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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


VII
Impero e comuni in Italia

6. Dalla guerra alla pace: Legnano, Venezia, Costanza
(A) Anonimo Milanese, Le gesta dell'imperatore Federico I in Lombardia, SRG 27, pp. 187-188.
(B) Anonimo Milanese, Le gesta dell'imperatore Federico I in Lombardia, SRG 27, p. 190.
(C) Federico I, Costituzioni, CA 1, n. 293 (1183), cc. 1-2, 5-19, 27-31, 35-37, 41-42.
(D) Federico I, Diplomi, DRG 10/4, n. 924 (1185).
(E) Enrico VI, Diploma per i fiorentini, 170 (1187).

La solidità militare della Lega lombarda portò alla grande vittoria sul campo contro il Barbarossa, a Legnano (1176); un evento ingrandito a dismisura nel pieno della temperie risorgimentale dell'Ottocento, ma che senza dubbio dimostra la maturità non solo militare, ma anche politica delle città padane (A). L'evento sciolse tutti i nodi, portando il Barbarossa a trattare la pace con Alessandro III, sulla base del reciproco riconoscimento tra papa e imperatore, della restituzione alla chiesa romana di tutti i diritti negati e i beni sequestrati – compresi quelli dell'eredità della marchesa Matilde di Canossa – e dell'impegno a stipulare la pace con i comuni. A Venezia (1177) però i comuni si sentirono scaricati dal papa e, diffidenti, imposero una semplice tregua (B). Si dovette attendere il 1183, perché a Costanza fosse firmata la pace definitiva (C): favorevole ai comuni, essa costituiva comunque un compromesso. In effetti, anche dopo Costanza la politica del Barbarossa in Italia continuò dinamica: lo provano i molteplici legami da lui stretti con singole famiglie potenti, come gli Ubertini (D), o con città come Firenze (E).


(A) Dopo molte spedizioni fatte oltre Po con le città che avevano congiurato coi Milanesi, cioè la Marca Trevigiana, verona, Brescia, Mantova, Bergamo, Lodi, Novara, Vercelli, Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Ferrara, l'imperatore Federico entrò per la quinta volta in Lombardia il 28 settembre 1174 e venne a Susa von ottomila combattenti e la incendiò. Giunse poi ad Asti, che dopo circa otto giorni si arrese. Venne in seguito ad Alessandria il 29 e l'assediò con i Pavesi ed il marchese di Monferrato fino al 12 aprile. Era quel giorno il sabato santo di Pasqua, ed egli aveva anche dato la parolaagli Alessandrini che non li avrebbero combattuti se non passata la festa; ma acceso d'ira e di rancore per i Lombardi che erano nella località di casteggio, di nascosto fece armare i suoi e di notte introdusse circa duecento tra i migliori in un cunicolo che aveva fatto scavarebcon l'uscita quasi in mezzo alla città.
Al mattino cominciò l'attacco; ma Dio combattè per i cittadini, e tutti quelli che erano nel cunicolo e nella torre di legno, che aveva fatto fare, morirono e la torre fu bruciata. Così gli Alessandrini furono liberati. I Milanesi mossero col loro carroccio l'11 marzo 1175 e convennero in questo esercito quelli della Marca, cioè Treviso, Padova, Verona, Brescia, Mantova, bergamo, Parma, Reggio, Modena, Piacenza e Ferrara con fanti e cavalieri, e trecento cavalieri di Novara e di Vercelli; e lì fu fatta per finta una specie di pace.
Poi sabato 29 maggio 1176, mentre i Milanesi si trovavano presso Legnano insieme con cinquanta cavalieri di Lodi, circa trecento di Novara e Vercelli, circa duecento di Piacenza, con la milizia di Brescia, Verona e di tutta la Marca (i fanti di Verona e di Brescia erano in città, altri erano vicino per strada e venivano a raggiungere l'esercito dei Milanesi), l'imperatore Federico era accampato con tutti i Comaschi presso Cairate con circa mille cavalieri tedeschi, e si diceva che fossero duemila quelli che aveva fatto venire attraverso la valle di Disentis [1] così segretamente che nessuno dei Lombardi aveva potuto saperlo. Anzi, quando si diceva che erano presso Bellinzona, sembrava una favola. L'imperatore voleva passare ed andare a Pavia, credendo che i Pavesi dovessero venirgli incontro. Invece gli vennero, incontro i Milanesi con i cavalieri indicati sopra, tra Borsano e Busto Arsizio, e fu attaccata un'ingente battaglia. L'imperatore mise in fuga i cavalieri che erano da una parte presso il carroccio, cosicché quasi tutti i Bresciani e gran parte degli altri fuggirono verso Milano, come pure gran parte dei migliori Milanesi. Gli altri si fermarono, presso il carroccio con i fanti di Milano e combatterono eroicamente. Infine l'imperatore fu volto in fuga, i Comaschi furono catturati quasi tutti, dei Tedeschi molti furono presi ed uccisi, molti morirono nel Ticino.

