata dell’intera architettura testuale, sia per ciò che riguarda la precisione contenutistica che per quella lessicale, di gran lunga più specifica negli approfondimenti che costituiscono gli apparati di quanto non lo sia nel traliccio narrativo. Le sintesi riassuntive che precedono i singoli paragrafi risultano talvolta generiche – soprattutto per la parte riguardante l’Alto Medioevo – nella presentazione dei temi, o eccessivamente semplificanti nelle affermazioni: un esempio è fornito dal paragrafo sui Longobardi, sbrigativamente definiti come popoli “estremamente primitivi, rozzi e violenti”, senza alcuna considerazione critica che ne attenui o sfumi il giudizio (pag. 65). In altri casi i nessi temporali, che costituiscono l’ossatura della narrazione storica, non vengono esplicitati con la dovuta puntualità, forse anche per non appesantire il testo di eccessive nozioni e dati. Ma, poiché non sempre nel “racconto” è rintracciabile la trama causale degli avvenimenti, l’assenza di successioni temporali esplicite rende difficile una corretta ricostruzione dei vari periodi storici. Sul versante sintattico l’organizzazione del testo è complessivamente semplice, composta da frasi per lo più all’indicativo, circostanza che conferma una scarsa tendenza a cogliere la problematicità, e a dar conto dell’ipoteticità di alcune ricostruzioni di fatti e fenomeni per i quali le fonti risultano ancora lacunose.
Al di fuori del percorso narrativo tradizionale, una specificità del volume è rappresentata dalla rubrica Passato e Presente, di cui va colta e sottolineata la funzione innovativa, in relazione agli attuali bisogni formativi degli studenti e alla necessità di creare continue piste di raccordo tra presente e passato, anche in funzione motivazionale. L’idea quindi ci sembra effettivamente apprezzabile e utile, magari potenziando maggiormente questa opportunità di collegamento non solo in senso meramente linguistico, terminologico e ‘consuetudinario’, ma allargandola a temi e problemi più ampi delle realtà politiche, economiche e sociali del passato nelle loro permanenze/trasformazioni rispetto al presente. Un modello esemplificativo in questo senso potrebbe essere la rubrica del Modulo N (pag. 226), inserita all’interno della scheda L’antisemitismo e il problema dell’usura (entro la quale è presente anche la rubrica Le parole dedicata al termine “ghetto”), nella quale, partendo dalle attività della banca oggi, si risale alle sue funzioni nel passato, sottolineando la differenza tra prestito ed usura e collegando quest’ultima alla formazione dello stereotipo antisemita sui “perfidi” ebrei prestatori di denaro.
Tra le molteplici sezioni, rubriche, corredi e proposte di attività che costituiscono il ricchissimo apparato del manuale, due ci sono sembrati, soprattutto, gli elementi di valore e gli aspetti degni di un’indagine più approfondita: la costante presenza delle immagini e le schede di approfondimento. Nelle pagine che seguono tratteremo dunque separatamente questi due aspetti che ci sono parsi particolarmente significativi, consapevoli che anche altre parti e sezioni del volume meriterebbero più che una semplice menzione.
Nostro obiettivo primario non è quello di ‘presentare’ un nuovo manuale di buona qualità, quanto piuttosto quello di avviare – utilizzando appunto questo testo – una riflessione degli insegnanti (ma non solo, anche dei docenti universitari, che sono spesso gli autori di manuali di successo adottati nella scuola superiore, e anche degli editori, non di rado sordi alle vere esigenze dei veri insegnanti che operano ogni giorno in classe) su alcuni punti-chiave dell’insegnamento della storia e sugli strumenti che rendono possibile e migliore tale insegnamento.
LE IMMAGINI
a cura di Silvana Anna Bianchi
• L’apparato iconografico nei manuali di storia
A mio avviso uno dei punti di forza di questo testo, forse addirittura il punto di forza, è costituito da quantità, qualità e livello interpretativo delle immagini.
Per lungo tempo i manuali italiani sono stati malati di iconofobia, nel senso di un vero e proprio rifiuto di ogni tipo di immagine, e i testi di storia non hanno fatto eccezione a questa tendenza un po’ per inerzia della tradizione, un po’ per problemi di costo, un po’ per il mai spento pregiudizio della superiorità delle parole sulle immagini, circostanza per la quale queste ultime non sono mai state prese davvero sul serio.
Si potrebbe obiettare che nei testi scolastici più recenti è spesso presente un nutrito e coloratissimo apparato iconografico, ma se andiamo al di là di uno sguardo superficiale ci accorgiamo che nella maggior parte dei casi le immagini sono adoperate come semplici illustrazioni inserite con poche righe di commento, quasi a scopo decorativo, cioè in funzione puramente estetica di abbellimento e – perché no – di alleggerimento della pesantezza della pagina. Anche nel caso in cui un loro riferimento sia inserito nel ‘racconto’, tale ripescaggio avviene in genere non tanto per l’immagine in sé, quanto piuttosto sottoforma di prova aggiuntiva, adoperata per sostenere la ricostruzione di fatti o la tesi interpretativa cui l’autore è giunto battendo strade diverse e interrogando altre fonti, di solito scritte. Serve cioè al lettore solo per integrare ciò che già aveva precedentemente appreso dalla parola scritta.
In questa diversità sta la novità principale dell’approccio della Frugoni, nella sua volontà di liberare le immagini dalla tirannia della funzione estetica, nella capacità di sottrarle alla subordinazione incondizionata al ‘racconto’, attribuendo loro il ruolo di guida anziché di esempio a posteriori. È significativo il fatto che ogni unità didattica si apra con un breve testo orientativo e con un’immagine portatrice di senso, capace cioè di rendere con efficace immediatezza il clima o di mettere a fuoco un problema: si veda ad esempio la foto dell’acquedotto di Claudio, sull’Appia Nuova alle porte di Roma (p. 3), resto imponente e grandioso dell’efficienza tecnica e della capacità amministrativa romana, ma nello stesso tempo rudere diroccato e invaso dalla vegetazione, e in ciò simbolo eloquente di quel ‘gigante fragile’ che, come dice il titolo del Modulo H, era diventato l’impero.
