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Scrittori religiosi del Trecento

di Giorgio Petrocchi

© 1974 – Giorgio Petrocchi


Testi

4. Caterina da Siena

Caterina Benincasa nacque a Siena il 25 marzo 1347, penultima dei venticinque figli di Jacopo, tintore nel rione di Fontebranda, e di Lapa di Puccio Piagenti; all'età di sette anni ebbe la sua prima visione, e sulla via della religione venne ben presto avviata da fra Tommaso della Fonte. La morte della sorella Bonaventura (1362) accentuò la vocazione ascetica di Caterina, che, vincendo le resistenze dei suoi, ottenne (1363) di entrare nell'ordine delle Mantellate domenicane, e attese ad opere di misericordia nell'ospedale della Scala a Siena, nel lebbrosario di San Lazzaro e nelle case dei vicini. Ben presto la fama della sua eccezionale vita ascetica e del suo ardore apostolare, divulgatasi anche fuori di Toscana, chiamò attorno a Caterina una schiera di anime devote che come Caterina desideravano una profonda riforma delle istituzioni cattoliche e la pace tra le fazioni politiche in lotta. L'influenza della giovine senese divenne enorme, pur restando essa nella cella della casa di Fontebranda, e a lei si rivolgevano anime inquiete d'ogni parte d'Italia; con lei pregarono per il ritorno della sede papale a Roma, sperarono allorché Urbano V venne a Roma (1367) e provarono amara disillusione quando il papa fece ritorno ad Avignone (1370). Alla vigilia di tale partenza Caterina ebbe una visione, nella quale Dio le comandava di divenire messaggera di pace tra gli uomini, di porsi a capo di una nuova Crociata e di lottare per la riforma della Chiesa.

Caterina venne chiamata a Firenze, in Santa Maria Novella (1374), e le fu affidato come direttore spirituale fra Raimondo da Capua, il quale doveva attendere con la Santa alla organizzazione della Crociata; Caterina fu a Pisa, poi a Lucca, dove riuscì a evitare che questa repubblica entrasse nella Lega contro il papa, di nuovo a Pisa (1375), dove ricevette le stimmate, e infine ad Avignone (1376), quale ambasciatore di Firenze per ottenere la pace tra la repubblica fiorentina e il papa. La missione politica fallisce, in gran parte per colpa dei fiorentini, ma Caterina porta a termine un'ambasceria ben più importante: quella di persuadere Gregario XI a restituire a Roma la sede papale; e il ritorno di Gregario (17 gennaio 1377) è salutato in tutta Italia come una sua grande vittoria. Continuano le missioni di pacificatrice; nel 1377 tra i Salimbeni e Siena, poi tra le fazioni fiorentine (nel tumulto dei Ciompi corre pericolo di vita), ottenendo infine la pace tra Firenze e Roma (1378). Ma un'altra guerra si accende, non sui campi di battaglia, ma all'interno delle gerarchie cattoliche, in conseguenza del conclave succeduto alla morte di Gregario XI e conclusosi con la elezione di Urbano VI. Caterina si batte coraggiosamente contro lo scisma; invitata dal nuovo papa a Roma (1378), vi organizza un cenacolo di spiriti eletti e invia caldissime lettere d'esortazione a restare fedeli al papato: scrive a Giovanna II regina di Napoli, ai cardinali italiani, a quelli francesi; interviene di persona nel concistoro. Muore il 29 aprile del 1380.


Dalle «Lettere» [1]

A SANO DI MACO IN SIENA [LXIX]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Dilettissimo e carissimo fratello in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedere in voi quella virtù della santa fede e perseveranzia, che fu nella Cananea; però ch'ella l'ebbe tanto forte, che ella meritò che 'l dimonio fosse cacciato da dosso della figliuola sua. E più ancora, che, volendo Dio manifestare quanto gli piaceva la fede sua, volle rimettere l'autorità in lei, dicendo: «Sia fatto alla figliuola tua siccome tu vuoi». O gloriosa e eccellentissima virtù, tu se' colei che manifesti il fuoco della divina Carità, quand'è nell'anima: però che l'uomo non ha mai fede né speranza se non in quello ch'egli ama. Di queste virtù l'una tiene dietro l'altra; però che amore non è senza fede, né fede senza speranza. Queste sono tre colonne che mantengono la ròcca dell'anima nostra sì e per siffatto modo che neuno vento di tentazione, né parole ingiuriose, né lusinghe di creature, né amore terreno, né di sposa né di figliuoli, il può dare a terra: ma in tutte queste cose sarà fortificato da queste vere colonne. Allora faremo come questa Cananea: che, vedendo passare Cristo per l'anima nostra; per santo e vero desiderio vollerenci a lui con vera contrizione e dispiacimento del peccato, e diremo: «Signore, libera la figliuola mia, cioè l'anima mia; però che il dimonio la molesta con le molte tentazioni e disordinati pensieri». E se noi persevereremo, e terremo ferma la volontà, che non consenta né s'inchini a veruna cosa amare fuori di Dio, umiliandoci e reputandoci indegni della pace e della quiete; e con fede aspetteremo, e con pazienzia, e speranza per Cristo crocifisso di portare ogni cosa, diremo con santo Paolo: «Ogni cosa posso, non per me, ma per Cristo crocifisso ch'è in me, che mi conforta». E allora udiremo quella dolce voce: «Sia sanata la figliuola tua, cioè l'anima tua, secondo che tu vuoli».

Qui manifesta la smisurata bontà di Dio il tesoro che egli ha dato nell'anima, del proprio e libero arbitrio, che né dimonio né creatura il può costringere a uno peccato mortale, se egli non vuole. O carissimo figliuolo in Cristo Gesù, ragguardate con fede e vera perseveranza; che, insino alla morte, queste parole sono dette a noi. Sappiate, che come l'uomo è creato da Dio, gli sono dette queste parole: «Sia fatto come tu vuoli». Cioè: «Ti fo libero, che tu non sia soggetto a veruna cosa, se non a me». Oh inestimabile e dolcissimo fuoco d'amore, tu mostri e manifesti la eccellenzia della creatura: che ogni cosa hai creata perché serva alla tua creatura ragionevole, e la creatura hai fatta perché serva te.

Ma noi miseri e miserabili andiamo ad amare il mondo colle pompe e diletti suoi; per lo quale amore l'anima perde la signoria, e è fatta serva e schiava del peccato. Onde questo tale ha preso per signore il dimonio. Oh quanto è pericolosa la signoria sua! Perocché sempre cerca e tratta la morte dell'uomo. Onde non mi pare che sia da servire siffatto signore: ma voglio che noi siamo di quelle anime innamorate di Dio; ragguardando sempre, noi essere schiavi ricomperati del sangue dell'Agnello.