Anonimo Milanese, Le gesta dell'imperatore Federico I in Lombardia, SRG 27, pp. 187-188.

[1] Lucomagno.


(B) Nello stesso anno l'imperatore diresse messaggeri a papa Alessandro e venne segretamente a patti con lui. Stabilirono in un colloquio a Venezia, simulando pubblicamente di voler metter d'accordo i Lombardi e l'imperatore. Si trattennero ivi entrambi per metà dell'anno con arcivescovi, vescovi, patriarchi, abati e molti altri chierici con conti e marchesi. Infine il 24 luglio dell'anno 1177 dall'incarnazione del Signore papa Alessandro ricevette Federico, come cristianissimo imperatore, e la moglie di lui Beatrice e suo figlio Enrico come re, pur essendo ancora impubere. Tra i Lombardi e la loro lega e l'imperatore firmarono una tregua, prestando giuramento, entrambe le parti, per sei anni a partire dal primo agosto […], e a tali [patti] il papa [aderì] in perpetuo, tradendo la parola che aveva dato ai Lombardi. Infatti, giunto a Venezia, aveva inviato lettere ai Milanesi, in cui diceva che prima si sarebbe lasciato segare che fare la pace senza i Milanesi. Ma abbandonò i Lombardi e ristabilì i deposti e depose quelli che lui stesso aveva creato [1].

Anonimo Milanese, Le gesta dell'imperatore Federico I in Lombardia, SRG 27, p. 190.

[1] L'Anonimo si riferisce polemicamente al clero fedele ad Alessandro, che sarebbe stato mal ricompensato dal pontefice una volta composto lo scisma.


