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Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


VI
La cavalleria

3. La dimensione culturale e la cortesia
(A) Bertrand de Born, «Be'm platz lo gais temps de pascor».
(B) Bertrand de Born, «Miei-sirventes vuolh far».
(C) Raimaut di Vacqueiras, Lettera al marchese Bonifacio del Monferrato, FSI 71, n. 36.
(D) Chrétien de Troyes, Perceval, pp. 25-26.
(E) Anonimo, Lancillotto in prosa.

Decisivo per la formazione della cultura cortese è l'apporto della poesia trobadorica del sud della Francia, esaltante l'amore impossibile. inappagato e tuttavia condotto sino in fondo secondo complesse forme rituali. I trovatori però non pensavano solo all'amore. Alcuni versi del trovatore Bertrand de Born (A, B), provenzale (circa 1140-1215), sono tipici: essi esaltano l'aspetto ludico della violenza militare e, al tempo stesso, fanno emergere la contrapposizione netta – che si colora di disprezzo – tra il modo di vita dei cavalieri e quello del mercanti (tema questo che, con l'aggiunta nel quadro di chierici e contadini, diventerà tipico dei più tardi fabliaux). Amore e guerra si trovano uniti nella lettera di Raimbaut de Vacqueiras (qui presentata nella versione italiana di Vincenzo De Bartholomaeis), che rimembra gli ioven fatz, i fatti giovanili, del marchese Bonifacio del Monferrato – uno dei protagonisti della quarta crociata [cfr. capitolo 12,4] –, ossia gli scontri armati, la difesa delle fanciulle, le stesse imprese d'oriente (C). Raimbaut, trovatore, da Bonifacio fu fatto cavaliere e dal suo signore si aspettava anche ricchezze ed onori. Per quello che concerne i romanzi cavallereschi, si presentano qui dei passi che mettono in scena una situazione tipica di questi testi; l'addobbamento di un giovane, ignaro di tutto ciò che riguarda la cavalleria, e destinato invece ad un grande avvenire proprio come cavaliere: la situazione offre il destro ad una compiuta presentazione delle fasi salienti della cerimonia e del profondo significato cristiano della cavalleria. Qui si fanno due esempi famosi: l'addobbamento di Perceval, il ragazzo cresciuto selvaggio, ad opera del cavaliere che lo ospita (D), e le premesse dell'addobbamento del cavaliere più grande di tutti, Lancillotto, istruito dalla Dama del Lago, la maga che lo aveva rapito quando era bambino (E).


(A) I. – Mi piace assai la gaia stagione di primavera, che fa spuntare foglie e fiori; e mi piace quando odo l'allegria degli uccelli che fanno risuonare il loro canto per il bosco; e mi piace quando vedo piantati sui prati tende e padiglioni; ed ho grande letizia quando vedo schierati per la campagna cavalieri e cavalli armati.
II – E mi piace quando gli esploratori mettono in fuga la gente e i loro averi; e mi piace quando vedo venire dietro a loro una grande moltitudine di armati; e godo in cuor mio quando vedo assediati forti castelli e i baluardi rotti e sfondati e scorgo l'esercito sulla riva che è tutto intorno chiusa da fossati con palizzate di pali forti e fitti.
III – E mi piace anche quando un signore è il primo all'assalto, a cavallo, armato, senza paura, ché, così fa acquistare ardire ai suo con prode nobiltà. E poi che la mischia è ingaggiata, ciascuno deve essere preparato a seguirlo volentieri, ché nessuno ha alcun pregio fino a che non ha ricevuto e dato molti colpi.
IV – All'iniziarsi della mischia vedremo spezzare e rompere mazze di ferro e brandi, elmi variopinti e scudi e disarmare [i cavalieri], vedremo insieme ferire molti vassalli, onde se ne andranno sbandati i cavalli dei morti e dei feriti, ed ogni nobile [uomo] quando sarà entrato nella mischia non pensi che a troncare teste e braccia, ché vale di più essere morto che essere vivo e vinto.
V – Vi dico che mi piace tanto mangiare o bere o dormire, come [godo] quando odo gridare da ambo le parti «A loro!», ed odo nitrire nell'ombra [dei boschi] i cavalli privi di cavalieri, e sento gridare «Aiuto! Aiuto!», e vedo piccoli e grandi cadere sull'erba lungo i fossati, ed i morti che hanno i tronconi [di lance] con gli zendadi attraverso i fianchi.
VI – Baroni, impegnate castelli, borghi e città piuttosto che far guerra tra, voi!
VII – Papiol, vai subito di buon grado al signore Si-e-No e digli che se ne sta troppo in pace.