Lo schiavo non si può vendere, né ad altro signore servire. Noi siamo comperati non d'oro né di dolcezza d'amore solo, ma di sangue. Scoppino i cuori e le anime nostre d'amore, levinsi con sollecitudine a servire e temere il dolce e buono Gesù, ragguardando che egli ci ha tratti di prigione e della servitudine del dimonio che ci possedeva come suoi; e egli entrò in ricolta e pagatore, e stracciò la carta della obbligazione. E quando entrò in ricolta? Quando si fece servo, prendendo la nostra umanità. Oimè, non bastava a noi se non avesse pagato il debito fatto per noi? e quando si pagò? In sul legno della santissima croce, dando la vita per renderci la vita della Grazia, la quale noi perdemmo. Oh inestimabile dolcissima Carità, tu hai rotta la carta ch'era fra l'uomo e 'l dimonio, stracciandola in sul legno della santissima croce. La carta non è fatta d'altro che d'Agnello: e questo è quello Agnello immacolato, il quale ci ha scritto in sé medesimo; ma stracciò questa carta. Confortinsi adunque l'anime nostre, poiché siamo scritti, e la carta è rotta, che non ci può più addimandare l'avversario e contrario nostro. Or corriamo, figliuolo dolcissimo, con santo e vero desiderio, abbracciando le virtù colla memoria del dolce Agnello svenato con tanto ardentissimo amore. Non dico più.

Sappiate che in questa vita noi non possiamo avere altro che delle molliche che caggiono della mensa, siccome questa Cananea dimanda. Le molliche sono la Grazia che riceviamo; e caggiono della mensa del Signore. Ma quando noi saremo nella vita durabile, dove noi gusteremo Dio e vedrenlo a faccia a faccia; allora averemo delle vivande della mensa. Adunque non schifate mai labore. Io vi manderò delle molliccie e delle vivande, come a figliuolo. E voi combattete virilmente. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

ALLA CONTESSA BENEDETTA FIGLIUOLA DI GIOVANNI D'AGNOLINO SALIMBENI [CXIII]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta carità, la quale carità è uno vestimento nuziale, che ricuopre ogni nostra nudità, e nasconde le vergogne nostre, cioè il peccato, il quale germina vergogna; lo spegne e consuma nel suo calore. E senza questo vestimento non possiamo entrare alla vita durabile, alla quale siamo invitati.

Che è carità? è uno amore ineffabile, che l'anima ha tratto dal suo Creatore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue. Dico che l'aveva tratto del suo Creatore: e così è la verità. Ma come si trae? coll'amore: perocché l'amore non s'acquista se non coll'amore e dall'amore. Ma tu mi dirai, carissima figliuola: «Che modo mi conviene avere a trovare e acquistare questo amore?» Rispondoti, per questo modo. Ogni amore s'acquista col lume: perocché la cosa che non si vede, non si cognosce; onde non cognoscendosi, non s'ama. Conviensi dunque avere il lume, acciò che tu vegga e cognosca quello che tu debba amare. E perché il lume c'era necessario, provede Dio alla nostra necessità, dandoci il lume dell'intelletto, che è la più nobile parte dell'anima, colla pupilla, dentrovi, della santissima fede. E dicoti che, poniamoché la persona offenda il suo Creatore, non passa però né vive senza amore né senza il lume. Perocché l'anima, che è fatta d'amore e creata per amore alla immagine e similitudine di Dio, non può vivere senza amore; né amerebbe senza il lume. Onde se vuole amare, si conviene che vegga. Ma sai che vedere è, e che amare è quello degli uomini del mondo? È uno vedere tenebroso e oscuro; e per la oscura notte non si discerne la verità: ed è uno amore mortale, però che da morte nell'anima, tollendole la vita della Grazia. Ma perché è oscuro questo vedere? Perché s'è posto nella oscurità delle cose transitorie del mondo, avendosele poste dinanzi a sé, fuore di Dio; cioè che non le ragguarda nella sua bontà, ma solo le ragguarda per diletto sensitivo; il quale diletto e amore sensitivo mosse lo intelletto a vedere e cognoscere cose sensitive. Onde quest'affetto che si nutrica col lume dell'intelletto, poniamo prima che l'affetto il movesse, come detto è, le dà morte, commettendo la colpa, e tollere la vita della Grazia; perocché neuna cosa si può amare né vedere, fuore di Dio, che non ci dia morte; e però quello che s'ama, si dee amare in lui e per lui, cioè ricognoscere sé e ogni cosa dalla sua bontà. Sicché vedi, che questi ama e vede; perocché senza amare e senza vedere non si può vivere. Ma è differente l'amore degli uomini del mondo, il quale dà morte, dall'amore del servo di Dio, che dà vita: perocché l'amore che s'acquista dal sommo ed eterno Amore, dà vita di Grazia. Poi, dunque, ch'è il lume che ha l'occhio dell'intelletto, debbelo aprire col lume della santissima fede, e ponersi per obietto l'amore inestimabile che Dio ci ha mostrato. Allora l'affetto, vedendosi amare, non potrà fare che non ami quello che lo intelletto vidde e cognobbe in verità.

O carissima figliuola, e non vedi tu che noi siamo un arbore d'amore, perché siamo fatti per amore? Ed è sì ben fatto questo arbore, che non è alcuno che ‘l possa impedire che non cresca, non tollergli il frutto suo, se egli non vuole. E hagli dato Dio a questo arbore uno lavoratore, che l'abbia a lavorare, però che gli piace; e questo lavoratore è il libero arbitrio. E se questo lavoratore l'anima non l'avesse, non sarebbe libera; non essendo libera, averebbe scusa del peccato: la quale non può avere, perocché neuno è, né il mondo né il dimonio né la fragile carne, che costrignerla possa a colpa alcuna, se ella non vuole. Perocché questo arbore ha in sé la ragione, se il libero arbitrio la vuole usare; e ha l'occhio dello intelletto, che cognosce e vede la verità, se la nebbia dell'amor proprio non gliel'offusca. E con questo lume vede dove debba esser piantato l'arbore; perocché, se noi vedesse e non avesse questa dolce potenzia dell'intelletto, il lavoratore averebbe scusa, e potrebbe dire: «Io ero libero; ma io non vedevo in che io potevo piantare l'arbore mio, o in alto o in basso». Ma questo non può dire; però che ha lo intelletto che vede, e la ragione, la quale è uno legame di ragionevole amore, con che può legarlo e innestarlo nell'arbore della vita Cristo dolce Gesù. Debbe dunque piantare l'arbore suo, poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto il luogo, e in che terra egli debba stare a volere producere frutto di vita. Carissima figliuola, se ‘l lavoratore del libero arbitrio allora il pianta là dove debba essere piantato, cioè nella terra della vera umiltà (perocché nol dee ponere in sul monte della superbia, ma nella valle della umiltà); allora produce fiori odoriferi di virtù, e singolarmente produrrà quello sommo fiore della gloria e loda al nome di Dio: e tutte le sue operazioni e virtù, le quali sono dolci fiori e frutti, riceveranno odore da questo. Questo è quel fiore, carissima figliuola, che fa fiorire le virtù vostre: il quale fiore Dio vuole per sé, e il frutto vuole che sia nostro. Di questo arbore egli vuole solamente questi fiori della gloria, cioè che noi rendiamo gloria e loda al nome suo; e 'l frutto dà a noi, però ch'egli non ha bisogno di nostri frutti, perché a lui non manca alcuna cosa. Perch'egli è colui che è: ma noi che siamo coloro che non siamo, n'abbiamo bisogno. Noi non siamo per noi, ma per lui; però ch'egli ci ha dato l'essere, e ogni grazia che abbiamo sopra l'essere. Chè a lui utilità non possiamo fare. E perché la somma ed eterna Bontà vede che l'uomo non vive de' fiori, ma solo del frutto (perocché del fiore morremmo, e del frutto viviamo); però tolle il fiore per sé, e il frutto dà a noi. E se la ignorante creatura si volesse notricare di fiori, cioè, che la gloria e la loda, che dee essere di Dio, la desse a sé; sì gli tolle la vita della Grazia, e dagli la morte eternale, se egli muore che non si corregga, cioè che tolla il frutto per sé, e il fiore, cioè la gloria, dia a Dio. E poi che l'arbore nostro è piantato così dolcemente; egli cresce per sì fatto modo, che la cima dell'arbore, cioè l'affetto dell'anima, non si vede da creatura dove sia unito coll'infinito Dio per affetto d'amore.

