Didattica |
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DiscussioniV Workshop nazionale
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SCUOLA DELL’INFANZIA | |||
PRIMO CICLO | SCUOLA PRIMARIA + SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO |
5 ANNI (1 + 2 + 2) 3 ANNI (2 + 1 ) |
ESAME DI STATO FINALE |
SECONDO CICLO |
La scuola primaria, come si vede, è inserita nel primo ciclo di istruzione ed è articolata in un primo anno volto al raggiungimento della strumentalità di base e in due periodi biennali. Non si danno più Programmi, ma, nell’ottica dell’autonomia, solo Indicazioni Nazionali, analogamente a quanto troveremo per la scuola secondaria di primo grado.
Gli obiettivi specifici di apprendimento sono divisi per discipline (più l’Educazione alla convivenza civile) e articolati in conoscenze e abilità che, attraverso l’organizzazione di attività educative e didattiche unitarie, diventano competenze personali dell’alunno. L’organizzazione di conoscenze e abilità è suddivisa verticalmente in tre blocchi, che rispecchiano l’articolazione in classe prima, primo biennio e secondo biennio i cui obiettivi
nel primo anno e nel primo biennio vanno sempre esperiti a partire da problemi ed attività ricavati dall’esperienza diretta dei fanciulli … Nel secondo biennio … è possibile cominciare a coniugare senso globale dell’esperienza personale e rigore del singolo punto di vista disciplinare.
Per quanto concerne l’ambito storico, se per il primo anno si danno indicazioni di massima relative alle conoscenze di successione e contemporaneità delle azioni, concetti di durata e ciclicità dei fenomeni, per il primo biennio (classi 2 e 3) abbiamo
Conoscenze | Abilità |
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Poi per il secondo biennio
Conoscenze | Abilità |
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In relazione al contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso, scegliere fatti, personaggi esemplari evocativi di valori, eventi ed istituzioni caratterizzanti:
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Come si vede, la campitura cronologica coperta si ferma al tardo antico. Le età successive verranno infatti sviluppate nel triennio della scuola secondaria di primo grado, in un percorso storico realizzato “in verticale” lungo tutto il primo ciclo.
In questo contesto il medioevo non appare, o meglio appare solo nelle sue premesse, dato che la scuola primaria chiude con i temi legati alla dissoluzione dell’impero romano e all’affermarsi del cristianesimo, mentre la secondaria inizia con un generico «L’Europa medievale fino al Mille» (ci soffermeremo su questo dato più tardi): una partizione cronologica non rigida, che appare di per sé e in astratto accettabilissima, poiché conferisce una sua autonomia al tardo antico, vale a dire a un concetto e a una periodizzazione che nella storiografia recente hanno acquisito un profilo ben più solido e ben più riconoscibile che non in passato.
La proposta avanzata dal testo ministeriale è ancora motivo di dibattiti e discussioni. Alcuni punti sono diventati, più di altri, oggetto di riflessione. In primo luogo si è contestata la formulazione delle indicazioni: ad esempio per quanto riguarda la prima colonna si è criticata la dicitura «da … a» per il mondo greco-romano, ritenuta pericolosa perché porterebbe alla costruzione di mini-trattati nozionistici; per quanto riguarda la seconda colonna sì è invece rilevato che le «operazioni storiche» sono trattate come concetti piuttosto che come funzioni e abilità da far sperimentare e apprendere. Altri aspetti molto discussi riguardano:
Quest’ultimo problema di raccordo ci interessa oggi in questa sede particolarmente perché l’insegnamento della storia medievale cade a cavallo fra primaria e secondaria, coinvolge docenti che hanno formazione generale e preparazione disciplinare differenti, che operano in contesti organizzativi dissimili e che non sempre lavorano in continuità. Proprio la spaccatura fra i contenuti della scuola primaria e quelli della secondaria di primo grado (con la storia antica alla prima e la storia medievale – moderna – contemporanea alla seconda) potrebbe avere ripercussioni anche sulla formazione degli insegnanti. Da più parti si è infatti paventata la possibilità che le future lauree magistrali per formare gli insegnanti della scuola primaria possano eliminare dai loro curricula i periodi storici che non saranno poi oggetto di insegnamento, con le conseguenti carenze culturali, gli errori di prospettiva, le difficoltà di problematizzazione che a tutti appaiono chiari.
Con la caduta del fascismo e l’approvazione della Costituzione – che nell’art. 34 prevede l’istruzione inferiore impartita per almeno otto anni, obbligatoria e gratuita – si apre in Italia un dibattito destinato a protrarsi per quasi vent’anni sulla forma da dare al periodo di studi successivo al quinquennio elementare. Bisogna arrivare alla fine del 1962 [16] per vedere istituita la scuola media unica e obbligatoria, scuola triennale, per la prima volta “comune”, finalizzata a dotare tutti i preadolescenti italiani di una formazione di base uguale, indipendentemente dalle loro scelte lavorative o scolastiche per il futuro.
Nel piano di studi (art. 2) è fin dall’inizio presente la storia, come materia obbligatoria, sempre citata insieme all’educazione civica; entrambe (art. 6) sono comprese fra le materie dell’esame di licenza al termine del triennio.
La nuova scuola media è accompagnata dall’immediata emanazione di programmi.
Firmati dal ministro Gui, essi confermano la tendenza, già avviata nei testi ministeriali precedenti, ad avere indicazioni contenutistiche piuttosto scarne e avvertenze metodologico-didattiche più ampie. Fin dalla Premessa si precisa che
l’insegnamento all’inizio si innesterà … sull’effettivo grado di sviluppo e di preparazione conseguito nel corso dell’istruzione primaria, tenendone presenti i caratteri.