Bertrand de Born, «Be'm platz lo gais temps de pascor».


(B) Trombe, tamburi, bandiere, pennoni e insegne e cavalli bianchi e neri vedremo in breve, e il tempo sarà buono, perché si toglierà l'avere usurai, e sulle strade non potrà andare sicuro neanche un giorno un somiero o un borghese senza timore, né mercante che venga di Francia; anzi sarà ricco chi ruberà volentieri.

Bertrand de Born, «Miei-sirventes vuolh far».


(C) Valoroso Marchese, signore di Monferrato, so grado a Dio che vi dié tanto d'onore, che più avete conquiso e largito e dato ch'uom senza corona della Cristianità; e lodone Iddio, che tanto m'ha avanzato, che ho in voi rinvenuto assai buon signore, ché m'avete nutrito e addobbato e recato gran bene e di basso in alto sospinto, e dal nulla fatto cavaliere di pregio, gradito in corte e dalle dame lodato. Ed io v'ho servito volentieri, con fedeltà, con piacere, con tutto il poter mio: ed ho con voi compiute assai nobili imprese, ché in molti acconci luoghi ho con voi domato, ed ho con voi in guerre cavalcato, e armeggiato perduto e vinto, e assai colpi ho presi e assestati, e son caduto e ho buttato giù d'arcioni, e destramente con voi son fuggito ed ho in guadi e su ponti giostrato ed ho con voi oltre barriere fatto balzare il cavallo, e assaliti barbacani e fossi, e alto sulle vedette e difese montane son giunto, vincendo gran rivolte di nemici: ed aiutato v'ho a conquistare impero e regno di questa terra e l'isola e il ducato, e re a prendere, principe e principato, e a superare molti bei palagi cavalieri. Molti forti castelli e città, e molti bei palagi ho spianati con voi; e imperatore e re ammiraglio, e l'augusto Lascaris e il protostratore, nel Petrio ho assediato, e molti altri signori. E incalzai con voi sino a Filopation l'imperatore, che di Romània [1] avete spogliato per coronarne l'altro. E se per voi non giungo a gran ricchezza, non parrà che appresso io vi sia stato, né v'abbia servito come vi ricordai. E voi sapete ch'io dico al tutto la verità, signor Marchese. Signor Marchese, già non mi direte di no, ché la verità è, e voi sapete ben come io non mi comporti con voi a modo di buon vassallo quando assaliste a Quarto fra Asti e Nono, che quattrocento cavalieri a gara v'incalzavano fortemente spronando, sì che non vi tennero a' fianchi dieci compagni: allorché non vi rivoltaste e deste giù colpi impetuosamente: vi temetter poi più che gru falcone. Ed io pur mi rivoltai quando più vi occorse, ché io e voi levammo di terra messere Alberto marchese, ch'era piombato di sella. E, per voi guerreggiando, ho sofferto dura prigionia, e in vostro pro molti assalti feci e molte case arsi. Ed a Messina vi copersi dello scudo: venni a voi nella mischia in quel punto che vi colpivano, petto e faccia, dardi e quadrelli, saette e lancioni, lance e brandi e coltelli e falcioni. E quando prendeste Randazzo e Paternò, Roccella e Termini e Lentino ed Aidone, Piazza e Palermo e Caltagirone, dei primi fui, sotto gli occhi di assai prodi baroni. E quando andaste per crociarvi a Soissons, io non aveva in cuore, Dio mel perdoni, di passar il mare, ma per vostro grido presi la croce e mi confessai. E me ne stavo presso il forte Castel Babone, né alcun torto m'avean fatto i Greci, quando a voi men venni per passar lungi oltre Modone. Intorno Blacherna [2], sotto il vostro vessillo, stetti armato, a maniera di Brabanzone, d'elmo e d'asbergo e di grossa giubba. E mi battei sotto la torre, nel Petrio, e vi fui ferito disotto il guernimento [3]. E tanto stetti armato presso il castello finché cacciammo l'imperator fellone, quello che abbatté il fratel suo a tradimento. Allorché vide il gran fumo e la fiamma e il carbone e rotto il muro in più luoghi senza bolcione, sortì in campo a combattere furiosamente con si gran genti che, senza errore, eran cento di loro per un di noi. E provvedeste alle difese voi e il conte di Fiandra: e Francesi e Brettoni e Tedeschi, Longobardi e Borgognoni, e Spagnoli, Provenzali e Guasconi, tutti fummo aringati, cavalieri e fanti. E l'imperatore, con il cuore al calcagno, spronò avanti, e seco i suoi vili compagni, più d'una lega: poi volsero que' ghiottoni il tergo. Noi fummo astori ed è furono aironi, e li cacciammo siccome lupo montone. E l'imperatore se ne scappò a guisa di ladro: così fecesi la sua figliola, dalla bella sembianza e ci abbandonò il palazzo Bucoleone. Intorno a tutto ciò non tempo che mi si accusi di menzogna né d'altro mancamento, ché voi sapete, e quanti appresso voi sono, che tutto è vero, senza ombra di falsità: e più ancora vo'ricordarvi che tanto crebbe con molti versi e canzoni il vostro pregio che bel discorso se ne farà sempre sino al finire del mondo: e quando leal vassallo serve pro signore, pregio gliene rimane e n'ha buon guiderdone; perché n'aspetto da voi premio e dono, signor Marchese. Signor Marchese, non vo' tutti ricordarvi i giovenili fatti che fin dapprincipio pigliammo a