O figliuola carissima, io ti voglio dire in che campo sta questa terra, acciò che tu non errassi. La terra è la vera umiltà, come detto è; e 'l luogo, dov'ella è, è 'l Giardino chiuso del cognoscimento di sé. Dico che è chiuso, perché l'anima che sta nella cella del cognoscimento di sé medesima, ella è chiusa, e non è aperta, cioè che non si diletta nelle delizie del mondo, e non cerca le ricchezze, ma povertà volontaria; e non le cerca per sé né per altrui, e non si distende in piacere alle creature, ma solo al Creatore. E quando il demonio le desse laide e diverse cogitazioni con molte fadighe di mente e disordinati timori, allora ella non s'apre, ponendoseli a investigare, né a voler sapere perché vengano, né a stare a contendere con loro; e non spande il cuore suo per confusione né per tedio di mente; né abbandona gli esercizi suoi. Anco si serra e si chiude colla compagnia della speranza e col lume della santissima fede, e coll'odio e dispiacimento della propria sensualità, reputandosi indegna della pace e quiete della mente; e per vera umiltà si reputa degna della guerra, e indegna del frutto, cioè che si reputa degna della pena che le pare ricevere nel tempo delle grandi battaglie. E ponsi sempre per obietto Cristo crocifisso, dilettandosi di stare in croce con lui: e col pensiero caccia il pensiero. Or questo è il dolce luogo dove sta la terra della vera umiltà.

Poiché la cima, cioè l'affetto dell'anima che va dietro all'intelletto, come detto è, ha cognosciuto l'obietto di Cristo crocifisso, l'abisso del fuoco della sua carità, il quale cognobbe in questo Verbo (perocché per questo mezzo ci è manifestato l'amore che Dio ci ha); e questo Verbo cognobbe nel cognoscimento di sé, quando cognobbe sé creatura ragionevole creata alla immagine e similitudine di Dio, e recreata nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo; allora l'affetto sta unito coll'affetto di Cristo crocifisso; e coll'amore trae a sé l'amore; cioè coll'amore ordinato, che leva sopra il sentimento sensitivo, trae a sé l'amore affocato di Cristo crocifisso. Perocché il cuore nostro, quando è innamorato d'un amore divino, fa come la spugna, che trae a sé l'acqua. Perché la spugna se non fusse messa nell'acqua, non la trarrebbe a sé, non ostante che la spugna sia disposta dalla parte sua. E così ti dico che se la disposizione del cuore nostro, il quale è disposto e atto ad amare, se il lume della ragione e la mano del libero arbitrio no 'l leva e congiunge nel fuoco della divina carità; non s'empie mai della grazia di Dio: ma se s'unisce, sempre s'empie. E però ti dissi che dall'amore e coll'amore si trae l'amore. Poi che 'l vasello del cuore è pieno, e egli inacqua l'arbore coll'acqua della divina carità del prossimo; la quale è una rugiada e una piova che inacqua la pianta dell'arbore e la terra della vera umiltà, e ingrassa essa terra e il giardino del cognoscimento di sé; però che allora è condito col condimento del cognoscimento della bontà di Dio in sé. Tu sai bene che l'arbore non è bene inaffiato della rugiada e della piova, e è riscaldato del caldo del sole; non producerebbe il frutto; onde non sarebbe perfetto, ma imperfetto. Così l'anima, la quale è un arbore come detto è, perché fusse piantato, e non innaffiato colla piova della carità del prossimo e colla rugiada del cognoscimento di sé, e scaldato del sole della divina Carità; non sarebbe frutto di vita, né il frutto suo sarebbe maturo.

Poi che l'arbore è cresciuto, e egli distende e' rami suoi, porgendo del frutto al prossimo suo, cioè frutto di santissime e umili e continue orazioni, dandogli esempio di santa e buona vita. E anco li distende, quando può, sovvenendolo della sua sustanzia temporale con largo e liberale cuore, schietto e non finto, cioè che mostri una cosa in atto, e non sia in fatto; ma schiettamente e con affettuosa carità il serve di qualunque servizio egli può, e che vede egli abbia bisogno, giusta il suo potere. La Carità non cerca le cose sue, e non cerca sé per sé, ma sé per Dio, per rendere e' fiori della gloria, e loda al nome suo; e non cerca Dio per sé, ma Dio per Dio, in quanto è degno d'essere amato da noi per la bontà sua; e non ama né cerca né serve il prossimo suo per sé, ma solo per Dio, per rendergli quello debito il quale a Dio non può rendere, cioè di fare utilità a Dio. Perché già io ti dissi che utilità a Dio non possiamo fare: e però il fa Dio fare al prossimo suo; il quale è uno mezzo, che c'è posto da Dio per provare la virtù, e per mostrare l'amore che abbiamo al dolce ed eterno Dio.

Questa Carità gusta vita eterna, consuma e ha consumato tutte le nostre iniquità; e dacci lume perfetto, con pazienzia vera, e facci forti e perseveranti in tanto che mai non volliamo il capo a dietro a mirare l'arato; ma perseveriamo infino alla morte, dilettandoci di stare in sul campo della battaglia per Cristo crocifisso; ponendoci il sangue suo dinanzi, acciò che ci faccia inanimare nella battaglia come veri cavalieri. Adunque, poi che c'è tanto utile e necessaria, e sì dilettevole questa carità, che senz'essa stiamo in continua amaritudine, e riceviamo la morte, e sono scoperte le nostre vergogne, e nell'ultimo dì del giudizio siamo svergognati da tutto l'universo mondo, e dinanzi alla natura angelica e a tutti e' cittadini della vita durabile, (dove è vita senza morte, e luce senza tenebre, dove è la perfetta e comune carità, partecipando e gustando il bene l'uno dell'altro per affetto d'amore); è da abbracciarla questa dolce reina, e vestimento nuziale della carità, e con ansietato e dolce desiderio disponersi alla morte per potere acquistare questa reina; e poiché l'aviamo, volere sostenere ogni pena da qualunque lato elle ci vengano, infino alla morte, per poterla conservare e crescere nel giardino dell'anima nostra. Altro modo né altra via non ci veggo. E però ti dissi che io desideravo di vederti fondata in vera e perfetta carità.