Lo studio delle singole discipline richiederà la più vasta adozione possibile di processi induttivi, che muovano dalla esperienza vissuta dagli alunni.
La storia viene unita all’educazione civica e alla geografia e va a costituire un unico ambito di insegnamento con 4 ore settimanali, ma con l’avvertenza che si accorda larga discrezionalità per quanto concerne la ripartizione dei tempi all’interno delle discipline assegnate ad uno stesso docente.
Dal punto di vista delle finalità e degli obiettivi si continua a riconoscere alla storia il tradizionale ruolo di disciplina di studio volta alla conoscenza del passato, ma le si attribuisce anche la funzione di «valido strumento per avviare gli alunni a un responsabile inserimento nella vita civile». Si tratta di un importante superamento sia di una concezione esclusivamente passatista della storia quale disciplina che attiva la conoscenza di mondi che non ci sono più, sia della giustapposizione con l’educazione civica (introdotta per la prima volta nel 1958) nei confronti della quale, invece, si sollecita ora un organico legame «in un quadro di intima correlazione».
Quali indicazioni di lavoro vengono fornite agli insegnanti? Pur con l’iniziale precisazione (valida per tutti gli ambiti) che non si danno particolari istruzioni di metodo «perché lo Stato non ha una propria metodologia educativa», nella realtà poi per ciascuna disciplina vengono forniti suggerimenti abbondanti. Ecco allora che per la storia lo studio
si appoggerà naturalmente a una essenziale traccia narrativa, la quale giovi a chiarire la continuità, gli sviluppi e i rapporti cronologici dei vari avvenimenti.
L’insegnante perciò richiamerà l’attenzione degli alunni sopra alcune essenziali componenti dello svolgimento storico, quali la tecnica (per esempio materiali ed utensili, forme di lavorazione); l’attività di produzione (dalle iniziali: caccia, pesca, agricoltura, ecc. a quelle dei nostri tempi); il commercio, i mezzi di trasporto, la trasmissione delle notizie; la vita artistica e letteraria; l’attività scientifica; l’educazione e la concezione religiosa, morale e civile della vita; i rapporti sociali e la partecipazione ai poteri dello Stato (dalle antiche monarchie alle democrazie moderne).
Per quanto riguarda i contenuti, analogamente a tutti gli altri programmi di storia degli anni Sessanta, si ha l’estensione «fino ai giorni nostri». Ricordiamo che subito dopo il secondo conflitto mondiale si decise di fermare la trattazione in tutte le scuole al 1918, scegliendo – fra molte polemiche – di non allargare lo studio ad anni e temi ancora difficili. La dicitura “fino ai giorni nostri” rimane ancora piuttosto vaga, ma è comunque importantissima perché segna l’inizio dello studio della storia contemporanea nella scuola media, un ingresso che avviene parallelamente a quanto accade negli altri ordini di scuola e alla formalizzazione della disciplina “storia contemporanea” a livello universitario.
Le indicazioni contenutistiche si limitano ad una sintetica ripartizione cronologica con veloci indicazioni di massima.
Le cesure che vengono indicate sono senz’altro ragionevoli: la lunga campata di mille anni, fra il sec. X e la “crisi” degli stati nazionali può avere senso in funzione di un progetto didattico che ponga l’idea di trasformazione statale al centro degli interessi di studio. Nel complesso, tuttavia, la grande “rivoluzione” costituita dalla riforma della scuola media del 1963 non investe direttamente le rilevanze storiche di tipo contenutistico – che, anzi, appaiono largamente trascurate - per puntare invece sul rinnovamento didattico e pedagogico.
La revisione dei programmi del 1963 avviene dopo appena 15 anni, un tempo record, soprattutto se si pensa che le superiori continuano a restare invece senza riforma e avviano, con difficoltà e contraddizioni, la macchina dei cambiamenti striscianti e delle diverse sperimentazioni. Sono gli anni della scolarizzazione di massa, della contestazione studentesca, di esperienze alternative che suscitano discussioni, come quella di don Milani e della sua scuola di Barbiana: molti dei provvedimenti ministeriali di questo periodo investono soprattutto (ma non solo) la fascia dell’obbligo, anche per rispondere ai numerosi problemi innescati dalla presenza a scuola di ragazzi provenienti da ambienti tradizionalmente estranei ad essa.
Firmati dal ministro Pedini, i nuovi programmi per la scuola media del 1979 invitano i docenti alla programmazione curricolare e ad evitare che la cultura si identifichi da un lato in una serie di informazioni fini a se stesse, dall’altro in puro esercizio di memorizzazione/ripetizione.
Ai programmi di tutte le discipline debbono riferirsi il consiglio di classe e i singoli docenti per impostare concretamente, e in relazione alla situazione della classe e dei singoli alunni, i piani didattici, secondo il criterio della programmazione curriculare.
La relativa ampiezza dei programmi è giustificata dalla esigenza di richiamare: le finalità specifiche delle singole discipline e attività, nel quadro educativo generale in cui esse si inseriscono la proposta di alcune linee metodologiche, pur nel rispetto della libertà didattica dei docenti; la definizione dei contenuti programmatici, reimpostati secondo gli sviluppi della ricerca culturale, tenendo presenti gli esiti positivi e quelli meno soddisfacenti dell’esperienza sinora maturata nella scuola.