• Immagini, motivazione e strategie di apprendimento
Un’operazione di questo tipo rappresenta una dichiarazione di fiducia accordata alle immagini in quanto capaci – integrandosi, è ovvio, con altre tipologie di testimonianze – di favorire vie di accesso ad aspetti della storia che il solo testo scritto faticherebbe a raggiungere, fornendo così un’informazione complessivamente più articolata, sfumata e tematicamente ricca. Rappresenta però anche una inusuale attestazione di fiducia verso i ragazzi e i loro modi di apprendimento.
Con insistenza gli studiosi ci ricordano che i giovani oggi vivono in un ‘presente addensato’, caratterizzato da una dimensione spiccatamente individuale centrata sull’oggi. L’affermazione totalizzante del presente ha nella televisione e nel computer due strumenti-chiave. I ragazzi abitano un mondo saturo di immagini e il loro stile di consumo culturale e di divertimento si caratterizza, nei confronti di quello adulto, per una fruizione prevalente di linguaggi visivi e sonori rispetto a quelli scritti. Tutte le più recenti indagini concordano nell’indicare CD rom e videogiochi come i media connotati in senso più tipicamente adolescenziale, spesso accompagnati a livelli assai elevati di esposizione televisiva.
Che senso ha, allora, proporre anche a scuola altre immagini a giovani che già ne sono drogati? Non rischia di diventare un’azione-boomerang col pericolo di andare ad aumentare il tasso di inquinamento visivo a chi invece avrebbe bisogno di disintossicarsi?
Credo che l’immagine serva innanzitutto a creare il contatto. Se uno dei maggiori problemi didattici è quello della disaffezione dei giovani nei confronti della storia (disciplina nemmeno ‘detestata’, come accade ad esempio alla matematica, ma pericolosamente annullata nell’indifferenza sotto l’etichetta dell’inutilità), le testimonianze visive possono aiutare a superare questa porta chiusa, configurandosi come chiavi d’accesso alla conoscenza del passato. Johan Huizinga nella sua autobiografia ricordava come la sua passione per il medioevo fosse nata dal fatto che egli, ancora bambino, visualizzava quel periodo come un’epoca piena di cavalieri dagli elmi piumati: la forza dell’immagine rappresenta un formidabile aiuto per sintonizzarsi emotivamente su lunghezze d’onda diverse da quelle abituali del nostro presente. Una fortezza massiccia e chiusa come il mastio di Houdan presso Parigi (p. 119) o un mulino fortificato come quello di Barbaste a Lot-en-Garonne (p. 300) rendono appieno l’idea del bisogno di sicurezza e, contemporaneamente, trasmettono il senso della minaccia di attacchi nemici. Allo stesso modo gli affreschi sul ‘trionfo della morte’ (pp. 299, 302, 303), le miniature che rappresentano l’affannosa sepoltura delle moltissime vittime della peste (p. 301), i monumenti funebri in cui il defunto è mostrato come scheletro o orribile cadavere putrefatto (p. 302) sono immagini che, oggi come al tempo della loro esecuzione, col loro impatto violento creano partecipazione emotiva e rendono drammaticamente visibile (e più facilmente memorizzabile) l’orrore e la forza devastante degli effetti delle terribili epidemie trecentesche, ma anche i vistosi squilibri sociali cui solo la morte vendicatrice si riteneva capace di rendere giustizia.
• L’immagine ingannevole: educare a “vedere” per “capire”
Le immagini suscitano emozioni, ma anche trasmettono messaggi. Proprio qui sta però l’equivoco. Mentre di fronte ad un testo scritto siamo coscienti che per affrontarne la lettura dobbiamo saper leggere, conoscere la lingua e talvolta la diversa scrittura, e che senza queste abilità non approderemo a nulla, di fronte a un’immagine ci creiamo meno problemi, pensiamo di ‘capire’, di aver accesso immediato all’informazione. Il libro della Frugoni esorta a resistere a questa tentazione, alla deferenza acritica con cui ci avviciniamo alle immagini, considerandole veritiere e di facile comprensione. Ci ricorda pagina dopo pagina, attraverso centinaia di esempi, che se vogliamo che non rimangano semplici tracce del passato, ma diventino per noi effettive fonti di informazione, dobbiamo saperle decodificare, il che significa che dobbiamo possedere gli strumenti di lettura adeguati.
In molti casi l’immagine è ingannevole, e anche quella apparentemente realistica lo è assai meno di quanto non voglia mostrare, rischia di creare effetti di distorsione. Prendiamo come esempio i significati convenzionali di alcuni gesti. La posa di san Giuseppe, che in numerose rappresentazioni medievali della Natività volta le spalle a Gesù (cfr. a p. 75 l’affresco di Giotto nella cappella padovana degli Scrovegni), non significa estraneità né indifferenza, come a prima vista potremmo pensare, è solo il modo convenzionalmente adoperato per indicare il disconoscimento di paternità e quindi per sottolineare il concepimento divino di Cristo. Quando invece vediamo la raffigurazione di un personaggio antico con indice e medio della mano tesi, non dobbiamo pensare all’anacronistico gesto di chi impartisce una benedizione. In età romana il significato convenzionale della mano puntata era “sta parlando, sta dando ordini” (cfr. la figura di Onorio sul piatto d’argento a p. 43), solo quando poi nel medioevo quell’antico significato andò perdendosi, si sentì il bisogno di trovare il modo di renderlo più chiaro: Cristo allora fu rappresentato con il gesto della parola ma anche con un libro aperto (cfr. il mosaico di Cimabue nel duomo di Pisa a p. 49), stava cioè dicendo le parole indicate nel testo, che erano parole di benedizione, per questo da allora il gesto è stato assimilato alla benedizione.
