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Discussioni

V Workshop nazionale
“Medioevo e didattica”

Brescia, Università Cattolica del Sacro Cuore
15 aprile 2005


Silvana Anna Bianchi – Gian Maria Varanini

L’insegnamento della storia medievale nella scuola italiana: attualità e futuro. Cosa cambia con la riforma Moratti nel primo (e nel secondo) ciclo? [1]

Come sappiamo, in attuazione della Legge 53 del 2003 che ha ridefinito le norme nazionali sull’istruzione, per la scuola del primo ciclo sono state pubblicate integralmente le nuove Indicazioni concernenti i programmi di tutte le discipline [2]; per la scuola del secondo ciclo, o superiore, si dispone soltanto di alcune proposte di massima.

Questo intervento introduttivo ha lo scopo di fornire lo sfondo normativo di riferimento per quanto si andrà poi a discutere nella tavola rotonda. In essa una serie di studiosi si confronterà su quelli che convenzionalmente definiamo “saperi minimi”, cioè i concetti di base individuati non soltanto in sé, quanto – e forse soprattutto – in funzione dell’uso didattico concreto. Al riguardo pare utile fin d’ora mettere in campo due precisazioni.

La prima si riferisce ai tempi-scuola: tutte le nostre riflessioni odierne hanno senso, infatti, in ragione della programmazione delle circa 60 ore di lezione che in media ogni anno scolastico può contenere. Due ore alla settimana: in questo monte ore si deve perseguire da un lato l’obiettivo della formazione comune per tutti gli allievi di una stessa classe in tutta Italia (e presto ci sarà una esigenza di armonizzazione europea), e dall’altro lato, un programma differenziato in base ai diversi contesti. Sappiamo infatti che, in seguito all’applicazione delle norme sull’autonomia scolastica [3] e ai sensi della legge costituzionale che ha attribuito più ampie competenze alle regioni in materia d’istruzione [4], potranno esserci interventi diversi e aggiuntivi rispetto alle indicazioni nazionali fornite dal Ministero. Sappiamo anche, però, che un insegnamento della storia che voglia essere efficace e formativo richiede tempi adeguati per l’apprendimento.

La seconda precisazione deriva dal fatto che, nel discutere dei “saperi minimi” bisognerà commisurare le tematiche non semplicemente a quanto gli storici medievisti considerano irrinunciabile iuxta propria principia – magari anche con contrasti tra chi ritiene essenziali i temi storico-economici piuttosto che quelli storico-istituzionali –, ma piuttosto alla fecondità educativa che tali tematiche possono avere nella prospettiva della crescita dell’alunno. L’intera storia medievale dovrà misurarsi sul percorso complessivo, accettando il criterio inevitabile della selezione quantitativo-qualitativa proporzionata al progetto educativo nel suo insieme.

Una necessaria esigenza – e, come vedremo, anche la prima indicazione che viene da uno sguardo retrospettivo che tenti di ricollocare rapidamente le indicazioni più recenti sullo sfondo di una tormentata evoluzione, fatta di continui inevitabili adeguamenti alle diverse congiunture politico-culturali – è quella di evitare quelle contrapposizioni e quei soprassalti di corporativismo disciplinare che anche recentemente si sono manifestati nel dibattito pubblico in Italia. Restano assai ampi i margini di operatività nei quali ricollocare curricula e progetti didattici che selezionino ragionatamente temi e problemi in funzione del giusto equilibrio fra restituzione della complessità del contesto storico ed efficacia didattica. Se oggi sono presenti tanti docenti che a vario titolo operano nelle Scuole di specializzazione per la formazione degli insegnanti è perché proprio l’esperienza delle SSIS, pur con tutti i suoi difetti, ha reso possibile un terreno di confronto su questi argomenti e ha ampliato i canali di dialogo fra una parte almeno della ricerca universitaria e il mondo della scuola.

Data l’incertezza attuale circa il futuro assetto del secondo ciclo di istruzione, in questo intervento di apertura e in molti di quelli che seguiranno, ci occuperemo prevalentemente della scuola primaria e della secondaria di primo grado, vale a dire la fascia “forte” dell’obbligo, alla quale vengono da sempre rivolte domande specifiche di formazione su quelli che sono considerati gli aspetti fondamentali del sapere. La secondaria di secondo grado, per la quale è stato reso noto a tutt’oggi solo uno schema di decreto legislativo sulla configurazione generale degli ordinamenti con ipotesi di quadri orari, resterà comunque il nostro costante orizzonte di riferimento.

I programmi emanati dal Ministero hanno sempre avuto il compito di perimetrare i confini riservati alle diverse aree disciplinari e di fornire agli insegnanti una bussola di riferimento di tipo metodologico. Ciascuno di essi riflette gli orientamenti politico-culturali del suo tempo e la loro stratificazione aiuta a capire da dove proviene la storia studiata a scuola oggi. Per questo crediamo che uno sguardo retrospettivo, volto a individuare i passaggi fondamentali che hanno scandito dal punto di vista normativo l’insegnamento della storia (e di quella medievale in particolare), possa arricchire la comprensione dei problemi in una fase di cambiamento come quella che stiamo attraversando. Per capire – e discutere – il nuovo, è utile ovviamente sapere da quale retroterra esso nasce e si alimenta.

Tratteremo in modo distinto i programmi della scuola elementare e della scuola secondaria, iniziando dalla prima.

I programmi di storia nella scuola primaria

Programmi del 1945 [5]

Firmati dal ministro Ruiz e preparati da un gruppo di lavoro coordinato dal pedagogista americano C. Washburne della Commissione Alleata di Controllo, questi programmi assegnano alla scuola la funzione di contribuire alla ripresa civile dopo il fascismo e la guerra. Si dichiara infatti in apertura che sono sorti dalla necessità, vivamente sentita, di mettere la scuola elementare italiana nelle condizioni più favorevoli perchè possa contribuire alla rinascita della vita nazionale, assumendo la sua parte di responsabilità nell’educazione della fanciullezza.

Chiaro ed esplicito è l’obiettivo di una scuola rinnovata, tesa a combattere sia l’analfabetismo strumentale sia l’analfabetismo spirituale che si manifesta come immaturità civile, impreparazione alla vita politica, empirismo nel campo del lavoro, insensibilità verso i problemi sociali in genere. Essa ha il compito di combattere anche questa grave forma d’ignoranza, educando nel fanciullo l’uomo e il cittadino. Nella nuova scuola elementare italiana dovranno dominare un vivo sentimento di fraternità umana che superi l’angusto limite dei nazionalismi, una serena volontà di lavorare e di servire il Paese con onestà di propositi. A ciò tendono i nuovi programmi con una chiara visione dei problemi etici, che trova sviluppo in ciascuna delle materie di studio, ma specialmente nella religione, nell’educazione morale, civile e fisica, nel lavoro, nella storia e geografia.

Come si vede, storia è assunta fin dall’inizio tra le discipline cardine nella formazione dell’alunno, insieme a geografia, entrambe ricordate nel gruppo di materie per le quali «non si assegnano voti nelle prime due classi».

La necessità di un’intima connessione tra l’insegnamento della storia e quello della geografia deriva, più che da un semplice e ormai riconosciuto legame di interdipendenza delle due discipline, da una loro profonda concomitanza di fini in rapporto alla vita civile e sociale. Infatti sia la storia che la geografia – quando la prima non si risolva in una cronologia di guerre e di vicende dinastiche, e la seconda in un’arida nomenclatura – mirano a seguire e a spiegare il cammino della civiltà, considerando la terra come la sede dell’uomo.

Proprio nelle indicazioni relative all’insegnamento della storia si avvertono evidenti ripercussioni del contesto politico nel quale questi programmi nascono e che la disciplina riflette in modo lampante. Si sente infatti la necessità di ribadire che riuscirà tuttavia vano ogni sforzo per liberare l’insegnamento della storia dal suo groviglio di guerre e di tirannie, di rivalità dinastiche e di sterili combinazioni politiche, se non supereremo, una volta per sempre, la passione nazionalistica che nel recente passato riuscì a sviare anche la geografia dall’obiettiva valutazione delle forze economiche mondiali con la concezione delle utopie autarchiche. L’insegnamento della storia e della geografia dovrà finalmente diventare un insegnamento morale dopo la tragica esperienza sofferta dall’umanità. Si esalti l’eroismo di coloro che nel corso dei secoli lottarono per la libertà; si illustri la vita dei santi e missionari che fecero opera di civiltà e alleviarono sofferenze, dolori, miserie; si narrino suggestivamente le vicende degli esploratori e degli scienziati che più contribuirono al progresso umano; si descriva l’opera di quanti spesero la vita per conquistare la terra alle forze del lavoro; si susciti l’ammirazione per gli artisti che dettero al lavoro il crisma della bellezza; si riviva, in una parola, la vera, autentica storia della civiltà per giungere a una visione chiara delle attuali condizioni dell’Italia e del mondo.

Tale apertura alla dimensione mondiale, nel superamento dell’ottica nazionalistica che aveva caratterizzato i programmi di storia della scuola sotto il fascismo, appare evidente da frequenti precisazioni come questa: accanto al millenario primato di civiltà dell’Italia esiste un limite entro cui le costruttive forze nazionali debbono agire in armonia sempre con quelle politiche ed economiche mondiali.

I primi programmi del dopoguerra indicano dunque come compito della scuola elementare quello di educare in modo nuovo l’uomo e il cittadino di domani.

Le materie sono distribuite in 5 classi: prima e seconda costituiscono il corso inferiore; terza, quarta e quinta quello superiore. Il programma di storia appare particolarmente ricco e talvolta perfino sovrabbondante; ne ha coscienza lo stesso legislatore al punto che ritiene necessario precisare che il programma di storia delle prime tre classi richiede una speciale interpretazione. Preso alla lettera potrebbe apparire difficoltoso e vasto, ma in effetti così non è se si tiene ben presente che con esso non si mira a dare minute informazioni storiche, non adatte del resto a bambini di sei o sette anni, ma a vivificare con appropriate immagini, ritratte principalmente da illustrazioni, narrazioni, letture e conversazioni, alcune tra le più importanti tappe della civiltà umana dai più remoti tempi ai giorni nostri … Per la quarta classe, il cui programma comprende il Cristianesimo, il Medio Evo e il Rinascimento, l’insegnante dovrà limitarsi ad alcuni motivi essenziali, quali le origini e la diffusione del Cristianesimo, le dominazioni barbariche, il monachesimo, la vita e i costumi feudali, le Crociate, i Comuni, le repubbliche marinare, ecc. senza pretendere una vera e propria concatenazione degli avvenimenti politici di quei travagliatissimi secoli.

