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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

1. Fioretti di san Francesco

Volgarizzamento d'un testo francescano antico, gli Actus beati Francisci et sociorum eius, scritto dal frate Ugolino di Monte Santa Maria nell'ultimo ventennio del Duecento, e continuato da un altro francescano delle Marche, Ugolino da Sarnano. Fino a qualche tempo addietro si riteneva che i Fioretti, ovvero il complesso Actus-Fioretti, nascessero da un più antico testo, il Floretum, ma è stato dimostrato che il Floretum non è mai esistito. Gli Actus possono essere divisi in tre parti, di cui la prima dedicata alla vita e ai miracoli di san Francesco nel primitivo ambiente dell'Ordine, la seconda ad altri primi compagni, e la terza alla vita francescana nelle Marche, con particolare riguardo ai miracoli di Giovanni della Verna (questa terza parte è opera di Ugolino da Sarnano). Il volgarizzamento dei Fioretti è operai d'un secolo dopo, tra il 1370 e il 1390, e certamente per le cure d'un frate fiorentino o, almeno, toscano. Attorno al corpus degli Actus e dei Fioretti si sono venute aggiungendo altre opere, le Considerazioni sulle Stimmate, la Vita del beato Egidio, i Detti dello stesso, la Vita di frate Ginepro.


Dai «Fioretti di san Francesco» [1]

DEI DODICI PRIMI COMPAGNI DI SANTO FRANCESCO [I]

In prima è da considerare che il glorioso messere santo Francesco in tutti gli atti della vita sua fu conformato a Cristo benedetto: imperò che, come Cristo nel principio della sua predicazione elesse dodici Apostoli a dispregiare ogni cosa mondana e seguitare lui in povertà e nell'altre virtù; così santo Francesco elesse al principio del fondamento dell'Ordine suo dodici compagni professori dell'altissima povertà.

E come uno de' dodici Apostoli di Cristo, riprovato da Dio, finalmente s'impiccò per la gola; così uno de' dodici compagni di santo Francesco, ch'ebbe nome frate Giovanni della Cappella, apostatando, finalmente impiccò se medesimo per la gola. E questo è agli eletti grande esempio e materia di umiltà e di timore, considerando che nullo è certo di dovere perseverare insino alla fine nella grazia di Dio.

E come que' santi Apostoli furono a tutto il mondo maravigliosi di santità e pieni dello Spirito santo; così que' santissimi compagni di santo Francesco furono uomini di tanta santità, che dal tempo degli Apostoli in qua il mondo non ebbe così maravigliosi e santi uomini: imperò che alcuno di loro fu ratto infino al terzo Cielo come santo Paolo, e questi fu frate Egidio; alcuno di loro, cioè frate Filippo Longo, fu toccato le labbra dall'Angelo col carbone di fuoco come Isaia profeta; alcuno di loro, cioè frate Silvestro, parlava con Dio come fa l'uno amico coll'altro, a modo che fece Moisè; alcuno volava per sottilità d'intelletto infino alla luce della divina Sapienza come l'aquila, cioè Giovanni Evangelista; e questi fu frate Bernardo umilissimo, il quale profondissimamente esponeva la santa Scrittura; alcuno di loro fu santificato da Dio e canonizzato in Cielo vivendo egli ancora nel mondo, e questi fu frate Ruffino gentile uomo d'Ascesi.

E così tutti furono privilegiati di singolare segno di santità, siccome nel processo si dichiarerà.

DI FRATE BERNARDO DA QUINTAVALLE PRIMO COMPAGNO DI SANTO FRANCESCO [II]

II primo compagno di santo Francesco fu frate Bernardo d'Ascesi, il quale si convertì in questo modo.

Essendo santo Francesco ancora in abito secolare, benché già avesse disprezzato il mondo, e andando tutto dispetto e mortificato per la penitenza, in tanto che da molti era reputato stolto, e come pazzo era schernito e scacciato con pietre e con fango da' parenti e dagli strani, ed egli in ogni ingiuria e scherno passandosi pazientemente come sordo e muto; messer Bernardo d'Ascesi, il quale era de' più nobili e ricchi e savi della città, cominciò a considerare saviamente in santo Francesco il così eccessivo dispregio del mondo, la grande pazienza nelle ingiurie, e che già per due anni così abbominato e dispregiato da ogni persona sempre parea più costante e paziente; cominciò a pensare e a dire tra se medesimo: «Per niuno modo può essere che questo Francesco non abbia grande grazia da Dio». E sì lo invitò la sera a cena e albergo; e santo Francesco accettò e cenò la sera con lui e albergò.

Allora messer Bernardo si pose in cuore di contemplare la sua santità; onde egli gli fece apparecchiare un letto nella sua camera propria, nella quale di notte sempre ardea una lampana. E santo Francesco, per celare la sua santità, immantanente che fu entrato nella camera si gittò in sul letto e fece vista di dormire; e messer Bernardo similemente, dopo alcuno spazio, si pose a giacere e incominciò a russare forte a modo che s'ei dormisse molto profondamente. Di che santo Francesco, credendo veramente che messer Bernardo dormisse, in sul primo sonno si levò del letto e posesi in orazione, levando gli occhi e le mani al cielo, e con grandissima divozione e fervore diceva: «Iddio mio! Iddio mio!»; e così dicendo e forte lagrimando stette infino a mattutino, sempre ripetendo: «Iddio mio! Iddio mio!», e non altro. E questo dicea santo Francesco contemplando e ammirando la eccellenza della divina Maestà, la quale degnava di condescendere al mondo che periva, e per lo suo Francesco poverello disponea di provvedere rimedio di salute dell'anima sua e degli altri; e però illuminato di spirito di profezia, prevedendo le grandi cose che Iddio dovea fare mediante lui e l'Ordine suo, e considerando la sua insufficenza e poca virtù, chiamava e pregava Iddio, che colla sua pietà e onnipotenza, senza la quale niente può l'umana fragilità, supplisse e aiutasse e compiesse quello che per sé non potea. Veggendo messer Bernardo per lo lume della lampana gli atti divotissimi di santo Francesco, e considerando diligentemente le parole che dicea, fu tocco e ispirato dallo Spirito santo a mutare la vita sua.