(C) Costanza, 25 giugno 1183.
Nel nome della santa e individua Trinità. Federico, per concessione della divina clemenza, imperatore augusto dei Romani, ed Enrico sesto, figlio suo, augusto re dei Romani.
La mansuetà serenità della clemenza imperiale è sempre stata solita concedere ai sudditi l'elergizione del favore e della grazia. Benchè essa possa e debbe correggere con fernmezza e con rigore nei sudditi le colpe dei peccati, tuttavia essa deve maggiormente dedicarsi a reggere l'Impero Romano, assicurando una favorevole tranquillità di pace e pii affetti di misericordia, ed infine essa deve riportare l'insolenza dei ribelli alla dovuta fedeltà e al dovuto riconoscimento della devozione.
Perciò tutti i fedeli dell'Impero, sia quelli del nostro tempo, sia quelli che verranno nel tempo futuro, sappiano che noi, dopo aver aperto il nostro cuore, ricco di innata pietà, col solito favore della nostra bontà, abbiamo accettato la fedeltà e la devozione dei Lombardi, che un tempo offesero Noi ed il nostro impero, e li abbiamo di nuovo ricondotti, insieme alla Lega e ai suoi fautori, nella pienezza della nostra grazia. Inoltre con clemenza Noi abbiamo perdonato tutte le offese e le colpe con le qualiavevano provocato la nostra indigniazione e abbiamo stabilito che i Lombardi debbono essere inseriti nel numero dei nostri diletti fedeli, dai quali Noi ci aspettiamo di ricevere un fedele servizio di devozione.
Pertanto abbiamo ordinato di scrivere nel presente privilegio la nostra indulgente pace, che con clemenza abbiamo loro concesso, e abbiamo ordinato di corroborare la pergamena col sigillo della nostra autorità. Il testo e la sequenza dei capitoli di pace sono questi.
1. Noi Federico, imperatore del Romani, ed Enrico, figlio nostro, re del Romani concediamo per sempre a voi città, luoghi e persone della Lega le regailie e le vostre consuetudini sia nelle città, sia sul territorio extraurbano, ad esempio in Verona e nel suo castello e nel distretto suburbano e nelle altre città, luoghi e persone della Lega. Ciò avverrà in modo che nelle città voi possiate avere tutte queste cose come finora le avete possedute o le possedete; sul territorio extraurbano eserciterete senza alcuna contraddizione tutte le consuetudini [1] che da antica data avete esercitato o che esercitate, cioè sul fodro [2], sui boschi e sui pascoli, sui ponti, sulle acque e sui mulini, come da antica data siete soliti avere o avete, e poi sull'arruolamento degli uomini per formare l'esercito, sulla fortificazione delle mura cittadine, sulla giurisdizione sia nelle cause criminali, sia in quelle pecuniarie, dentro e fuori la città, e su tutte le altre materie che riguardano l'interesse delle città.
2. Vogliamo che tutti i rimanenti diritti regi siano determinanti in questo modo: il vescovo del luogo e gli uomini della città e dell'episcopato eleggano delle persone di buona fama, che ritengano idonee a tale scopo, e che non manifestino odio speciale o privato contro la nostra maestà, né contro le città; costoro giureranno che in buona fede e senza frode indagheranno e che consegneranno i diritti ritrovati, i quali spettano in particolare alla nostra maestà.
5. Ciò che Noi, o un nostro predecessore, re o imperatore, diede o concesse a qualsiasi titolo di cessione ai vescovi, alle chiese, alle città o a qualsiasi altra persona, chierico o laico, prima della guerra, Noi lo considereremo valido e lo approveremo, fatte salve le precedenti concessioni. E in cambio di ciò essi prestino a Noi i consueti servizi militari, ma non sia pagato alcun censo.
6. Non reputiamo che i vantaggi, sia entro il perimetro urbano, sia fuori, che per il bene della pace abbiano concesso alle città, e per i quali deve essere versato un censo, siano da comprendersi sotto il nome di regalie.
7. Siano annullati e resi privi di valore tutti i privilegi, le donazioni e le concessioni che furono effettuati da Noi, o dai nostri rappresentanti, a pregiudizio o a danno delle città, del luoghi o delle persone della Lega, a causa della guerra e ad offesa di qualcuno dei predetti.
8. Nella città in cui il vescovo possiede il comitato per privilegio di Imperatore o di un re, se i consoli sono soliti ricevere dal medesimo vescovo il consolato, lo ricevano da lui, come erano soliti riceverlo. Negli altri casi ciascuna città ottenga da Noi il consolato. Negli anni successivi, come saranno eletti i consoli nelle singole città, essi ricevano l'investitura dal nostro rappresentante che si trova nella città o nell'episcopato; e ciò avvenga per cinque anni; finito il quindicesimo ciascuna città invii un proprio rappresentante alla nostra presenza per ricevere l'investitura. Così ci si comporterà in seguito, cioè, terminati i quinquenni le città ricevano da Noi l'investitura, negli anni compresi entro il quinquennio essi otterranno l'investitura, come si è detto, dal nostro rappresentante, a meno che fossimo presenti in Lombardia, nel qual caso la riceveranno da Noi. La medesima procedura sarà osservata con il nostro successore e tutte le investiture avverranno gratis.
9. Qualora Noi, imperatore, per chiamata divina morissimo o lasciassimo il regno a nostro figlio, riceverete l'investitura in modo uguale dal nostro figlio o dal suo successore.
10. Nelle cause d'appello il ricorso sia presentato a Noi se si supererà la somma di venticinque lire imperiali, fatti salvi il diritto e gli usi della chiesa bresciana negli appelli; tuttavia non sarà obbligatorio recarsi in Germania, ma Noi terremo un nostro rappresentante nella città o nel territorio dell'episcopato, che istrisca la causa d'appello e giuri che in buona fede esaminerà le cause e pronuncerà la sentenza secondo le leggi e i costumi della città entro due mesi dal ricorso o dal momento in cui haricevuto l'appello, a meno che non si presenti un giusto impedimento o non intervenga il consenso di entrambe le parti.
11. I consoli che sono eletti nelle città, prima di ricevere il consolato, prestino giuramento di fedeltà a Noi.
12. I nostri vassalli ricevano da Noi l'investitura e prestino giuramento di fedeltà come vassalli; tutti gli altri, dai quindici anni sino ai settanta, giureranno fedeltà come cittadini, a meno che siano persone a cui possa e debba essere condonato, senza frode, il giuramento.
13. I vassalli che durante la guerra o il periodo di tregua non richiesero l'investitura. oppure non ci prestarono i dovuti servizi militari, per questo motivo non perdano il feudo.
14. I contratti di livello o di precaria mantengano il loro valore secondo la consuetudine di ciascuna città, nonostante la nostra disposizione legislativa, che è detta dell'imperatore Federico [3].
15. Gratuitamente perdoniamo, Noi ed il nostro partito, tutti i danni, i furti e le offese, che patimmo in prima persona o tramite i nostri seguaci e che furono inferti dall'intera Lega o da qualche suo aderente o dagli alleati della Lega. Doniamo inoltre ad essi la pienezza del nostro perdono.
16. Non faremo una lunga ed inutile sosta con il nostro esercito in una città o su di un territorio episcopale a loro danno.
17. Ai membri della Lega sia permesso fortificare le città e costruire fortezze fuori di esse.
18. Sia lecito ai federerati mantenere la Lega e rinnovarla tutte le volte che lo vorranno.
19. I patti stipulati per paura della nostra Maesta, o estorti con violenza dai nostri rappresentanti, siano annullati, né per essi si esiga qualche cosa; ad esempio il patto dei Piacentini per il ponte sul Po e del fitto del medesimo ponte e delle regalie, la concssione ed il patto che il vescovo Ugo fece di Castell'Arquato, e se altri simili accordi sono stati fatti dallo stesso vescovo o dal comune o da altri della Lega con Noi o col nostro rappresentante; il ponte, con tutti i suoi introiti, resterà ai Piacentini ed essi saranno sempre tenuti a pagare il fitto alla badessa di Santa Giulia di Brescia; e si aggiungano altri patti simili.