Per ciascuna classe le indicazioni relative alla storia sono date insieme a quelle per la geografia, cercando agganci e collegamenti, e privilegiando le attività pratiche rispetto al racconto, soprattutto nei primi due anni: il maestro dovrà costantemente esaminare i fatti storici nella loro intima connessione con quelli geografici, illustrando al fanciullo, sia pure in forma intuitiva elementarissima, i rapporti del mondo umano con quello naturale.

Come si vede, quella dei programmi del 1945 è una proposta didattica rinnovata secondo le indicazioni dell’attivismo (Washburne era un pedagogista di orientamento deweyano), che apre nuove prospettive anche nella tematizzazione dei contenuti storici. A tal fine il maestro è chiamato a rinnovare la propria preparazione storico-geografica … condizione necessaria questa perché l’insegnamento risulti attraente, vivo e veramente efficace per l’educazione morale e civile.

Le indicazioni pertinenti al medioevo sono date per ampi blocchi tematici, incardinati attorno a una triplice concettualizzazione che corrisponde anche ad una successione cronologica tra tarda antichità, medioevo e prodromi della modernità («Cristianesimo», appunto «Medio Evo», e «Rinascimento»). Tale concettualizzazione si articola poi in tematiche corrispondenti agli stereotipi del tempo, da proporre senza alcun privilegio per la dimensione della storia politica.

Programmi del 1955 [6]

Firmati dal ministro Ermini, sono conosciuti come «i programmi dell’attivismo cattolico» per il loro orientamento spesso definito tout court “confessionale”, associato ad un forte liberalismo educativo, e presentano l’immagine di una scuola che si richiama in primo luogo alla tradizione umanistica e cristiana.

La Premessa esplicita come le finalità abbiano carattere dichiaratamente normativo. Esse infatti prescrivono il grado di preparazione che l’alunno deve raggiungere: ciò per assicurare alla totalità dei cittadini quella formazione basilare della intelligenza e del carattere che è condizione per una effettiva e consapevole partecipazione alla vita della società e dello Stato.

Il testo disegna l’articolazione della scuola elementare in due segmenti [7]: il primo (classi prima e seconda) è senza discipline, mentre nel secondo (classi terza-quarta-quinta) è previsto un allargamento delle esperienze dell’alunno mediante attività da cui scaturiscono le diverse materie. Tale scelta è motivata con la necessità di rispettare le fasi dello sviluppo dell’alunno e di facilitare l’insegnamento individualizzato. Si nota in effetti un evidente alleggerimento delle nozioni rispetto ai programmi precedenti.

La storia compare solo nel secondo ciclo, ma nel primo già se ne pongono le premesse attraverso attività di osservazione ed esplorazione dell’ambiente, con queste puntualizzazioni: l’esplorazione dell’ambiente non abbia carattere nozionistico, ma muova dall’interesse occasionale spontaneo del fanciullo per sollecitarlo e guidarlo alla diretta osservazione del mondo circostante, nei suoi due inseparabili aspetti di tempo e di luogo.
Si dia modo perciò all’alunno di formarsi un’idea intuitiva della successione delle generazioni (coetanei, giovani, adulti, vecchi) tra le persone di sua conoscenza, delle divisioni dell’anno (ricorrenze religiose, civili ecc.), dei mutamenti e delle trasformazioni delle cose (vicende delle stagioni e suoi riflessi sulle coltivazioni e sul lavoro umano; materie e strumenti di lavoro, mezzi di trasporto, servizi pubblici ecc.). Si utilizzino le escursioni nei dintorni, si incoraggino raccolte e collezioni.

A partire dal terzo anno, nell’unitarietà del sapere di base si cominciano a distinguere le materie d’insegnamento e storia risulta abbinata a geografia e scienze: si tratta di una associazione inconsueta, che unisce l’ambito sociale a quello fisico-naturalistico, e che è motivata proprio dal centrale riferimento alla conoscenza dell’ambiente.
Sarà soprattutto l’ambiente con le sue molteplici occasioni di interesse storico, geografico, scientifico ad offrire all’alunno più ampia ed esatta conoscenza del mondo … Oggetto della ricognizione, sempre episodica, dell’ambiente, non saranno soltanto gli elementi naturali del paesaggio, ma anche e soprattutto le opere con le quali gli uomini lo hanno modificato e incessantemente lo modificano per adeguare sempre più il loro ambiente ai bisogni dell’individuo, della famiglia, della comunità. Il motivo coordinatore sia sempre quello di dare particolare rilievo alle difficoltà superate dagli uomini nel lavoro e nelle arti, nelle scienze, nelle invenzioni e scoperte, negli ordinamenti civili, nelle opere di fraternità umana.

I programmi non fissano periodizzazioni annuali per i temi storici, ma forniscono solo una definizione unitaria di contenuti per tutto il ciclo, estremamente sintetica e non tematizzata.

L’apprendimento della storia non deve tendere alla sistematicità sotto forma di ripartizione cronologica, ma deve soprattutto proporsi la caratterizzazione di grandi figure dell’umanità e di momenti rappresentativi di un’epoca (per l’antica Roma, per l’affermarsi del Cristianesimo, per la vita e i costumi del Medio Evo e del Rinascimento, per le grandi scoperte e invenzioni che introducono all’età moderna, fino a dare un maggior risalto al Risorgimento nazionale, nell’ultimo anno del ciclo). L’insegnante ispirerà la sua azione didattica all’esigenza di far quasi rivivere il passato collegandolo in forma intuitiva al presente.

Si tratta di indicazioni piuttosto generiche, che escludono ogni sistematicità della conoscenza storica, per la quale non viene ritenuto essenziale un solido impianto cronologico; viceversa si enfatizzano l’episodicità dell’apprendimento e il carattere intuitivo del legame col presente, fattori che rischiano di indebolire i tratti qualificanti della disciplina.

Programmi del 1985 [8]

Nei tre decenni successivi al 1955 molti cambiamenti investono il mondo della scuola. In particolare viene modificato il quadro complessivo di riferimento su cui si colloca il quinquennio di istruzione elementare in seguito all’istituzione della scuola media unica nel 1962 [9] e all’avvio della scuola materna statale nel 1968 [10], innovazioni strutturali che pongono l’esigenza di un raccordo in entrata e in uscita. Altri provvedimenti quali l’istituzione del “tempo pieno” nel 1971 [11], che evidenzia sia la necessità di un allargamento di prospettiva sia l’impossibilità di continuare ad affidare la gestione della classe ad un unico insegnante, e l’introduzione della programmazione didattico-educativa[12], mostrano come la “scuola reale” sia ormai dissonante rispetto ai programmi che la governano, che risultano “indietro” rispetto a molte pratiche diffuse.

Firmati dal ministro Falcucci, dopo un lungo periodo di elaborazione da parte di una commissione (che dal nome del suo secondo presidente è nota come “commissione Fassino”), i nuovi programmi del 1985 indicano come compito primario della scuola elementare, accanto all’educazione alla convivenza democratica, la “promozione della prima alfabetizzazione culturale”, il che implica l’acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio e un primo livello di padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle modalità di indagine essenziali alla comprensione del mondo umano.

Il percorso scolastico coinvolge tutte le materie in un itinerario formativo che va da una impostazione iniziale pre-disciplinare all’emergere progressivo di ambiti differenziati. La centralità attribuita ai processi di conoscenza, via via declinati nelle rispettive connotazioni scientifico-disciplinari, fa sì che la storia non compaia come materia singola, ma si abbiano tre campi di apprendimento riuniti in una sola “area” comprendente storia – geografia – studi sociali (presenti in tutto il quinquennio). Loro oggetto comune è lo studio degli uomini e delle società umane nel tempo e nello spazio, nel passato e nel presente e riguarda tutte le loro diverse dimensioni: quella civile, culturale, economica, sociale, politica, religiosa. L’insegnante nell’impostare il suo insegnamento non potrà prescindere dalla conoscenza delle metodologie e tecniche di analisi proprie dell’intero campo delle scienze sociali: storiche, antropologiche, geografiche, sociologiche, economiche ecc.

Sono affermazioni che mostrano l’influenza delle riflessioni nate intorno alla scuola francese delle «Annales», come si evince anche dal ridimensionamento della classica storia evenemenziale: un efficace insegnamento della storia non si risolve nella informazione su avvenimenti e personaggi del passato. È anzitutto promozione delle capacità di ricostruzione dell’immagine del passato muovendo dal presente e di individuazione delle connessioni fra passato e presente.

L’insegnamento deve essere finalizzato alla costruzione della identità culturale dell’alunno, pensata in primo luogo come «presa di coscienza della realtà in cui vive» e deve fornirgli strumenti che lo mettano in grado di comprendere i fenomeni sociali.

Nelle indicazioni didattiche è infatti apertamente dichiarata l’opportunità di far partire il processo di apprendimento-insegnamento da domande motivate rivolte al passato, ma nate dalla riflessione sul presente. La dimensione problematizzante appare fortemente sentita e viene collegata alla necessità di un corretto approccio al metodo storico: la didattica della storia dovrà avvalersi, per quanto lo consente l’età e la concreta situazione scolastica, delle modalità di conoscenza storiografica, recuperandone gli itinerari fondamentali: dalla formulazione di domande al reperimento di fonti pertinenti, all’analisi e discussione della documentazione, al confronto critico fra le diverse risposte. Nel sottolineare che la storia prima di essere narrazione dei fatti è loro ricostruzione sulla base di documenti, sarà necessario procedere con molta gradualità.

Particolare importanza viene attribuita proprio alla maturazione progressiva della consapevolezza che la ricostruzione dei fatti storici è frutto di ricerche che seguono procedure specifiche, nella convinzione che ogni giudizio e ogni discorso storico devono avere la loro fondazione nella ricerca e nella conoscenza delle fonti e nel rigore metodologico; la graduale maturazione della coscienza che la ricostruzione del fatto storico è il risultato di un complesso di operazioni tecniche e scientifiche progredenti nel tempo ed attivate dagli interessi culturali e civili del ricercatore.

Sul versante delle operazioni temporali, rispetto alla vaghezza cronologica dei programmi precedenti si fa un evidente passo in avanti. Forte è il risalto dato al concetto di tempo storico, con puntualizzazioni che riguardano sia la cronologia sia la periodizzazione.

Della complessa concezione del tempo storico sembra opportuno, in relazione alle esperienze dell’età infantile, introdurre alcuni aspetti fondamentali: la cronologia, intesa quale strumento convenzionale indispensabile per ordinare e memorizzare gli eventi del passato; la periodizzazione, intesa quale strumento per delimitare e interpretare i fenomeni storici complessivi; la crescente consapevolezza che i problemi con i quali l’uomo si è dovuto confrontare si sono presentati in modi diversi ed hanno avuto soluzioni diverse in rapporto alle condizioni generali, ovvero ai “quadri di civiltà” che hanno caratterizzato i vari periodo della storia umana.