Di che, fatta la mattina, chiamò santo Francesco e dissegli così: «Frate Francesco, io ho al tutto disposto nel cuore mio d'abbandonare il mondo e seguitare te in ciò che tu mi comanderai». Udendo questo, santo Francesco si rallegrò in ispirito e disse così: «Messer Bernardo, questo che voi dite è opera sì grande e malagevole, che di ciò si vuole richiedere il consiglio del nostro Signore Gesù Cristo e pregarlo che gli piaccia di mostrarci sopra a ciò la sua volontà e insegnarci come questo noi possiamo mettere in esecuzione. E però andiamo insieme al vescovado dov'è un buono prete, e faremo dire la Messa e poi staremo in orazione infino a terza, pregando Iddio che nelle tre apriture del messale ci dimostri la via che a lui piace che noi eleggiamo». Rispose messer Bernardo che questo molto gli piacea; di che allora si mossono e andarono al vescovado. E poi ch'ebbono udita la Messa e stati in orazione infino a terza, il prete per priego di santo Francesco prese il messale e, fatto il segno della croce, sì lo aperse nel nome del nostro Signore Gesù Cristo tre volte: e nella prima apritura occorse quella parola che disse Cristo nel Vangelo al giovane che lo domandò della via della perfezione: Se tu vuoi essere perfetto, va' e vendi ciò che tu hai, e da' a' poveri, e vieni e seguita me. Nella seconda apritura occorse quella parola che Cristo disse agli Apostoli, quando li mandò a predicare: Non portate niuna cosa per via, né bastone, né tasca, né calzamenti, né danari; volendo per questo ammaestrarli che tutta la loro speranza del vivere dovessono porre in Dio, e avere tutta la loro intenzione a predicare il santo Vangelo. Nella terza apritura del messale occorse quella parola che Cristo disse: Chi vuole venire dopo me, abbandoni se medesimo, e tolga la croce sua e seguiti me. Allora disse santo Francesco a messer Bernardo: «Ecco il consiglio che Cristo ci dà; va' dunque e fa' compiutamente quello che tu hai udito; e sia benedetto il nostro Signore Gesù Cristo, il quale ha degnato di mostrarci la sua via evangelica». Udito questo, si partì messer Bernardo, e vendé ciò ch'egli avea (ch'era molto ricco), e con grande allegrezza distribuì ogni cosa a' poveri, a vedove, a orfani, a pellegrini, a monasteri e a spedali; e in ogni cosa santo Francesco fedelmente e provvidamente l'aiutava.

Veggendo uno, ch'avea nome messer Silvestro, che santo Francesco dava tanti danari a' poveri e faceva dare, stretto d'avarizia disse a santo Francesco: «Tu non mi pagasti interamente di quelle pietre che tu comperasti da me per racconciare le chiese, e però, ora che tu hai danari, pagami». Allora santo Francesco, maravigliandosi della sua avarizia e non volendo contendere con lui, siccome vero osservatore del Vangelo, mise le mani in grembo di messer Bernardo, e piene di danari le mise in grembo di messer Silvestro, dicendo che se più ne volesse, più gliene darebbe. Contento messer Silvestre di quelli, si partì e tornossi a casa.

E la sera, ripensando quello ch'egli avea fatto il dì, e riprendendosi della sua avarizia, e considerando il fervore di messer Bernardo e la santità di santo Francesco, la notte seguente e due altre notti ebbe da Dio una cotale visione, che della bocca di santo Francesco usciva una croce d'oro, la cui sommità toccava il cielo, e le braccia si distendevano dall'oriente infino all'occidente. Per questa visione egli diede per Dio ciò che egli avea, e fecesi frate Minore, e fu nell'Ordine di tanta santità e grazia, che parlava con Dio come fa l'uno amico coll'altro, secondo che santo Francesco più volte provò e più giù si dichiarerà.

Messer Bernardo simigliantemente ebbe tanta grazia da Dio, che spesse volte era ratto in contemplazione a Dio; e santo Francesco dicea di lui ch'egli era degno d'ogni riverenza e ch'egli avea fondato quest' Ordine; imperò ch'egli era il primo ch'aveva abbandonato il mondo, non riserbandosi nulla, ma dando ogni cosa a' poveri di Cristo, e cominciato la povertà evangelica, offerendo sé ignudo alle braccia del Crocifisso.

Il quale sia da noi benedetto in saecula saeculorum. Amen.

COME ANDANDO PER CAMMINO SANTO FRANCESCO E FRATE LEONE, GLI ESPOSE QUELLE COSE CHE SONO PERFETTA LETIZIA [VIII]

Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Leone il quale andava un poco innanzi, e disse così: «O frate Leone, avvegnadio che i frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione; nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è ivi perfetta letizia». E andando santo Francesco più oltre, il chiama la seconda volta: «O frate Leone, benché il frate Minore allumini i ciechi, stenda gli attratti, iscacci i demoni, renda l'udire a' sordi, e l'andare a' zoppi, il parlare a' mutoli e, ch' è maggior cosa, risusciti il morto di quattro dì; scrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando un poco, santo Francesco grida forte: «O frate Leone, se il frate Minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le scritture, sì che sapesse profetare e rivelare, non solamente le cose future, ma eziandio i segreti delle coscienze e degli animi; scrivi che non è in ciò perfetta letizia». Andando un poco più oltre, santo Francesco chiama ancora forte: «O frate Leone, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d'Angelo, e sappia i corsi delle stelle e le virtù delle erbe, e fossongli rivelati tutti i tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e degli uomini e degli albori e delle pietre e delle radici e delle acque; scrivi che non è in ciò perfetta letizia». E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiama forte: «O frate Leone, benché il frate Minore sapesse sì bene predicare, ch'egli convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo; scrivi che non è ivi perfetta letizia».

E durando questo modo di parlare bene due miglia, frate Leone con grande ammirazione il domandò e disse: «Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia». E santo Francesco gli rispose: «Quando noi giungeremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta del luogo, e il portinaio verrà adirato e dirà: – Chi siete voi? – e noi diremo: – Noi siamo due de' vostri frati –; e colui dirà: – Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de' poveri: andate via –; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e colla fame insino alla notte; allora se noi tante ingiurie e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbazione e senza mormorare di lui, e penseremo umilmente e caritativamente che quello portinaio veramente ci conosca, e che Iddio il faccia parlare contro a noi; o frate Leone, scrivi che ivi è perfetta letizia. E se noi persevereremo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate dicendo: – Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, che qui non mangerete voi né ci albergherete –; se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Leone, scrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi, pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte, pur picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pur dentro, e quegli più scandolezzato dirà: – Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene com'ei sono degni –; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali noi dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Leone, scrivi che in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è vincere se medesimo, e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l'Apostolo: Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui, perché te ne glorii, come se tu l'avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, però che questo è nostro, e perciò dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo».

Al quale sia sempre onore e gloria in saecula saeculorum. Amen.

COME SANTO FRANCESCO INSEGNAVA A RISPONDERE A FRATE LEONE, E NON POTÉ MAI DIRE SE NON CONTRARIO DI QUELLO CHE SANTO FRANCESCO VOLEA [IX]

Essendo santo Francesco una volta nel principio dell'Ordine con frate Leone in uno luogo dove non aveano libri da dire l'Ufficio divino, quando venne l'ora del Mattutino disse santo Francesco a frate Leone: «Carissimo, noi non abbiamo breviario, col quale noi possiamo dire il Mattutino; ma acciò che noi spendiamo il tempo a laude di Dio, io dirò e tu mi risponderai com'io t'insegnerò. Io dirò così: – O frate Francesco, tu facesti tanti mali e tanti peccati nel secolo, che tu se' degno dello inferno —; e tu, frate Leone, risponderai: – Vera cosa è che tu meriti lo inferno profondissimo –». E frate Leone con semplicità colombina rispose: «Volentieri, padre; incomincia al nome di Dio». Allora santo Francesco cominciò a dire: «O frate Francesco, tu facesti tanti mali e tanti peccati nel secolo, che tu se' degno dello inferno». E frate Leone rispose: «Iddio farà per te tanti beni, che tu ne andrai in Paradiso». Disse santo Francesco: «Non dire così, frate Leone, ma quando io dirò: – O frate Francesco, tu hai fatte tante cose inique contro a Dio, che tu se' degno d'esser maladetto da Dio –; e tu rispondi così: – Veramente tu se' degno d'essere messo tra' maladetti —». E frate Leone risponde: «Volentieri, padre». Allora santo Francesco, con molte lagrime e sospiri e picchiare di petto, dice ad alta voce: «O Signore mio Iddio del cielo e della terra, io ho commesso contro a te tante iniquità e tanti peccati, che al tutto io sono degno d'esser da te maladetto». E frate Leone risponde: «O frate Francesco, Iddio ti farà tale, che tra i benedetti tu sarai singolarmente benedetto».