Pregoti per l'amore di Cristo crocifisso che ti studii, quanto tu puoi, di fare questo fondamento; e non ti bisognerà di temere di questo timore servile; né avere paura de' venti contrarii delle molestie del dimonio e delle creature, le quali sono tutti venti contrarii che vogliono impedire la nostra salute. Ma perché l'arbore posto nella valle non potrà essere offeso da' venti, sia umile e mansueta di cuore. Altro non ti dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

A GREGORIO XI [CCVI]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Santissimo e carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io vostra indegna figliuola Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio che ho desiderato di vedere in voi la plenitudine della divina Grazia; sì, e per siffatto modo che voi siate strumento e cagione, mediante la divina Grazia, di pacificare tutto l'universo mondo. E però vi prego, padre mio dolce, che voi, con sollicitudine ed affamato desiderio della pace e onore di Dio e salute dell'anime, usiate lo strumento della potenzia e virtù vostra. E se voi mi diceste, padre: – il mondo è tanto travagliato! in che modo verrò a pace? – dicovi da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenzia vostra. Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi ne traggiate li fiori puzzolenti, pieni d'immondizia e di cupidità, enfiati di superbia; cioè li mali pastori e rettori, che attossicano e imputridiscono questo giardino. Oimè, governatore nostro, usate la vostra potenzia a divellere questi fiori. Gittateli di fuori, che non abbino a governare. Vogliate ch'egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita. Piantate in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che siano veri servi di Gesù Cristo, che non attendano ad altro che all'onore di Dio e alla salute dell'anime, e sieno padri de' poveri. Oimè, che grande confusione è questa, di vedere coloro che debbono essere specchio in povertà volontaria, umili agnelli, distribuire della sustanzia della santa Chiesa a' poveri; ed egli si veggono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo, più che se fussero mille volte nel secolo! Anzi molti secolari fanno vergogna a loro, vivendo in buona e santa vita. Ma pare che la somma e eterna Bontà faccia fare per forza quello che non è fatto per amore: pare che permetta che gli stati e delizie siano tolti alla sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo stato primo poverello, umile, mansueto, com'era in quello tempo santo, quando non attendevano altro che all'onore di Dio e alla salute dell'anime, avendo cura delle cose spirituali, e non temporali. Che, poi ch'ha mirato più alle temporali che alle spirituali, le cose sono andate di male in peggio. Però vedete che Dio per questo giudizio gli ha permessa molta persecuzione e tribolazione. Ma confortatevi, padre, e non temete per veruna cosa che fusse addivenuta o addivenisse, che Dio fa per rendere lo stato suo perfetto; perché in questo giardino si paschino agnelli, e non lupi divoratori dell'onore che debbe essere di Dio, il quale furano, e dànnolo a loro medesimi. Confortatevi in Cristo dolce Gesù; che io spero che l'adiutorio suo, la plenitudine della divina Grazia, il sovenimento e l'adiutorio divino sarà presso da voi, tenendo il modo detto di sopra. Da guerra verrete a grandissima pace, da persecuzione a grandissima unione: non con potenzia umana, ma con la virtù santa sconfiggerete le dimonia visibili delle inique creature, e le invisibili dimonia, che mai non dormono sopra di noi.

Ma pensate, padre dolce, che maleagevolmente potreste fare questo, se voi non adempiste l'altre due cose che avanzano a compire l'altre: e questo sì è dello avvenimento vostro, e drizzare il gonfalone della santissima croce. E non vi manchi il santo desiderio per veruno scandalo né ribellione di città che voi vedeste o sentiste; anzi più s'accenda il fuoco del santo desiderio a tosto volere fare. E non tardate però la venuta vostra. Non credete al dimonio, che s'avvede del suo danno, e però s'ingegna di scandalizzarvi, e di farvi tórre le cose vostre perché perdiate l'amore e la carità e impedire il venire vostro. Io vi dico, padre in Cristo Gesù, che voi veniate tosto come agnello mansueto. Rispondete allo Spirito Santo, che vi chiama. Io vi dico: Venite, venite, venite, e non aspettate il tempo, che il tempo non aspetta voi. Allora farete come lo svenato Agnello, la cui vice voi tenete; che con la mano disarmata uccise li nemici nostri, venendo come agnello mansueto, usando solo l'arma della virtù dell'amore, mirando solo avere cura delle cose spirituali, e rendere la Grazia all'uomo che l'aveva perduta per lo peccato.

Oimè, dolce padre mio, con questa dolce mano vi prego e vi dico, che veniate a sconfiggere li nostri nemici. Da parte di Cristo crocifisso vel dico: non vogliate credere a' consiglieri del dimonio, che volsero impedire il santo e buono proponimento. Siatemi uomo virile, e non timoroso. Rispondete a Dio, che vi chiama che veniate a tenere e possedere il luogo del glorioso pastore santo Pietro, di cui vicario sete rimasto. E drizzate il gonfalone della croce santa: che come per la croce fummo liberati (così disse Paolo), così levando questo gonfalone il quale mi pare refrigerio de' Cristiani, saremo liberati, noi dalla guerra e divisione e molte iniquità, il popolo infedele dalla sua infidelità. E con questi modi voi verrete, e averete la riformazione delli buoni pastori della santa Chiesa. Reponetele il cuore, che ha perduto, dell'ardentissima carità: chè tanto sangue li è stato succhiato per gl'iniqui devoratori, che tutta è impallidita. Ma confortatevi, e venite, padre, e non fate più aspettare li servi di Dio, che s'affliggono per lo desiderio. E io misera miserabile non posso più aspettare: vivendo, mi pare morire stentando, vedendo tanto vituperio di Dio. Non vi dilongate però dalla pace, per questo caso che è addivenuto di Bologna; ma venite: chè io vi dico che li lupi feroci vi metteranno il capo in grembo come agnelli mansueti, e dimanderanno misericordia a voi, padre.

Non dico più. Pregovi, padre, che ôdiate, e scoltiate quello che vi dirà frate Raimondo e gli altri figliuoli che sono con lui, che vengono da parte di Cristo crocifisso, e da mia; che sono veri servi di Cristo e figliuoli della santa Chiesa. Perdonate, padre, alla mia ignoranzia; e scusimi dinanzi alla vostra benignità l'amore e dolore che mei fa dire. Datemi la vostra benedizione. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

A FRATE RAIMONDO DA CAPUA, DELL'ORDINE DE' PREDICATORI E A MAESTRO GIOVANNI TERZO, DELL'ORDINE DE' FRATI EREMITI DI SANTO AUGUSTINO, E A TUTTI GLI ALTRI LORO COMPAGNI QUANDO ERANO A VIGNONE [CCXIX]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Dilettissimi figliuoli miei in Cristo Gesù. Io, misera madre con desiderio spasimato ho desiderato di vedere i cuori e gli affetti vostri chiavellati in croce, uniti e legati con quello legame che legò e innestò Dio nell'uomo e l'uomo in Dio. Così desidera l'anima mia di vedere i cuori e gli affetti vostri innestati nel Verbo incarnato dolce Gesù, sì, e per siffatto modo che né dimonia né creature vi possano partire. Benché io non dubito che, se voi sarete legati e infiammati del dolce Gesù, se fussero tutti i dimonii dello inferno con tutte le malizie loro, non vi potranno partire da sì dolce amore e unione. Adunque io voglio, poiché è di tanta fortezza ed è di tanta necessità, che voi non vi ristiate mai di crescere legna al fuoco del santo desiderio; cioè legna del cognoscimento di voi medesimi. Perocché queste sono quelle legna che notricano il fuoco della divina carità: la quale carità s'acquista nel cognoscimento e nella inestimabile carità di Dio; e allora s'unisce l'anima col prossimo suo. E quanto più dà della materia al fuoco, cioè legna di cognoscimento di sé; tanto cresce il caldo dell'amore di Cristo e del prossimo suo. Adunque state nascosi nel cognoscimento di voi, e non state fuore di voi, acciocché Malatasca non vi pigli con le molte illusioni, e cogitazioni l'uno contra l'altro; e questo farebbe per tollervi l'unione della divina Carità. E però io voglio, e vi comando, che l'uno sia subietto all'altro, e l'uno portatore de' difetti dell'altro; imparando dalla prima dolce Verità, che volse essere il più minimo, e umilmente portò tutte le nostre iniquitadi e difetti. Così voglio che facciate voi, figliuoli carissimi, amatevi, amatevi, amatevi insieme. E godete ed esultate, perocché il tempo della state ne viene.