Questi quadri di civiltà rappresentano gli sfondi generali per elaborare progressivamente una conoscenza del passato che tenga conto sia della descrizione dei modi di vita, sia dei diversi processi di trasformazione; attraverso tali quadri si verrà costruendo un sistema di saperi cronologicamente corretto.

Dal punto di vista dei contenuti e della loro scansione, non si danno indicatori precisi. All’inizio sono previste attività spazio-temporali legate alle esperienze degli alunni, poi – a partire dal terzo anno – si propone uno studio che progressivamente porti il fanciullo dalla interpretazione della storia del suo ambiente di vita alla storia dell’umanità e, in particolare, alla storia del nostro Paese. Tale studio porrà particolare attenzione ai momenti di promozione e trasformazione delle civiltà, colti nel tessuto di una periodizzazione essenziale. In seno a queste periodizzazioni si fisseranno cronologicamente i più rilevanti momenti civili, sociali, politici, religiosi di cui sono stati protagonisti i popoli, personalità e forme di organizzazione sociale, che nel tempo hanno contraddistinto l’evolversi della società umana.

Come si vede, a fronte di dettagliate indicazioni di tipo metodologico-didattico, manca per i contenuti qualsiasi cesura cronologica per dividere i temi dei diversi anni, né si danno tematizzazioni precise: la scelta è lasciata all’attività progettuale dell’insegnante in un quadro cronologico a maglie larghe. A distanza di trent’anni dalla precedente formulazione, lo “svuotamento contenutistico” e l’assenza di riferimenti precisi a figure uomini e fatti, ancora evidenti nei programmi del 1955, appaiono ormai largamente prevalenti.

Sono, per la prima volta, programmi che considerano i contenuti disciplinari non solo come conoscenze ma prima di tutto come metodologie di indagine strettamente collegate all’organizzazione concettuale del bambino che impara. La dimensione della ricerca è evidentissima –  mentre mancano quelle finalità etico-politiche che avevano condizionato e quasi soffocato i testi ministeriali precedenti – nella consapevolezza che la storia è prima di tutto ricostruzione e che la narrazione non può essere la forma totalizzante di espressione; anzi, se viene utilizzata come momento iniziale del percorso, rischia addirittura di ostacolare tutte le diverse operazioni didattiche.

Un ulteriore cambiamento nella struttura interna della scuola elementare viene introdotto nel 1990 con l’ordinamento per “moduli” [13]: si tratta di un’innovazione che implica una diversa organizzazione didattica, ponendo fine al rapporto 1 a 1 (un insegnante per una classe) e aprendo la strada a collaborazioni collegiali e pluridisciplinari in cui gruppi di insegnanti lavorano per gruppi di classi su gruppi di discipline (il modulo standard diventa quello di tre docenti su due classi). Nella formazione degli ambiti di riferimento [14] la storia rimane collegata a geografia e studi sociali con una soglia minima settimanale di 3 ore.

Altri cambiamenti presenti nella “scuola reale” e piuttosto lentamente recepiti dalla normativa investono poi il problema dell’integrazione degli alunni stranieri. La trasformazione in senso multiculturale della società – e dunque della scuola – italiana impone correzioni di rotta che chiamano direttamente in causa la storia; lo ricordano frequentamente le circolari ministeriali, come questa del 1994 che recita l’insegnamento della storia deve riconoscere gli apporti e i valori autonomi delle diverse culture e liberarsi da rigide impostazioni a carattere etnocentrico o eurocentrico, per un’analisi obiettiva dei momenti di incontro e di scontro tra popoli e civiltà [15].

Indicazioni nazionali del 2004

Dopo vari tentativi di riforma avviati durante i ministeri Berlinguer – De Mauro (dei quali parleremo più diffusamente dopo, trattando della scuola secondaria di primo grado), un nuovo contesto viene creato dalla riforma Moratti con la legge 53 del 28 marzo 2003 che definisce il nuovo sistema educativo di istruzione e formazione articolato in tre fasce: la scuola dell’infanzia, il primo ciclo di istruzione (composto da scuola primaria di 5 anni e scuola secondaria di primo grado di 3 anni) e il secondo ciclo di istruzione e formazione (biforcato nel sistema dei licei e dell’istruzione-formazione professionale).

SCUOLA DELL’INFANZIA
PRIMO CICLO SCUOLA PRIMARIA

+

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO
5 ANNI
(1 + 2 + 2)


3 ANNI
(2 + 1 )
ESAME DI STATO FINALE
SECONDO
CICLO

 

La scuola primaria, come si vede, è inserita nel primo ciclo di istruzione ed è articolata in un primo anno volto al raggiungimento della strumentalità di base e in due periodi biennali. Non si danno più Programmi, ma, nell’ottica dell’autonomia, solo Indicazioni Nazionali, analogamente a quanto troveremo per la scuola secondaria di primo grado.

Gli obiettivi specifici di apprendimento sono divisi per discipline (più l’Educazione alla convivenza civile) e articolati in conoscenze e abilità che, attraverso l’organizzazione di attività educative e didattiche unitarie, diventano competenze personali dell’alunno. L’organizzazione di conoscenze e abilità è suddivisa verticalmente in tre blocchi, che rispecchiano l’articolazione in classe prima, primo biennio e secondo biennio i cui obiettivi nel primo anno e nel primo biennio vanno sempre esperiti a partire da problemi ed attività ricavati dall’esperienza diretta dei fanciulli … Nel secondo biennio … è possibile cominciare a coniugare senso globale dell’esperienza personale e rigore del singolo punto di vista disciplinare.

Per quanto concerne l’ambito storico, se per il primo anno si danno indicazioni di massima relative alle conoscenze di successione e contemporaneità delle azioni, concetti di durata e ciclicità dei fenomeni, per il primo biennio (classi 2 e 3) abbiamo

Conoscenze Abilità
  • Indicatori temporali
  • Rapporti di causalità tra fatti e situazioni
  • Trasformazioni di uomini, oggetti, ambienti connesse al trascorrere del tempo
  • Concetto di periodizzazione
  • Testimonianze di eventi, momenti, figure significative presenti nel proprio territorio e caratterizzanti la storia locale
  • La terra prima dell’uomo e le esperienze umane preistoriche: la comparsa dell’uomo, i cacciatori delle epoche glaciali, la rivoluzione neolitica e l’agricoltura, lo sviluppo dell’artigianato e i primi commerci
  • Passaggio dall’uomo preistorico all’uomo storico nelle civiltà antiche
  • Miti e leggende delle origini
  • Applicare in modo appropriato gli indicatori temporali, anche in successione
  • Utilizzare l’orologio nelle sue funzioni
  • Riordinare gli eventi in successione logica e analizzare situazioni di concomitanza spaziale e di contemporaneità
  • Individuare a livello sociale relazioni di causa e effetto e formulare ipotesi sugli effetti possibili di una causa
  • Osservare e confrontare oggetti e persone di oggi con quelli del passato
  • Distinguere e confrontare alcuni tipi di fonte storica orale e scritta
  • Riconoscere la differenza tra mito e racconto storico
  • Leggere ed interpretare le testimonianze del passato presenti sul territorio
  • Individuare nella storia di persone diverse, vissute nello stesso tempo e nello stesso luogo, gli elementi di costruzione di una memoria comune

Poi per il secondo biennio

Conoscenze Abilità
In relazione al contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso, scegliere fatti, personaggi esemplari evocativi di valori, eventi ed istituzioni caratterizzanti:
  • la maturità delle grandi civiltà dell’Antico Oriente (Mesopotamia, Egitto, India, Cina)
  • le civiltà fenicia e giudaica e delle popolazioni presenti nella penisola italica in età preclassica
  • la civiltà greca dalle origini all’età alessandrina
  • la civiltà romana dalle origini alla crisi e alla dissoluzione dell’impero
  • la nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo.
  • Individuare elementi di contemporaneità, di sviluppo nel tempo e di durata nei quadri storici di civiltà studiati
  • Utilizzare testi di mitologia e di epica e qualche semplice fonte documentaria a titolo paradigmatico.
  • Conoscere ed usare termini specifici del linguaggio disciplinare.
  • Collocare nello spazio gli eventi, individuando i possibili nessi tra eventi storici e caratteristiche geografiche di un territorio.
  • Leggere brevi testi peculiari della tradizione culturale della civiltà greca, romana, cristiana con attenzione al modo di rappresentare il rapporto io e gli altri, la funzione della preghiera, il rapporto con la natura.
  • Scoprire le radici storiche classiche e cristiane della realtà locale.

 

Come si vede, la campitura cronologica coperta si ferma al tardo antico. Le età successive verranno infatti sviluppate nel triennio della scuola secondaria di primo grado, in un percorso storico realizzato “in verticale” lungo tutto il primo ciclo.

In questo contesto il medioevo non appare, o meglio appare solo nelle sue premesse, dato che la scuola primaria chiude con i temi legati alla dissoluzione dell’impero romano e all’affermarsi del cristianesimo, mentre la secondaria inizia con un generico «L’Europa medievale fino al Mille» (ci soffermeremo su questo dato più tardi): una partizione cronologica non rigida, che appare di per sé e in astratto accettabilissima, poiché conferisce una sua autonomia al tardo antico, vale a dire a un concetto e a una periodizzazione che nella storiografia recente hanno acquisito un profilo ben più solido e ben più riconoscibile che non in passato.