Santo Francesco maravigliandosi che frate Leone rispondea pur il contrario di quello che gli aveva imposto, sì lo riprese dicendo: «Perché non rispondi tu come io t'insegno? Io ti comando per santa obbedienza che tu risponda come io t'insegnerò. Io dirò così: – O frate Francesco cattivello, pensi tu che Dio arà misericordia di te? con ciò sia cosa che tu abbi commessi tanti peccati contro al Padre delle misericordie e Dio d'ogni consolazione, che tu non se' degno di trovare misericordia. – E tu, frate Leone pecorella, risponderai: – Per niuno modo se' degno di trovare misericordia –». Ma poi quando santo Francesco disse: «O frate Francesco cattivello» ecc., frate Leone rispose: «Iddio Padre, la cui misericordia è infinita più che il peccato tuo, farà teco grande misericordia, e sopra essa t'aggiugnerà molte grazie».

A questa risposta santo Francesco, dolcemente adirato e pazientemente turbato, disse a frate Leone: «Perché hai tu avuto presunzione di fare contro all'obbedienza, e già cotante volte hai risposto il contrario di quello ch'io t'ho imposto?». Risponde frate Leone molto umilemente e riverentemente: «Iddio il sa, padre mio, che ogni volta io m'ho posto in cuore di rispondere come tu m'hai comandato; ma Iddio mi fa parlare secondo che a lui piace e non secondo che piace a me». Di che santo Francesco si maravigliò, e disse a frate Leone: «Io ti priego carissimamente che questa volta tu mi risponda com'io t'ho detto». Risponde frate Leone: «Di' al nome di Dio, che per certo io risponderò questa volta come tu vuoi». E santo Francesco lagrimando disse: «O frate Francesco cattivello, pensi tu che Iddio abbia misericordia di te?». Risponde frate Leone: «Anzi, grande grazia riceverai da Dio, ed esalteratti e glorificheratti in eterno, imperò che chi si umilia sarà esaltato. E io non posso altro dire, imperò che Iddio parla per la bocca mia».

E così in questa umile contenzione, con molte lagrime e con molta consolazione spirituale, sì vegghiarono insino a dì.

A laude di Cristo. Amen.

COME SANTA CHIARA MANGIÒ CON SANTO FRANCESCO E CO' SUOI COMPAGNI FRATI IN SANTA MARIA DEGLI ANGELI [XV]

Santo Francesco, quando stava ad Ascesi, spesse volte visitava santa Chiara, dandole santi ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimo desiderio di mangiare una volta con lui, e di ciò pregandolo molte volte, egli non le voleva mai fare quella consolazione. Onde vedendo i suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a santo Francesco: «Padre, a noi pare che questa rigidità non sia secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio diletta, tu non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiar teco; e specialmente considerando ch'ella per la tua predicazione abbandonò le ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, s'ella ti domandasse maggiore grazia che questa non è, sì la dovresti fare alla tua pianta spirituale». Allora santo Francesco rispose: «Pare a voi ch'io la debba esaudire?». E i compagni: «Padre, sì, degna cosa è che tu le faccia questa consolazione». Disse allora santo Francesco: «Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciò ch'ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si faccia a Santa Maria degli Angeli, imperò ch'ella è stata lungo tempo rinchiusa in Santo Damiano, sicché le gioverà di vedere un poco il luogo di Santa Maria, dov'ella fu tonduta e fatta sposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio».

Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara esce del monastero con una compagna, e accompagnata da' compagni di santo Francesco venne a Santa Maria degli Angeli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov'ella era stata tonduta e velata, sì la menarono vedendo il luogo, infino a tanto che fu ora di desinare. E in questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta l'ora di desinare, si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno de' compagni di santo Francesco colla compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni s'acconciarono alla mensa umilemente. E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, sì maravigliosamente, che, discendendo sopra di loro l'abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti.

E stando così ratti cogli occhi e colle mani levate in cielo, gli uomini d'Ascesi e di Bettona e quelli della contrada dintorno vedeano che Santa Maria degli Angeli e tutto il luogo e la selva, ch'era allora allato al luogo, ardevano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e il luogo e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo fermamente ch'ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara e con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco del divino amore, del quale ardeano le anime di que' santi frati e sante monache; onde ei si partirono con grande consolazione nei cuori loro e con santa edificazione.

Poi, dopo grande spazio, ritornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme cogli altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale. E così compiuto quel benedetto desinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo Damiano. Di che le suore, veggendola, ebbono grande allegrezza; però ch'elle temeano che santo Francesco non l'avesse mandata a reggere qualche altro monastero, siccome egli avea già mandato suora Agnese, santa sua sirocchia, per badessa a reggere il monastero di Monticelli di Firenze; e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: «Apparecchiati, se bisognasse ch'io ti mandassi in alcuno luogo»; ed ella come figliuola della santa obbedienza avea risposto: «Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare dovunque voi mi manderete». E però le suore si rallegrarono molto, quando la riebbono; e santa Chiara rimase d'allora innanzi molto consolata.

A laude di Cristo. Amen.

COME SANTO FRANCESCO RICEVETTE IL CONSIGLIO DI SANTA CHIARA E DEL SANTO FRATE SILVESTRO, CHE DOVESSE PREDICANDO CONVERTIRE MOLTA GENTE: E FECE IL TERZO ORDINE E PREDICÒ AGLI UCCELLI E FECE STARE QUETE LE RONDINI [XVI]

L'umile servo di Cristo santo Francesco, poco tempo dopo la sua conversione, avendo già raunati molti compagni e ricevuti all'Ordine, entrò in grande pensiero e in grande dubitazione di quello ch'egli dovesse fare: o d'intendere solamente ad orare, o alcuna volta a predicare; e sopra ciò desiderava molto di sapere la volontà di Dio. E però che l'umiltà ch'era in lui non lo lasciava presumere di sé né di sue orazioni, pensò di cercare la divina volontà colle orazioni altrui.

Onde egli chiamò frate Masseo e dissegli così: «Va' a suora Chiara e dille da mia parte ch'ella con alcuna delle più spirituali compagne divotamente preghino Iddio, che gli piaccia di dimostrarmi qual sia il meglio: o ch'io intenda al predicare o solamente all'orazione. E poi va' a frate Silvestro e digli il simigliante». Costui era stato nel secolo quel messer Silvestro, il quale avea veduto una croce d'oro procedere della bocca di santo Francesco, la quale era lunga insino al cielo e larga insino alle estremità del mondo; ed era questo frate Silvestro di tanta divozione e di tanta santità, che ciò ch'egli chiedea a Dio, impetrava ed era esaudito, e spesse volte parlava con Dio; e però santo Francesco avea in lui grande devozione.