compiere, ché ho timore non riuscisse disdicevole a noi che dovremmo gli altri ammaestrare: tuttavia furon què fatti cosi splendidi, che in un giovane non ci s'avrebbe a pensar nulla di meglio: ché primo sforzo di nobil giovine è scegliere che voglia: gran pregio procurarsi o rinunciarvi; come voi, signore, che voleste sollevar tanto il valor vostro subito al cominciare, che voi e me feste lodare ovunque, voi come signore e me come baccelliere. E poiché pesa perdere e sfavorire, o signore, un amico, che vada tenuto caro, vo' ridire, e ravvivar l'amicizia, il fatto insieme condotto di Saldina da Mar, quando la involammo al Marchese, a cena, a Malaspina, di sul più alto posto: e destela a Ponzetto d'Aguilar che si moriva nel letto per amor di lei. E ricordivi d'Alimonetto il giullare, quando a Montaldo venne a contar la nuova che Giacobina ne volean trarre in Sardegna a maritar contro suo grado: e voi prendeste un po' a sospirare, e rimembrovvi come ella vi desse un bacio al pigliar commiato, allorché vi pregò si caramente che la voleste protegger dal suo zio, che a torto la volea disredare. E voi feste salire a cavallo cinque scudieri, proprio il meglio che sapeste eleggere; e cavalcammo la notte, dopo cena, voi e Guidotto e Ugonetto del Far e Bertaldone, che ben ci seppe esser guida, ed io stesso, ché non mi voglio lasciar addietro, che la levai al porto, proprio in sul momento dell'imbarco. E il grido si leva per terra e per mare, e c'inseguono fanti e cavalieri, fu l'incalzo, e noi pensammo di correr via e credemmo sfoggiar bellamente a tutti coloro, quand'ecco vennero ad assalirci que' di Pisa. E allorché innanzi vedemmo attraversarcisi tanti cavalieri, un cavalcar sì serrato, e tanti usberghi e tanti begli elmi splendenti, tanti gonfaloni ondeggianti al vento, ci nascondemmo tra Albenga e il Finale: qui udimmo di verso più parti sonar corni, chiarine, e insegne gridare: se avemmo paura, non v'è mestiere chiedere. Due di stemmo senza bere e senza mangiare: quando si venne al terzo, che noi risolvemmo di andarcene, incontrammo nel passo di Bello-stare dodici ladroni, che eran ivi a rubare, e rimanemmo sospesi, senza consiglio, ché a cavallo non ci si potea far impeto. Ed io, a piedi, m'andai a mescolar con quelli, e fui ferito di lancia per mezzo il collaretto, ma io tre o quattro, parmi, ne colpii, sì che tutti feci scappare. E Bertaldone e Ugonetto del Far vidermi ferito e vennermi in soccorso. E quando fummo tre, femmo sgombro il passo dei ladroni, si che voi poteste passare sicuramente. E dovrebbevi rimembrar quando desinammo allegramente, senza un gran mangiare, con solo un pane, senza bere e lavarci. E la sera venimmo presso messere Aicio, al Poggio-chiaro, che ci fece tal festa e tanto volle onorarci, che la sua figlia, donna Aigleta dal ridente viso, se lo aveste comportato, avrebbe fatto coricare insieme con voi. Voi al mattino come signore e possente barone voleste guiderdonar l'ospite riccamente, che a suo figlio feste sposare Giacobina, e le feste ricovrar tutta la contea di Ventimiglia, che dovea toccare a Giacobina per la morte del suo fratello, malgrado dello zio, che aveva pensato sbalzarnela. Poscia voleste maritare Aigleta, e destela a Guido del Montiglio-Ademaro. E s'io volessi a pieno raccontare le onorate geste che vi ho visto compiere, ci potrebbe ad ambedue venir noia, a me del dire, a voi dell'ascoltare. Più di cento fanciulle vi ho visto maritare a conti, marchesi, a baroni d'alto grado, che disavventurate sarebbero rimaste e non avrebber saputo che farsi: ché mai con nessuna giovinezza vi fè commetter peccato. Cento cavalieri vi ho visti arricchire e altri cento abbattere e cacciare, i buoni sollevare e i falsi e i cattivi deprimere: mai lusingatore poté sedurvi. Tante vedove e tanti orfani consigliare e tanti disgraziati vi ho visto soccorrere, che in Paradiso ve ne dovrebbero addurre, se per mercé alcun uomo deve entrarci: ché ognora con mercé voleste reggere, ché mai ad uomo nessuno, degno di ottener mercé, se ve la chiese, ce la sapeste negare. E chi vuol dire e contare il vero. Alessandro vi lasciò la sua larghezza, e l'ardimento Rolando e i dodici pari, e il pro' Berardo galanteria e il parlar gentile. In vostra corte regnano tutte le grazie, libertà e galanteria, bel vestire, armi leggiadre, trombe e giochi e viole e canti; né mai vi piacque custode alle porte dell'ore dè conviti, così come fanno i signori avari. Ed io, signore. posso di tanto in tanto vantarmi che in vostra corte ho saputo serbar convenevole contegno, regalare e servire e soffrire e nascondere, né mai feci torto ad alcuno; né può alcun dire né rinfacciarmi che in guerra mi scostassi da voi, né temessi morte per esaltar l'onor vostro, né vi volessi impedire alcun nobile fatto. E poiché, signore, so tanto di voi, per tre degli altri mi dovete far di bene, e a ragione, che in me trovar potete testimone, cavaliere e giullare, signor Marchese.