I diversi insegnamenti devono dunque partecipare, ciascuno col proprio contributo, al progetto educativo elaborato collegialmente dal consiglio di classe. Lo «sviluppo unitario dell’allievo» – nei confronti del quale le discipline altro non sono che uno strumento – è preoccupazione dominante, e nelle diverse «articolazioni di una educazione unitaria» l’insegnamento della storia (confermato unito a educazione civica e geografia)
è finalizzato a favorire la presa di coscienza del passato, a interpretare il presente e a progettare il futuro attraverso una conoscenza essenziale degli avvenimenti significativi sia nella dimensione politico-istituzionale e socio-economica sia in quella specificamente culturale.
Anche per la storia, come per le altre discipline, si esplicitano finalità e obiettivi, che orientano il percorso progettuale degli insegnanti; ecco allora che
l’insegnamento della storia deve anzitutto proporsi di far comprendere che l’esperienza del ricordare è un momento essenziale non solo dell’agire quotidiano del singolo individuo, ma anche della vita della comunità umana (locale, regionale, nazionale, europea, mondiale) cui l’individuo stesso appartiene … Dal momento che risulta essere il prodotto di una lenta stratificazione, il mondo circostante cessa di apparire come un dato esterno ostile e immutabile, per proporsi come un campo aperto e nuove esperienze che contribuiranno a farlo evolvere ulteriormente …
… la particolare esigenza del preadolescente di conoscere la vicenda umana non solo al fine di comprendere il passato, ma anche e soprattutto di dare un orientamento alla propria esistenza con riferimento alla realtà che lo circonda. Su questo bisogno si fonda la possibilità di costruire e coltivare il “senso della storia” come naturale premessa al formarsi di una vera e propria “coscienza storica” che maturerà nell’adolescenza.
In concreto l’obiettivo che l’insegnante di scuola media deve porsi è quello di condurre gli alunni sia a percepire la dimensione temporale del fenomeno storico, sia a rendersi conto di come il lavoro storiografico obbedisca a regole che garantiscono la genuinità dell’operazione e il controllo dei risultati, sia a considerare come avvio di giudizio critico le soluzioni che gli uomini e le società hanno dato nel tempo ai loro problemi.
Si forniscono indicazioni sui contenuti, suggerendo di privilegiare nella progettazione in primo luogo gli aspetti connessi con la formazione e lo sviluppo delle forme di organizzazione della vita associata, nei loro diversi risvolti, con un’attenzione particolare volta a insegnare agli alunni a datare concretamente eventi, momenti, periodi. La necessità dell’acquisizione robusta della dimensione temporale è ricorrente e a tal fine
debbono essere utilizzati i riferimenti cronologici collegati a fatti o prodotti che connotano le diverse epoche storiche. Invenzioni e scoperte, arti e scienze, progresso tecnologico e grandi movimenti di pensiero coerentemente inseriti nella successione dei momenti di sviluppo della civiltà costituiscono un tessuto di elementi capaci di far cogliere all’alunno il fluire del tempo nell’arco del divenire della storia.
I suggerimenti metodologici puntano innanzitutto a svincolare la disciplina dal carattere enciclopedico e dalla ripetizione mnemonica, ritenendo importante che il ragazzo acquisisca consapevolezza delle metodologie e del linguaggio che sono tipici del lavoro storiografico, puntando a dare “il gusto della ricerca” costruendo atteggiamenti di pensiero e interessi di indagine che potranno proseguire nel tempo (oltre l’adolescenza) e nello spazio (anche nelle esperienze di vita fuori dalla scuola), in una evidente prospettiva di educazione permanente anche in ambito storico.
Tale lavoro consiste in tutta una serie di operazioni (quali il reperimento e la consultazione di fonti, la formulazione di ipotesi, la selezione di dati, l’analisi di documenti anche non scritti, l’individuazione di raccordi con altri fatti contemporanei o successivi) che possono essere riprodotte ai fini didattici a un livello di sperimentazione molto elementare … Al fine però di evitare che le singole esercitazioni assumano carattere frammentario ed episodico, costituendosi ciascuna come esperienza a sè stante, sarà cura del docente inserire in una linea organica di svolgimento, senza “salti” arbitrari, raccordandoli con ampie sintesi, gli argomenti che vengono fatti oggetto di un più specifico approfondimento.
Quest’ultima puntualizzazione, inserita proprio a ridosso dell’opzione chiara verso una storia-ricerca, problematizzante e operativa, sembra quasi anticipare e prevenire le successive polemiche legate alla didattica modulare.
Si richiama anche la necessità del raccordo con altre discipline e sin da questa data c’è una qualche sensibilità alle tematiche locali e regionali quando
si rileva, tra l’altro la necessità di fornire l’informazione basilare sull’origine e sulla storia delle singole minoranza linguistiche presenti in Italia, e ciò in particolar modo nelle zone abitate da dette minoranze.
Sul versante delle periodizzazioni, la suddivisione dei contenuti per anno è assolutamente minimalista, restando circoscritta alla semplice individuazione dei termini cronologici: una limitazione esplicitamente voluta
in modo da lasciare al consiglio di classe la programmazione curriculare, possibile solo in quella sede, in rapporto all’effettivo e verificato livello di partenza degli alunni.
In altri termini l’indicazione dei contenuti non significa necessariamente trattazione dettagliatamente svolta per argomenti, ma, nel caso lo esiga la funzionalità del processo di insegnamento, e per particolari periodi storici, lo svolgimento potrà avvenire su linee di sviluppo fondamentali caratterizzanti l’epoca, fra loro raccordate da opportune sintesi.