Perocché il primo d'aprile, la notte più singolarmente Dio aperse i secreti suoi, manifestando le mirabili cose sue sì e per siffatto modo, che l'anima mia non pareva che fusse nel corpo, e riceveva tanto diletto e plenitudine, che la lingua non è sufficiente a dirlo; spianando e dichiarando a parte a parte sopra il misterio della persecuzione che ora ha la santa Chiesa, e della rinovazione ed esaltazione sua, la quale dee avere nel tempo avvenire; dicendo che il tempo presente è permesso per rendergli lo stato suo; allegando la prima dolce Verità due parole che si contengono nel santo Evangelio, cioè: «Egli è bisogno che lo scandalo venga nel mondo»; e poi soggiunse «Ma guai a colui per cui viene lo scandalo!». Quasi dicesse: «Questo tempo di questa persecuzione permetto per divellere le spine della sposa mia, che è tutta imprunata; ma non permetto le male cogitazioni degli uomini. Sai tu come io fo? Io fo come io feci quand'io ero nel mondo, che feci la disciplina di funi, e cacciai coloro che vendevano e compravano nel tempio; non volendo che della casa di Dio si facesse spelonca di ladroni. Così ti dico che io fo ora. Perocché io ho fatta una disciplina delle creature, e con essa disciplina caccio i mercanti immondi, cupidi, e avari, ed enfiati per superbia, vendendo e comprando i doni dello Spirito Santo». Sicché colla disciplina delle persecuzioni delle creature li cacciava fuore; cioè, che per forza di tribolazione e di persecuzione gli tolleva 'l disordinato e disonesto vivere.

E crescendo in me il fuoco, mirando vedevo nel costato di Cristo crocifisso intrare 'l popolo cristiano e lo infedele: e io passavo, per desiderio e affetto d'amore, per lo mezzo di loro; ed entravo con loro in Cristo dolce Gesù, accompagnata col padre mio santo Domenico, e Giovanni Singolare con tutti quanti i figliuoli miei. E allora mi dava la croce in collo e l'olivo in mano, quasi come io volessi; e così diceva che io la portasse all'uno popolo e all'altro. E diceva a me: «Di' a loro: io vi annunzio gaudio magno». Allora l'anima mia più s'empiva; annegata era co' veri gustatori nella divina Essenzia per unione e affetto d'amore. Ed era tanto il diletto che aveva l'anima mia, che la fadiga passata del vedere l'offesa di Dio, non vedeva; anco, dicevo: «Oh felice e avventurata colpa!». Allora 'l dolce Gesù sorrideva, e diceva: «Or è avventurato il peccato, che non è cavelle? Sai tu quello che santo Gregorio diceva quando disse: felice e avventurata colpa. Quale parte è quella che tu tieni, che sia avventurata e felice? e che dice santo Gregorio?». Io rispondevo come esso mi faceva rispondere, e dicevo: «Io veggio bene, Signore mio dolce, e bene so che il peccato non è degno di ventura, e non è avventurato né felice in sé; ma il frutto che esce del peccato. Questo mi pare che volesse dire Gregorio: che per lo peccato d'Adam Dio ci die' il Verbo dell'unigenito suo figliuolo, e il Verbo diè 'l sangue: onde, dando la vita, ci rende la vita con grande fuoco d'amore. Sicché il peccato dunque è avventurato, non per lo peccato, ma per lo frutto e dono che abbiamo d'esso peccato. Or così è. Sicché dell'offesa che fanno gl'iniqui Cristiani; perseguitando la sposa di Cristo, nasce la esaltazione, lume, e odore di virtù in essa sposa. Ed era questo sì dolce, che non pareva che fusse nessuna comparazione dell'offesa alla smisurata bontà e benignità di Dio, che in essa sposa mostrava. Allora io godevo ed esultavo; e tanto era vestita di certezza del tempo futuro, che mel pareva possedere e gustare. E dicevo allora con Simeone: Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum in pace. Facevansi tanti misteri, che la lingua non è sufficiente a dirlo, né cuore a pensarlo, né occhio a vederlo.

Or quale lingua sarebbe sufficiente a narrare le mirabili cose di Dio? Non la mia, di me misera miserabile. E però io voglio tenere silenzio, e darmi solo a cercare l'onore di Dio e la salute dell'anime, e la rinovazione ed esaltazione della santa Chiesa; e, per la grazia e fortezza dello Spirito Santo, perseverare infino alla morte. E con questo desiderio io chiamavo e chiamerò con grande amore e compassione il nostro Cristo in terra, e voi, Padre, con tutti quanti i cari figliuoli; e dimandavo e avevo la vostra petizione. Godete dunque, godete e esultate. O dolce Dio amore, adempie tosto i desiderii de' servi tuoi. Non voglio dire più; e non ho detto niente. Stentando muoio per desiderio. Abbiatemi compassione. Pregate la divina Bontà e Cristo in terra, che tosto si spazzi. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso; e per nessuna cosa venite meno, ma più conforto pigliate. Godete, godete nelle dolci fadighe. Amatevi, amatevi, amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore.

A MISSER RISTORO DI PIETRO CANIGIANI IN FIRENZE [CCLVIII]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi costante e perseverante nelle virtù: però che colui che comincia, non è quegli che è coronato, ma solo colui che persevera. Perocché la perseverazione è quella reina che è coronata, e sta in mezzo della fortezza e vera pazienzia; ma ella sola riceve corona di gloria. Sicché io voglio, dolcissimo fratello, che voi siate costante e perseverante nella virtù, acciocché riceviate il frutto d'ogni vostra fadiga. Spero nella grande bontà di Dio, che vi fortificherà per modo che né dimonio né creatura vi potrà far voliere il capo in dietro al primo vomito.

Parmi, secondo che mi scrivete, che abbiate fatto buono principio; del quale molto mi rallegro per la salute vostra, vedendo il vostro santo desiderio. E prima, dite di perdonare a ogni uomo che v'avesse offeso, o che v'avesse voluto offendere. Questa è quella cosa che v'è di grande necessità a volere avere Dio per Grazia nell'anima vostra, e riposarvi eziandio secondo 'l mondo. Però che colui che sta nell'odio, è privato di Dio, e sta in stato di dannazione; e in questa vita gusta l'arra dell'inferno: perocché sempre si rode in sé medesimo, e appetisce vendetta, e sta sempre con timore. E credendo uccidere il nemico suo, ha prima morto sé medesimo; perocché col coltello dell'odio ha uccisa l'anima sua. Onde questi cotali che credono uccidere il nemico, uccidono loro medesimi. Colui che in verità perdona per amore di Cristo crocifisso, questi ha pace e quiete, e non riceve turbazione; però che l'ira che conturba, è uccisa dall'anima sua; e Dio, che è remuneratore d'ogni bene, gli rende la grazia sua, e nell'ultimo vita eterna. Quanto diletto riceve allora l'anima, e allegrezza, e riposo nella coscienzia, la lingua non potrebbe narrare quanto ell'è. Ed eziandio secondo il mondo, è grandissimo onore a colui, che, per amore della virtù e per magnanimità, non appetisce né vuol fare vendetta del nemico suo. Sicché io v'invito e vi conforto a perseveranzia in questo santo proponimento.