Andò frate Masseo e, secondo il comandamento di santo Francesco, fece l'ambasciata prima a santa Chiara e poi a frate Silvestro. Il quale, ricevuta che l'ebbe, immantanente si gittò in orazione e orando ebbe la divina risposta, e tornò a frate Masseo e disse così: «Questo dice Iddio che tu dica a frate Francesco: che Iddio non l'ha chiamato in questo stato solamente per sé, ma acciò che faccia frutto delle anime e molti per lui sieno salvati». Avuta questa risposta, frate Masseo tornò a santa Chiara a sapere quello ch'ella avea impetrato da Dio. Ed ella rispose ch'ella e l'altre compagne aveano avuto da Dio quella medesima risposta, la quale avea avuta frate Silvestro.

Con questo ritorna frate Masseo a santo Francesco, e santo Francesco lo ricevette con grandissima carità, lavandogli i piedi e apparecchiandogli desinare. E dopo il mangiare, santo Francesco chiama frate Masseo nella selva e quivi dinanzi a lui s'inginocchia e traesi il cappuccio, facendo croce delle braccia, e domandalo: «Che comanda ch'io faccia il mio Signore Gesù Cristo?». Risponde frate Masseo che sì a frate Silvestro e sì a suora Chiara e alla sirocchia Cristo avea risposto e rivelato che: «la sua volontà si è che tu vada per lo mondo a predicare, però ch'egli non t'ha eletto pur per te solo, ma eziandio per salute degli altri». Allora santo Francesco, udito ch'ebbe questa risposta e conosciuta per essa la volontà di Cristo, si levò su con grandissimo fervore e disse: «Andiamo al nome di Dio». E prende per compagni frate Masseo e frate Angelo uomini santi.

E andando con impeto di spirito, senza considerare via o semita, giunsono a uno castello che si chiamava Cannario. E santo Francesco si pose a predicare, comandando prima alle rondini, che cantavano, ch'elle tenessono silenzio insino a tanto ch'egli avesse predicato. E le rondini ubbidironlo. Ed ivi predicò in tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli voleano andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: «Non abbiate fretta e non vi partite, e io ordinerò quello che voi dobbiate fare per salute dell'anime vostre». E allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza, si partì indi e venne tra Cannano e Bevagno.

E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli; di che santo Francesco si maravigliò e disse a' compagni: «Voi m'aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli». Ed entrò nel campo e cominciò a predicare agli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori vennono a lui, e insieme tutti quanti stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare; e poi anche non si partivano insino a tanto ch'egli diede loro la benedizione sua. E secondo che recitò poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando santo Francesco fra loro, toccandoli colla cappa, niuno però si movea.

La sostanza della predica di santo Francesco fu questa: «Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo il dovete lodare, imperò che v'ha dato libertà di volare in ogni luogo; anche v'ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso, perché egli riserbò il seme di voi nell'arca di Noè, acciò che la specie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli siete tenute per lo elemento dell'aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi i fiumi e le fonti per vostro bere, davvi i monti e le valli per vostro refugio, e gli alberi alti per fare il vostro nido. E con ciò sia cosa che voi non sappiate filare né cucire, Iddio vi veste, voi e i vostri figliuoli. Onde molto v'ama il Creatore, poi ch'egli vi dà tanti benefici. E però guardatevi, sirocchie mie, dal peccato della ingratitudine, ma sempre vi studiate di lodare Iddio».

Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quegli uccelli cominciarono ad aprire i becchi, distendere i colli, aprire l'ali e reverentemente inchinare i capi insino in terra, e con atti e con canti dimostrare che le parole del padre santo davano a loro grandissimo diletto. E santo Francesco insieme con loro si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta moltitudine d'uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e famigliarità; per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il Creatore.

Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diede loro licenza di partirsi; e allora tutti quegli uccelli in ischiera si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce ch'avea fatta loro santo Francesco si divisono in quattro parti; e l'una parte volò inverso l'oriente, l'altra inverso l'occidente, la terza inverso il meriggio, e la quarta inverso l'aquilone, e ciascheduna schiera andava cantando maravigliosamente; in questo significando che, come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della croce, secondo il quale eglino si dividevano cantando in quattro parti del mondo; così la predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo Francesco si dovea per lui e per i suoi frati portare per tutto il mondo; i quali frati, a modo che uccelli, non possedendo niuna cosa propria in questo mondo, alla sola provvidenza di Dio commettono la loro vita.

A laude di Cristo. Amen.

DEL SANTISSIMO MIRACOLO CHE FECE SANTO FRANCESCO, QUANDO CONVERTÌ IL FEROCISSIMO LUPO D'AGOBBIO [XXI]

Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado d'Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della terra, come s'eglino andassono a combattere; e con tutto ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura di questo lupo ei vennono a tanto, che niuno era ardito d'uscire della terra.

Per la qual cosa santo Francesco avendo compassione agli uomini della città, sì volle uscire fuori a questo lupo, benché i cittadini al tutto ne lo sconsigliavano; e facendosi il segno della santa croce, uscì fuori della terra egli co' suoi compagni, tutta la sua fidanza ponendo in Dio. E dubitando gli altri d'andare più oltre, santo Francesco prende il cammino inverso il luogo dov'era il lupo. Ed ecco che, veggendo molti cittadini i quali erano venuti a vedere questo miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, colla bocca aperta; e appressandosi a lui, santo Francesco gli fa il segno della croce, e chiamalo a sé e dicegli così: «Vieni qua, frate lupo; io ti comando dalla parte di Cristo che tu non faccia male né a me né a persona». Mirabile a dire! Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come uno agnello, e gittossi a' piedi di santo Francesco a giacere.

Allora santo Francesco gli parlò così: «Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, e hai fatti grandissimi malifici, guastando e uccidendo le creature di Dio senza sua licenza; e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardimento d'uccidere e di guastare gli uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu se' degno delle forche come ladro e omicida pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t' è nemica. Ma io voglio, frate lupo, far pace tra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed eglino ti perdonino ogni offesa passata, e né gli uomini né i cani ti perseguitino più».

Dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di orecchi e con inchinar di capo mostrava d'accettare ciò che santo Francesco dicea e di volerlo osservare. Allora santo Francesco disse: «Frate lupo, da poi che ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto ch'io ti farò dare le spese continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sì che tu non patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma poi ch'io t'accatterò questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi prometta che tu non nocerai giammai a niuno uomo né a niuno animale: promettimi tu questo?». E il lupo, con inchinar di capo, fece evidente segnale che prometteva. E santo Francesco dice: «Frate lupo, io voglio che tu mi faccia fede di questa promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare». E distendendo santo Francesco la mano per riceverne fede, il lupo levò il pie ritto dinanzi, e dimesticamente lo pose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quel segnale di fede ch'egli potea. Allora disse santo Francesco: «Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco senza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio». E il lupo obbediente se ne va con lui come uno agnello mansueto; di che i cittadini, veggendo questo, forte si maravigliano. E subitamente questa novità si seppe per tutta la città; di che ogni gente, grandi e piccoli, maschi e femmine, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con santo Francesco.