27. Tutti gli aderenti alla Lega, che giureranno fedeltà a Noi, aggiungeranno nel testo del giuramento di aiutarci in buona fede a mantenere, se sarà necessario e se Noi o un nostro sicuro rappresentante lo richiederemo, i possessi e i diritti che Noi abbiamo e possediamo in Lombardia indipendentemente dalla Lega. E giureranno di ricuperarli qualora li perdessimo; ciò avverrà in modo che le città più vicine siano in primo luogo obbligate a farlo e, se sarà necessario, le altre siano tenute a fornire un adeguato aiuto. Si comporteranno in modo simile entro i loro confini anche le città della Lega che si trovano fuori della Lombardia.
28. Se una delle città non avrà osservato i patti che in questo accordo di pace sono stati stabiliti da Noi, le altre in buona fede la obblighino a rispettarli e la pace continui ad avere la sua validità.
29. Tutti coloro che sono soliti dare e che debbono fornire (quando sono soliti farlo o lo debbono fare) il consueto regio fodro a Noi, quando scendiamo in Lombardia, saranno tenuti a versarlo. Essi ripareranno le strade e i ponti in buona fede e senza frode, nonché in modo accettabile, sia nel viaggio di andata, sia in quello di ritorno. Forniranno a Noi e ai nostri seguaci, nell'andare e nel tornare, la possibilità di un sufficiente approvvigionamento di viveri e ciò in buona fede e senza alcuna frode [4].
30. Se Noi lo richiederemo, direttamente o per mezzo di un nostro rappresentante, le città rinnoveranno i giuramenti di fedeltà per quelle cose che non avranno ottemperato nei nostri confronti.
31. Se alcuni, appartenenti al nostro partito, sono stati scacciati dai loro legittimi possessi. questi siano a loro restituiti senza il pagamento degli interessi e del danno arrecato, a meno che il possessore non si difenda esibendo il diritto di proprietà o affermando di essere il principale possessore, fatte salve tutte le precedenti concessioni. Infine tutte le offese, siano a loro perdonate. Si curerà di salvaguardare il medesimo diritto relativo alla restituzione, verso coloro che appartengono al nostro partito, a meno che la città sia obbligata da un giuramento di non restituzione, nel qual caso vogliamo che la possibilità della retrocessione sia decisa dall'arbitrato di uomini probi.