Oggi come ieri le immagini non sono il prodotto di mani e occhi ingenui, veicolano messaggi, ma anche tendono tranelli, e lo fanno tanto più quando sono estranee alla nostra esperienze, risentendo di convenzioni interpretative vigenti in una cultura diversa dalla nostra e a noi sconosciute.
In questa consapevolezza sta il senso del proporre anche nei libri di scuola – e di storia – immagini per i giovani. Non certo per accrescere il loro già abbondante serbatoio iconografico, ma per renderli avvertiti che guardare un’immagine non significa capirla, che ci sono figure, convenzioni, formule, stili, stereotipi, mediazioni di tipo allegorico e simbolico che filtrano le informazioni e mandano precisi messaggi solo a patto che noi siamo capaci di intenderli.
• Il passato “dentro” il nostro presente
Le immagini possono contribuire in modo potente alla conoscenza di un passato che ha senso non solo perché è stato, ma anche perché è ancora. I ragazzi di oggi vivono in quotidiano contatto con oggetti e spazi creati dalle generazioni precedenti, in particolare abitano un territorio quale è quello italiano che, dal punto di vista urbanistico e architettonico, si presenta fortemente marcato dai segni dell’età medievale. Da tale consapevolezza deriva l’uso generoso che la Frugoni fa di fotografie commentate che valorizzano i giacimenti culturali (urbanistico-architettonici in primis) come testimonianze materiali del passato che è fra noi. È anche questo un modo per far percepire come il passato non sia solo e unicamente “prima”, ma sia spesso “dentro” il nostro presente e la nostra vita. Proprio alcuni luoghi di oggi, che mediante le loro architetture ‘mostrano’ elementi-chiave del passato, diventano le fonti da cui partire per un viaggio a ritroso: ecco allora la piazza di Todi (p. 267) con il Palazzo del Capitano, il Palazzo del Popolo e il Palazzo dei priori per riassumere i diversi poteri dell’età comunale, oppure il villaggio fortificato di Vigoleno (in provincia di Piacenza, a p. 128) per iniziare a parlare in modo storicamente corretto del ‘castello’ e delle sue funzioni.
In parallelo con le foto di spazi e ambienti attuali, il manuale punta sulle ricostruzioni visive (di diversa tipologia) dei luoghi: il plastico del palazzo di Diocleziano avvicinato a una foto aerea di Spalato rende immediatamente l’idea della grandezza, oltre che del carattere militare dell’opera e fa riconoscere nel perimetro territoriale di oggi la pianta originaria, chiarendo più di tanti discorsi la derivazione Spalatum da palatium e la connessione passato-presente. Efficaci si rivelano i disegni ricostruttivi – e talvolta si tratta di ricostruzioni ‘d’autore’ come il castello disegnato dal francese Viollet-le-Duc (a p. 129, spunto interessante per aprire un approfondimento sulla moda del medioevo nell’Ottocento) – per ‘abitare mentalmente’ i luoghi della storia, da quelli più esclusivi a quelli più comuni, da quelli dei laici a quelli dei religiosi, a occidente come a oriente, siano essi la residenza imperiale di Costantinopoli (p. 37), una casa-torre (p. 119), o l’abbazia di San Gallo (p. 155).
La fitta trama di corrispondenze che legano passato e presente emerge talvolta anche dal raffronto tra opere artistiche. In Guernica (1937) Pablo Picasso ha rappresentato gli orrori derivanti dal primo bombardamento aereo a tappeto, effettuato appunto sulla città spagnola; nel farlo egli si è ispirato ad una miniatura del Commentario dell’Apocalisse di Beato di Liebana realizzata a metà dell’XI secolo. Di fronte agli orrori della catastrofe l’artista del ‘900 utilizza richiami passati, ugualmente violenti: si tratta di una scelta intenzionale, che fa perno sulla memoria, ma che per risultare appieno efficace richiede all’osservatore/lettore la comprensione della citazione e quindi la consapevolezza del significato del rinvio. Rendendo espliciti tali richiami (a p. 191), la Frugoni realizza una forma di intertestualità storico-artistica attraverso le immagini analoga a quella sulla quale spesso gli insegnanti insistono nelle lezioni di letteratura per fondare e arricchire l’interpretazione di un testo (pensiamo, ad esempio, all’importanza dei richiami alla tradizione poetica classica nelle opere di Ugo Foscolo), un’operazione invece marginalizzata – se non proprio ignorata – nella costruzione della conoscenza storica a scuola, dove – al contrario - potrebbe diventare uno dei modi per rendere scoperto il tema della memoria e sottolineare continuità o fratture tra esperienze di uomini di diverse epoche.
Se il manuale sollecita tali operazioni, il lavoro dell’insegnante risulta semplificato, l’apprendimento dello studente ne viene arricchito, e ciò vale evidentemente per quei contesti (in primo luogo i licei o talune sperimentazioni nel settore dell’istruzione tecnica) nei quali storia dell’arte è disciplina curricolare, ma vale anche – e, credo, in misura maggiore – per gli studenti di quegli ordini di scuola in cui tale disciplina non è oggetto di studio e che quindi rischierebbero di rimanere esclusi per sempre da queste conoscenze e di non imparare mai ad esercitare questo tipo di competenze.