Essendo bene ragunato ivi tutto il popolo, levasi su santo Francesco e predica loro, dicendo, tra l'altre cose, come per i peccati Iddio permette cotali pestilenze, e troppo è più pericolosa la fiamma dello inferno, la quale ha a durare eternalmente a' dannati, che non è la rabbia del lupo, il quale non può uccidere se non il corpo. Quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca d'un piccolo animale. «Tornate dunque, carissimi, a Dio e fate degna penitenza de' vostri peccati, e Iddio vi libererà dal lupo nel presente, e nel futuro dal fuoco infernale».

E fatta la predica, disse santo Francesco: «Udite, fratelli miei: frate lupo, che è qui dinanzi a voi, m'ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non vi offendere mai in cosa niuna, se voi gli promettete di dargli ogni dì le spese necessarie; e io v'entro mallevadore per lui che il patto della pace egli osserverà fermamente». Allora tutto il popolo a una voce promise di nutricarlo continuamente.

E santo Francesco, dinanzi a tutti, disse al lupo: «E tu, frate lupo, prometti d'osservare a costoro il patto della pace, che tu non offenderai né gli uomini né gli animali né niuna creatura?». E il lupo inginocchiasi e inchina il capo e con atti mansueti di corpo e di coda e d'orecchi dimostra, quanto è possibile, di volere servare loro ogni patto. Dice santo Francesco: «Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta, così qui dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa, e che tu non mi ingannerai della mia malleveria ch'io ho fatta per te». Allora il lupo levando il piè ritto, sì lo pose in mano di santo Francesco. Onde tra di questo atto e degli altri detti di sopra fu tanta ammirazione e allegrezza in tutto il popolo, sì per la devozione del Santo e sì per la novità del miracolo e sì per la pace del lupo, che tutti cominciarono a gridare a cielo, lodando e benedicendo Iddio, il quale avea mandato loro santo Francesco, che per i suoi meriti gli avea liberati dalla bocca della crudele bestia.

E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio, senza far male a persona e senza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalle genti, e andandosi così per la terra e per le case, giammai niuno cane gli abbaiava. Finalmente dopo i due anni frate lupo si morì di vecchiaia, di che i cittadini molto si dolsono, imperò che veggendolo andare così mansueto per la città, si ricordavano meglio della virtù e santità di santo Francesco.

A laude di Cristo. Amen.

COME SANTO FRANCESCO DIMESTICÒ LE TORTORE SELVATICHE [XXII]

Uno giovane avea prese un dì molte tortore, e portavale a vendere. Iscontrandosi in lui santo Francesco, il quale sempre avea singulare pietà agli animali mansueti, riguardando quelle tortore coll'occhio pietoso, disse al giovane: «O buono giovane, io ti priego che tu me le dia, e che uccelli così innocenti a' quali nella Scrittura sono assomigliate le anime caste, umili e fedeli, non vengano alle mani de' crudeli che le uccidano». Di subito colui, ispirato da Dio, tutte le diede a santo Francesco; ed egli, ricevendole in grembo, cominciò a parlare loro dolcemente: «O sirocchie mie tortore, semplici, innocenti e caste, perché vi lasciate voi pigliare? Or ecco io vi voglio scampare dalla morte e farvi i nidi, acciò che voi facciate frutto e moltiplichiate secondo il comandamento del vostro Creatore».

E va santo Francesco e a tutte fece nido. Ed elleno, usandoli, cominciarono a fare uova e figliare innanzi a' frati, e così dimesticamente si stavano e usavano con santo Francesco e con gli altri frati, come se elle fossono state galline sempre nutricate da loro. E mai non si partirono, insino a tanto che santo Francesco colla sua benedizione diede loro licenza di partirsi. E al giovane, che le avea date, disse santo Francesco: «Figliuolo, tu sarai ancora frate in questo Ordine e servirai graziosamente a Gesù Cristo». E così fu, imperò che il detto giovane si fece frate e vivette nell'Ordine con grande santità.

A laude di Cristo. Amen.

COME SANTO FRANCESCO LIBERÒ UN FRATE CH'ERA IN PECCATO COL DEMONIO [XXIII ]

Stando una volta santo Francesco in orazione nel luogo della Porziuncola, vide per divina rivelazione tutto il luogo attorniato e assediato da' demoni a modo che da uno grande esercito; ma niuno di loro potea però entrare dentro nel luogo, imperò che que' frati erano di tanta santità, che i demoni non aveano a cui entrare. Ma pure perseverando così, uno di que' frati si scandalezzò con un altro, e pensava nel cuore suo comm'egli lo potesse accusare e vendicarsi di lui. Per la qual cosa, stando costui in questo mal pensiero, il demonio, avendo l'entrata aperta, sì entrò nel luogo, e ponsi in sul collo di questo frate.

Veggendo ciò il pietoso e sollecito pastore, il quale vegghiava sempre sopra il suo gregge, che il lupo era entrato a divorare la pecorella sua; fece subitamente chiamare a sé quel frate, e comandògli che di presente ei dovesse scoprire il veleno dell'odio conceputo contro al prossimo, per lo quale egli era nelle mani del nemico. Di che colui impaurito, però che si vedeva compreso dal padre santo, sì scoprì ogni veleno e rancore, e riconobbe la colpa sua, e domandonne umilmente la penitenza con misericordia. E fatto ciò, assoluto che fu dal peccato e ricevuta la penitenza, subito dinanzi a santo Francesco il demonio si partì; e il frate, così liberato delle mani della crudele bestia per la bontà del buon pastore, sì ringraziò Iddio, e ritornando corretto e ammaestrato al gregge del santo pastore, vivette poi in grande santità.

A laude di Cristo. Amen.

COME SANTO FRANCESCO CONVERTÌ ALLA FEDE IL SOLDANO DI BABILONIA E LA MERETRICE CHE LO RICHIESE DI PECCATO [XXIV]

Santo Francesco, istigato dallo zelo della fede di Cristo e dal desiderio del martirio, andò una volta oltremare con dodici suoi compagni santissimi, per andarsene diritti al Soldano di Babilonia. E giugnendo in alcuna contrada di Saracini, ove si guardavano i passi da certi sì crudeli uomini, che niuno cristiano che vi passasse potea scampare che non fosse morto; come piacque a Dio non furono morti, ma presi, battuti e legati, furono menati dinanzi al Soldano. Ed essendo dinanzi a lui, santo Francesco ammaestrato dallo Spirito santo predicò sì divinamente della fede di Cristo, che eziandio per essa egli volea entrare nel fuoco. Di che il Soldano cominciò ad avere grande devozione in lui, sì per la costanza della fede sua, sì per lo dispregio del mondo che vedea in lui, imperò che nullo dono volea da lui ricevere, essendo poverissimo, e sì eziandio per lo fervore del martirio che in lui vedeva. E da quel punto innanzi il Soldano l'udiva volentieri, e pregollo che spesse volte tornasse a lui, concedendo liberamente a lui e a' compagni ch'eglino potessono predicare dovunque piacesse loro. E diede loro uno segnale, per lo quale ei non potessono essere offesi da persona.