La proposta avanzata dal testo ministeriale è ancora motivo di dibattiti e discussioni. Alcuni punti sono diventati, più di altri, oggetto di riflessione. In primo luogo si è contestata la formulazione delle indicazioni: ad esempio per quanto riguarda la prima colonna si è criticata la dicitura «da … a» per il mondo greco-romano, ritenuta pericolosa perché porterebbe alla costruzione di mini-trattati nozionistici; per quanto riguarda la seconda colonna sì è invece rilevato che le «operazioni storiche» sono trattate come concetti piuttosto che come funzioni e abilità da far sperimentare e apprendere. Altri aspetti molto discussi riguardano:

  • l’orientamento quasi esclusivo al passato, con pochissima attenzione all’importanza formativa dell’intreccio tra conoscenze del presente (o del passato recente) e di quello remoto;
  • la scarsa rilevanza data alla dimensione mondiale nei contenuti e la marginalità delle conoscenze a scala locale, con conseguente penalizzazione dell’educazione alla salvaguardia del patrimonio;
  • la proposta di studio della storia antica esclusivamente in questo segmento “elementare” col rischio di svilire e dover banalizzare – data l’età degli alunni – concetti complessi che non saranno poi più ripresi fino all’inizio delle scuole superiori (che peraltro non si sa ancora come saranno organizzate, stante l’indicazione del doppio canale istruzione-formazione);
  • l’inizio delle tematizzazioni con «la terra prima dell’uomo» che è argomento adatto alle scienze della Terra più che alla storia, e che investe tempi di riferimento incomprensibili per bambini che non hanno familiarità cognitiva con durate così estese;
  • la ristrettezza dei tempi dedicati allo sviluppo delle strutture di base (si tratta praticamente solo del primo biennio), insufficienti – anche data l’età degli alunni – a fornire un sapere cronologico e delle mappe concettuali abbastanza robuste per poter affrontare le conoscenze tematiche specifiche;
  • la debolezza di riferimenti alle operazioni di organizzazione delle informazioni che si devono applicare ai testi, unita allo scarso spazio dato agli obiettivi sull’uso delle fonti;
  • la mancanza di esplicite connessioni didattiche nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola media, fatto che si rende invece necessario tenuto conto che il percorso cronologico è costruito verticalmente.

Quest’ultimo problema di raccordo ci interessa oggi in questa sede particolarmente perché l’insegnamento della storia medievale cade a cavallo fra primaria e secondaria, coinvolge docenti che hanno formazione generale e preparazione disciplinare differenti, che operano in contesti organizzativi dissimili e che non sempre lavorano in continuità. Proprio la spaccatura fra i contenuti della scuola primaria e quelli della secondaria di primo grado (con la storia antica alla prima e la storia medievale – moderna – contemporanea alla seconda) potrebbe avere ripercussioni anche sulla formazione degli insegnanti. Da più parti si è infatti paventata la possibilità che le future lauree magistrali per formare gli insegnanti della scuola primaria possano eliminare dai loro curricula i periodi storici che non saranno poi oggetto di insegnamento, con le conseguenti carenze culturali, gli errori di prospettiva, le difficoltà di problematizzazione che a tutti appaiono chiari.

I programmi di storia nella scuola secondaria di primo grado

Con la caduta del fascismo e l’approvazione della Costituzione – che nell’art. 34 prevede l’istruzione inferiore impartita per almeno otto anni, obbligatoria e gratuita – si apre in Italia un dibattito destinato a protrarsi per quasi vent’anni sulla forma da dare al periodo di studi successivo al quinquennio elementare. Bisogna arrivare alla fine del 1962 [16] per vedere istituita la scuola media unica e obbligatoria, scuola triennale, per la prima volta “comune”, finalizzata a dotare tutti i preadolescenti italiani di una formazione di base uguale, indipendentemente dalle loro scelte lavorative o scolastiche per il futuro.

Nel piano di studi (art. 2) è fin dall’inizio presente la storia, come materia obbligatoria, sempre citata insieme all’educazione civica; entrambe (art. 6) sono comprese fra le materie dell’esame di licenza al termine del triennio.

Programmi del 1963 [17]

La nuova scuola media è accompagnata dall’immediata emanazione di programmi. Firmati dal ministro Gui, essi confermano la tendenza, già avviata nei testi ministeriali precedenti, ad avere indicazioni contenutistiche piuttosto scarne e avvertenze metodologico-didattiche più ampie. Fin dalla Premessa si precisa che l’insegnamento all’inizio si innesterà … sull’effettivo grado di sviluppo e di preparazione conseguito nel corso dell’istruzione primaria, tenendone presenti i caratteri.
Lo studio delle singole discipline richiederà la più vasta adozione possibile di processi induttivi, che muovano dalla esperienza vissuta dagli alunni.

La storia viene unita all’educazione civica e alla geografia e va a costituire un unico ambito di insegnamento con 4 ore settimanali, ma con l’avvertenza che si accorda larga discrezionalità per quanto concerne la ripartizione dei tempi all’interno delle discipline assegnate ad uno stesso docente.

Dal punto di vista delle finalità e degli obiettivi si continua a riconoscere alla storia il tradizionale ruolo di disciplina di studio volta alla conoscenza del passato, ma le si attribuisce anche la funzione di «valido strumento per avviare gli alunni a un responsabile inserimento nella vita civile». Si tratta di un importante superamento sia di una concezione esclusivamente passatista della storia quale disciplina che attiva la conoscenza di mondi che non ci sono più, sia della giustapposizione con l’educazione civica (introdotta per la prima volta nel 1958) nei confronti della quale, invece, si sollecita ora un organico legame «in un quadro di intima correlazione».

Quali indicazioni di lavoro vengono fornite agli insegnanti? Pur con l’iniziale precisazione (valida per tutti gli ambiti) che non si danno particolari istruzioni di metodo «perché lo Stato non ha una propria metodologia educativa», nella realtà poi per ciascuna disciplina vengono forniti suggerimenti abbondanti. Ecco allora che per la storia lo studio si appoggerà naturalmente a una essenziale traccia narrativa, la quale giovi a chiarire la continuità, gli sviluppi e i rapporti cronologici dei vari avvenimenti.
L’insegnante perciò richiamerà l’attenzione degli alunni sopra alcune essenziali componenti dello svolgimento storico, quali la tecnica (per esempio materiali ed utensili, forme di lavorazione); l’attività di produzione (dalle iniziali: caccia, pesca, agricoltura, ecc. a quelle dei nostri tempi); il commercio, i mezzi di trasporto, la trasmissione delle notizie; la vita artistica e letteraria; l’attività scientifica; l’educazione e la concezione religiosa, morale e civile della vita; i rapporti sociali e la partecipazione ai poteri dello Stato (dalle antiche monarchie alle democrazie moderne).

Per quanto riguarda i contenuti, analogamente a tutti gli altri programmi di storia degli anni Sessanta, si ha l’estensione «fino ai giorni nostri». Ricordiamo che subito dopo il secondo conflitto mondiale si decise di fermare la trattazione in tutte le scuole al 1918, scegliendo – fra molte polemiche – di non allargare lo studio ad anni e temi ancora difficili. La dicitura “fino ai giorni nostri” rimane ancora piuttosto vaga, ma è comunque importantissima perché segna l’inizio dello studio della storia contemporanea nella scuola media, un ingresso che avviene parallelamente a quanto accade negli altri ordini di scuola e alla formalizzazione della disciplina “storia contemporanea” a livello universitario.

Le indicazioni contenutistiche si limitano ad una sintetica ripartizione cronologica con veloci indicazioni di massima.

  • Classe prima
    • Le civiltà antiche (orientali, greca e romana) nelle loro grandi linee
    • Il cristianesimo
    • Il tramonto dell’impero romano d’occidente e i regni romano-barbarici
  • Classe seconda
    • Dal Sacro Romano Impero alla conclusione del periodo napoleonico
  • Classe terza
    • L’Europa e il mondo nei secoli diciannovesimo e ventesimo, con particolare riguardo alla storia dell’Italia dagli inizi del Risorgimento ai giorni nostri

Le cesure che vengono indicate sono senz’altro ragionevoli: la lunga campata di mille anni, fra il sec. X e la “crisi” degli stati nazionali può avere senso in funzione di un progetto didattico che ponga l’idea di trasformazione statale al centro degli interessi di studio. Nel complesso, tuttavia, la grande “rivoluzione” costituita dalla riforma della scuola media del 1963 non investe direttamente le rilevanze storiche di tipo contenutistico – che, anzi, appaiono largamente trascurate - per puntare invece sul rinnovamento didattico e pedagogico.

Programmi del 1979 [18]

La revisione dei programmi del 1963 avviene dopo appena 15 anni, un tempo record, soprattutto se si pensa che le superiori continuano a restare invece senza riforma e avviano, con difficoltà e contraddizioni, la macchina dei cambiamenti striscianti e delle diverse sperimentazioni. Sono gli anni della scolarizzazione di massa, della contestazione studentesca, di esperienze alternative che suscitano discussioni, come quella di don Milani e della sua scuola di Barbiana: molti dei provvedimenti ministeriali di questo periodo investono soprattutto (ma non solo) la fascia dell’obbligo, anche per rispondere ai numerosi problemi innescati dalla presenza a scuola di ragazzi provenienti da ambienti tradizionalmente estranei ad essa.

Firmati dal ministro Pedini, i nuovi programmi per la scuola media del 1979 invitano i docenti alla programmazione curricolare e ad evitare che la cultura si identifichi da un lato in una serie di informazioni fini a se stesse, dall’altro in puro esercizio di memorizzazione/ripetizione.

Ai programmi di tutte le discipline debbono riferirsi il consiglio di classe e i singoli docenti per impostare concretamente, e in relazione alla situazione della classe e dei singoli alunni, i piani didattici, secondo il criterio della programmazione curriculare.
La relativa ampiezza dei programmi è giustificata dalla esigenza di richiamare: le finalità specifiche delle singole discipline e attività, nel quadro educativo generale in cui esse si inseriscono la proposta di alcune linee metodologiche, pur nel rispetto della libertà didattica dei docenti; la definizione dei contenuti programmatici, reimpostati secondo gli sviluppi della ricerca culturale, tenendo presenti gli esiti positivi e quelli meno soddisfacenti dell’esperienza sinora maturata nella scuola.

I diversi insegnamenti devono dunque partecipare, ciascuno col proprio contributo, al progetto educativo elaborato collegialmente dal consiglio di classe. Lo «sviluppo unitario dell’allievo» – nei confronti del quale le discipline altro non sono che uno strumento – è preoccupazione dominante, e nelle diverse «articolazioni di una educazione unitaria» l’insegnamento della storia (confermato unito a educazione civica e geografia) è finalizzato a favorire la presa di coscienza del passato, a interpretare il presente e a progettare il futuro attraverso una conoscenza essenziale degli avvenimenti significativi sia nella dimensione politico-istituzionale e socio-economica sia in quella specificamente culturale.

Anche per la storia, come per le altre discipline, si esplicitano finalità e obiettivi, che orientano il percorso progettuale degli insegnanti; ecco allora che l’insegnamento della storia deve anzitutto proporsi di far comprendere che l’esperienza del ricordare è un momento essenziale non solo dell’agire quotidiano del singolo individuo, ma anche della vita della comunità umana (locale, regionale, nazionale, europea, mondiale) cui l’individuo stesso appartiene … Dal momento che risulta essere il prodotto di una lenta stratificazione, il mondo circostante cessa di apparire come un dato esterno ostile e immutabile, per proporsi come un campo aperto e nuove esperienze che contribuiranno a farlo evolvere ulteriormente …
… la particolare esigenza del preadolescente di conoscere la vicenda umana non solo al fine di comprendere il passato, ma anche e soprattutto di dare un orientamento alla propria esistenza con riferimento alla realtà che lo circonda. Su questo bisogno si fonda la possibilità di costruire e coltivare il “senso della storia” come naturale premessa al formarsi di una vera e propria “coscienza storica” che maturerà nell’adolescenza.
In concreto l’obiettivo che l’insegnante di scuola media deve porsi è quello di condurre gli alunni sia a percepire la dimensione temporale del fenomeno storico, sia a rendersi conto di come il lavoro storiografico obbedisca a regole che garantiscono la genuinità dell’operazione e il controllo dei risultati, sia a considerare come avvio di giudizio critico le soluzioni che gli uomini e le società hanno dato nel tempo ai loro problemi.