• Le immagini e le parole: lavorare in sinergia
La creatività progettuale – l’insegnante creativo, nel senso di capace di innovare, sganciandosi dalla tirannia di un ‘programma’ stancamente fotocopiato di anno in anno, è anche un insegnante più sereno perché più libero – si può esplicare riannodando legami tra immagini e pagine di storiografia o letteratura. Una apposita sezione di testo è di tanto in tanto dedicata a I libri (sezione che forse poteva essere ampliata, andando a costituire un piccolo archivio di schede per approfondimenti e agganci interdisciplinari): vi troviamo riferimenti a opere di saggistica e di narrativa. Un esempio di quanto possa risultare affascinante un percorso intrecciato in questo modo è dato dal raffronto tra il sogno di Adso, raccontato da Umberto Eco nel romanzo Il nome della rosa, e i mosaici di S. Vitale a Ravenna: il richiamo è palese e il testo scritto ‘narra’ in forma discorsiva la scena che i mosaici della parete nord e sud del coro ci presentano attraverso le tessere policrome, come l’impaginazione speculare dei due ‘documenti’ (alle pp. 62-63) evidenzia. Ecco un percorso di interdisciplinarietà vera, facilitata nella realizzazione didattica laddove (come accade spesso nel biennio iniziale delle superiori) lo stesso insegnante è contemporaneamente docente di italiano e di storia.
L’immagine comunica più velocemente e più chiaramente, cogliendo alcuni aspetti (pensiamo alla cultura materiale) che spesso proprio nel reperto o nella pagina letteraria trovano conferma, come accade ad esempio per i riti della tavola, o per la storia dell’abbigliamento. Soffermiamoci su questo secondo aspetto: il confronto di opere di età diverse permette infatti di evidenziare nuove mode che, a loro volta, sono spie di cambi di mentalità. Se consideriamo che proprio nel corso del Trecento si realizzò quella ‘rivoluzione’ che non solo portò gli abiti maschili a differenziarsi nettamente da quelli femminili, ma anche che mise per la prima volta in netto risalto le forme del corpo, capiamo subito come ciò sia facilmente visualizzabile mediante un confronto di immagini. È ciò che la Frugoni propone a p. 298, sottoponendo all’osservatore gli uomini e le donne infagottati in abiti assai simili quali appaiono in una tavola di Simone Martini degli inizi del XIV secolo e la coppia abbracciata ritratta dall’Anonimo di Danzica a fine XV secolo dove i vestiti sono chiaramente diversi, oltre che assai aderenti. Fa da gustoso contorno, e da ulteriore indizio della lentezza del cambio di mentalità (stavolta in una fonte scritta), la citazione dello scandalizzato Boccaccio di fronte alla constatazione che al suo tempo i giovani con disinvoltura “portano i panni si corti, e specialmente al cospetto delle donne, che qualunque fosse quella che alla barba non se ne avvedesse, guardandogli alle parti inferiori, può assai agevolmente conoscere che egli è maschio”.
Sempre sul versante del rapporto parole/immagini, va dato merito all’autrice di saper catturare l’attenzione del lettore attraverso didascalie efficaci, capaci di ‘drammatizzare’ le scene descritte, come avviene ad es. in questo racconto di una miniatura che ritrae un incendio a Berna “I cittadini hanno cercato di mettere al riparo le cose più preziose, ammassate alla meno peggio in qualche cassa fuori dalle mura. Dal vicino fiumicello attingono l’acqua che a secchiate rovesciano sull’incendio. Le fiamme sono molto alte, i secchi molto piccoli e i soccorsi disordinati, per cui gli uomini si intralciano a vicenda. Il miniatore ha saputo ben rappresentare l’impotenza di fronte al divampare del fuoco, la concitazione, lo spavento, rimasti invariati lungo tutto il medioevo” (p. 136).
È esemplare del procedere intersecato di testo e immagini il fatto che le immagini abbiano una spiegazione a parole (come già abbiamo detto), ma anche che le parole abbiano una spiegazione mediante immagini, importante soprattutto laddove si tratti di termini relativi a situazioni oppure oggetti lontani dalla nostra esperienza, come accade ad esempio per il carroccio (p. 264). L’aggiornamento dell’apparato concettuale e del vocabolario produce un ampliamento del lessico e, insieme, la formazione di immagini mentali corrette.
L’analisi dei significati si accompagna spesso all’uso e alla definizione di termini tecnici (talvolta con attenzione all’esatta pronuncia, onde evitare di imparare forme storpiate, vedi ad es. per l’art cloisonné p. 42). Mi pare importante notare, a questo proposito, come tale spiegazione - realizzata anche utilizzando apposite sezioni intitolate Le parole - non rappresenti un piccolo glossario giustapposto, come sovente accade nei manuali della scuola superiore, ma una vera integrazione di parole nuove, che poi – una volta acquisite - vengono utilizzate con naturalezza e pertinenza, senza bisogno di ulteriori osservazioni (cfr. ad es. per la parola ‘nimbo’, la nuvola luminosa intorno a figure divinizzate spesso impropriamente resa con ‘aureola’, p. 39 per la spiegazione/definizione, e p. 204 per un suo uso, non più commentato, in didascalia). L’acquisizione progressiva di termini modellati sul più corretto e aggiornato lessico specialistico resta un obiettivo primario nella scuola.
• Conservazione e selezione della memoria
Sappiamo che per lungo tempo anche gli storici si sono dimostrati restii a far uso di immagini, lasciando lo studio delle testimonianze artistiche-archeologiche ad antiquari e intenditori; oggi però nessuno studioso sarebbe più disposto a sostenere la tesi dell’esclusività o anche solo della primazia della documentazione scritta. Le immagini nel libro della Frugoni, come appare evidente da quanto detto finora, non sono poste accanto ai documenti, ma sono esse stesse documenti. Lo rivela con tutta evidenza ‘Il documento’ di p. 259, che altro non è che un particolare dell’affresco Il buon governo di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo Pubblico di Siena, smontato e utilizzato per spiegare cosa significasse il Comune nel medioevo da un punto di vista ideologico.
