Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. ….manca pagina…. (A) Federico I, Costituzioni,
CA 1, n. 164 (1157) [4]. (B) Ottone Morena, Storia di Federico I,
SRG, NS 7, pp. 86-89. (C) Acerbo di Morena, Continuazione della storia di Federico
I, SRG, NS 7, pp. 123-124. (A) (manca pagina) … Devi figlio gloriosissimo,
ricondurre davanti agli occhi della mente con quanta gioia e giocondità l'altro anno la
sacrosanta chiesa romana tua madre ti ha accolto, con quanto affetto del cuore ti ha trattato,
quanta pienezza di dignità e di onore ti ha conferito, e come – conferendo con
tutta la sua volontà [o beneficio] [1]
dell'insegna della corona imperiale -, abbia desiderato ristorare nel suo benignissimo
grembo l'apice della tua sublimità, non facendo assolutamente nulla che sapesse
andare contro alla volontà regia anche in minima parte. Né tuttavia ci
pentiamo di avere soddisfatto i desideri della tua volontà in tutto, ma se la
tua eccellenza ricevesse dalla nostra mano maggiori benefici
[2], sempre che ciò
possa essere fatto, considerando quanti incrementi e vantaggi possano provenire alla
chiesa di Dio e a noi per tuo tramite, non immeritatamente ne godremmo. Ma d'altra parte,
poiché sembri dissimulare e nascondere tanto immenso delitto
[3], che si sa anche essere commesso
in disprezzo della chiesa universale e dell'impero, sospettiamo e temiamo che il tuo
animo possa stato indotto a questa trascuratezza a causa del suggerimento di un uomo
perverso che semina zizzania, e che verso la tua clementissima madre, la sacrosanta
chiesa romana, e noi stessi tu abbia concepito – che non sia mai – una qualche indignazione e rancore.
[…] Federico I, Costituzioni, CA 1, n. 164 (1157) [4]. [1] L'inserimento di questa parola-chiave
nel testo non è tuttavia del tutto certo.
[2] Qui torna, questa volta con
sicurezza, il termine beneficio (maiora beneficia).
[3] La deposizione (peraltro già
rientrata) di Waldemaro vescovo di Lund.
[4] L'epistola di Adriano è
inserita nel volume degli MGH che riguardano le costituzioni imperiali, pur essendo una lettera papale. (B) In quei
tempi c'era una gran discordia tra il papa Vittore IV, che prima si
chiamava Ottaviano, ed il cancelliere Rolando [1],
che nella sua elezione era stato chiamato Alessandro III, e che similmente
era stato innalzato all'onore del papato. Per il qual dissenso una volta
l'imperatore aveva mandato i suoi legati, cioè Ottone conte palatino
e Guido conte di Biandrate e […] ad Ottaviano e Alessandro,
pregandoli di venire a Pavia al prossimo inizio di quaresima [2]per
sostenere le loro ragioni davanti ad arcivescovi, vescovi, abati ed
altri religiosi ed al cospetto dell'imperatore, avvocato della Chiesa
romana: in quella sede quel dissenso tanto detestabile sarebbe finito
per virtù di Dio. Aveva ordinato anche agli arcivescovi, vescovi
e abati di Germania, Borgogna e Lombardia, della Toscana e della Puglia,
della Romagna ed altre parti dell'impero, ed anche al patriarca di Aquileia,
affinché all'inizio della quaresima si trovassero a Pavia per
ascoltare il dissenso tra Ottaviano, ora chiamato papa Vittore, e Rolando,
chiamato papa Alessandro, e per giudicare, dopo aver udito le ragioni
d'entrambi, chi dovesse essere il signore apostolico più giustamente
ed a ragione, diceva che era meglio conoscere in verità chi di
loro fosse più cattolico e a diritto dovesse rimanere degno dell'apostolica
dignità, piuttosto che, prevaricando in tal modo ed ignorando
chi di loro dovesse in verità essere il papa e tenendone due,
mentre uno solo deve essere l'apostolico in tutto il mondo, perdere
le proprie anime per tale discordia.
Ottaviano, udendo i delegati dell'imperatore, li accolse con grande
gioia e, desiderando udire la sentenza di santi uomini sul predetto
dissenso, promise ai messi di giungere nel termine prefissato. Rolando
invece agli stessi legati rispose che non sarebbe venuto a tale scontro,
dicendo di non dover essere giudicato da nessuno, lui che deve giudicare
tutti gli altri; e rispose così come se fosse già pacificamente
e senza alcun dissenso innalzato all'onore del papato. Ottaviano invece
venne al termine stabilito, ed il patriarca d'Aquileia e molti arcivescovi,
vescovi, abati e moltissimi altri religiosi, per i quali l'imperatore
aveva mandato, si riunirono tutti a Pavia [3].
Quando dunque si fu insediata nel nome del Signore l'assemblea universale
degli ortodossi riuniti a Pavia, la causa della sede apostolica per
alcuni giorni di seguito fu discussa ed esaminata con diligenza secondo
le leggi ed i sacri canoni, lungi da ogni giudizio secolare.