L’asciutta divisione annuale, con totale mancanza di indicazione di rilevanze tematiche, evidenzia da un lato il carattere non contenutistico di questi programmi, dall’altro la piena fiducia accordata agli insegnanti (e alla loro opera di programmazione educativo-didattica) nella scelta degli argomenti.
Vediamo che i secoli IX-X rappresentano sia la cesura tra prima e seconda classe sia la cesura interna dell’età medievale, ancora una volta “spezzata” in due anni, adottando – non si sa con quanta consapevolezza – una separazione che ha senso soprattutto sotto il profilo della storia politico-istituzionale dell’ambito carolingio (il superamento del particolarismo e l’avvio di un processo di ricomposizione territoriale).
I programmi del 1979 lasciano aperti due problemi sui quali si concentrano i dibattiti degli anni successivi: uno riguarda il raccordo fra scuola media e scuola superiore (rimasta ancora senza riforme) e l’altro è quello dell’inserimento della storia contemporanea a pieno titolo nel piano di studi.
Nel 1986 la proposta del ministro Falcucci di dar vita ad un biennio iniziale unitario per le scuole superiori, con un’area comune e un’area di indirizzo, diventa il primo terreno di scontro tra diversi orientamenti pedagogico-culturali e la storia si trova nell’occhio del ciclone. L’ipotesi del nuovo programma, infatti, sovverte le strutture tradizionali, mettendo nei primi due anni lo studio di temi di storia moderna e contemporanea al posto di quelli tradizionali di storia antica. La rivoluzione non investe solo la periodizzazione dei contenuti, ma anche l’impianto metodologico perché allarga il campo di intervento alle scienze sociali e invita a lavorare per unità didattiche intorno a tematizzazioni forti, rifiutando il tradizionale discorso narrativo progressivamente e continuativamente diacronico.
Le proteste vivacissime avanzate da storici e opinionisti frenano la proposta e, parallelamente, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, appositamente interpellato, registra – pur con molte ambiguità – un parere sostanzialmente contrario. In breve, non se ne fa nulla e con il nuovo governo – e un nuovo ministro, Giovanni Galloni – viene insediata una diversa commissione, col compito di elaborare, ricominciando da capo, nuove proposte.
Il nome del presidente di questa commissione, il sottosegretario Beniamino Brocca, resterà ad identificare un ampio e articolato documento (anni 1991-92) che contiene nuovi profili per le scuole superiori e nuovi orari e piani di studio per le discipline [19]. Proprio sulla base di questo testo si modellano negli anni che seguono quasi tutte le sperimentazioni avviate nell’immobile scuola secondaria di secondo grado. Lo illustriamo qui rapidamente proprio per la rilevanza che assunto, ma anche per le perplessità che ha via via fatto nascere, soprattutto in chi contestava il cosiddetto “girotondo di Clio”, cioè la ripetizione per tre volte (nella scuola elementare, media e superiore) dello stesso programma «dalla preistoria ai giorni nostri».
Il programma Brocca (organizzato in finalità, obiettivi di apprendimento, contenuti, note e indicazioni didattiche, modalità di verifica e valutazione) rientra nella linea della tradizione contenutistica, non sempre seguita in precedenza: si inizia infatti con «culture della preistoria e civiltà preistoriche» e si prosegue poi in ordine cronologico con l’obiettivo di costruire un «intero programma della storia universale dalla preistoria ai nostri giorni.
La civiltà medievale è inserita nel secondo anno (che si apre col principato di Augusto e si chiude con la rinascita comunale e la riforma della Chiesa), con una articolazione interna di argomenti scandita per punti e sottopunti. Quelli che interessano direttamente il medioevo sono:
Dal punto di vista della trasposizione didattica le Note al programma del biennio precisano che
la scelta del tema o dei temi più adatti a caratterizzare la fisionomia di un determinato momento rispetto a quello che precede e a quello che segue è affidata al docente. In una prima fase è opportuno privilegiare gli sviluppi politico-sociali e in seguito, sulla rete della cronologia già tracciata, è possibile strutturare una trattazione per temi sulle realtà storiche di più lenta trasformazione (per esempio le trasformazioni nell’economia, nella cultura, nella religione, nelle istituzioni).
Il successivo programma del triennio si apre poi così:
L’età medievale tradizionale è divisa fra biennio e triennio. Ci troviamo di fronte ad una serie di indicazioni particolarmente ricche, sempre fortemente imperniate tuttavia sul primato della dimensione politico-evenemenziale. Nelle scelte contenutistiche appare trasparente e significativa l’apertura ad una prospettiva più latamente europea e non esclusivamente imperniata sull’Italia e sull’Europa occidentale di tradizione carolingia: ne sono prova i riferimenti espliciti al monachesimo orientale e celtico, all’insediamento slavo nei Balcani, e alla stessa Italia “non carolingia” nell’ambito (del resto ampio) assegnato a Carlo Magno e al secolo IX. Il filo dell’attenzione all’Europa centro-orientale si mantiene poi, nelle fasi cronologiche successive, coi riferimenti alla Russia, alla Polonia, all’Ungheria, mentre appare per converso piuttosto asciutta la formulazione adottata per le monarchie nazionali dell’Europa occidentale. Va considerato infine lo squilibrio fra una certa analiticità nelle indicazioni dedicate all’alto medioevo e al periodo che con Fossier potremmo definire della “infanzia dell’Europa”, e una maggiore sbrigatività delle indicazioni relative ai secoli del tardo medioevo, comprese le tematiche qualificanti del medioevo italiano (il comune cittadino in primis). Nel corso dei tre anni si arriva, come di consueto, al mondo contemporaneo: in particolare per la classe quinta superiore la periodizzazione prevista va dall’Europa della seconda metà dell’Ottocento al “nuovo ordine mondiale” attuale.
