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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XII
Il regno di Francia
Verso la società feudale

0. Introduzione

Il crollo dell’impero carolingio di fronte all’infittirsi delle incursioni dei Normanni nella seconda metà del secolo IX fu rapido e, apparentemente, inaspettato, se si pensa che l’impero rappresentava, ancora pochi decenni prima, la più imponente macchina bellica dell’occidente (1). Ma la tattica dei pirati normanni, fatta di veloci incursioni, li rendeva invincibili per un esercito, come quello carolingio, che era in realtà lento e macchinoso nella mobilitazione della cavalleria, fosse essa formata da vassalli o da allodieri. La debolezza del potere centrale di fonte alla tempesta delle “seconde invasioni” non scordiamo gli attacchi degli Ungari e, a sud, i Saraceni sulle coste provenzali [cfr. capitolo 12, 4 (A)] non costò solo il trono a Carlo il Grosso nell’887, frantumando per sempre l’unità carolingia; ma accentuò un altro fenomeno, che già minava alla base l’antico edificio sociale e politico: l’aumento dei poteri locali dell’aristocrazia, che era di fatto l’unica anche tramite l’erezione dei castelli, fenomeno questo parallelo a quello svoltosi in Italia [cfr. capitolo 12, 8] in grado di intervenire localmente con funzioni di protezione rispetto alle popolazioni. E sulla capacità di proteggere si costruivano i nuovi poteri territoriali. Al confronto, le contese per la corona tra gli ultimi Carolingi e la nuova dinastia in ascesa dei Capetingi, fino al trionfo definitivo di questi ultimi nel 987 con Ugo Capeto (2), appaiono fenomeni di superficie, al massimo testimonianze ulteriori di un caos politico, di una decadenza dell’autorità regia che non faceva che confortare la forza in espansione dei principi.

Ci sono comunque alcuni fatti importanti. Se è vero che il regno del secondo capetingio, il figlio di Ugo, Roberto il Pio, fu sintomatico della imbecillitas regis, della debolezza del potere monarchico, è pure vero che, con l’elezione di Roberto ad opera del padre (nello stesso anno 987), i Capetingi inaugurarono la loro politica che, teoricamente rispettosa dei diritti elettivi dell’aristocrazia, installava però sul trono un erede mentre il re era vivo, assicurando così un’ereditarietà all’interno della stirpe, che sarà dapprima solo di fatto, e poi quando essi ne avranno la forza diverrà anche di diritto (3).

Emergono anche forze in grado di controbilanciare la debolezza regia e di opporsi allo strapotere dei principi e dell’aristocrazia militare in genere. Si tratta dei vescovi, consiglieri dei re ed espressione del vecchio ordine carolingio, ma tutt’altro che sprovvisti di autorità (si veda l’esempio di Adalberone di Reims, che appoggia Ugo Capeto nel 987). E poi ci sono i monasteri, autentico centro della devozione principesca, i quali offrivano ai signori territoriali quella sacralizzazione, quella mediazione tra il divino e l’umano che era propria dei re, consacrati con l’olio santo, e che ad essi invece mancava (5). Il grande prestigio dei monaci emerge nel movimento per la pace di Dio, da essi in primo luogo patrocinata, soprattutto tramite il grande centro di Cluny.

Lo scopo della pace di Dio, solennemente proclamata nelle grandi assemblee convocate dai vescovi, alla presenza dei principi (4), era quello appunto di rimediare al gravissimo deficit di autorità che si era venuto a creare nel regno di Francia nel sud prima che nel nord con il declino del potere regio e con la successiva e quasi altrettanto netta crisi dei nuovi poteri principeschi di fronte all’emergere tumultuoso e violento degli strati inferiori dell’aristocrazia militare, i milites. Questi, impadronitisi con la forza del potere di banno, assumevano, nelle piccole situazioni locali, il ruolo che i principi, loro teorici signori, esercitavano su scala più vasta.

Questa nuova situazione, creatasi nel corso del secolo X, metteva in difficoltà non solo i principi, ma anche vescovi e monasteri, le cui proprietà e diritti venivano disinvoltamente calpestati dai milites, membri di una classe militare in ascesa, ma ancora alla ricerca di uno status socio-economico soddisfacente e di un codice di valori adeguato, una volta tramontato, di fatto, quello di origine vassallatica del servizio regio (o anche signorile). Solo progressivamente i milites, tramite le decisioni delle assemblee per la pace di Dio, saranno irretiti in una ragnatela di divieti, che creava una serie di categorie di persone e di beni protetti: ecclesiastici, donne, inermi, e le loro cose: così, sotto la minaccia della maledizione, si imbrigliava la violenza militare. Fino a giungere al momento in cui, dopo averla bloccata del tutto verso l’interno (al concilio di Narbona, 1054), verso i cristiani tutti, si aprirà la strada ad un’esplicazione della violenza stessa verso l’esterno, cosa che avverrà appunto con le crociate: e allora i milites diverranno i “cavalieri” [cfr. volume II, capitoli 5 e 6]. Ma non tutti sono d’accordo con le novità (6): nei primi decenni dell’XI secolo alcune enunciazioni di vescovi rivelano ad un tempo la nostalgia per il vecchio ordine regio ed episcopale, di tradizione carolingia, e la prefigurazione di un ordine nuovo, “feudale”, nel senso almeno che possiamo ancora oggi dare a questa parola: quello di una società policentrica, caratterizzata dal predominio dell’aristocrazia militare e delle gerarchie religiose e da una labile presenza dell’istituzione monarchica; il tutto costruito sulla base del potere di banno da entrambe esercitato sui rustici. Ma è un’immagine comunque fortemente ideologizzata: basti pensare che si ignora il fenomeno, reale e in continua crescita, delle città [cfr. capitolo 16].

Il quadro di quest’epoca complessa del regno di Francia non sarebbe completo, se ignorassimo un altro tema, che al suo interno ha trovato la sua enunciazione più tipica tramite il suo interprete-principe, Rodolfo il Glabro: la leggenda del Mille (7). Questa leggenda è l’espressione dell’angoscia di un mondo che, superata la fase più buia del caos e delle distruzioni, cioè l’anarchia politica del X inizio XI secolo, si avviava faticosamente a mettere in piedi strutture sociali, politiche e religiose [si pensi al movimento per la riforma della chiesa, cfr. capitolo 17] più salde e comunque nuove rispetto all’ormai decrepita eredità carolingia. I due millenari (il 1000 e il 1033, il millennio della nascita e quello dell’incarnazione di Cristo) possono quindi davvero esprimere, simbolicamente, uno spartiacque tra due epoche.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05