Si forniscono indicazioni sui contenuti, suggerendo di privilegiare nella progettazione in primo luogo gli aspetti connessi con la formazione e lo sviluppo delle forme di organizzazione della vita associata, nei loro diversi risvolti, con un’attenzione particolare volta a insegnare agli alunni a datare concretamente eventi, momenti, periodi. La necessità dell’acquisizione robusta della dimensione temporale è ricorrente e a tal fine debbono essere utilizzati i riferimenti cronologici collegati a fatti o prodotti che connotano le diverse epoche storiche. Invenzioni e scoperte, arti e scienze, progresso tecnologico e grandi movimenti di pensiero coerentemente inseriti nella successione dei momenti di sviluppo della civiltà costituiscono un tessuto di elementi capaci di far cogliere all’alunno il fluire del tempo nell’arco del divenire della storia.

I suggerimenti metodologici puntano innanzitutto a svincolare la disciplina dal carattere enciclopedico e dalla ripetizione mnemonica, ritenendo importante che il ragazzo acquisisca consapevolezza delle metodologie e del linguaggio che sono tipici del lavoro storiografico, puntando a dare “il gusto della ricerca” costruendo atteggiamenti di pensiero e interessi di indagine che potranno proseguire nel tempo (oltre l’adolescenza) e nello spazio (anche nelle esperienze di vita fuori dalla scuola), in una evidente prospettiva di educazione permanente anche in ambito storico.

Tale lavoro consiste in tutta una serie di operazioni (quali il reperimento e la consultazione di fonti, la formulazione di ipotesi, la selezione di dati, l’analisi di documenti anche non scritti, l’individuazione di raccordi con altri fatti contemporanei o successivi) che possono essere riprodotte ai fini didattici a un livello di sperimentazione molto elementare … Al fine però di evitare che le singole esercitazioni assumano carattere frammentario ed episodico, costituendosi ciascuna come esperienza a sè stante, sarà cura del docente inserire in una linea organica di svolgimento, senza “salti” arbitrari, raccordandoli con ampie sintesi, gli argomenti che vengono fatti oggetto di un più specifico approfondimento.

Quest’ultima puntualizzazione, inserita proprio a ridosso dell’opzione chiara verso una storia-ricerca, problematizzante e operativa, sembra quasi anticipare e prevenire le successive polemiche legate alla didattica modulare.

Si richiama anche la necessità del raccordo con altre discipline e sin da questa data c’è una qualche sensibilità alle tematiche locali e regionali quando si rileva, tra l’altro la necessità di fornire l’informazione basilare sull’origine e sulla storia delle singole minoranza linguistiche presenti in Italia, e ciò in particolar modo nelle zone abitate da dette minoranze.

Sul versante delle periodizzazioni, la suddivisione dei contenuti per anno è assolutamente minimalista, restando circoscritta alla semplice individuazione dei termini cronologici: una limitazione esplicitamente voluta in modo da lasciare al consiglio di classe la programmazione curriculare, possibile solo in quella sede, in rapporto all’effettivo e verificato livello di partenza degli alunni.
In altri termini l’indicazione dei contenuti non significa necessariamente trattazione dettagliatamente svolta per argomenti, ma, nel caso lo esiga la funzionalità del processo di insegnamento, e per particolari periodi storici, lo svolgimento potrà avvenire su linee di sviluppo fondamentali caratterizzanti l’epoca, fra loro raccordate da opportune sintesi.

L’asciutta divisione annuale, con totale mancanza di indicazione di rilevanze tematiche, evidenzia da un lato il carattere non contenutistico di questi programmi, dall’altro la piena fiducia accordata agli insegnanti (e alla loro opera di programmazione educativo-didattica) nella scelta degli argomenti.

  • Classe prima: dalla preistoria al IX secolo
  • Classe seconda: dal X secolo al 1815
  • Classe terza: dal 1815 ai giorni nostri con riferimenti essenziali all’Europa, al mondo, alla decolonizzazione. Si avrà particolare riguardo all’Italia nell’ultimo cinquantennio, nel quadro della storia mondiale

Vediamo che i secoli IX-X rappresentano sia la cesura tra prima e seconda classe sia la cesura interna dell’età medievale, ancora una volta “spezzata” in due anni, adottando – non si sa con quanta consapevolezza – una separazione che ha senso soprattutto sotto il profilo della storia politico-istituzionale dell’ambito carolingio (il superamento del particolarismo e l’avvio di un processo di ricomposizione territoriale).

Prime ipotesi (non realizzate) di riforma

I programmi del 1979 lasciano aperti due problemi sui quali si concentrano i dibattiti degli anni successivi: uno riguarda il raccordo fra scuola media e scuola superiore (rimasta ancora senza riforme) e l’altro è quello dell’inserimento della storia contemporanea a pieno titolo nel piano di studi.

Nel 1986 la proposta del ministro Falcucci di dar vita ad un biennio iniziale unitario per le scuole superiori, con un’area comune e un’area di indirizzo, diventa il primo terreno di scontro tra diversi orientamenti pedagogico-culturali e la storia si trova nell’occhio del ciclone. L’ipotesi del nuovo programma, infatti, sovverte le strutture tradizionali, mettendo nei primi due anni lo studio di temi di storia moderna e contemporanea al posto di quelli tradizionali di storia antica. La rivoluzione non investe solo la periodizzazione dei contenuti, ma anche l’impianto metodologico perché allarga il campo di intervento alle scienze sociali e invita a lavorare per unità didattiche intorno a tematizzazioni forti, rifiutando il tradizionale discorso narrativo progressivamente e continuativamente diacronico.

Le proteste vivacissime avanzate da storici e opinionisti frenano la proposta e, parallelamente, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, appositamente interpellato, registra – pur con molte ambiguità – un parere sostanzialmente contrario. In breve, non se ne fa nulla e con il nuovo governo – e un nuovo ministro, Giovanni Galloni – viene insediata una diversa commissione, col compito di elaborare, ricominciando da capo, nuove proposte.

Il nome del presidente di questa commissione, il sottosegretario Beniamino Brocca, resterà ad identificare un ampio e articolato documento (anni 1991-92) che contiene nuovi profili per le scuole superiori e nuovi orari e piani di studio per le discipline [19]. Proprio sulla base di questo testo si modellano negli anni che seguono quasi tutte le sperimentazioni avviate nell’immobile scuola secondaria di secondo grado. Lo illustriamo qui rapidamente proprio per la rilevanza che assunto, ma anche per le perplessità che ha via via fatto nascere, soprattutto in chi contestava il cosiddetto “girotondo di Clio”, cioè la ripetizione per tre volte (nella scuola elementare, media e superiore) dello stesso programma «dalla preistoria ai giorni nostri».

Il programma Brocca (organizzato in finalità, obiettivi di apprendimento, contenuti, note e indicazioni didattiche, modalità di verifica e valutazione) rientra nella linea della tradizione contenutistica, non sempre seguita in precedenza: si inizia infatti con «culture della preistoria e civiltà preistoriche» e si prosegue poi in ordine cronologico con l’obiettivo di costruire un «intero programma della storia universale dalla preistoria ai nostri giorni.

La civiltà medievale è inserita nel secondo anno (che si apre col principato di Augusto e si chiude con la rinascita comunale e la riforma della Chiesa), con una articolazione interna di argomenti scandita per punti e sottopunti. Quelli che interessano direttamente il medioevo sono:

  • Oriente e Occidente nei secoli V e VI
    • Regni romano-barbarici
    • Giustiniano e la formazione della civiltà bizantina
    • Invasione longobarda in Italia. Ruralizzazione dell’economia e della società
    • Il papato e gli altri patriarcati; i vescovadi, l’evangelizzazione delle campagne; monachesimi d’oriente e d’occidente. Il latino della Chiesa. Culto dei santi
  • Espansione dell’islam e mondo latino-germanico
    • Arabi e Maometto. I primi quattro califfi e le divisioni dell’Islam. La grande espansione e la crisi del califfato. Civiltà arabo-musulmana
    • Gli Slavi nei Balcani
    • Longobardi, Bizantini e papato
    • I Franchi dai Merovingi ai Carolingi; sviluppo delle clientele armate
    • Egemonia culturale del clero; monachesimo celtico e anglosassone; conversione dei Germani d’oltre Reno
  • Carlo Magno: conquiste militari e restaurazione dell’impero
    • Rapporti vassallatico-beneficiali
    • Riforma monetaria; rinascita degli studi grammaticali; unificazione liturgica; riforma monastica
    • Economia curtense e signoria fondiaria
    • Regno carolingio d’Italia. L’Italia non carolingia
    • Dissoluzione dell’impero carolingio
  • Particolarismo del secolo X
    • Nuove invasioni: Normanni, Ungari, Saraceni
    • Crisi dell’ordinamento pubblico carolingio e nascita di nuovi poteri locali; l’incastellamento
    • Impero sassone e radicarsi di rapporti feudali
    • Due nuovi stati cristiani: Polonia e Ungheria
    • Spagna dei califfi Omayyadi e gli inizi della riconquista. Sintomi di ripresa demografica
    • Crisi del papato e riforma cluniacense
    • Leggenda dell’anno Mille
  • Rinascita della vita cittadina e riforma della Chiesa
    • Dalla signoria fondiaria alla signoria di banno
    • Vita cittadina in Italia e oltralpe
    • Città marinare e incipiente egemonia di Venezia
    • Impero germanico e regni particolari
    • I Normanni creatori di stati: regni di Inghilterra e di Sicilia, la Russia di Kiev
    • Verso la riforma della Chiesa: spinte riformatrici dall’alto e movimenti di religiosità popolare. Gregorio VII e il “Dictatus papae”. Lotta per le investiture e sue conseguenze sulla natura dell’impero e della Chiesa

Dal punto di vista della trasposizione didattica le Note al programma del biennio precisano che la scelta del tema o dei temi più adatti a caratterizzare la fisionomia di un determinato momento rispetto a quello che precede e a quello che segue è affidata al docente. In una prima fase è opportuno privilegiare gli sviluppi politico-sociali e in seguito, sulla rete della cronologia già tracciata, è possibile strutturare una trattazione per temi sulle realtà storiche di più lenta trasformazione (per esempio le trasformazioni nell’economia, nella cultura, nella religione, nelle istituzioni).