Domandare e procacciare il vostro con debita ragione, questo potete fare con buona coscienzia; chi 'l vuol fare: però che non è tenuto l'uomo di lassare il suo, più che si voglia: ma chi volesse lassare, farebbe bene maggiore perfezione. Di non andare a vescovado né a palagio, questo è buono e ottimo; e che voi vi stiate pacificamente in casa. Perocché, se la persona s'impaccia, noi siamo debili, e spesse volte ci troviamo impacciata l'anima nostra, commettendo delle cose ingiuste e fuore di ragione, chi per mostrare di saper più che un altro, e chi per appetito di pecunia. Sicché, egli è bene di dilungarsi dal luogo.

Ma una cosa v'aggiungo: che quando cotali poverelli e poverelle, che hanno chiaramente la ragione, e non hanno chi gli sovvenga, né mostri la ragione loro perché non hanno denari; sarebbe molto grande onore di Dio affaticarsi per loro con affetto di carità; come santo Ivo, che fu al tempo suo avvocato de' poveri. Pensate, che l'atto della pietà, e il ministrare a' povarelli di quella virtù che Dio v'ha data a voi, molto è piacevole a Dio, e salute dell'anima. Onde dice santo Gregorio, che egli è impossibile che l'uomo pietoso perisca di mala morte, cioè di morte eternale. Sicché questo mi piace molto, e pregovi che voi 'l facciate.

E in tutte le vostre operazioni vi ponete Dio dinanzi agli occhi, dicendo a voi medesimo, quando 'l disordinato appetito volesse levare il capo contra al proponimento fatto: «Pensa, anima mia, che l'occhio di Dio è sopra di te, e vede l'occulto del cuore tuo. E tu sei mortale, però che tu debbi morire, e non sai quando: e converratti rendere ragione dinanzi al sommo Giudice, di quello che tu farai; il qual Giudice ogni colpa punisce, e ogni bene remunera». E a questo modo, se porrete il freno, non scorrerà partendosi dalla volontà di Dio.

Satisfare all'anima vostra, questo dovete fare 'l più tosto che voi potete, e sgravare la coscienzia di ciò che vi sentite gravato. E satisfarle, o di gravezza che ella avesse di rendere sustanzia temporale, o d'altri dispiaceri che avesse fatti altrui. E fate chiedere perdonanza pienamente a ognuno, acciocché sempre permaniate nella dilezione della carità del prossimo vostro. Di vendere le robe che avete di superchio, e i pomposi vestimenti (i quali, carissimo fratello, sono molto nocivi e sono uno strumento di fare invanire il cuore e nutricare la superbia, parendogli esser da più e maggiore degli altri, gloriandosi di quello che non si dee gloriare. Onde grande vergogna è a noi, falsi cristiani, di vedere il nostro capo tormentato, e noi stare in tante delizie. Onde dice san Bernardo, che non si conviene che sotto il capo spinato stieno i membri delicati) dico che fate molto bene, che ci poniate rimedio. Ma vestitevi a necessità, onestamente, non con disordinato pregio, e piacerete molto a Dio. E, giusta al vostro potere fate questo medesimo della donna, e de' vostri figliuoli; sì che voi siate, a loro, regola e dottrina, siccome debbe essere il padre, che con ragione e atto di virtù dee allevare i suoi figliuoli.

Aggiungoci una cosa: che nello stato del matrimonio voi stiate con timore di Dio, e con riverenzia v'andiate come a sacramento, e non con disordinato desiderio. E i dì che sono comandati dalla santa Chiesa, abbiate in debita riverenzia, siccome uomo ragionevole, e non come animale bruto. Allora di voi e di lei, siccome arbori buoni, producerete buoni frutti.

Di rifiutare gli ofici, farete molto bene; perocché rade volte è che non vi s'offenda. E a tedio vi debbono venire, pur d'udirli ricordare. E però lassate questi morti sepellire a' morti loro; e voi v'ingegnate, con libertà di cuore, di piacere a Dio, amandolo sopra ogni cosa con desiderio di virtù, e il prossimo come voi medesimo, fuggendo il mondo e le delizie sue. E rinunciare a' peccati, e alla propria sensualità; riducendo sempre alla memoria i beneficili di Dio, e specialmente il beneficio del sangue, il quale per noi fu sparto con tanto fuoco d'amore.

Evvi ancora di bisogno, a volere conservare la Grazia e crescere l'anima vostra in virtù, di fare spesso la santa confessione, a vostro diletto, per lavare la faccia dell'anima nel sangue di Cristo. Perocché pur la lordiamo tutto dì, almeno il mese una volta: se più, più; ma meno non mi pare che si dovesse fare. E dilettatevi di udire la parola di Dio. E quando sarà il tempo suo, che noi siamo pacificati col Padre nostro; fate che le pasque solenni, o almeno una volta l'anno, voi vi comunichiate; dilettandovi dell'Oficio, e ogni mattina udire la Messa; e non potendo ogni dì, almeno quelli dì che sono comandati dalla santa Chiesa a' quali siamo obbligati, ve ne dovete ingegnare quantunque si può.

L'orazione non si conviene che ella sia di lunga da voi. Anco, nell'ore debite e ordinate, quando si può, vogliate reducervi un poco a cognoscere voi medesimo, e l'offese fatte a Dio, e la larghezza della sua bontà, la quale tanto dolcemente ha adoperato e adopera in voi; aprendo l'occhio dell'intelletto col lume della santissima fede a ragguardare come Dio ci ama ineffabilmente; il quale amore cel manifestò col mezzo del sangue dell'ungenito suo Figliuolo. E pregovi che, se voi noi dite, che voi il diciate ogni dì, l'oficio della Vergine, acciò che ella sia il vostro refrigerio, e avvocata dinanzi a Dio per voi. D'ordinare la vita vostra, di questo vi prego che 'l facciate. E il sabato digiunare a riverenza di Maria. E li dì che sono comandati da santa Chiesa, non lassarli mai, se non per necessità. E fuggire di stare in disordinati conviti; ma ordinatamente vivere come uomo che non vuole fare del ventre suo Dio: ma prendere il cibo a necessità, e non con miserabile diletto. Però che impossibile sarebbe che colui che non è corretto nel mangiare, si conservasse nell'innocenzia sua.