Raimaut di Vacqueiras, Lettera al marchese Bonifacio del Monferrato, FSI 71, n. 36.

[1] L'impero bizantino.
[2] Siamo a Costatitinopoli.
[3] L'armatura.


(D) Al mattino l'ospite s'alza e va al letto dove il ragazzo giaceva. Gli fa portare in dono camicia e brache di tela fine, calze tinte di rosso di verzino [1], cotta di panno di seta violetta tessuta in India. E per fargli indossare quelle vesti gli dice: «Amico, se volete credermi, prendete gli abiti che qui vedete». «Bel signore» risponde il ragazzo potreste parlare meglio. Gli abiti che mi fece mia madre non valgono forse più di questi? E voi volete ch'io li cambi!». «Per la mia testa e per i miei due occhi, ragazzo, quelli ch'io vi porto valgono di più!»«No! Valgono meno!». «Caro amico, quando vi condussi qui non avete forse detto che avreste obbedito a tutti i miei comandi?» «Cosi farò e non mancherò in nulla». Il ragazzo allora si veste, ma non degli abiti donati dalla madre. Il valent'uomo si china e gli calza lo sperone destro. Questa era infatti la costumanza: chi faceva un cavaliere doveva calzargli lo sperone. S'avvicinano numerosi valletti e ciascuno fa a gara per armare il giovane. Ma è il maestro che gli cinge la spada e lo abbraccia. Gli dice che con quella spada gli conferisce l'ordine più alto che Dio abbia creato al mondo: l'Ordine della Cavalleria, che non ammette bassezze. Dice ancora: «Bel fratello, se combatterete con un cavaliere ricordatevi che quando l'avversario è battuto e non può difendersi né resistere e chiede grazia, dovete, vi prego, averne misericordia e non ucciderlo. Non parlate troppo volentieri. Chi parla troppo pronuncia parole che potrebbero tornargli a follia. Chi troppo parla fa peccato, dice il saggio, per questo, mio caro amico, ve ne sconsiglio. Vi prego anche: se vi accadesse di trovare in pericolo per mancanza di aiuto uomo o donna, orfano o dama, soccorreteli se potete. Farete bene. E infine ecco altra cosa che non bisogna dimenticare: andate spesso al monastero e pregate il Creatore di tutte le cose che abbia misericordia della vostra anima e che in questo mondo terreno vi conservi come cristiano». E il ragazzo risponde: «Da tutti gli apostoli di Roma siate benedetto, bel signore, che mi insegnate come mia madre!» «Fratello mio» dice il valent'uomo «ascoltatemi! Non dite più che tutte queste cose le sapete da vostra madre. Non ve ne ho mai biasimato, ma ora, vi prego, bisogna che ve ne correggiate. Se lo faceste ancora, si direbbe che è follia. Per questo, guardatevene bene». «Bel signore, che dirò dunque?» «Questo potete dire: che v'insegnò il valvassore che vi calzò lo sperone». Il ragazzo promette che non farà parola che di lui, poiché è certo che ben gli ha insegnato. Il signore gli fa il segno della croce e con la mano alzata gli dice: «Poiché ti piace andare e l'indugio ti pesa, va' con Dio che ti sia di guida».