La vera novità nella periodizzazione – che porta con sé una contrazione fortissima degli spazi da dedicare al medioevo – arriva nel 1996 con il cosiddetto Decreto sul Novecento del ministro Berlinguer, che modifica la suddivisione annuale del programma di storia per le scuole di ogni ordine e grado, introducendo nell’ultimo anno di corso la sola trattazione della storia del XX secolo.
Per la scuola media inferiore la periodizzazione nei tre anni viene cambiata secondo queste indicazioni (art. 3):
Il decreto, che si applica anche a tutte le superiori, tranne gli Istituti Professionali da poco riformati nella logica modulare [21], ha tempi rapidissimi sia nell’attuazione (entra in vigore con il settembre 1997) sia nella capacità di sollevare critiche. Le opposte opinioni si scontrano non solo sulla qualità dei contenuti (dagli uni ritenuti troppo “vicini” e non ancora sedimentati, dagli altri considerati invece necessari per la comprensione del presente), ma anche sulla quantità, dato che – per lasciare “libero” l’ultimo anno per la trattazione del Novecento – si vanno a sovraccaricare gli anni precedenti, alterandone le scansioni consuete. Orientare il percorso storico sul XX secolo significa infatti schiacciare in qualche modo il passato, ingolfandone i tempi scolastici di trattazione; significa anche dover selezionare fortemente, col rischio di sacrificare le pratiche della ricerca a favore di una dimensione più narrativa.
La polemica divampa e, in essa, il medioevo assume un ruolo di primo piano. Si parla infatti di un «medioevo compresso», inserito in quel maxi-contenitore che è il primo anno, con contenuti così estesi da andare dalla preistoria alla crisi di metà Trecento. Il pericolo in agguato è quello che in questa corsa non si riesca a trattarlo appieno e che, in mancanza di tempi adeguati per svilupparlo, torni ad essere un banale repertorio di semplificazioni, l’indistinto periodo buio senza differenze e dinamiche interne. Soprattutto c’è il pericolo che, in quanto periodo “di passaggio” venga effettivamente “passato” rapidissimamente, a fine anno, condensandolo intorno a poche figure (soprattutto di papi concorrenti degli imperatori) che si stagliano ai vertici di una società piramidale (schematizzazione tanto falsa sul piano storiografico – e lo sanno moltissimi insegnanti – quanto risolutoria e veloce sul piano didattico) fino a che nuovi protagonisti entrano in scena e – dal basso della piramide, minandone le fondamenta – danno vita alla nuova società comunale, democratica e proto-moderna. Di questa si tratterà diffusamente nell’anno successivo; nella classe prima non c’è tempo di fare di più.
Durante i governi dell’Ulivo (1996-2001; ministeri Berlinguer prima e De Mauro poi) altre sono le iniziative che coinvolgono la scuola e l’insegnamento della storia. Fermiamo qui l’attenzione sul cosiddetto “documento dei saggi” e sul curricolo verticale di storia, legato alla riforma dei cicli.
Il documento su I contenuti essenziali per la formazione di base del marzo 1998 [22] – che richiama la necessità di operare un energico alleggerimento dei contenuti disciplinari – impegna la scuola a due forti finalità, una delle quali trova proprio nella conoscenza storica uno snodo chiave. Le due finalità sono infatti:
Più nello specifico, si chiede un profondo ripensamento di tutto l’impianto della storia «nella scuola di tutti», con uno spazio rilevante accordato allo studio dello sviluppo delle società umane (appoggiandosi alle scienze sociali) e con l’impegno a rinnovare tematzzazioni e periodizzazioni, oltre che gli strumenti e le modalità della mediazione didattica perché
è necessario puntare coraggiosamente su un approccio che integri le diverse dimensioni (disciplinari e metodologiche) e innovi le attuali pratiche di memorizzazione, puntando a sviluppare competenze generali di inquadramento e ricostruzione dei fatti storici, ma anche a promuovere capacità di lettura dei segni che variamente caratterizzano il paesaggio rurale e urbano del nostro paese.
Nello stesso contesto viene predisposta anche una riforma complessiva dei percorsi scolastici. Tale progetto [23] prevede due cicli: quello primario, che va a unificare elementari e medie inferiori, della durata di 7 anni, e quello secondario della durata di 5 anni. Sebbene sia una proposta che rimane allo stato di ipotesi e che non viene realizzata in pratica, le riserviamo qui uno spazio di approfondimento perché costituisce lo sfondo su cui si vanno ad innestare sia i numerosi, vivaci e tutto sommato inusuali dibattiti tra gli storici in tema di didattica, sia la successiva (di poco) riforma del ministro Moratti.
Entro il progetto Berlinguer – De Mauro si definiscono infatti anche i curricula, spesso accorpando più discipline. Storia viene fatta rientrare nell’aggregazione storico-geografico-sociale che riunisce discipline collegate dal fatto di avere in comune lo studio della convivenza umana, alle quali si riconosce una fondamentale funzione nella costruzione dell’identità personale.