Fu dunque provato a sufficienza e canonicamente al cospetto del concilio,
per mezzo di testimoni idonei, che il papa Vittore, e nessun altro,
nella basilica del beato Pietro era stato rivestito del manto dalla
parte più sana dei cardinali per petizione del popolo romano,
col consenso e desiderio del clero e che, alla presenza e senza l'opposizione
del già cancelliere Rolando, era stato collocato sulla cattedra
del beato Pietro; ivi dai cardinali del clero romano gli fu cantato
gloriosamente il Te Deum, e quindi fu condotto al palazzo
con le bende e le altre insegne papali. Fu provato anche che a quel
tempo in cui si celebrava a Roma l'elezione vi erano nell'Urbe soltanto
ventun cardinali; però il cardinale di S. Pietro ad Vincula
era ad Anagni infermo, ma aveva espresso il suo consenso e la sua volontà
al signor cardinale di S. Martino e al signor Guido da Crema. Da tutti
questi cardinali, tolti Vittore (allora Ottaviano) e Rolando, rimasero
soltanto venti elettori, dei quali i nove di più sano consiglio
e non contaminati da nessuna congiura, e che avevano la prima voce nell'elezione,
elessero Vittore insieme al capitolo di S. Pietro per petizione del
popolo, col consenso e desiderio del clero, con l'approvazione dell'ordine
senatorio ed dei nobili romani. Il clero ed il popolo, interrogati secondo l'uso dello scriniario se
approvassero, per tre volte a voce chiara diedero il placet.
Fu provato che Rolando, il dodicesimo giorno dopo la elezione
di Vittore, uscì dall'Urbe e fu rivestito dal manto papale in
una località presso Cisterna, vicino alla terra del re di Sicilia
[4]. […]
Udite queste e moltissime altre ragioni, che sarebbe lungo raccontare,
scambiato consiglio con il predetto patriarca ed i nove arcivescovi,
i trentotto vescovi ed una grande moltitudine di abati, tutti i presenti
al concilio acclamarono Vittore e annullarono l'elezione di Rolando.
Dopo di essi il cristianissimo imperatore approvò l'elezione
di Vittore, e dopo di lui tutti i suoi principi, cioè Enrico
duca di Sassonia, Bertoldo duca di Zähringen, Federico duca
di Rothenburg, il conte palatino dl Reno fratello dell'imperatore, i
conti palatini di Sassonia e di Baviera e moltissimi altri marchesi
e conti, sia lombardi che tedeschi, confermarono l'elezione di Vittore. Ottone Morena, Storia di Federico I, SRG, NS 7, pp. 86-89. [1] Rolando Bandinelli. Entrambi
erano stati eletti nel 1159 alla morte di Adriano IV.
[2] Febbraio 1160.
[3] Siamo di fronte ad un testo
dichiaratamente di parte imperiale.
[4] Guglielmo I, re dal 1154 al 1166. (C) Per il mese d'agosto di quell'estate
[1]fu fissata
una grande dieta in Borgogna presso Besançon dal papa Vittore e dall'illustrissimo
imperatore Federico, nonché dal re di Francia e da Rolando, già
cancelliere, che aveva assunto anch'egli la dignità apostolica,
per decidere con chiarezza chi fosse degno dell'onore del papato. Furono
presenti alla dieta il papa Vittore ed il serenissimo imperatore con
una copiosa moltitudine di arcivescovi, abati ed altri chierici, di
principi ed altri cavalieri. Era stato stabilito che per mezzo di dieci
religiosi vescovi, di cui cinque scelti dalla parte di papa Vittore
e cinque dalla parte di Rolando e del re di Francia, che gli era favorevole,
fosse discussa la causa e fosse indagata pienamente la verità
dall'una e dall'altra parte, ma il predetto Rolando rifiutò di
sottomettersi all'esame dei dieci vescovi. Così interrotta la
dieta, papa Vittore andò a Cremona; l'imperatore invece con la
serenissima augusta sua sposa, con altri principi e tutto l'esercito
partì per la Germania.
Pochi giorni dopo l'imperatore rimandò in Italia l'arcicancelliere
Rainaldo, eletto arcivescovo di Colonia [2]
affinché in sua vece stabilisse quelle cose che vi si dovevano
ordinare. L'arcicancelliere per un certo tempo passò per le singole
città in Lombardia e nelle Marche, poi in Toscana ed in Romagna,
e con la sua straordinaria solerzia conciliò mirabilmente conciliò
tutte le città ed i principi di Marche, Toscana e Romagna all'amore
ed all'ossequio per l'imperatore ed in onore di papa Vittore depose
alcuni vescovi a lui ribelli, nominandone altri al loro posto. Acerbo di Morena, Continuazione della storia di Federico I,
SRG, NS 7, pp. 123-124. [1] 1162. È il secondo tentativo
imperiale di chiudere la scisma.
[2] Rainaldo di Dassel, cancelliere
imperiale, autentico braccio destro di Federico fino alla morte avvenuta
nel 1167, a Roma, a causa della peste [cfr. paragrafo 5].
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