Avuta adunque questa licenza libera, santo Francesco mandò que' suoi eletti compagni a due a due in diverse parti di Saracini a predicare la fede di Cristo; ed egli con uno di loro elesse una contrada, alla quale giugnendo entrò in uno albergo per riposarsi. Ed ivi si era una femmina bellissima del corpo ma sozza dell'anima, la quale femmina maladetta richiese santo Francesco di peccato. E dicendole santo Francesco: «Io accetto, andiamo a letto», ella lo menava in camera. Disse santo Francesco: «Vieni meco, io ti menerò a un letto bellissimo». E menolla a uno grandissimo fuoco che si facea in quella casa; e in fervore di spirito spogliasi ignudo, e gittasi allato a questo fuoco in su lo spazzo affocato, e invita costei che ella si spogli e vada a giacere con lui in quel letto spiumacciato e bello. E stando così santo Francesco per grande spazio con allegro viso, e non ardendo né punto abbronzandosi, quella femmina per tale miracolo spaventata e compunta nel cuor suo, non solamente si penté del peccato e della mala intenzione, ma eziandio si convertì perfettamente alla fede di Cristo, e diventò di tanta santità, che per lei molte anime si salvarono in quelle contrade.

Alla perfine, veggendosi santo Francesco non potere fare più frutto in quelle parti, per divina revelazione si dispose con tutti i suoi compagni a ritornare tra i fedeli; e raunatili tutti insieme, ritornò al Soldano e prese commiato da lui. Allora gli disse il Soldano: «Frate Francesco, io volentieri mi convertirei alla fede di Cristo, ma io temo di farlo ora; imperò che, se costoro il sentissono, eglino ucciderebbono me e te con tutti i tuoi compagni; e con ciò sia cosa che tu possa ancora fare molto bene, e io abbia a spacciare certe cose di molto gran peso, non voglio ora inducere la morte tua e la mia. Ma insegnami com'io mi possa salvare, e io sono apparecchiato a fare ciò che tu m'imporrai». Disse allora santo Francesco: «Signore, io mi partirò ora da voi, ma poi ch'io sarò tornato in miei paesi e ito in cielo, per la grazia di Dio, dopo la morte mia, secondo che piacerà a Dio, io ti manderò due de' miei frati, da' quali tu riceverai il battesimo di Cristo, e sarai salvo, siccome m'ha rivelato il mio Signore Gesù Cristo. E tu in questo mezzo ti sciogli da ogni impaccio, acciò che quando verrà a te la grazia di Dio, ti trovi apparecchiato a fede e devozione ». E così promise di fare e fece.

Fatto questo, santo Francesco si ritorna con quello venerabile collegio de' suoi compagni santi; e dopo alquanti anni santo Francesco per morte corporale rendé l'anima a Dio. E il Soldano infermando aspetta la promessa di santo Francesco, e fa stare guardie a certi passi, comandando che se due frati v'apparissono in abito di santo Francesco, di subito fossono menati a lui. In quel tempo apparve santo Francesco a due frati e comandò loro che senza indugio andassono al Soldano e procurino la sua salute, secondo che gli avea promesso. I quali frati subitamente si mossono, e passando il mare, dalle dette guardie furono menati al Soldano. E veggendoli, il Soldano ebbe grandissima allegrezza e disse: «Ora so io veramente che Iddio ha mandato a me i servi suoi per la mia salute, secondo la promessa che mi fece santo Francesco per rivelazione divina». Ricevendo adunque informazione della fede di Cristo e il santo battesimo da' detti frati, così rigenerato in Cristo si morì in quella infermità, e fu salva l'anima sua pei meriti e operazione di santo Francesco.

A laude di Cristo benedetto. Amen.

COME SANTO FRANCESCO MIRACOLOSAMENTE SANÒ IL LEBBROSO DELL'ANIMA E DEL CORPO, E QUELLO CHE L'ANIMA GLI DISSE ANDANDO IN CIELO [XXV]

II vero discepolo di Cristo messer santo Francesco, vivendo in questa miserabile vita, con tutto il suo sforzo s'ingegnava di seguitare Cristo perfetto maestro; onde addiveniva spesse volte per divina operazione, che a cui egli sanava il corpo, Iddio sanava l'anima a una medesima ora, siccome si legge di Cristo.

E però ch'egli non solamente serviva volentieri a' lebbrosi, ma oltre a questo avea ordinato che i frati del suo Ordine, andando o stando per lo mondo, servissono a' lebbrosi per lo amore di Cristo, il quale volle per noi essere reputato lebbroso; addivenne una volta, in uno luogo presso a quello dove dimorava allora santo Francesco, i frati servivano in uno spedale a' lebbrosi e infermi; nel quale era uno lebbroso sì impaziente e sì importabile e protervo, che ognuno credea di certo, e così era, ch'egli fosse invasato dal dimonio, imperò ch'egli svillaneggiava di parole e di battiture sì sconciamente chiunque lo serviva, e, che peggio era, egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre Vergine Maria, che per niuno modo si trovava chi lo potesse o volesse servire. E avvegna che le ingiurie e villanie proprie i frati si studiassono di portare pazientemente per accrescere il merito della pazienza; nientedimeno, le ingiurie di Cristo e della sua Madre non potendo sostenere le coscienze loro, determinaronsi al tutto d'abbandonare il detto lebbroso: ma non lo vollono fare insino a tanto ch'eglino il significassono ordinatamente a santo Francesco, il quale dimorava allora in uno luogo presso.

E significato che gliel'ebbono, santo Francesco se ne va a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sì lo saluta dicendo: «Iddio ti dia pace, fratello mio carissimo». Risponde il lebbroso rimbrottando: «E che pace posso io avere da Dio, che m'ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente?». E santo Francesco disse: «Figliuolo, abbi pazienza, imperò che le infermità de' corpi ci sono date da Dio in questo mondo per salute dell'anima, però ch'elle sono di grande merito, quand'elle sono portate pazientemente». Risponde lo infermo: «E come poss'io portare pazientemente la pena continua che m'affligge il dì e la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermità mia, ma peggio mi fanno i frati che tu mi desti perché mi servissono, e non mi servono come debbono». Allora santo Francesco, conoscendo per rivelazione che questo lebbroso era posseduto dal maligno spirito, andò e posesi in orazione e pregò divotamente Iddio per lui.

E fatta l'orazione, ritorna a lui e dice così: «Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri». «Piacemi; – dice lo infermo – ma che mi potrai tu fare più che gli altri?». Risponde santo Francesco: «Ciò che tu vorrai, io farò». Dice il lebbroso: «Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch'io puto sì fortemente, ch'io medesimo non mi posso patire». Allora santo Francesco di subito fece scaldare dell'acqua con molte erbe odorifere, poi spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e un altro frate metteva su l'acqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco toccava colle sue sante mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente sanata. E come si cominciò a sanare la carne, così si cominciò a sanare l'anima; onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento de' suoi peccati, e a piagnere amarissimamente; sicché mentre che il corpo si mondava di fuori dalla lebbra per lavamento d'acqua, l'anima si mondava dentro dal peccato per la contrizione e per le lagrime.

Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto all'anima, umilmente si rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta voce: «Guai a me, ch'io sono degno dello inferno per le villanie e ingiurie ch'io ho fatte a' frati, e per la impazienza e bestemmie ch'io ho avute contro a Dio». Onde per quindici dì perseverò in amaro pianto de' suoi peccati e in chiedere misericordia a Dio, confessandosi al prete interamente. E santo Francesco veggendo così espresso miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le mani sue, ringraziò Iddio e partissi indi, andando in paese assai di lunge; imperò che per umiltà volea fuggire ogni gloria mondana e in tutte le sue operazioni solo cercava l'onore e la gloria di Dio e non la propria.

Poi, com'a Dio piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dell'anima, dopo i quindici dì della sua penitenza, infermò d'altra infermità; e armato dei Sacramenti ecclesiastici si morì santamente. E la sua anima, andando a Paradiso, apparve in aria a santo Francesco, che stava in una selva in orazione, e dissegli: «Riconoscimi tu?». «Qual se' tu?» dice santo Francesco. Ed egli: «Io sono il lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per i tuoi meriti, e oggi vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia l'anima e il corpo tuo, e benedette le tue parole e le tue operazioni; imperò che per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non è dì nel mondo, nel quale i santi Angeli e gli altri Santi non ringrazino Iddio de' santi frutti che tu e l'Ordine tuo fate in diverse parti del mondo; e però confortati e ringrazia Iddio, e sta' colla sua benedizione». E dette queste parole, se n'andò in cielo; e santo Francesco rimase molto consolato.

A laude di Cristo. Amen.

COME SANTO FRANCESCO CONVERTÌ TRE LADRONI MICIDIALI, E FECIONSI FRATI; E DELLA NOBILISSIMA VISIONE CHE VIDE L'UNO DI LORO, IL QUALE FU SANTISSIMO FRATE [XXVI]

Santo Francesco andò una volta per lo distretto del Borgo a Santo Sepolcro, e passando per uno castello che si chiamava Monte Casale, venne a lui un giovane nobile e molto delicato e dissegli: «Padre, io vorrei molto volentieri essere de' vostri frati». Risponde santo Francesco: «Figliuolo, tu se' giovane, delicato e nobile; forse che tu non potresti sostenere la povertà e l'asprezza nostra». Ed egli: «Padre, non siete voi uomini come io? Dunque come la sostenete voi, così potrò io colla grazia di Cristo». Piacque molto a santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantenente lo ricevette all'Ordine e posegli nome frate Angelo. E portossi questo giovane sì graziosamente, che ivi a poco tempo santo Francesco il fece guardiano nel luogo del detto Monte Casale.

In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, i quali faceano molti mali nella contrada; i quali vennono un dì al detto luogo de' frati e pregavano il detto frate Angelo guardiano che desse loro mangiare. E il guardiano risponde loro in questo modo, riprendendoli aspramente. «Voi, ladroni e crudeli omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e sfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate a' servi di Dio, che non siete pur degni che la terra vi sostenga, però che voi non avete niuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate dunque per i fatti vostri, e qui non apparite più». Di che coloro turbati, si partirono con gran disdegno.

Ed ecco santo Francesco tornare di fuori colla tasca del pane e con un vasello di vino ch'egli col compagno aveano accattato; e recitandogli il guardiano com'egli avea cacciati coloro, santo Francesco forte lo riprese, dicendogli: «Tu ti se' portato crudelmente, imperò che i peccatori meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni; onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui Evangelio noi abbiamo promesso d'osservare, dice che non è bisogno a' sani il medico ma agli infermi, e che non era venuto a chiamare i giusti ma i peccatori a penitenza; e però egli spesse volte mangiava con loro. Con ciò sia cosa adunque che tu abbia fatto contro alla carità e contro al santo Evangelio di Cristo, io ti comando per santa obbedienza che immantanente tu prenda questa tasca del pane ch'io ho accattato e questo vasello del vino, e va' loro dietro sollicitamente per monti e per valli tanto che tu li trovi, e presenta loro tutto questo pane e questo vino da mia parte; e poi t'inginocchia loro dinanzi e di' loro umilmente tua colpa della tua crudeltà, e poi li priega da mia parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s'egli faranno questo, io prometto loro di provvederli ne' loro bisogni e di dar loro continuamente da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo umilmente, ritornati qua». Mentre che il detto guardiano andò a fare il comandamento di santo Francesco, egli si pose in orazione e pregava Iddio ch'ammorbidasse i cuori di que' ladroni e convertisseli a penitenza.

Giugne a loro l'ubbidiente guardiano e presenta loro il pane e il vino, e fa e dice ciò che santo Francesco gli ha imposto. E come piacque a Dio, mangiando questi ladroni la limosina di santo Francesco, cominciarono a dire insieme: «Guai a noi miseri isventurati! Come dure pene dello inferno ci aspettano, i quali andiamo non solamente rubando i prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo; e nientedimeno di tanti mali e così scellerate cose, come noi facciamo, non abbiamo niuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed ecco questo frate santo ch'è venuto a noi, per parecchie parole che ci disse giustamente per la nostra malizia ci ha detto umilemente sua colpa e oltre a ciò ci ha recato il pane e il vino e così liberale promessa del santo padre. Veramente questi frati sono santi di Dio, i quali meritano Paradiso: e noi siamo figliuoli della eterna perdizione, i quali meritiamo le pene dello inferno, e ogni dì accresciamo la nostra perdizione, e non sappiamo se de' peccati che noi abbiamo fatti insino a qui noi potremo trovare misericordia da Dio». Queste e simiglianti parole dicendo l'uno di loro, dissono gli altri due: «Per certo tu di' il vero; ma ecco, che dobbiamo noi fare?». « Andiamo – disse costui – a santo Francesco, e s'egli ci da speranza che noi possiamo trovare misericordia da Dio de' nostri peccati, facciamo ciò che ei ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno».

Piace questo consiglio agli altri; e così tutti e tre accordati se ne vengono in fretta a santo Francesco e dicongli così: «Padre, noi per molti e scellerati peccati, che noi abbiamo fatti, non crediamo poter trovare misericordia da Dio; ma se tu hai niuna speranza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e fare penitenza con teco». Allora santo Francesco, ricevendoli caritativamente e con benignità, sì li confortò con molti esempi e rendégli certi della misericordia di Dio, e promise loro di certo d'accattarla loro da Dio, mostrando loro come la misericordia di Dio è infinita: e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la divina misericordia è maggiore, e che, secondo il Vangelo e lo apostolo santo Paolo, Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare i peccatori.

Per le quali parole e simiglianti ammaestramenti, i detti tre ladroni renunziarono al demonio e alle sue operazioni, e santo Francesco li ricevette all'Ordine, e cominciarono a fare grande penitenza. E i due di loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a Paradiso; ma il terzo sopravvivendo e ripensando i suoi peccati, si diede a fare tale penitenza, che per quindici anni continui, eccetto le quaresime comuni le quali egli facea cogli altri frati, d'altro tempo sempre tre dì della settimana digiunava in pane e in acqua, e andando sempre scalzo e con una sola tonica indosso, mai non dormiva dopo Mattutino. Infra questo tempo santo Francesco passò di questa misera vita.