Il Documento conclusivo del gruppo di lavoro (coordinatori: Antiseri, Cajani, Mori e Timpanaro) [24] indica come obiettivo specifico della storia nella scuola di base
far acquisire agli studenti una visione di insieme della storia dell’umanità, attraverso la conoscenza di fenomeni storici su scala mondiale, da esplorare e interpretare utilizzando il linguaggio proprio della disciplina (lessico, concetti, metodi e metodologie), attraverso una pluralità di scale spaziali.
La forte valenza formativa trasversale della storia è messa in risalto dal curricolo verticale, unico per tutti, entro la fascia dell’obbligo.
Il curricolo dell’ambito storico-geografico-sociale della scuola di base, nella logica della continuità, della progressività e della ricorsività fra i tre momenti del percorso formativo dai 3 ai 18 anni, si articola secondo la seguente scansione:
Dal punto di vista della scansione dei temi, dopo due bienni dedicati a perseguire obiettivi di tipo spazio-temporale e a costruire ampi quadri sociali, a partire dal quinto anno si inizia «lo studio sistematico e cronologico della storia dell’umanità».
Per tale studio i contenuti essenziali vengono indicati con la precisazione che si tratta di punti di riferimento utili a costruire il fondamentale scenario mondiale in cui si colloca la storia. Essi sono:
Come si vede, la conoscenza organizzata cronologicamente (e sincronizzata con la geografia e le scienze sociali) si ferma all’epoca della formazione degli stati europei nell’età moderna, mentre il completamento del curricolo «dalla rivoluzione industriale ai nostri giorni si realizzerà nelle prime due classi della scuola secondaria» che, nel piano di riforma, sono anche gli anni conclusivi dell’obbligo scolastico.
In particolare per quanto riguarda il medioevo nelle indicazioni relative al sesto anno di corso troviamo queste avvertenze:
Sesto anno
Questo anno si apre con lo studio del mondo classico del Mediterraneo, la Grecia e Roma, la cui storia sarà comunque opportuno inquadrare in quella degli stati e degli imperi eurasiatici, fino alla grande crisi che li coinvolge tutti, in maniera più o meno catastrofica, con le grandi migrazioni di popoli delle steppe centroasiatiche, nel IV-V secolo d.C. Si metterà in luce come queste migrazioni facciano parte di un processo di lunga durata, che caratterizzerà la storia dell’Eurasia ancora per molti secoli, fino alle migrazioni mongole e turche. L’attenzione si concentrerà poi sull’espansione araba e sullo sviluppo dell’Europa medievale. Fra gli elementi da sottolineare, nella trattazione di questo lungo periodo della storia dell’Eurasia, non può mancare il sistema degli scambi, di merci, di idee. Si seguirà poi la storia delle altre parti del mondo: per quanto riguarda l’America si mostrerà in particolare lo sviluppo statale nell’America centrale e sulla costa pacifica dell’America meridionale, senza però dimenticare la grande diffusione di società di cacciatori e raccoglitori o di agricoltori in società di villaggio nel resto del continente; per quanto riguarda l’Africa si metterà in rilievo il ruolo della migrazione bantu nel popolamento del continente e lo sviluppo degli stati nella zona sub-sahariana, fra i fiumi Niger e Senegal, e nella fascia orientale a sud dell’Egitto. Inoltre si darà un quadro del lento processo di colonizzazione delle isole del Pacifico a partire dall’Asia sud-orientale.
Già dalla veloce lettura di questi passi appare con tutta evidenza quella che è la cifra caratterizzante della proposta, vale a dire il rifiuto di una tradizionale visione della storia in dimensione eurocentrica; le dettagliate Indicazioni metodologiche per l’ambito storico-geografico-sociale nella scuola di base precisano infatti che
caratteristica fondamentale di tutto il curricolo dell’ambito storico-geografico-sociale è l’attenzione costante alla dimensione mondiale, come quadro di riferimento e sintesi di tutte le dimensioni spaziali che la compongono. Questa scelta ha valore particolarmente innovativo per quanto riguarda la storia … Insegnare storia mondiale è ormai una necessità scientifica e didattica … Insegnare storia mondiale non significa giustapporre alla storia dell’Europa le storie di altre parti del mondo … Insegnare storia mondiale non significa certo trascurare la storia locale o nazionale, che sono di fondamentale importanza nella formazione culturale e civile. Al contrario queste dimensioni possono essere illustrate efficacemente proprio inserendole nel quadro della storia mondiale.
Nonostante quest’ultima precisazione, proprio la marcata dimensione mondiale della proposta diventa il terreno di scontro più duro. Tra le varie prese di posizione assume particolare rilievo il documento – noto come Il manifesto dei 33 – firmato da un gruppo di storici che avanzano un’ipotesi alternativa [25], rifiutano la modularità, bocciano il curricolo verticale e suggeriscono due percorsi di studio della storia, ognuno di cinque anni, seguendo l’ordine cronologico. I due percorsi, coincidenti con i due cicli scolastici
non sarebbero puramente ripetitivi, dato che ogni volta lo studio della storia sarebbe fatto in rapporto alle potenzialità cognitive delle diverse età e quindi ad un livello diverso di approfondimento.
Insieme alla diversa ripartizione nei due percorsi di studio, il manifesto degli storici pone con forza
il problema della ridefinizione complessiva del curriculum del primo ciclo, in modo da evitare il rischio che la pur necessaria visione mondiale dello sviluppo storico pregiudichi la piena valorizzazione dell’identità culturale italiana ed europea, e appiattisca le diversità di valori e di conquiste civili.