Un approccio filologico serio quale è quello proposto in questo libro rappresenta una modalità didattica che attenua la frattura fra storia esperta e storia insegnata. Lo fa insegnando a vedere cosa dicono le immagini, ma anche portando allo scoperto ciò che tacciono, ciò che talvolta rivelano loro malgrado, se le si sa opportunamente interrogare.
Non di rado infatti anche le immagini sono state considerate così importanti da venire deliberatamente alterate, al pari di quanto accadeva per i documenti scritti. Sono conosciuti i molteplici procedimenti utilizzati per annullare gli avversari, come avviene nel famosissimo dipinto a tempera (p. 24) che ritrae Settimio Severo con la moglie Giulia Domna e il figlio Caracalla, mentre l’altro figlio Geta ha il viso totalmente cancellato: il fratello Caracalla, dopo averlo fatto uccidere, ordinò infatti che ogni sua immagine venisse eliminata.
Probabilmente meno noto è invece il fatto che l’ostrogoto Teodorico si era fatto rappresentare come un imperatore bizantino nel mosaico oggi conservato in frammento nella chiesa di S. Apollinare nuovo a Ravenna (pp. 60-61): sopra la sua testa noi leggiamo infatti Iustinianus e non l’originale Theodoricus perché il nome del re goto venne cancellato e sostituito dopo la sua morte quando la chiesa da ariana divenne cattolica e i mosaici furono sottoposti a diversi cambiamenti, alcuni dei quali interessarono proprio il re ‘barabaro’ che aveva osato proporsi come duplicato dell’imperatore e che per questo, appena dopo la morte, fu sostituito con il ‘regolare’ Giustiniano.
La scomparsa o la sopravvivenza delle immagini, come di qualsiasi altro documento, è il risultato di un processo storico non lineare e potenzialmente ingannevole, con il quale bisogna fare i conti per capire al meglio il mondo in cui viviamo. Ce lo ricorda spesso la Frugoni, anche in passaggi lievi, ma altamente significativi, come quando, presentando (a p. 38) la famosissima statua equestre di Marco Aurelio che oggi troneggia sulla piazza del Campidoglio a Roma, spiega che si è salvata ed è potuta giungere fino a noi – diversamente da altre analoghe – solo perché nel medioevo si pensava che raffigurasse il cristiano Costantino.
I riferimenti al cristianesimo sono evidentemente – e non poteva essere altrimenti – abbondanti (pensiamo al ruolo cruciale che ebbe la dimensione religiosa e a quanto essa rappresenti un elemento imprescindibile di approccio e di conoscenza della società medievale); altrettanto copiosi – e spesso intrecciati a quelli religiosi (dato che nel medioevo occidentale re e imperatori si appropriarono dell’apparato simbolico del potere ecclesiastico) – sono i riferimenti al potere.
Confesso l’imbarazzo nel dover isolare, fra tanta messe, un solo esempio in tal senso. Scelgo il tema classico del sovrano a cavallo, che richiama l’arte imperiale romana, marca la dignità di cavaliere e guerriero del capo, e rende concretamente visibile l’analogia fra il governare e lo stare in sella. Lo seleziono perché nel presentare la statuetta bronzea del IX secolo conservata al Louvre, tradizionalmente associata a Carlo Magno (p. 97), la Frugoni segnala tra l’altro che è alta solo 22 cm. Potrebbe sembrare una futilità; credo invece che nel fare ciò l’autrice si proponga di guidare insegnanti e allievi a rappresentarsi l’oggetto in questione e, nel caso citato, ciò serve a riflettere sul fatto che questi diffusi oggetti di oreficeria rappresentavano offerte votive donate dai re a luoghi di culto come ‘sostituti’ della propria persona fisica. Da qui derivava la necessità di identificarli sia attraverso riferimenti personali (ad esempio i baffi) sia mediante richiami simbolici al ruolo (ecco allora la corona in testa o il globo in mano). Proprio la scelta di indicare in didascalia le dimensioni (ma perché allora non farlo sempre?) mi pare azzeccatissima dal punto di vista della mediazione didattica. Il ragazzo non riuscirebbe a cogliere la differenza tra opere come l’appena citato Carlomagno e, ad esempio, il Bonifacio VIII di circa tre metri d’altezza di Manno Bandini da Siena (nel Trecento collocato sulla facciata del Palazzo pubblico di Bologna, qui riprodotto a p. 294) e quindi a capire i diversi messaggi che le due immagini si proponevano di veicolare ai contemporanei.
• L’immagine come accumulatore di senso
Quando sono selezionate con avvedutezza ed indagate con precisione, le immagini diventano degli accumulatori di senso. L’analisi del capitello del XII secolo della chiesa di San Nettario a Puy de Dome, affiancata a quella della lunetta della chiesa di San Ursino a Bourges (p. 146), mostra con plastica evidenza i ‘tre ordini’ della società medievale e i loro rapporti di potere: il contadino (che rappresenta i laboratores) è tenuto per i capelli da un guerriero armato e chiuso nella sua corazza (come sempre sono i bellatores) e si afferra saldamente alla colonna di una chiesa (ove stanno gli oratores). In un condensato altamente drammatico, la Frugoni ci fa trovare – e ricordare – la violenza come motivo costante, la necessità di difesa dei contadini contro innumerevoli soprusi, ma anche la consuetudine del diritto di asilo garantito a chiunque si rifugiasse entro un edificio sacro. Una volta capite e fatte proprie, immagini di questo tipo entrano in quel complesso sistema reticolare che costituisce la memoria dello studente e contribuiscono a richiamare e riportare in vita informazioni e concetti. Grande è il loro potere evocativo e utilissimo il loro contributo per costruire immagini mentali, cioè idee: non dimentichiamo che in greco idea rimanda al verbo vedere-guardare.
