|
|
Profili e materiali
Vito Fumagalli (1938-1997)
di Luigi Russo
© 2002 - Luigi
Russo per "Reti Medievali"
Nato a Bardi (Parma),
Vito Fumagalli compie i suoi studi prima presso il Seminario della
vicina Bedonia e poi nel collegio vescovile di Pontremoli (Massa Carrara).
Nel 1957 vince il concorso per un posto da alunno presso la Scuola
Normale Superiore e si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università di Pisa. Inizialmente interessato all'italianistica,
sceglie ben presto di dedicarsi alla storia medievale: in quegli anni
viene così a contatto con storici di alta levatura come Arsenio
Frugoni, Cinzio Violante, Giovanni Miccoli e Ottorino Bertolini
(sugli anni pisani vedi la testimonianza di
Stussi 1999). Con quest'ultimo discute nell'ottobre del 1961 la
tesi su Geraldo d'Aurillac, poi parzialmente ripresa nel suo primo
lavoro a stampa (Fumagalli 1964).
Tra il 1966 e il 1970 pubblica alcuni saggi sulla distrettuazione
minore in età carolingia, sul sistema curtense, i rapporti
coloni-signori, le prestazioni d'opera e le rese agricole (poi confluiti
in versione rielaborata in Fumagalli 1978a), tutti lavori accomunati
dalla costante attenzione "di appurare le condizioni di vita
dei coltivatori dipendenti nell'alto Medioevo" (Fumagalli 1978a,
p. 15), attraverso la documentazione altomedievale italiana che -
pur tra numerose lacune - forniva allo studioso un vasto ambito di
ricerca. Dopo tre anni di ricerca presso l'Istituto Storico Germanico
di Roma allora diretto da Gerd Tellenbach (la cui influenza è
riconosciuta in Fumagalli 1995a, p. 56), e un anno di assistentato
volontario presso l'Università di Macerata sotto la guida di
Nicola Cilento (Fumagalli 1990b, p. 15), giunge nell'anno accademico
1970-1971 alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università
di Bologna succedendo a Girolamo Arnaldi. Dal 1976 è professore
Straordinario e tre anni dopo Ordinario, sempre presso l'Ateneo bolognese.
Nel 1994, poco dopo aver assunto la carica di Direttore del Dipartimento
di Paleografia e Medievistica dell'Università di Bologna, si
presenta da indipendente per i Cristiano-sociali nelle liste del centro-sinistra
ed è eletto deputato. Per due anni si impegna nella Commissione
Cultura della Camera, coerentemente con i suoi interessi di studioso
appassionato (Montanari 1997, p. 180; Vasina 1997, p. 25; Bonacini
1999, p. 98; Stussi 1999, p. 297), esperienza cui dedicò le
ultime energie fino al termine della XII legislatura nel 1996.
Frutto
degli anni di lavoro all'Istituto Storico Germanico di Roma è
il lavoro su Adalberto-Atto e la nascita della dinastia dei Canossa,
argomento per il quale l'interesse non verrà mai meno, come
testimoniato anche da uno dei suoi ultimi lavori dedicato a Matilde
di Canossa (Fumagalli 1996). Negli anni Settanta approfondisce il
lavoro di scavo su quello che sarà un filo costante della sua
ricerca storiografica, il paesaggio, l'ambiente in cui vivono e operano
gli uomini, siano essi umili o potenti, chierici o laici (Montanari
1999, pp. 5-6), in linea con una "via italiana" propria
della nostra storiografia, come più volte riconosciuto dallo
stesso studioso (Fumagalli 1995a, pp. 77-78 e 99-100) seppur rimanga
sempre alieno da un ambientalismo di maniera. Peculiare è poi
l'interesse per i personaggi di confine, sovente di umile condizione
e in situazioni instabili e irrequiete, soprattutto se appartenenti
a quell'Alto Medioevo in cui Fumagalli si muove con maggiore continuitàe
interesse (Montanari 1997,
pp. 178-179; Andreolli 2002,
p. 214): significativo al riguardo è il primo capitolo di Terra
e società nell'Italia padana. I secoli IX e X (Fumagalli
1974), dedicato a uomini e terra, in cui l'attenzione è per
quei rustici e servi appartenenti "ai gradini più bassi
della scala sociale" che vivono in stretta vicinanza con la natura
e sono strettamente imbricati con essa al punto che i loro nomi risultano
presi in prestito dal mondo animale (Fumagalli 1974, pp. 11-12). Una
ventina d'anni dopo, guardando retrospettivamente alla propria maturazione
storiografica, lo studioso confessava la crescente "predilezione"
per i perdenti, per tutti coloro i quali si erano opposti al corso
vincente della Storia, contadini, monaci, nobili, borghesi e persino
santi - personaggi ai quali avrebbe peraltro dedicato uno degli ultimi
lavori, significativamente intitolato Uomini contro la storia (Fumagalli
1995c, p. 11).