Avendo dunque costui per molti anni continuata cotale penitenza, eccoti che una notte dopo Mattutino gli venne tanta tentazione di sonno, che per niuno modo egli potea resistere al sonno e vegghiare come soleva. Finalmente, non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire; e subito com'egli ebbe posto il capo giù, fu ratto e menato in ispirito in su uno monte altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi spezzati e scheggiosi e scogli disuguali che uscivano fuori de' sassi; di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l'Angelo che menava questo frate sì lo sospinse e gittollo giù per questa ripa; il quale trabalzando e percotendosi di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa, tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui parea. E giacendosi cosi malconcio in terra, dice colui che il menava: «Leva su, ché ti conviene fare ancora gran viaggio». Risponde il frate: «Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta, che m'ha così spezzato, e dimmi: – Leva su! –». E l'Angelo s'accosta a lui e toccandolo gli salda perfettamente tutti i membri e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene passare a piedi ignudi insino che giunga al fine; nel quale ei vedea una fornace ardente nella quale gli convenia entrare.

Avendo il frate passata tutta quella pianura con grande angoscia e pena, l'Angelo gli dice: «Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare». Risponde costui: «Oimè, quanto mi se' crudele guidatore, che mi vedi essere presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di' ch'io entri in questa fornace ardente». E ragguardando costui, ei vide intorno alla fornace molti demoni colle forche di ferro in mano, colle quali costui, perché indugiava d'entrare, sì vel sospinsono dentro subitamente.

Entrato che fu nella fornace, ragguarda e videvi uno ch'era stato suo compare, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda: «O compare isventurato, come venisti tu qua?». Ed egli risponde: «Va' un poco più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione». Andando il frate più oltre, ed eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura da grano tutta di fuoco; ed egli la domanda: «O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudel tormento?». Ed ella rispose: «Imperò che al tempo della grande fame, la quale santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio e io falsavamo il grano e la biada che noi vendevamo nella misura, e però io ardo stretta in questa misura».

E dette queste parole, l'Angelo che menava questo frate sì lo sospinse fuori della fornace, e poi gli disse: «Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale tu hai a passare». E costui rammaricandosi diceva: «O durissimo conduttore, il quale non m'hai niuna compassione; tu vedi ch'io sono quasi tutto arso in questa fornace, e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile?». E allora l'Angelo il toccò, e fecelo sano e forte.

E poi il menò ad uno ponte, il quale non si potea passare senza grande pericolo, imperò ch'egli era molto sottile e stretto e molto isdrucciolente e senza sponde dallato, e di sotto passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e di scorpioni, e gittava uno grandissimo puzzo. E dissegli l'Angelo: «Passa questo ponte, che al tutto ti conviene passare». Risponde costui: «E come lo potrò io passare, ch'io non caggia in quel pericoloso fiume?». Dice l'Angelo: «Vieni dopo me e poni il tuo piè dove tu vedrai ch'io porrò il mio, e così passerai bene». Passa questo frate dietro all'Angelo, come gli avea insegnato, tanto che giugne a mezzo il ponte; ed essendo così in sul mezzo, l'Angelo si volò via e, partendosi da lui, se ne andò in su uno monte altissimo di là assai da questo ponte. E costui considerò bene il luogo dov'era volato l'Angelo; ma rimanendo egli senza guidatore e riguardando giù, vedea quegli animali terribili stare co' capi fuori dell'acqua e colle bocche aperte, apparecchiati a divorarlo s'egli cadesse; ed era in tanto tremore, che per niuno modo ei non sapea che si fare né che si dire, però che non potea tornare addietro né andate innanzi.

Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro refugio che solo Iddio, sì s'inchinò e abbracciò il ponte e con tutto il cuore e con lagrime si raccomandava a Dio, che per la sua santissima misericordia lo dovesse soccorrere. E fatta l'orazione, gli parve cominciare a mettere ale; di che egli con grande allegrezza aspettava ch'elle crescessono per poter volare di là dal ponte, là dov'era volato l'Angelo. Ma dopo alcuno tempo, per la gran voglia ch'egli avea di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l'ale non erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte, e le penne gli caddono: di che costui da capo abbraccia il ponte e come prima raccomandasi a Dio. E fatta l'orazione, anche gli parve mettere ale; ma come prima non aspettò ch'elle crescessono perfettamente, onde mettendosi a volare innanzi tempo, ricadde da capo in sul ponte, e le penne gli caddono. Per la qual cosa, veggendo che per la fretta ch'egli avea di valore innanzi al tempo ei cadea così, cominciò a dire tra se medesimo: «Per certo che, se io metto ale la terza volta, io aspetterò tanto ch'elle saranno sì grandi ch'io potrò volare senza ricadere». E stando in questo pensiero, ei si vide la terza volta mettere ale; e aspetta grande tempo, tanto ch'elle erano ben grandi; e parevagli, per lo primo e secondo e terzo mettere d'ali, avere aspettato bene centocinquanta anni o più. Alla perfine si leva questa terza volta con tutto il suo sforzo a volito, e volò in alto insino al luogo dov'era volato l'Angelo.

E bussando alla porta del palagio nel quale egli era, il portinaio il domandò: «Chi se' tu che se' venuto qua?». Risponde: «Io sono frate Minore». Dice il portinaio: «Aspettami, ché ci voglio menare santo Francesco a vedere se ti conosce». Andando colui per santo Francesco, questi cominciò a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tralucenti di tanta chiarità, ch'ei vedea chiaramente i cori de' Santi e ciò che dentro si faceva. E stando costui stupefatto in questo ragguardare, ecco venire santo Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo santo Francesco tanta moltitudine di Santi e di Sante ch'aveano seguitato la vita sua, che quasi pareano innumerabili. Giugnendo, santo Francesco disse al portinaio: «Lascialo entrare, però ch'egli è de' miei frati ».

Sì tosto come fu entrato dentro, sentì tanta consolazione e tanta dolcezza, che dimenticò tutte le tribulazioni ch'egli aveva avute, come se mai non fossono state. E allora santo Francesco, menandolo per dentro, sì gli mostrò molte cose maravigliose, e poi sì gli disse: «Figliuolo, ei ti conviene ritornare al mondo e staraivi sette dì, ne' quali tu t'apparecchia diligentemente con ogni devozione, imperò che dopo i sette dì, io verrò per te, e allora tu ne verrai meco a questo luogo de' beati». Ed era santo Francesco ammantato d'un mantello maraviglioso, adornato di stelle bellissime, e le sue cinque Stimmate erano come cinque stelle bellissime e di tanto splendore, che tutto il palagio illuminavano co' loro raggi. E frate Bernardo aveva in capo una corona di stelle bellissima, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi frati tra loro conobbe, i quali nel mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da santo Francesco, sì ritornò, benché mal volentieri, al mondo.

Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, i frati suonavano a Prima; sì ch'ei non era stato in quella visione se non da Mattutino a Prima, benché a lui fosse paruto stare molti anni. E recitando al suo guardiano tutta questa visione per ordine, infra i sette dì sì cominciò a febbricare; e l'ottavo dì venne per lui santo Francesco, secondo la promessa, con grandissima moltitudine di gloriosi Santi, e menonne l'anima sua al regno de' beati di vita eterna.

A laude di Cristo. Amen.

[1] Dall'ed. a cura e con prefazione di G. PETROCCHI, Alpignano, Tallone, 1973.

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Ultimo aggiornamento: 10/12/06