Il successivo programma del triennio si apre poi così:

  • Dal basso medioevo all’Età moderna
    • Le istituzioni politiche italiane nel XII e XIV secolo
    • Papato e Impero. Le monarchie nazionali
    • La crisi economica e demografica
    • Trasformazioni culturali e religione nell’Europa cristiana

L’età medievale tradizionale è divisa fra biennio e triennio. Ci troviamo di fronte ad una serie di indicazioni particolarmente ricche, sempre fortemente imperniate tuttavia sul primato della dimensione politico-evenemenziale. Nelle scelte contenutistiche appare trasparente e significativa l’apertura ad una prospettiva più latamente europea e non esclusivamente imperniata sull’Italia e sull’Europa occidentale di tradizione carolingia: ne sono prova i riferimenti espliciti al monachesimo orientale e celtico, all’insediamento slavo nei Balcani, e alla stessa Italia “non carolingia” nell’ambito (del resto ampio) assegnato a Carlo Magno e al secolo IX. Il filo dell’attenzione all’Europa centro-orientale si mantiene poi, nelle fasi cronologiche successive, coi riferimenti alla Russia, alla Polonia, all’Ungheria, mentre appare per converso piuttosto asciutta la formulazione adottata per le monarchie nazionali dell’Europa occidentale. Va considerato infine lo squilibrio fra una certa analiticità nelle indicazioni dedicate all’alto medioevo e al periodo che con Fossier potremmo definire della “infanzia dell’Europa”, e una maggiore sbrigatività delle indicazioni relative ai secoli del tardo medioevo, comprese le tematiche qualificanti del medioevo italiano (il comune cittadino in primis). Nel corso dei tre anni si arriva, come di consueto, al mondo contemporaneo: in particolare per la classe quinta superiore la periodizzazione prevista va dall’Europa della seconda metà dell’Ottocento al “nuovo ordine mondiale” attuale.

Decreto Berlinguer [20]

La vera novità nella periodizzazione – che porta con sé una contrazione fortissima degli spazi da dedicare al medioevo – arriva nel 1996 con il cosiddetto Decreto sul Novecento del ministro Berlinguer, che modifica la suddivisione annuale del programma di storia per le scuole di ogni ordine e grado, introducendo nell’ultimo anno di corso la sola trattazione della storia del XX secolo.

Per la scuola media inferiore la periodizzazione nei tre anni viene cambiata secondo queste indicazioni (art. 3):

  • 1° anno: dalla preistoria alla metà del XIV secolo
  • 2° anno: dal Rinascimento alla fine dell’Ottocento
  • 3° anno: il Novecento

Il decreto, che si applica anche a tutte le superiori, tranne gli Istituti Professionali da poco riformati nella logica modulare [21], ha tempi rapidissimi sia nell’attuazione (entra in vigore con il settembre 1997) sia nella capacità di sollevare critiche. Le opposte opinioni si scontrano non solo sulla qualità dei contenuti (dagli uni ritenuti troppo “vicini” e non ancora sedimentati, dagli altri considerati invece necessari per la comprensione del presente), ma anche sulla quantità, dato che – per lasciare “libero” l’ultimo anno per la trattazione del Novecento – si vanno a sovraccaricare gli anni precedenti, alterandone le scansioni consuete. Orientare il percorso storico sul XX secolo significa infatti schiacciare in qualche modo il passato, ingolfandone i tempi scolastici di trattazione; significa anche dover selezionare fortemente, col rischio di sacrificare le pratiche della ricerca a favore di una dimensione più narrativa.

La polemica divampa e, in essa, il medioevo assume un ruolo di primo piano. Si parla infatti di un «medioevo compresso», inserito in quel maxi-contenitore che è il primo anno, con contenuti così estesi da andare dalla preistoria alla crisi di metà Trecento. Il pericolo in agguato è quello che in questa corsa non si riesca a trattarlo appieno e che, in mancanza di tempi adeguati per svilupparlo, torni ad essere un banale repertorio di semplificazioni, l’indistinto periodo buio senza differenze e dinamiche interne. Soprattutto c’è il pericolo che, in quanto periodo “di passaggio” venga effettivamente “passato” rapidissimamente, a fine anno, condensandolo intorno a poche figure (soprattutto di papi concorrenti degli imperatori) che si stagliano ai vertici di una società piramidale (schematizzazione tanto falsa sul piano storiografico – e lo sanno moltissimi insegnanti – quanto risolutoria e veloce sul piano didattico) fino a che nuovi protagonisti entrano in scena e – dal basso della piramide, minandone le fondamenta – danno vita alla nuova società comunale, democratica e proto-moderna. Di questa si tratterà diffusamente nell’anno successivo; nella classe prima non c’è tempo di fare di più.

Altre ipotesi (non realizzate) di riforma

Durante i governi dell’Ulivo (1996-2001; ministeri Berlinguer prima e De Mauro poi) altre sono le iniziative che coinvolgono la scuola e l’insegnamento della storia. Fermiamo qui l’attenzione sul cosiddetto “documento dei saggi” e sul curricolo verticale di storia, legato alla riforma dei cicli.

Il documento su I contenuti essenziali per la formazione di base del marzo 1998 [22] – che richiama la necessità di operare un energico alleggerimento dei contenuti disciplinari – impegna la scuola a due forti finalità, una delle quali trova proprio nella conoscenza storica uno snodo chiave. Le due finalità sono infatti:

  • delineare una mappa delle strutture culturali di base, necessarie per il successivo sviluppo della capacità di capire, fare, prendere decisioni, progettare, scegliere in modo efficace il proprio futuro, innescare processi di integrazione culturale, sociale, lavorativa;
  • assumere un impianto formativo che riconosca il valore imprescindibile della tradizione storica, e lo ponga in relazione con la contemporaneità e con il contesto culturale e sociale.

Più nello specifico, si chiede un profondo ripensamento di tutto l’impianto della storia «nella scuola di tutti», con uno spazio rilevante accordato allo studio dello sviluppo delle società umane (appoggiandosi alle scienze sociali) e con l’impegno a rinnovare tematzzazioni e periodizzazioni, oltre che gli strumenti e le modalità della mediazione didattica perché è necessario puntare coraggiosamente su un approccio che integri le diverse dimensioni (disciplinari e metodologiche) e innovi le attuali pratiche di memorizzazione, puntando a sviluppare competenze generali di inquadramento e ricostruzione dei fatti storici, ma anche a promuovere capacità di lettura dei segni che variamente caratterizzano il paesaggio rurale e urbano del nostro paese.

Nello stesso contesto viene predisposta anche una riforma complessiva dei percorsi scolastici. Tale progetto [23] prevede due cicli: quello primario, che va a unificare elementari e medie inferiori, della durata di 7 anni, e quello secondario della durata di 5 anni. Sebbene sia una proposta che rimane allo stato di ipotesi e che non viene realizzata in pratica, le riserviamo qui uno spazio di approfondimento perché costituisce lo sfondo su cui si vanno ad innestare sia i numerosi, vivaci e tutto sommato inusuali dibattiti tra gli storici in tema di didattica, sia la successiva (di poco) riforma del ministro Moratti.

Entro il progetto Berlinguer – De Mauro si definiscono infatti anche i curricula, spesso accorpando più discipline. Storia viene fatta rientrare nell’aggregazione storico-geografico-sociale che riunisce discipline collegate dal fatto di avere in comune lo studio della convivenza umana, alle quali si riconosce una fondamentale funzione nella costruzione dell’identità personale.

Il Documento conclusivo del gruppo di lavoro (coordinatori: Antiseri, Cajani, Mori e Timpanaro) [24] indica come obiettivo specifico della storia nella scuola di base far acquisire agli studenti una visione di insieme della storia dell’umanità, attraverso la conoscenza di fenomeni storici su scala mondiale, da esplorare e interpretare utilizzando il linguaggio proprio della disciplina (lessico, concetti, metodi e metodologie), attraverso una pluralità di scale spaziali.

La forte valenza formativa trasversale della storia è messa in risalto dal curricolo verticale, unico per tutti, entro la fascia dell’obbligo.

Il curricolo dell’ambito storico-geografico-sociale della scuola di base, nella logica della continuità, della progressività e della ricorsività fra i tre momenti del percorso formativo dai 3 ai 18 anni, si articola secondo la seguente scansione:

  • nei primi due anni che si raccordano, soprattutto dal punto di vista metodologico, con la scuola dell’infanzia, l’ambito presenta un carattere di forte unitarietà
  • nei due anni successivi, sempre in una visione unitaria, si avvia la progressiva e graduale differenziazione dei saperi
  • negli ultimi tre anni la storia, la geografia e l’area degli studi sociali assumono caratteristiche disciplinari specifiche, ma sempre in un rapporto di forte interazione reciproca. Questi anni si raccordano sul piano curriculare ai primi due anni della scuola secondaria, conclusivi dell’obbligo.

Dal punto di vista della scansione dei temi, dopo due bienni dedicati a perseguire obiettivi di tipo spazio-temporale e a costruire ampi quadri sociali, a partire dal quinto anno si inizia «lo studio sistematico e cronologico della storia dell’umanità».

Per tale studio i contenuti essenziali vengono indicati con la precisazione che si tratta di punti di riferimento utili a costruire il fondamentale scenario mondiale in cui si colloca la storia. Essi sono:

  • Quinto anno
    • Il processo di ominazione e il popolamento della Terra
    • Le società di caccia e raccolta nel Paleolitico
    • La rivoluzione neolitica nel mondo: nomadi e sedentari
    • Le prime società urbane (Mesopotamia, Egitto, valle dell’Indo, Cina, America)
  • Sesto anno
    • Il Mediterraneo in età classica: Grecia, Roma, il Cristianesimo
    • Migrazioni di nomadi, crisi e ristrutturazione degli imperi eurasiatici
    • L’espansione araba
    • L’Europa medievale
    • L’Impero mongolo
    • Africa subsahariana: migrazioni e sviluppo statale
    • America: Maya, Aztechi, Inca
    • La colonizzazione dell’Oceania
  • Settimo anno
    • Lo stato moderno in Europa e la formazione degli stati regionali italiani
    • Umanesimo e Rinascimento
    • Riforma e Controriforma in Europa
    • L’espansione europea nel mondo: l’avvio del processo di globalizzazione
    • L’Impero ottomano
    • India, Cina e Giappone tra XVI e XVIII secolo

Come si vede, la conoscenza organizzata cronologicamente (e sincronizzata con la geografia e le scienze sociali) si ferma all’epoca della formazione degli stati europei nell’età moderna, mentre il completamento del curricolo «dalla rivoluzione industriale ai nostri giorni si realizzerà nelle prime due classi della scuola secondaria» che, nel piano di riforma, sono anche gli anni conclusivi dell’obbligo scolastico.