Ma sono certa che la infinita bontà di Dio di questo e dell'altre cose vi farà a voi medesimo prendere quella regola che sarà di necessità alla salute vostra. E io ne pregherò, e farò pregare, che vi dia perfetta preseveranzia infine alla morte, e vi allumini di quello che avete a fare per la salute vostra. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

A FRATE RAIMONDO DA CAPUA DELL'ORDINE DE' PREDICATORI [CCLXXIII]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Dilettissimo e carissimo padre e figliuolo mio caro in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi raccomandandomivi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio; con desiderio di vedervi affocato e annegato in esso dolcissimo sangue suo, il quale sangue è intriso con fuoco dell'ardentissima carità sua. Questo desidera l'anima mia, cioè di vedervi in esso sangue, voi, e Nanni ed Jacomo, figliuolo. Io non veggo altro remedio, onde veniamo a quelle virtù principali, le quali sono necessarie a noi. Dolcissimo padre, l'anima vostra, la quale mi s'è fatta cibo (e non passa punto di tempo, che io non prenda questo cibo alla mensa del dolce Agnello svenato con tanto ardentissimo amore), dico, non perverrebbe alla virtù piccola della vera umilità, se non fuste annegato nel sangue. La quale virtù nascerà dall'odio, e l'odio dall'amore. E così nasce l'anima con perfettissima purità, come il ferro esce purificato dalla fornace.

Voglio dunque che vi serriate nel costato aperto del Figliuolo di Dio, il quale è una bottiga aperta, piena d'odore; in tanto che il peccato vi diventa odorifero. Ivi la dolce sposa si riposa nel letto del fuoco e del sangue. Ivi si vede ed è manifestato il secreto del cuore del Figliuolo di Dio. Oh botte spillata, la quale dai bere ed inebbri ogni innamorato desiderio, e dai letizia ed illumini ogni intendimento, e riempi ogni memoria, che ivi s'affadiga; in tanto che altro non può ritenere, né altro intendere, né altro amare, se non questo dolce e buono Gesù! Sangue e fuoco, inestimabile amore! poiché l'anima mia sarà beata di vedervi così annegati; io voglio che facciate come colui che attigne l'acqua colla secchia, il quale la versa sopra alcuna altra cosa; e così voi versate l'acqua del santo desiderio sopra il capo de' fratelli vostri, che sono membri nostri, ligati nel corpo della dolce Sposa. E guardate, che per illusione di dimonia (le quali so che v'hanno dato impaccio, e daranno), o per detto d'alcuna creatura, voi non vi tiriate mai addietro; ma sempre perseverate ogni otta che vedeste la cosa più fredda, infino che vediamo spargere il sangue con dolci e amorosi desiderii.

Su, su, padre mio dolcissimo! e non dormiamo più. Perocché io odo novelle, che io non voglio più né letto, né stati. Io ho cominciato già a ricevere uno capo nelle mani mie, il quale mi fu di tanta dolcezza, che 'l cuore nol può pensare, né lingua parlare, né l'occhio vedere, né l'orecchie udire. Andò il desiderio di Dio tra gli altri misterii fatti innanzi; i quali io non dico, che troppo sarebbe lungo. Andai a visitare colui che sapete: onde egli ricevette tanto conforto e consolazione, che si confessò, e disposesi molto bene. E fecemisi promettere per l'amore di Dio, che, quando fusse il tempo della giustizia, io fussi con lui. E così promisi, e feci. Poi la mattina innanzi la campana andai a lui; e ricevette grande consolazione. Menailo a udire la messa; e ricevette la santa Comunione, la quale mai più aveva ricevuta. Era quella volontà accordata e sottoposta alla volontà di Dio: e solo v'era rimasto uno timore di non essere forte in su quello punto. Ma la smisurata e affocata bontà di Dio lo ingannò, creandogli tanto affetto ed amore nel desiderio di Dio, che non sapeva stare senza lui, dicendo: «Sta meco, e non mi abandonare. E così non starò altro che bene; e muoio contento». E teneva il capo suo in sul petto mio. Io allora sentiva uno giubilo e uno odore del sangue suo; e non era senza l'odore del mio, il quale io desidero di spandere per lo dolce sposo Gesù. E crescendo il desiderio nell'anima mia, e sentendo il timore suo, dissi: «Confortati, fratello mio dolce; perocché tosto giungeremo alle nozze. Tu v'anderai bagnato nel sangue dolce del Figliuolo di Dio, col dolce nome di Gesù, il quale non voglio che t'esca mai dalla memoria. E io t'aspetto al luogo della giustizia». Or pensate, padre e figliuolo, che il cuore suo perdette allora ogni timore, e la faccia sua si trasmutò di tristizia in letizia; e godeva, esultava, e diceva: «Onde mi viene tanta grazia, che la dolcezza dell'anima mia m'aspetterà al luogo santo della giustizia?». Vedete che era giunto a tanto lume, che chiamava il luogo della giustìzia santo! E diceva: «Io anderò tutto gioioso e forte; e parammi mille anni che io ne venga, pensando che voi m'aspettiate ine». E diceva parole tanto dolci, che è da scoppiare, della bontà di Dio.

Aspettailo dunque al luogo della giustizia; e aspettai ivi con continua orazione e presenzia di Maria e di Catarina vergine e martire. Ma prima che io giugnessi a lei, io mi posi giù, e distesi il collo in sul ceppo; ma non vi venne, che io avessi pieno l'affetto di me. Ivi su, pregai, e costrinsi, e dissi: Maria! che io voleva questa grazia, che in su quello punto gli desse uno lume e una pace di cuore, e poi il vedessi tornare al fine suo. Empissi allora l'anima mia tanto, che, essendo ivi moltitudine del popolo, non poteva vedere creatura, per la dolce promessa fatta a me. Poi egli giunse, come uno agnello mansueto: e vedendomi, cominciò a ridere; e volse che io gli facesse il segno della croce. E ricevuto il segno, dissi io: «Giuso! alle nozze, fratello mio dolce! che tosto sarai alla vita durabile». Posesi giù con grande mansuetudine; e io gli distesi il collo, e chinami giù, e rammentàlli il sangue dell'Agnello. La bocca sua non diceva se non, Gesù, e, Catarina. E, così dicendo, ricevetti il capo nelle mani mie, fermando l'occhio nella divina bontà, e dicendo: «Io voglio».

Allora si vedeva Dio-e-Uomo, come si vedesse la chiarità del sole; e stava aperto, e riceveva il sangue; nel sangue suo uno fuoco di desiderio santo, dato e nascosto nell'anima sua per grazia; riceveva nel fuoco della divina sua carità. Poiché ebbe ricevuto il sangue e il desiderio suo, ed egli ricevette l'anima sua, la quale mise nella bottiga aperta del costato suo, pieno di misericordia; manifestando la prima Verità, che per sola grazia e misericordia egli il riceveva, e non per veruna altra operazione. O quanto era dolce e inestimabile a vedere la bontà di Dio! con quanta dolcezza e amore aspettava quella anima partita dal corpo! voltò l'occhio della misericordia verso di lei, quando venne a intrare dentro nel costato bagnato nel sangue suo, il quale valeva per lo sangue del Figliuolo di Dio. Così ricevuto da Dio per potenzia, (potente a poterlo fare); e il Figliuolo, sapienzia Verbo incarnato, gli donò, e fecegli participare, il crociato amore, col quale egli ricevette la penosa e obbrobriosa morte, per l'obedienzia che egli osservò del Padre in utilità dell'umana natura e generazione; e le mani dello Spirito Santo il serravano dentro.