Il 1978 vede la pubblicazione de Il Regno italico (Fumagalli
1978b), secondo volume della Storia d'Italia diretta da Giuseppe Galasso:
si tratta di una tappa cruciale del percorso di maturazione di Fumagalli
che presenta al grande pubblico un'innovativa sintesi di trecento
pagine sull'età che va dal 774 al 1024, periodo allora poco
frequentato dalla storiografia italiana. Con il suo stile chiaro ed
evocativo lo studioso presenta le vicende istituzionali dei re d'Italia
affianco a quelle degli oscuri colonizzatori delle terre incolte e
delle classi subalterne dalle sorti sempre più precarie, tutti
immersi in un paesaggio vegetale che diventa protagonista nelle sue
pagine, come nel caso dell'olmo e della quercia (Fumagalli 1978b,
pp. 57-59 e 83-84).
Del 1984 è la sua nomina a consigliere del Centro Italiano
di Studi sull'Alto Medioevo, luogo in cui proprio a partire dagli
inizi degli anni Ottanta aveva iniziato a presentare alcuni importanti
contributi sulle modificazioni istituzionali nell'Italia carolingia,
il paesaggio agricolo e la conquista di nuove terre, le formule giudiziarie
nella documentazione altomedievale (Fumagalli 1981; 1985; 1990c; 1991;
1995b).
Tra il 1987 e il 1993 pubblica per i tipi de Il Mulino una fortunata
serie di libri espressamente rivolti ai non specialisti dell'epoca
medievale, anzi a "chiunque voglia accostarsi a quell'epoca interrogandosi
sull'uomo, sulle sue aspirazioni, la sua forza, le sue debolezze"
(Fumagalli 1987, pp. 5-6), in seguito raccolti in un unico volume
(Fumagalli 1994) e destinati a essere apprezzati e tradotti in tutta
Europa. Nelle pagine lo sforzo dello studioso è tutto rivolto
a presentare una ricostruzione del 'clima' di un'epoca: tornano dunque
i personaggi e soprattutto quei paesaggi della pianura padana tanto
amati.
Una delle cifre che ha maggiormente caratterizzato il percorso storiografico
del Fumagalli è stata la capacità di studiare e valorizzare
una documentazione molto eterogenea che va dai testi agiografici agli
atti privati, nella costante convinzione che compito dello storico
fosse quello di avvicinarsi al passato, auscultarlo, senza per questo
poter ammettere di conoscerlo fino in fondo, espressione concreta
di una storiografia aperta, continuamente pronta a verifiche e ripensamenti
e venata da un'acuta sensibilità per il dubbio (Capitani 1997,
p. 1009), in linea del resto con l'insegnamento più fecondo
di Arsenio Frugoni. Sotto questo
punto di vista la redazione della voce Fonti storiche per il
Grande Dizionario Enciclopedico Utet (poi ripubblicata in Fumagalli
1995a, pp. 5-19) rappresenta la sua riflessione più matura
e compiuta sul lavoro e la metodologia dello storico.
Tra le iniziative di Fumagalli ricordiamo l'istituzione nel 1983 con
Massimo Montanari della Biblioteca di Storia Agraria Medievale,
collana unica nel panorama italiano e ancora oggi punto di riferimento
per gli studiosi con gli oltre venti volumi editi. Al suo interno
sono stati pubblicati alcuni dei lavori più fecondi del settore,
come le ricerche di Bruno Andreolli sulla contrattualistica agraria,
i contributi di Pierpaolo Bonacini sulle distrettuazioni pubbliche
di età carolingia, i lavori di Alfio Cortonesi su tecniche
e colture della Tuscia medievale, quelli di Gianfranco Pasquali sulla
bassa pianura ravennate-ferrarese, nonché le miscellanee su
prestazioni d'opera e aree boschive.
Una spia eloquente dell'ampiezza degli interessi dello studioso è
data dalle tesi discusse sotto la sua guida negli anni di magistero
bolognese (per un elenco delle quali si rimanda all'Appendice
alla raccolta Per Vito Fumagalli. Terra, uomini, istituzioni medievali,
a cura di M. Montanari e A. Vasina, Bologna 2000, pp. 559-567): i
temi spaziano dall'organizzazione dei possessi fondiari allo sfruttamento
dell'incolto, da aspetti della religiosità popolare allo studio
delle comunità locali. Del resto lo spessore del suo insegnamento
è confermato dagli stessi allievi e laureandi che negli anni
Settanta affollavano le sue lezioni e che da lui apprendevano la difficile
arte di "capire e interpretare gli strumenti prìncipi
della ricerca" (Serrazanetti 1997, p. 197).
|