In particolare per quanto riguarda il medioevo nelle indicazioni relative al sesto anno di corso troviamo queste avvertenze: Sesto anno
Questo anno si apre con lo studio del mondo classico del Mediterraneo, la Grecia e Roma, la cui storia sarà comunque opportuno inquadrare in quella degli stati e degli imperi eurasiatici, fino alla grande crisi che li coinvolge tutti, in maniera più o meno catastrofica, con le grandi migrazioni di popoli delle steppe centroasiatiche, nel IV-V secolo d.C. Si metterà in luce come queste migrazioni facciano parte di un processo di lunga durata, che caratterizzerà la storia dell’Eurasia ancora per molti secoli, fino alle migrazioni mongole e turche. L’attenzione si concentrerà poi sull’espansione araba e sullo sviluppo dell’Europa medievale. Fra gli elementi da sottolineare, nella trattazione di questo lungo periodo della storia dell’Eurasia, non può mancare il sistema degli scambi, di merci, di idee. Si seguirà poi la storia delle altre parti del mondo: per quanto riguarda l’America si mostrerà in particolare lo sviluppo statale nell’America centrale e sulla costa pacifica dell’America meridionale, senza però dimenticare la grande diffusione di società di cacciatori e raccoglitori o di agricoltori in società di villaggio nel resto del continente; per quanto riguarda l’Africa si metterà in rilievo il ruolo della migrazione bantu nel popolamento del continente e lo sviluppo degli stati nella zona sub-sahariana, fra i fiumi Niger e Senegal, e nella fascia orientale a sud dell’Egitto. Inoltre si darà un quadro del lento processo di colonizzazione delle isole del Pacifico a partire dall’Asia sud-orientale.

Già dalla veloce lettura di questi passi appare con tutta evidenza quella che è la cifra caratterizzante della proposta, vale a dire il rifiuto di una tradizionale visione della storia in dimensione eurocentrica; le dettagliate Indicazioni metodologiche per l’ambito storico-geografico-sociale nella scuola di base precisano infatti che caratteristica fondamentale di tutto il curricolo dell’ambito storico-geografico-sociale è l’attenzione costante alla dimensione mondiale, come quadro di riferimento e sintesi di tutte le dimensioni spaziali che la compongono. Questa scelta ha valore particolarmente innovativo per quanto riguarda la storia … Insegnare storia mondiale è ormai una necessità scientifica e didattica … Insegnare storia mondiale non significa giustapporre alla storia dell’Europa le storie di altre parti del mondo … Insegnare storia mondiale non significa certo trascurare la storia locale o nazionale, che sono di fondamentale importanza nella formazione culturale e civile. Al contrario queste dimensioni possono essere illustrate efficacemente proprio inserendole nel quadro della storia mondiale.

Nonostante quest’ultima precisazione, proprio la marcata dimensione mondiale della proposta diventa il terreno di scontro più duro. Tra le varie prese di posizione assume particolare rilievo il documento – noto come Il manifesto dei 33 – firmato da un gruppo di storici che avanzano un’ipotesi alternativa [25], rifiutano la modularità, bocciano il curricolo verticale e suggeriscono due percorsi di studio della storia, ognuno di cinque anni, seguendo l’ordine cronologico. I due percorsi, coincidenti con i due cicli scolastici non sarebbero puramente ripetitivi, dato che ogni volta lo studio della storia sarebbe fatto in rapporto alle potenzialità cognitive delle diverse età e quindi ad un livello diverso di approfondimento.

Insieme alla diversa ripartizione nei due percorsi di studio, il manifesto degli storici pone con forza il problema della ridefinizione complessiva del curriculum del primo ciclo, in modo da evitare il rischio che la pur necessaria visione mondiale dello sviluppo storico pregiudichi la piena valorizzazione dell’identità culturale italiana ed europea, e appiattisca le diversità di valori e di conquiste civili.

La riforma dei cicli non viene realizzata e né le nuove proposte, né le successive critiche approdano alla definizione di nuovi programmi. Il cambiamento si attua invece nel successivo governo ad opera del ministro Moratti.

La riforma Moratti

Nella scuola media il decreto Berlinguer è rimasto in vigore fino al settembre scorso, quando (nelle classi prime) è stato sostituito dalle nuove indicazioni della riforma Moratti.

Si è già accennato, a proposito della scuola primaria, all’innovativo contesto aperto dalla legge delega e alla non prescrittività delle Indicazioni della riforma. Come per la scuola primaria, abbiamo cioè anche per la secondaria di primo grado non Programmi ministeriali, ma Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati [26], che costituiscono per noi oggi il testo fondamentale di riferimento.

Vi si precisa che la scuola secondaria di primo grado, pur all’interno di una processo educativo continuo, ha “un valore simbolico di rottura che dispiegherà poi le sue potenzialità nell’istruzione e nella formazione del secondo ciclo” e fin dagli obiettivi generali del processo formativo troviamo elementi che hanno un rapporto diretto con la storia (è, ad esempio, scuola che colloca nel mondo, scuola orientativa, scuola dell’identità).

Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di apprendimento (OSA) delle discipline, essi appaiono divisi in primo biennio e classe terza, con la funzione di indicare i livelli essenziali di prestazione (intesi nel senso di standard di prestazione del servizio) che le scuole della Repubblica sono tenute in generale ad assicurare ai cittadini per mantenere l’unità del sistema educativo nazionale.

In questo contesto due precisazioni appaiono importanti: la prima è quella per cui l’ordine epistemologico di presentazione delle conoscenze e delle abilità … non va confuso con il loro ordine di svolgimento psicologico e didattico con gli allievi.

La seconda è che gli obiettivi se pure sono presentati in maniera analitica, obbediscono in realtà, ciascuno, al principio della sintesi e dell’ologramma: gli uni rimandano agli altri; non sono mai, per quanto possano essere autoreferenziali, rinchiusi su se stessi.

Continui sono infatti i richiami affinché sia dato spazio all’apertura inter- e trans-disciplinare.

Quanto alle specifiche indicazioni per la storia, sul versante cronologico si va dall’Europa altomedievale (che – ricordiamo – aveva costituito il gradino finale del percorso della scuola primaria) fino al crollo del comunismo nei paesi dell’Est e all’integrazione europea. In particolare il biennio iniziale prevede temi che vanno dall’Europa medievale alle rivoluzioni americana e francese, il terzo anno si apre con Napoleone e arriva all’Unione Europea. Non si hanno, però semplici partiture cronologiche di massima come nei programmi precedenti (né tematizzazioni ampie come nelle proposte delle commissioni Berlinguer – De Mauro), viceversa le Indicazioni presentano una precisa tematizzazione con scelta delle rilevanze.

In analogia e in continuità con quanto proposto per la scuola primaria, gli obiettivi del primo biennio sono:

Conoscenze Abilità
In relazione al contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso, fatti, personaggi, eventi ed istituzioni caratterizzanti:
  • l’Europa medioevale fino al Mille
  • la nascita dell’Islam e la sua espansione
  • la civiltà europea dopo il Mille e l’unificazione culturale e religiosa dell’Europa: le radici di una identità comune pur nella diversità dei diversi sistemi politici
  • l’apertura dell’Europa ad un sistema mondiale di relazioni: la scoperta dell’“altro” e le sue conseguenze
  • la crisi della sintesi culturale, politica e sociale del Medioevo
  • Umanesimo e Rinascimento
  • la crisi dell’unità religiosa e la destabilizzazione del rapporto sociale
  • il Seicento e il Settecento: nuovi saperi e nuovi problemi; la nascita dell’idea di progresso e sue conseguenze
  • l’Illuminismo, la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese
  • Utilizzare termini specifici del linguaggio disciplinare
  • Costruire “quadri di civiltà” in base ad indicatori dati di tipo fisico-geografico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso
  • Comprendere aspetti essenziali della metodologia della ricerca storica e delle categorie di interpretazione storica
  • Distinguere tra svolgimento storico, microstorie e storie settoriali o tematiche
  • Distinguere e selezionare vari tipi di fonte storica, ricavare informazioni da una o più fonti
  • Utilizzare in modo pertinente gli aspetti essenziali della periodizzazione e organizzatori temporali tipo ciclo, congiuntura, accelerazione, stasi …
  • Utilizzare in funzione di ricostruzione storiografica testi letterari, epici, biografici …
  • Scoprire specifiche radici storiche medievali e moderne nella realtà locale e regionale
  • Approfondire le dimensioni e le risonanze locali di fenomeni ed eventi di interesse e portata nazionale e sopranazionale
  • Identificare in una narrazione storica problemi cui rispondere adoperando gli strumenti della storiografia

Gli obiettivi del terzo anno sono:

Conoscenze Abilità
In relazione al contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso, fatti, personaggi, eventi ed istituzioni caratterizzanti:
  • Napoleone e l’Europa post-napoleonica
  • il collegamento tra cittadinanza, libertà, nazione: la costituzione dei principali stati liberali dell’Ottocento
  • lo stato nazionale italiano e il rapporto con le realtà regionali; il significato di simboli quali la bandiera tricolore, gli stemmi regionali, l’inno nazionale
  • l’Europa e il mondo degli ultimi decenni dell’Ottocento
  • le istituzioni liberali e i problemi, in questo contesto, dell’Italia unita
  • le ideologie come tentativi di dar senso al rapporto uomo, società, storia
  • la competizione tra stati e le sue conseguenze
  • la prima guerra mondiale
  • l’età delle masse e la fine della centralità europea
  • crisi e modificazione delle democrazie
  • i totalitarismi
  • la seconda guerra mondiale
  • la nascita della Repubblica italiana
  • la “società del benessere” e la crisi degli anni ‘70
  • il crollo del comunismo nei Paesi dell’est europeo
  • l’integrazione europea
  • distinguere tra storia locale, regionale, nazionale, europea, mondiale e coglierne le connessioni, nonché le principali differenze (anche di scrittura narrativa)
  • mettere a confronto fonti documentarie e storiografiche relative allo stesso fatto, problema, personaggio, e interrogarle, riscontrandone le diversità e le somiglianze
  • approfondire il concetto di fonte storica e individuare la specificità dell’interpretazione storica
  • utilizzare in modo paradigmatico alcune fonti documentarie per verificarne la deformazione, volontaria o involontaria, soprattutto per quanto riguarda i mass-media
  • riconoscere la peculiarità della finzione filmica e letteraria in rapporto alla ricostruzione storica
  • usare il passato per rendere comprensibile il presente e comprendere che domande poste dal presente al futuro trovano la loro radice nella conoscenza del passato
  • di un quotidiano o di un telegiornale comprendere le notizie principali, utilizzando i nessi storici fondamentali necessari per inquadrarle o sapendo dove andare a reperirli