Nuovo appare dunque il modo in cui lo studente, in questo manuale, è condotto a considerare l’immagine nel testo e i suoi messaggi. Per questo il libro della Frugoni allarga l’orizzonte di aspettative di alunni e insegnanti, diventa terreno d’incontro fra discipline differenti, fa dialogare la storia con la storia dell’arte (ma un discorso analogo si potrebbe fare anche per la letteratura o la geografia); fa vedere – e mai verbo fu più appropriato – come si possa ricostruire il passato studiando le immagini che quel passato ha voluto o potuto lasciarci di sé. Ne esce un medioevo con molte sfumature, a più dimensioni, consegnato a insegnanti aperti a confrontarsi con nuove opportunità, e disponibili a mettere in discussione le modalità più consuete di una mediazione didattica attuata prevalentemente attraverso la trasmissione discorsiva delle conoscenze. Difficile? Forse sì, ma solo un po’ se si tiene conto che l’apparato iconografico è ampiamente corredato da indicazioni esplicative e che una delle schede Studiare con metodo (pp. 75-76), dedicata proprio a “Leggere le immagini”, stimola percorsi di riflessione sulle convenzioni figurative, i messaggi politici e la falsificazione.
In chiusura, vorrei dedicare un riferimento alla copertina del volume: un testo-laboratorio come questo, per buona parte progettato intorno alle immagini, non poteva non ricercare nell’immagine di apertura – una miniatura delle “Chroniques de Hainaut” di Giacomo di Guisa, poi analizzata a p. 203, nell’unità didattica significativamente intitolata Una società in movimento) – un concentrato di senso. La costruzione della strada di Bavai-Turnai sintetizza al meglio l’idea di medioevo come età di demolizione e fabbricazione, un periodo dinamico e sperimentatore di contro all’immagine diffusa nel senso comune dei ‘secoli bui’ di stagnazione e regresso. La strada è lo spazio lungo il quale la Frugoni cammina con gli adolescenti di oggi e li guida a riconoscere e interpretare – come infatti dichiara nel titolo – le origini del loro (e nostro) futuro.
LE SCHEDE
a cura di Cinzia Crivellari
• Un libro-laboratorio
Il manuale di Chiara Frugoni si presenta senz’altro come un libro-laboratorio poiché, nella ricchezza dei percorsi e degli apparati didattici che lo caratterizzano, l’insegnante può trovare molteplici strumenti per approntare una metodologia operativa, in grado di far acquisire agli studenti il senso del “lavoro” sulla e con la storia.
Non sono solo le immagini e i documenti (presenti questi in gran numero in una rubrica specifica) a stimolare un lavoro di ricerca e un itinerario di scoperta, ma anche, e in modo efficace, le Schede, che, come afferma l’autrice nella Premessa, “costituiscono, nell’affresco generale, le pennellate che danno più da vicino il senso dei particolari e della civiltà materiale nelle diverse epoche”. Le Schede costituiscono quindi degli approfondimenti che, partendo dalla storia generale, realizzano dei percorsi complementari e alternativi alla strada maestra della storia politico-economica, offrendo opportunità spesso ignote o inesplorate allo studente/lettore. In questo modo il passato si potenzia, acquista maggiore spessore e profondità, arricchendosi di ambienti e dimensioni nuovi e colorandosi di quei particolari “quotidiani” e umili, che stimolano spesso più delle grandi imprese e personaggi, la curiosità di saperne di più da parte dei lettori.
• La vita quotidiana
Il primo ed indubbio vantaggio di queste schede è di sviluppare la motivazione dello studente, poiché lo avvicinano ad una storia “altra”, fatta di luoghi, spazi e soggetti diversi rispetto alla “solita” storia codificata dalla tradizione scolastica.
Il lettore sembra invitato ad “entrare” nei fatti, nei fenomeni, negli ambienti analizzati, e molte volte anche ricostruiti, nella scheda per cogliere quelle informazioni sulle abitudini di vita del passato che spesso costituiscono ancor oggi elementi e pratiche essenziali della nostra quotidianità. È il caso, ad esempio, delle numerose schede che ricostruiscono le abitudini di vita, i costumi familiari, le credenze religiose delle diverse categorie sociali, nonché il livello tecnico e tecnologico della cultura medievale. Un approfondimento significativo in questo senso mi pare quello rappresentato dalla scheda Come si nutrono i potenti, i deboli, i monaci (p. 166, Modulo L, inserita nel paragrafo L’età degli Ottoni), in cui vengono fornite notizie generali sulla dieta dei potenti, dei nobili e dei guerrieri, grandi consumatori di carne, in contrapposizione alla dieta dei contadini e dei servi, costretti per necessità a consumare verdure e legumi, a differenza dei monaci che diventavano vegetariani per scelta e in segno di umiliazione e di purezza.
Un’altra “finestra” interessante sulla quotidianità viene fornita dalla scheda La vita nel castello, nella quale la ricostruzione delle abitudini di vita vengono opportunamente inserite nel contesto della storia generale riguardante il fenomeno dell’incastellamento (p. 134, Modulo L, inserita nell’unità La crisi dell’impero carolingio e nuove invasioni). La scheda contiene numerose foto che riproducono dipinti ed immagini che si richiamano al tema e si articola in quattro sezioni, corrispondenti a differenti aspetti, momenti e soggetti della vita castellana.