La riforma dei cicli non viene realizzata e né le nuove proposte, né le successive critiche approdano alla definizione di nuovi programmi. Il cambiamento si attua invece nel successivo governo ad opera del ministro Moratti.
Nella scuola media il decreto Berlinguer è rimasto in vigore fino al settembre scorso, quando (nelle classi prime) è stato sostituito dalle nuove indicazioni della riforma Moratti.
Si è già accennato, a proposito della scuola primaria, all’innovativo contesto aperto dalla legge delega e alla non prescrittività delle Indicazioni della riforma. Come per la scuola primaria, abbiamo cioè anche per la secondaria di primo grado non Programmi ministeriali, ma Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati [26], che costituiscono per noi oggi il testo fondamentale di riferimento.
Vi si precisa che la scuola secondaria di primo grado, pur all’interno di una processo educativo continuo, ha “un valore simbolico di rottura che dispiegherà poi le sue potenzialità nell’istruzione e nella formazione del secondo ciclo” e fin dagli obiettivi generali del processo formativo troviamo elementi che hanno un rapporto diretto con la storia (è, ad esempio, scuola che colloca nel mondo, scuola orientativa, scuola dell’identità).
Per quanto riguarda gli obiettivi specifici di apprendimento (OSA) delle discipline, essi appaiono divisi in primo biennio e classe terza, con la funzione di indicare
i livelli essenziali di prestazione (intesi nel senso di standard di prestazione del servizio) che le scuole della Repubblica sono tenute in generale ad assicurare ai cittadini per mantenere l’unità del sistema educativo nazionale.
In questo contesto due precisazioni appaiono importanti: la prima è quella per cui
l’ordine epistemologico di presentazione delle conoscenze e delle abilità … non va confuso con il loro ordine di svolgimento psicologico e didattico con gli allievi.
La seconda è che gli obiettivi
se pure sono presentati in maniera analitica, obbediscono in realtà, ciascuno, al principio della sintesi e dell’ologramma: gli uni rimandano agli altri; non sono mai, per quanto possano essere autoreferenziali, rinchiusi su se stessi.
Continui sono infatti i richiami affinché sia dato spazio all’apertura inter- e trans-disciplinare.
Quanto alle specifiche indicazioni per la storia, sul versante cronologico si va dall’Europa altomedievale (che – ricordiamo – aveva costituito il gradino finale del percorso della scuola primaria) fino al crollo del comunismo nei paesi dell’Est e all’integrazione europea. In particolare il biennio iniziale prevede temi che vanno dall’Europa medievale alle rivoluzioni americana e francese, il terzo anno si apre con Napoleone e arriva all’Unione Europea. Non si hanno, però semplici partiture cronologiche di massima come nei programmi precedenti (né tematizzazioni ampie come nelle proposte delle commissioni Berlinguer – De Mauro), viceversa le Indicazioni presentano una precisa tematizzazione con scelta delle rilevanze.
In analogia e in continuità con quanto proposto per la scuola primaria, gli obiettivi del primo biennio sono:
Conoscenze | Abilità |
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In relazione al contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso, fatti, personaggi, eventi ed istituzioni caratterizzanti:
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Gli obiettivi del terzo anno sono:
Conoscenze | Abilità |
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In relazione al contesto fisico, sociale, economico, tecnologico, culturale e religioso, fatti, personaggi, eventi ed istituzioni caratterizzanti:
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Già abbiamo detto come queste Indicazioni siano state oggetto di critiche e polemiche da parte soprattutto delle associazioni di insegnanti [27]. Evidenziamo qui alcuni dei temi/problemi emersi in relazione alle proposte ministeriali di storia per la scuola secondaria di primo grado:
Per quanto riguarda specificamente il Medioevo, due sono state le critiche maggiori:
Giunti alla fine di questo rapido percorso, dobbiamo senz’altro tener conto che il “fare storia” sta sempre, più che nei programmi (o indicazioni che dir si voglia), negli insegnanti che li modellano sulla base della propria cultura e del contesto in cui si trovano ad operare. Ma questa riflessione più che risolvere il problema delle debolezze e delle contraddizioni dei testi ministeriali, complica ulteriormente il discorso, o meglio lo apre verso una direzione nuova, che è quella della formazione storica dei docenti.
Anche se sono ormai passati 30 anni dai famosi Decreti delegati che avevano stabilito la formazione universitaria completa per gli insegnanti di ogni ordine e grado [28], i maestri continuano di fatto ad insegnare col solo diploma magistrale. Inoltre nella scuola primaria vige il principio secondo il quale i docenti dovrebbero essere in grado di insegnare “tutto” e infatti questo è il segmento dell’istruzione che tradizionalmente ha sempre richiesto una professionalità docente capace di valorizzare gli apprendimenti “a codice integrativo” e anche nelle proposte per la futura Laurea Magistrale per l’Insegnamento la strada scelta sembra essere quella di un percorso unitario, seppur internamente articolato in insegnamenti e tirocini specifici.