Chrétien de Troyes, Perceval, pp. 25-26.

[1] Pianta per tingere.


(E) Allora la Dama del Lago prese Lancillotto per la mano e lo condusse nella propria camera; e là, dopo averlo fatto sedere, gli disse: «I primi cavalieri non lo furono a causa della loro nascita, ché tutti discendiamo dallo stesso padre e dalla stessa madre. Ma quando Invidia e Cupidigia cominciarono a crescere nel mondo, allora i deboli istituirono al di sopra di sé dei difensori che mantenessero il diritto e li proteggessero. Per questo ufficio vennero scelti i grandi, i forti, i belli, i leali, gli arditi, i prodi. E alcuno, a quei tempi, avrebbe osato montare a cavallo prima d'aver ricevuto la cavalleria. Ma essa non era conferita per il piacere. Si chiedeva ai cavalieri d'esser indulgenti salvo che coi felloni, pietosi coi bisognosi, pronti a soccorrere i sofferenti e a confondere i ladri e gli assassini, buoni giudici senza amore e senza odio. E dovevano proteggere la Santa Chiesa e colui che porge la guancia sinistra a chi l'ha colpito alla destra. Ché le armi non sono state date loro senza motivo. Lo scudo che pende dal collo del cavaliere e lo difende sul davanti significa ch'egli deve interporsi tra la Santa Chiesa e chi l'assale, e ricevere per essa i colpi come un figlio per la madre. Allo stesso modo in cui il giaco lo veste e lo protegge da ogni parte, così egli deve coprire e circondare la Santa Chiesa di modo che i malvagi non la possano raggiungere. L'elmo è come la garitta da cui si sorvegliano i malfattori e i ladri della Santa Chiesa. La lancia, lunga in modo da ferire prima che colui che la porta possa essere raggiunto, significa ch'egli deve impedire ai malintenzionati di avvicinare la Santa Chiesa. E se la spada, la più nobile delle armi, è a doppio taglio, è perché essa con un taglio colpisce i nemici della fede, e con l'altro i ladri e gli assassini; ma la punta significa obbedienza, ché tutte le genti devono obbedire al cavaliere; e nulla trafigge il cuore come obbedire a dispetto del proprio cuore. Infine, il cavallo è il popolo, che deve sostenere il cavaliere e sopperire ai suoi bisogni, ed essere sotto di lui, e ch'egli deve menare al bene secondo il proprio intendimento. Egli deve avere due cuori: uno duro come un magnete per gli sleali e i felloni, l'altro morbido e plasmabile come cera calda per i buoni e gli indulgenti. Tali sono i doveri cui ci si impegna verso Nostro Signore ricevendo la cavalleria, e per un valletto sarebbe meglio restare scudiero per la vita, che vedersi disonorato sulla terra e perduto di fronte a Dio». «Signora» disse Lancillotto «se trovo qualcuno che acconsenta a farmi cavaliere, non avrò timore d'esserlo, ché forse Dio vorrà farmi dono delle qualità necessarie, ed io vi metterò tutto il mio cuore, e il mio corpo, e la mia pena, e la mia fatica». «In nome di Dio» disse la Dama sospirando «il vostro desiderio sarà dunque presto esaudito. Ed è perché lo sapevo che piansi quando vi vidi. Sarete armato dal miglior valent'uomo che vi sia». Da tempo ella aveva preparato tutte le armi necessarie al fanciullo: un giaco bianco, leggero e forte, un elmo argentato e uno scudo color della neve, a borchie d'argento. La spada, messa alla prova in molte occasioni, era grande, tagliente e leggera a meraviglia. E la lancia corta, rossa, robusta, dal ferro ben appuntito, il destriero alto, forte e vivace, l'abito di Lancillotto, il mantello foderato d'ermellino, tutto era bianco, e anche la scorta, abbigliata di bianco, montata su cavalli bianchi. E in tale equipaggio, accompagnati da Lionello, Bohor e Lambegue, Lancillotto e la Dama del Lago si misero in cammino, il martedì precedente la festa di San Giovanni. Ma il racconto narrerà più avanti quel che avvenne alla corte di re Artù, e come Lancillotto vi fu fatto cavaliere dalla regina Ginevra, e com'egli si comportò. Explicit.

Anonimo, Lancillotto in prosa.

 

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