Nella prima parte si ricostruisce il modo di vivere dei cavalieri, che passavano gran parte del loro tempo al di fuori del castello, all’aria aperta, impegnati costantemente in tornei, assalti e battute di caccia. Quando però il clima li costringeva ad una vita sedentaria, essi amavano ascoltare i racconti delle imprese dei paladini (termine che viene spiegato a fondo pagina nella rubrica Le parole), narrati dai cantastorie, di cui si dice, con un’espressione assai efficace, che “la loro biblioteca era la memoria”. Successivamente si distingue tra il termine castello, inteso come insieme di mura fortificate attorno al villaggio, dall’edificio singolo in pietra fortificato, in cui abitava il signore. Questa prima parte si conclude con un flash sulle abitudini conviviali dei castellani, che abitualmente consumavano durante i pasti le abbondanti prede delle battute di caccia, senza usare né posate, né piatti e perciò erano costretti a lavarsi spesso le mani, utilizzando acquamanili dalle molteplici fogge, di cui viene riportato a lato un esempio a forma di cavaliere, proveniente dal museo di Cluny a Parigi. Anche in questo caso, come in quasi tutte le parti del libro, l’immagine viene selezionata per completare il contenuto del testo, con cui costituisce perciò un blocco unitario, offrendo una significativa e tangibile testimonianza delle notizie fornite.
La scheda in questione prosegue poi nella seconda parte affrontando un altro insidioso e diffuso problema della vita quotidiana medievale: quello del freddo, reso particolarmente acuto dall’assenza di vetri anche nelle ricche case private fino al XIV secolo. Viene inoltre ricordato come, proprio per far fronte al rigido clima invernale, una delle tante invenzioni del medioevo sia il camino, costruito già nel XIII secolo, ma più frequentemente presente durante il ‘300 nelle dimore più ricche. Prima di passare ad analizzare le abitudini igieniche, vengono fatti brevi cenni sulle caratteristiche dei mobili del tempo, tra cui rivestiva particolare importanza il letto, assai largo, in cui si dormiva in tanti (come è evidenziato dal particolare del dipinto La leggenda di San Nicola di Gentile da Fabriano, riportato a fondo pagina) e abitualmente senza vestiti, da cui ci si separava prima di dormire, nella speranza di separarsi anche dai molteplici parassiti che vi albergavano.
Nell’ultima parte di questa ricca scheda si mettono in evidenza le diverse abitudini quotidiane dei due sessi, sottolineando il fatto che, se l’uomo viveva abitualmente fuori, le donne passavano gran parte del loro tempo in casa, per lo più impegnate nei tradizionali lavori “femminili”, ma spesso “corteggiate” dai giovani cadetti di famiglie nobili, che vivevano presso il signore, in attesa di una promozione sociale. Le considerazioni sulla genesi e sulla funzione “civilizzatrice” dell’amor cortese vogliono indurre a far riflettere sul fatto che “anche i sentimenti hanno una storia”, proponendo collegamenti più plausibili e verosimili tra le consuetudini di vita del passato e i modelli letterari tradizionalmente acquisiti a scuola.
• La cultura materiale
Molteplici ed interessanti opportunità di accesso alla conoscenza della vita medievale sono offerte dalle numerose schede che approfondiscono aspetti fondamentali della cultura materiale, quali ad esempio quelli riguardanti le tecniche di sfruttamento del suolo, di costruzione degli edifici, di navigazione e di commercio, di contabilità e di credito e di conduzione della guerra.
Questi temi vengono analizzati anche in rapporto al presente, sottolineando le molteplici trasformazioni subite da una particolare consuetudine tecnologica oppure evidenziandone la definitiva sparizione. Mi paiono significativi gli esempi che riguardano le schede Boschi e foreste e Il Medioevo è il mondo del legno (pp. 108 e 110, Modulo I, unità 12, inserite nel paragrafo Il paesaggio e l’economia nell’Europa carolingia).
Nella prima vengono esaminati le molteplici modalità di utilizzo delle aree boschive, che venivano sfruttate dai contadini per arricchire la loro dieta estremamente povera e dai nobili per organizzare battute di caccia ad animali di grossa taglia.
La scheda successiva affronta il problema connesso della salvaguardia di boschi e foreste, sentito già profondamente da Carlo Magno il quale ordinava ai suoi sovrintendenti di fare in modo che le risorse boschive venissero ben custodite, evitando che i disboscamenti per gli arativi fossero troppo estesi e che gli alberi venissero tagliati o danneggiati. Da ciò si prende spunto per elencare i molteplici usi del legno nel medioevo, tra cui quello, approfondito nella rubrica Passato e Presente inserita a fondo pagina, di far carbone attraverso le tecniche di costruzione della carbonaia.
Un’altra scheda di argomento “tecnico” è quella sul Fuoco greco (p. 230, Modulo N, dell’unità Le guerre per i luoghi santi e per i commerci) nella quale si danno informazioni su questa micidiale miscela esplosiva, di cui i musulmani erano riusciti a rubare il segreto ai bizantini, che l’avevano inventata nella seconda metà del VII secolo e di cui non si conoscono ancora esattamente i componenti.
• Altri approfondimenti tematici
Come già accennato, tutte le 34 schede sono parte integrante del testo: esse sviluppano a vari livelli argomenti di storia generale, approfondendo differenti aspetti, questioni e particolarità del tema principale trattato in quella unità.
Negli inserimenti prescelti si evidenziano anche nettamente delle relazioni tra il sottotema trattato nel paragrafo e la scheda, tra la scheda e le altre rubriche presenti in quell’unità (i documenti, i luoghi, le parole) e tra le schede di uno stesso paragrafo.
Esemplare in questo senso mi sembra il paragrafo 3 (a p. 147) dell’unità Clero e fedeli, intitolato Monaci e ordini monastici, in cui gli argomenti delle schede rimandano chiaramente alle questioni affrontate nel testo e nel contempo si ricollegano tutte tra loro.