Un problema per certi versi analogo tocca anche la scuola secondaria; non esiste infatti a tutt’oggi una classe di abilitazione monodisciplinare in storia, ma la disciplina è variamente collegata a italiano, geografia, latino, greco, filosofia. Se ciò si rivela efficace sul versante interdisciplinare, mostra però anche una evidente debolezza: la stragrande maggioranza dei docenti titolari della cattedra di storia, infatti, ha una formazione il cui asse portante è di tipo o letterario o filosofico (il corso di laurea in storia è una acquisizione recente e non molto fortunata degli atenei italiani). Un’indagine condotta da vari anni a questa parte durante i corsi di Didattica della storia nelle tre sedi (Venezia, Padova e Verona) della SSIS del Veneto [29] mostra che la maggioranza dei frequentanti ha sostenuto 2 soli esami di storia nel proprio percorso universitario, di solito in ambito antico e medievale, scarsa è la presenza della storia moderna, quasi assente quella contemporanea. Si tratta di un po’ poco come retroterra di base per poter poi insegnare con robustezza contenutistica e sicurezza metodologica fatti, eventi e processi dalla tarda antichità ai giorni nostri.
Proprio le SSIS in questi anni hanno evidenziato – insieme alle tensioni e ai cattivi rapporti fra storici e pedagogisti – le lacune e le incertezze nella formazione disciplinare dei futuri docenti, e hanno anche indicato la necessità di una stretta collaborazione fra mondo universitario e mondo della scuola. Il processo di elaborazione delle nuove linee della riforma Moratti – poco trasparente e “catacombale”, come da più parti è stato rilevato – non è andato finora nella direzione del confronto aperto; servirebbe coinvolgere di più sia gli insegnanti che sorreggono una didattica “attiva”, sia gli esperti (storici e pedagogisti) perché è dal rapporto con l’epistemologia e la metodologia che si traggono gli imprescindibili punti di riferimento per elaborare i criteri interpretativi delle Indicazioni ministeriali.
In conclusione, dunque, il momento di forti cambiamenti scolastici che stiamo vivendo va visto come occasione per affrontare problemi di fondo che ineriscono più alla qualità che alla quantità o alla periodizzazione dei contenuti. Piuttosto che parlare di saperi essenziali rispetto ad una concezione predeterminata di medioevo ritenuto “irrinunciabile” dagli specialisti della disciplina sarà meglio pensare allora a saperi funzionali ad una educazione storica attiva, gestiti da docenti che abbiano da un lato solide basi (scientificamente approfondite e aggiornate) e dall’altro competenze di tipo pedagogico-didattico per saper “curvare” quei contenuti in formato didattico.
[1] Abbiamo mantenuto nel testo scritto il tono dell’esposizione orale; rispetto a quanto presentato nel seminario integriamo qui solo alcuni schemi esplicativi e inseriamo passi più ampi dei testi di legge (che nella giornata di studio bresciana erano stati forniti ai partecipanti in un dossier di fotocopie). Sui problemi discussi in questo saggio, si cfr. anche E. Valleri, «Lo spirito del mondo a cavallo». A margine dei nuovi programmi di storia, in «Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ‘900», VIII (2005), fasc. 1, pp. 3-34.
[2] Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati della scuola primaria e Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzai della scuola secondaria di primo grado, rispettivamente allegato B e allegato C del D.L. 19 febbraio 2004, n. 59.
[3] D.P.R. n. 275/1999.
[4] Legge costituzionale n. 3/2001.
[5] D.L. del 24 maggio 1945, n. 459.
[6] D.P.R. del 14 giugno 1955, n. 503.
[7] I cosiddetti “cicli” vengono di lì a poco istituiti con la legge del 24 dicembre 1957, n. 1254.
[8] D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104.
[9] Legge 31 dicembre 1962, n. 1859.
[10] Legge 18 marzo 1968, n. 444.
[11] Legge 24 settembre 1971, n. 820.
[12] Legge 4 agosto 1977, n. 517.
[13] Legge 4 giugno 1990, n. 148.
[14] Cfr. il D.M. 10 settembre 1991 e l’allegata Circolare Ministeriale 271.
[15] C. M. 73, del 2 marzo 1994.
[16] Legge 31 dicembre 1962, n. 1859.
[17] D.M. del 24 aprile 1963.
[18] D.M. del 9 febbraio 1979.
[19] Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei primi due anni. Le proposte della Commissione Brocca, in «Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione», 56 (1991); Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei trienni. Le proposte della Commissione Brocca, in «Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione», 59/60 (1992).
[20] D.M. 4 novembre 1996, n. 682.
[21] D.M. 31 gennaio 1997.
[22] Si veda il testo sul sito ‹http://www.aretusa.org/doc23_1.htm›.
[23] Legge quadro approvata il 2 febbraio 2000.
[24] Si veda il testo sul sito ‹http://www.storiairreer.it/Materiali/Materiali/Area250.rtf›.
[25] Si veda il testo sul sito ‹http://www.storiairreer.it/Materiali/Manifesto33.htm›; tra i firmatari figurava anche uno degli scriventi (Gian Maria Varanini).
[26] Allegato C al D.L. 19 febbraio 2004, n. 59.
[27] Cfr. il libro bianco Pareri e commenti delle associazioni disciplinari sui documenti ministeriali per il primo ciclo dell’istruzione, Bologna 2003, consultabile sul sito ‹http://www.storiairreer.it/Materiali/Materiali/LibroBianco.pdf›.
[28] D.P.R. 417/1974, art. 7. Anche la recente legge 53/2003 ha ribadito la formazione iniziale per tutti nelle Università presso i corsi di laurea specialistica.
[29] S. A. Bianchi – A. Chieregato – C. Crivellari, La formazione degli insegnanti di storia: i risultati di un’indagine regionale, in «Formazione & Insegnamento. Rivista della SSIS del Veneto», 1 (2003), pp. 171-174.