Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. La cavalleria in Italia (A) Ottone di Frisinga, Gesta
di Federico imperatore, SRG 46, II, 13. (B) Oberto Cancelliere, Annali
Genovesi, 1. FSI 11, pp. 258-259. (C) Ogerio Pane, Annali Genovesi,
FSI 12. pp. 120-121. (D) Rolandino
da Padova, Cronaca della Marca Trevigiana, RIS2 8/1, I, 13. Nelle città italiane, la cavalleria è una realtà già dalla seconda
metà del XII secolo, come si vede dagli esempi milanese – un passo notissimo di
Ottone di Frisinga (A) – e genovese
(B, C), e raggiunge un
notevole rilievo nel corso del Duecento. I rituali cavallereschi, dalla festa, al torneo,
all'addobbamento, divennero al tempo stesso diffusi e sfarzosi. Celebre, fra le altre,
fu la festa del «castello d'amore» a Treviso, all'interno di quella che fu definita la
joyeuse Marche, la Marca trevigiana; una festa che riprendeva i temi tipici di
componimenti letterari quali i tournoiements des dames(D). (A) Affinché non manchi
loro materia per opprimere i vicini, non disdegnano di assumere al cingolo,
ovvero alla dignità della cavalleria giovani di condizione inferiore
o persino artigiani delle disprezzabili arti meccaniche, che le altre
genti scacciano come peste dagli studi più onorevoli e liberi.
Da ciò deriva che sono superiori alle città del resto
del mondo per ricchezze e potenza. Ottone di Frisinga, Gesta di Federico imperatore, SRG 46, II, 13. (B) [Per preservare la lode,
nobiltà e pace della città] ed estirpare tutto […]
i nemici vicini, è assai utile invero che cominciamo a creare
cavalieri indigeni nella nostra città […]. Per questa ragione
tutti furono concordi, stabilendo che nella città di Genova ci
fosse [d'ora in poi] la cavalleria e i cavalieri. E fatta poi un'assemblea,
silentiarii, che annualmente cercano di migliorare lo stato
della repubblica, più lieti del solito con mente ilare dettero
il loro beneplacito per creare la cavalleria che, con l'auspicio divino,
sarebbe stata giovevole [alla città]. Avutolo, i consoli crearono
subito, con disprezzo della fatica e straordinaria prodigalità,
più di cento cavalieri dentro e fuori la città
[1]. Oberto Cancelliere, Annali Genovesi, 1. FSI 11, pp. 258-259. [1] Anno 1173. (C) Guglielmo e Corrado Malaspina,
non volendo sottomettersi, iniziarono una guerra contro i Genovesi;
per questo motivo il podestà ordinò che fossero fatti
duecento cavalieri nella città di Genova
[1]. Ogerio Pane, Annali Genovesi, FSI 12. pp. 120-121. [1] Anno 1211. (D) Al tempo di questo podestà
[1] fu organizzata
una festa di gioia e di letizia nella città di Treviso, alla
quale furono invitati molti cavalieri e fanti padovani. Andarono lì
anche, chiamate per abbellire quella festa, circa dodici dame delle
più nobili e belle e più adatte ai giochi che potessero
essere allora trovate a Padova. La festa, ovvero il gioco, fu di questo
tipo. Fu fatto un bel castello, nel quale furono poste le dame con vergini
e donzelle e le loro servitrici, che difendessero il castello abilmente
senza l'aiuto di alcun uomo. Inoltre il castello era stato munito dappertutto
di queste difese: pelli di vaio, stoffe di seta, porpora, sciamito,
panni intessuto d'oro, seta e piume, ermellini. E che dire delle corone
d'oro, con grisoliti e giacinti, topazi e smeraldi, piropi e margarite
[2] e tutti
i generi di ornamenti, con i quali le teste delle donne erano state
protette dall'impeto dei combattenti? Il castello doveva essere espugnato
e fu [di fatto] espugnato con queste frecce e strumenti: mele, datteri
e moscati, torte, pere, mele cotogne, rose, gigli e viole, ampolle di
balsamo, di amfio e di acqua di rosa, ambra, camfora, cardamo, cinnamomo,
garofani […], insomma tutte le specie di fiori e di spezie che
profumano e che splendono. Dei Veneziani anche intervennero a questo
gioco molti uomini e molte dame, per esibire il loro onore davanti [ai
partecipanti] alla festa; e avendo con loro i Veneziani un prezioso
vessillo di S. Marco, combatterono prudentemente e amabilmente. Talvolta
tuttavia da buoni inizi scaturiscono molti mali. Mentre infatti i Veneziani
nel corso del gioco lottavano con i Padovani per entrare per primi nella
porta del castello, nacque qua e là una lite e, non fosse mai
accaduto, uno sciocco veneziano, che teneva il vessillo di San Marco,
insultò con viso torvo e iracondo i Padovani. Vedendo ciò
i Padovani, alcuni di loro afferrarono violentemente il vessillo di
S. Marco con animo irato e lo lacerarono da una parte; cosa che i Veneziani
presero molto male e con sdegno. Subito la festa e il gioco furono divisi
per ordine degli altri rettori del signor Paolo di Sarmeola, uomo illustrissimo
e discreto, cittadino padovano, che allora era re [3]
dei cavalieri di Padova; a lui era stato concesso dagli altri rettori,
come onore, di avere l'arbitraggio e l'organizzazione, nella festa,
sulle dame e i cavalieri e su tutto il gioco. […] Passando un
po' di tempo, crebbe a tal punto la discordia tra Padovani e Veneziani
che da una parte e dall'altra furono proibiti gli scambi commerciali
[reciproci]; custoditi i confini, affinché nessuno portasse alcunché
da una terra all'altra; crebbero le ruberie e le violenze; e così
infine la discordia crebbe e [diventò] guerra e inimicizia mortale. Rolandino da Padova, Cronaca della Marca Trevigiana, RIS2 8/1, I, 13. [1] Rinaldo degli Albizzi, anno
1214.
[2] Tutte specie di pietre preziose.
[3] Cioè capo della società
dei cavalieri, con funzioni legate appunto all'organizzazione delle feste.
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