Ma egli faceva uno atto dolce da trare mille cuori. E non me ne maraviglio; perocché già gustava la divina dolcezza. Volsesi come fa la sposa quando è giunta all'uscio dello sposo suo, che volge l'occhio e il capo a dietro, inchinando chi l'ha accompagnata, e con l'atto dimostra segni di ringraziamento. Riposto che fu, l'anima mia si riposò in pace e in quiete, in tanto odore di sangue, che io non potevo sostenere di levarmi il sangue, che mi era venuto addosso, di lui. Oimè misera miserabile! non voglio dire più. Rimasi nella terra con grandissima invidia. E parmi che la prima pietra sia già posta. E però non vi maravigliate, se io non v'impongo altro se non di vedervi annegati nel sangue e nel fuoco che versa il costato del Figliuolo di Dio. Or non più dunque negligenzia, figliuoli miei dolcissimi, poiché 'l sangue comincia a versare, e a ricevere la vita. Gesù dolce, Gesù amore.

A FRATE RAIMONDO DA CAPUA DELL'ORDINE DE' PREDICATORI [CCXCV]

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


Carissimo padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi servo e sposo fedele della verità, e a quella dolce Maria, acciocché mai non voltiamo il capo indietro per neuna cosa del mondo, né per tribolazioni che vi volesse dare; ma con una speranza ferma, col lume della santissima Fede, costante e perseverante passare questo mare tempestoso con ogni verità; e nel sostenere ci gloriamo, non cercando la gloria nostra: ma la gloria di Dio e la salute dell'anime, siccome facevano i gloriosi martiri, i quali per la verità si disponevano alla morte, e ad ogni tormento; onde col sangue loro, sparto per amore del Sangue, fondavano le mura della santa Chiesa. O sangue dolce, che resuscitavi i morti! Sangue, tu davi vita; tu dissolvevi le tenebre delle menti accecate dalle creature che hanno in loro ragione, e davi lume. Sangue dolce, tu univi i discordanti: tu vestivi li nudi di sangue: tu pascevi li affamati, e daviti in beveraggio a coloro che avevano, e hanno, sete del sangue; e col latte della dolcezza tua notricavi i parvoli, che sono fatti piccioli per vera umilità, e innocenti per vera purità. O sangue, e chi s'inebbria in te? gli amatori proprii di loro medesimi; perché non sentono l'odore tuo.

Adunque, carissimo e dolcissimo padre, spoglianci di noi e vestianci della verità; ed allora saremo sposi fedeli. Io vi dico che oggi voglio incominciare di nuovo, acciocché i miei peccati non mi ritraggano da tanto bene quanto egli è a dare la vita per Cristo crocifisso; perché io veggo, che per lo tempo passato, per lo mio difetto, io ne fui privata. Molto avevo desiderato d'uno desiderio nuovo, cresciuto in me oltre a ogni modo usitato, di sostenere senza colpa in onore di Dio, ed in salute delle anime, ed in reformazione e bene della santa Chiesa: tanto che il cuore si distillava per amore e desiderio che io avevo di ponere la vita. Questo desiderio stava beato e doloroso: beato stava per l'unione che si faceva nella verità; e doloroso stava per mia occupazione, che 'l cuore sentiva nell'offesa di Dio, e nella moltitudine delle dimonia che obumbravano tutta la città, offuscando l'occhio dell'intelletto delle creature. E quasi pareva che Dio lassasse fare, per una giustizia e divina disciplina. Onde la vita mia non si poteva dissolvere altro che in pianto, temendo del grande male che pareva che fusse per venire; e che per questo la pace non fosse impedita. Ma del grande male, Dio, che non dispregia il desiderio de' servi suoi, e quella dolce madre Maria il cui nome era invocato con penosi, dolorosi e amorosi desiderii, provide che, nel romore e nella grande mutazione che fu, non c'ebbe quasi diciamo di morte d'uomini, di fuore da quelli che fece la Giustizia. Sicché il desiderio che io avevo, che Dio usasse la providenzia sua, e tollesse la forza alle dimonia, che non facessero tanto male che esse erano disposte a fare, fu adempito; ma non fu adempito il desiderio mio di dare la vita per la verità e per la dolce Sposa di Cristo. Ma lo Sposo eterno mi fece una grande beffa: siccome Cristofano a bocca pienamente vi dirà. Onde io ho da piangere, perocché tanta è stata la moltitudine delle mie iniquitadi, che io non meritai che il sangue mio desse vita, né alluminasse le mentì accecate, né pacificasse il figliuolo col padre, né murasse una pietra col sangue mio nel corpo mistico della santa Chiesa. Anco, parve che fossero legate le mani di colui che voleva fare. E dicendo io: «Io son essa. Tolli me, e lassa stare questa famiglia» erano coltella che drittamente gli passavano il cuore. O babbo mio, sentite in voi ammirabile gaudio, perocché mai in me non provai simili misteri con tanto gaudio. Ine era la dolcezza della verità: ine era l'allegrezza della schietta e pura coscienzia: ine era l'odore della dolce providenzia di Dio: ine si gustava il tempo de' martiri novelli, siccome voi sapete, predetti dalla Verità eterna. La lingua non sarebbe sufficiente a narrare quanto è il bene che l'anima mia sente. Onde tanto mi pare essere obligata al mio Creatore, che se io dessi il corpo mio ad ardere, non mi pare di potere satisfare a tanta grazia quanta io e i diletti miei figliuoli e figliuole abbiamo ricevuta.

Tutto questo vi dico non perché pigliate amaritudine, ma perché sentiate ineffabile diletto, con suavissima allegrezza; e acciocché voi e io cominciamo a dolerci della mia imperfezione, perocché per lo mio peccato fu impedito tanto bene. Or quanto sarebbe stata beata l'anima mia, che per la dolce sposa, e per amore del sangue e per salute dell'anime, avessi dato il sangue! Or godiamo e siamo sposi fedeli.

Io non voglio dire più sopra questa materia; lasso questo e l'altre cose dire a Cristofano: solo questo voglio dire, che voi preghiate Cristo in terra, che per lo caso occorso non ritardi la pace, ma molto più spacciatamente la faccia, acciocché si possa fare poi li altri grandi fatti ch'egli ha a fare per l'onore di Dio e per la reformazione della santa Chiesa. Perocché per questo non è mutato stato; anco, per ora s'è pacificata la città, assai convenevolmente. Pregatelo che faccia tosto: e questo gli dimando per misericordia; perocché si levaranno infinite offese di Dio, le quali per questo si fanno. Ditegli, che abbia pietà e compassione a queste anime, che stanno in molta tenebra: e ditegli che mi tragga di pregione spacciatamente; perocché se la pace non si fa, non pare che io ci possa escire; e io vorrei poi venire costà a gustare il sangue de' martiri, e visitare la Santità sua, e ritrovarmi con voi a narrare gli ammirabili misteri che Dio in questo tempo ha adoperati con allegrezza di mente e con giocondità di cuore, e con accrescimento di speranza, col lume della santissima Fede. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

[1] Dall'ed. a cura di N. TOMMASEO, Firenze, Barbera, 1860, pp. 41-45, 242-251, 159-162, 231-236, 393-399, 5-12, 83-87.

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Ultimo aggiornamento: 10/12/06