Già abbiamo detto come queste Indicazioni siano state oggetto di critiche e polemiche da parte soprattutto delle associazioni di insegnanti [27]. Evidenziamo qui alcuni dei temi/problemi emersi in relazione alle proposte ministeriali di storia per la scuola secondaria di primo grado:

  • la selezione e la tematizzazione degli argomenti, per quanto attuate a maglie larghe, rappresentano una inversione di rotta rispetto ai due programmi precedenti: si è visto in esse, forse anche con un eccesso di puntigliosità, un ritorno alla minuziosità prescrittiva proprio quando non si danno più programmi ma indicazioni (sembra in effetti una contraddizione di termini). Diventa opportuno a questo punto riflettere sul concetto di prescrittività, da intendere probabilmente come garanzia di esiti formativi più che come elenco delle “cose da fare”;
  • il pericolo che una tematizzazione così accentuata ispiri la stesura di manuali abbastanza standardizzati; ne deriverebbero libri di testo meno “liberi” e una visione “unica” della storia, apodittica e assertoria;
  • un certa disomogeneità e una assoluta mancanza di gerarchizzazione nella proposta delle abilità: troviamo abilità da un lato spesso estremamente complesse (talvolta troppo per dei preadolescenti), dall’altro con molte lacune (appaiono ad esempio assai deboli sul versante del “sapere cronologico”).

Per quanto riguarda specificamente il Medioevo, due sono state le critiche maggiori:

  • l’idea di un medioevo staccato dalle sue radici, non più “spezzato” ma “scollegato” fra scuola primaria e secondaria (chi e come svolgerà i temi dell’altomedioevo? Non c’è il pericolo che l’insegnante della primaria li demandi – piuttosto ragionevolmente – alla scuola successiva, ma che qui il suo collega li sbrighi rapidissimamente?) con tutti i conseguenti problemi di raccordo;
  • il problema della «sintesi culturale, politica e sociale del medioevo» col pericolo del risorgere di una visione monolitica dell’età medievale, senza sfumature, annullando differenze e sperimentazioni e ampliando il solco che ancora separa i temi della storia scolastica dalle ricerche della storiografia più aggiornata;
  • nello specifico, alcune formulazioni difficilmente comprensibili. In particolare segnaliamo il tema, oggi contestatissimo, dell’“unificazione culturale e religiosa dell’Europa” (collocato cronologicamente dopo l’anno Mille, non si capisce appoggiandosi a quali elementi, mentre appare genericissimo il riferimento all’alto medioevo) e quello correlato dell’“identità”, definiti in modo abbastanza univoco, mentre oggi si concorda piuttosto sull’idea di “appartenenza plurime”. Inoltre, non si comprende bene il senso del riferimento alla “scoperta dell’altro” (che richiama il titolo del celebre saggio di Tzvetan Todorov relativo agli inizi dell’età moderna) nel tardo medioevo europeo. Si tratta forse di un riferimento implicito alle crociate e all’espansione mediterranea dei secoli dopo il Mille? Sta di fatto che si presuppone in tal modo un’Europa ripiegata su se stessa nell’alto medioevo, e un’Europa che si proietta verso l’“altro” nel tardo medioevo.

Giunti alla fine di questo rapido percorso, dobbiamo senz’altro tener conto che il “fare storia” sta sempre, più che nei programmi (o indicazioni che dir si voglia), negli insegnanti che li modellano sulla base della propria cultura e del contesto in cui si trovano ad operare. Ma questa riflessione più che risolvere il problema delle debolezze e delle contraddizioni dei testi ministeriali, complica ulteriormente il discorso, o meglio lo apre verso una direzione nuova, che è quella della formazione storica dei docenti.

Anche se sono ormai passati 30 anni dai famosi Decreti delegati che avevano stabilito la formazione universitaria completa per gli insegnanti di ogni ordine e grado [28], i maestri continuano di fatto ad insegnare col solo diploma magistrale. Inoltre nella scuola primaria vige il principio secondo il quale i docenti dovrebbero essere in grado di insegnare “tutto” e infatti questo è il segmento dell’istruzione che tradizionalmente ha sempre richiesto una professionalità docente capace di valorizzare gli apprendimenti “a codice integrativo” e anche nelle proposte per la futura Laurea Magistrale per l’Insegnamento la strada scelta sembra essere quella di un percorso unitario, seppur internamente articolato in insegnamenti e tirocini specifici.

Un problema per certi versi analogo tocca anche la scuola secondaria; non esiste infatti a tutt’oggi una classe di abilitazione monodisciplinare in storia, ma la disciplina è variamente collegata a italiano, geografia, latino, greco, filosofia. Se ciò si rivela efficace sul versante interdisciplinare, mostra però anche una evidente debolezza: la stragrande maggioranza dei docenti titolari della cattedra di storia, infatti, ha una formazione il cui asse portante è di tipo o letterario o filosofico (il corso di laurea in storia è una acquisizione recente e non molto fortunata degli atenei italiani). Un’indagine condotta da vari anni a questa parte durante i corsi di Didattica della storia nelle tre sedi (Venezia, Padova e Verona) della SSIS del Veneto [29] mostra che la maggioranza dei frequentanti ha sostenuto 2 soli esami di storia nel proprio percorso universitario, di solito in ambito antico e medievale, scarsa è la presenza della storia moderna, quasi assente quella contemporanea. Si tratta di un po’ poco come retroterra di base per poter poi insegnare con robustezza contenutistica e sicurezza metodologica fatti, eventi e processi dalla tarda antichità ai giorni nostri.

Proprio le SSIS in questi anni hanno evidenziato – insieme alle tensioni e ai cattivi rapporti fra storici e pedagogisti – le lacune e le incertezze nella formazione disciplinare dei futuri docenti, e hanno anche indicato la necessità di una stretta collaborazione fra mondo universitario e mondo della scuola. Il processo di elaborazione delle nuove linee della riforma Moratti – poco trasparente e “catacombale”, come da più parti è stato rilevato – non è andato finora nella direzione del confronto aperto; servirebbe coinvolgere di più sia gli insegnanti che sorreggono una didattica “attiva”, sia gli esperti (storici e pedagogisti) perché è dal rapporto con l’epistemologia e la metodologia che si traggono gli imprescindibili punti di riferimento per elaborare i criteri interpretativi delle Indicazioni ministeriali.

In conclusione, dunque, il momento di forti cambiamenti scolastici che stiamo vivendo va visto come occasione per affrontare problemi di fondo che ineriscono più alla qualità che alla quantità o alla periodizzazione dei contenuti. Piuttosto che parlare di saperi essenziali rispetto ad una concezione predeterminata di medioevo ritenuto “irrinunciabile” dagli specialisti della disciplina sarà meglio pensare allora a saperi funzionali ad una educazione storica attiva, gestiti da docenti che abbiano da un lato solide basi (scientificamente approfondite e aggiornate) e dall’altro competenze di tipo pedagogico-didattico per saper “curvare” quei contenuti in formato didattico.

[1] Abbiamo mantenuto nel testo scritto il tono dell’esposizione orale; rispetto a quanto presentato nel seminario integriamo qui solo alcuni schemi esplicativi e inseriamo passi più ampi dei testi di legge (che nella giornata di studio bresciana erano stati forniti ai partecipanti in un dossier di fotocopie). Sui problemi discussi in questo saggio, si cfr. anche E. Valleri, «Lo spirito del mondo a cavallo». A margine dei nuovi programmi di storia, in «Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ‘900», VIII (2005), fasc. 1, pp. 3-34.

[2] Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati della scuola primaria e Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzai della scuola secondaria di primo grado, rispettivamente allegato B e allegato C del D.L. 19 febbraio 2004, n. 59.

[3] D.P.R. n. 275/1999.

[4] Legge costituzionale n. 3/2001.

[5] D.L. del 24 maggio 1945, n. 459.

[6] D.P.R. del 14 giugno 1955, n. 503.

[7] I cosiddetti “cicli” vengono di lì a poco istituiti con la legge del 24 dicembre 1957, n. 1254.

[8] D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104.

[9] Legge 31 dicembre 1962, n. 1859.

[10] Legge 18 marzo 1968, n. 444.

[11] Legge 24 settembre 1971, n. 820.

[12] Legge 4 agosto 1977, n. 517.

[13] Legge 4 giugno 1990, n. 148.

[14] Cfr. il D.M. 10 settembre 1991 e l’allegata Circolare Ministeriale 271.

[15] C. M. 73, del 2 marzo 1994.

[16] Legge 31 dicembre 1962, n. 1859.

[17] D.M. del 24 aprile 1963.

[18] D.M. del 9 febbraio 1979.

[19] Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei primi due anni. Le proposte della Commissione Brocca, in «Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione», 56 (1991); Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei trienni. Le proposte della Commissione Brocca, in «Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione», 59/60 (1992).

[20] D.M. 4 novembre 1996, n. 682.

[21] D.M. 31 gennaio 1997.

[22] Si veda il testo sul sito ‹http://www.aretusa.org/doc23_1.htm›.

[23] Legge quadro approvata il 2 febbraio 2000.

[24] Si veda il testo sul sito ‹http://www.storiairreer.it/Materiali/Materiali/Area250.rtf›.

[25] Si veda il testo sul sito ‹http://www.storiairreer.it/Materiali/Manifesto33.htm›; tra i firmatari figurava anche uno degli scriventi (Gian Maria Varanini).

[26] Allegato C al D.L. 19 febbraio 2004, n. 59.

[27] Cfr. il libro bianco Pareri e commenti delle associazioni disciplinari sui documenti ministeriali per il primo ciclo dell’istruzione, Bologna 2003, consultabile sul sito ‹http://www.storiairreer.it/Materiali/Materiali/LibroBianco.pdf›.

[28] D.P.R. 417/1974, art. 7. Anche la recente legge 53/2003 ha ribadito la formazione iniziale per tutti nelle Università presso i corsi di laurea specialistica.

[29] S. A. Bianchi – A. Chieregato – C. Crivellari, La formazione degli insegnanti di storia: i risultati di un’indagine regionale, in «Formazione & Insegnamento. Rivista della SSIS del Veneto», 1 (2003), pp. 171-174.

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UpUltimo aggiornamento: 10/07/06