La prima, Misurare le ore, affronta il problema della misurazione del tempo nel medioevo, quando non tutte le ore erano uguali: era il tempo del “press’a poco”, in cui le ore erano più lunghe d’estate e più brevi d’inverno, ma quotidianamente scandite dai rintocchi delle campane, che segnalavano i diversi momenti della giornata attraverso i servizi religiosi. Nel mondo medievale il tempo era quindi essenzialmente religioso: era il tempo della chiesa, poiché ogni avvenimento della giornata era legato al pensiero di Dio, così come l’anno era scandito dalle feste religiose legate alla vita di Gesù e dei santi.
La seconda scheda del paragrafo, La confezione di un manoscritto, affronta un altro aspetto collegato alle attività religiose, quelle dei monaci che sviluppano nel corso dei secoli medievali molteplici tecniche di scrittura e di produzione dei testi. La scheda dà conto in modo sintetico, ma chiaro, delle varie fasi di lavorazione della pergamena, degli strumenti e delle tecniche di scrittura e di rilegatura, evidenziando le più elevate competenze del monaco che miniava il manoscritto. All’interno della scheda sono presenti diverse immagini del lavoro dei copisti, che risultava, come si vede anche dai documenti iconografici scelti, assai faticoso ed impegnativo.
Il terzo approfondimento di argomento “monastico”, La giornata del monaco, riguarda i servizi liturgici, riassunti in uno schema rappresentante la giornata-tipo del monaco, diversa tra estate e inverno.
L’ultima scheda tematica, Un’abbazia e la sua organizzazione, è la più ampia e dettagliata, poiché segue il disegno, inserito nella pagina, che riproduce un progetto eseguito nel IX secolo per la ricostruzione della grande abbazia benedettina di San Gallo, descrivendo minuziosamente la complessa articolazione dell’edificio. Il disegno funziona da percorso virtuale attraverso i locali dei vari edifici che costituivano il complesso abbaziale, invitando il lettore a seguire le molteplici attività e funzioni che caratterizzavano la vita dei monaci.
Questa rete di collegamenti e di relazioni con le altre sezioni del manuale in cui sono inserite Le schede offre, come si è visto, una scelta molteplice e differenziata di risorse, itinerari, materiali ed attività, che risulta nello stesso tempo organica e costruita con un solido impianto unitario di matrice ipertestuale. L’elemento di unitarietà è infatti costituito dalle immagini, vero e proprio leit-motiv di entrambi i volumi del manuale, presenti in tutte le schede e sulle quali spesso il testo espositivo o narrativo è costruito e senza le quali risulterebbe perciò frammentario e parzialmente significativo.
Esempi significativi di tale organicità strutturale sono le due ultime schede (pp. 302-303, Modulo O, del paragrafo Il trecento tra crisi e trasformazioni), dedicate rispettivamente a La nuova immagine della morte e a I santi della peste, in cui le rappresentazioni iconografiche proposte indicano chiaramente il passaggio tra la composta rappresentazione dei defunti, presente per molto tempo nel medioevo fino al XIV secolo (l’immagine esemplificativa presenta la composta figura del cavaliere Du Guesclin nel suo monumento funebre), e le immagini successive nelle quali la morte è rappresentata in tutto il suo orrore (come testimonia il monumento funebre di Guille Lefranchois, canonico di Arras, scelto come esempio significativo).
Tenuto conto del fatto che la civiltà medievale si è caratterizzata innanzi tutto come civiltà dell’immagine, attraverso la quale ha trovato la sua più valida espressione comunicativa, la scheda dell’unità L2 L’insegnamento delle pitture (p. 144), si pone come valido ausilio allo studente per decifrare quel mondo spesso criptico e segreto che si nasconde dietro la costruzione di certi stilemi iconografici. Sulla decifrazione delle immagini l’autrice ritorna, sottolineando direttamente il collegamento con questa scheda, nella rubrica Studiare con metodo (le rubriche sono collocate alla fine di ogni modulo) in cui tratta il problema della lettura delle immagini e dell’uso dell’iconografia come fonte storica.
• Un esempio di critica delle fonti
Un’altra utile opportunità offerta dalle Schede riguarda la critica alla convenzionalità della trasmissione delle notizie storiche, che dà luogo quasi sempre a pericolose e insidiose falsificazioni: codificazioni stereotipate che si sono sedimentate numerose nella storia scolastica e che risultano assai difficili da eliminare.
L’esempio è offerto dalla “storia” del famoso Flavio Gioia, da molte generazioni di studenti considerato “l’inventore” della bussola (così per molti anni ci hanno insegnato a scuola…), di cui esisteva fino a pochi anni fa addirittura un monumento nella sua presunta città natale, Amalfi. L’autrice ripercorre la genesi dell’invenzione letteraria di un personaggio mai esistito, il cui nome, Flavio, è in realtà quello dell’umanista Flavio Biondo, a cui si deve la paternità della notizia sull’invenzione della bussola da parte degli amalfitani, e il cui cognome, Gioia, è dovuto per intero alla “stravaganza di un altro storico, che disse che Flavio era nato a Gioia in Puglia”.
L’esempio citato rappresenta sicuramente un caso limite, ma risulta indicativo della mancanza, in parte ancora presente, di un serio metodo critico di verifica e di controllo approfondito di molte false notizie “storiche” sedimentate nella tradizione della manualistica scolastica. Solo una maggiore frequentazione delle testimonianze dirette da parte di insegnanti e studenti riuscirebbe ad attenuare la tendenza ad utilizzare informazioni convenzionali e consuetudinarie, frutto di facili generalizzazioni, assai lontane dalla metodologia della specificazione e della distinzione che fanno della storia un sapere complesso e mai banale.
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