35. Pertanto stabiliamo che sia ratificata e coservata in perpetuo questa pace secondo la forma scritta nelle precedenti righe e come in buona fede l'abbiamo ascoltata insieme ai mediatori di essa, cioè il vescovo di Asti, Guglielmo, il marchese di savona, Enrico, fra tiderico di Selva Benedetta, ed il nostro camerario, Rodolfo e secondo il testo della stessa che abbiamo fatto giurare e come i Lombardi in buona fede l'hanno conosciuta. E affinchè essa rimanga valida e stabile abbiamo fatto corroborare questa pergamena con l'impressione del nostro sigillo.
36. Inveri questi sono i nomi delle città alle quali abbiamo riconcesso la nostra grazia e a cui abbiamo fatto la presente concessione: Vercelli, Novara, Milano, Lodi, Bergamo, Brescia , Mantova, Verona, Padova, Treviso, Bologna, Faenza, Modena, Reggio, Parma, Piacenza.In queste città e in questi luoghi vogliamo che la pace sia osservata e ad essi riconcediamo la nostra grazia.
37. Non estendiamo invece la presente concessione a questi luoghi: Imola, Castel San Cassiano, Bobbio, Pieve di Gravedona, feltre, Belluno, Ceneta. A Ferrara restituiremo la nostra grazia e faremo la presente concessione se, entro due mesi dal ritorno dei Lombardi dalla nostra Curia, i Ferraresi avranno raggiunto un accordo con essi sulla pace.

41. Questi sono i luoghi e le città che ricevettero insieme a Noi, previo giuramento dei lombardi, la predetta pace ed essi giurarono di osservarla: Pavia, Cremona, Como, Tortona, Asti, Cesarea [5], Genova, Alba, e altre città, luoghi e persone che appartennero e appartengono al nostro partito.
42. Questi sono i nomi dei rappresentanti che ricevettero da Noi a nome delle città l'investitura del consolato: da Milano, Adobado; da Piacenza, Gerardo Ardizzoni; da Lodi, Vincenzo; da Verona, Cozio; da Vicenza, Pilio; da Padova, Gnaffo; da Treviso, Florio; da Mantova, Alessandrino; da Faenza, Bernardo; da Bologna, Antonino; da Modena, Arlotto; da Reggio, Rolando; da Parma, Giacomo di Pietro Bave; da Novara, Opizio; da Vercelli, Medardo; da Bergamo, Attone Ficiano.

Federico I, Costituzioni, CA 1, n. 293 (1183), cc. 1-2, 5-19, 27-31, 35-37, 41-42.

[1] In realtà non si trattava già più di semplici consuetudines ma di embrionali statuti, le leggi scritte delle città, che così vengono legittimate dall'ordinamento imperiale.
[2] Tassa pagata per il mantenimento dell'esercito imperiale.
[3] È la Costitutio de iure feudorum, del 1158.
[4] Sono tutti diritti tradizionali del sovrano
[5] Alessandria


(D) Federico, per grazia di Dio imperatore romano e sempre augusto, […]
Rendiamo noto a tutti i fedeli dell'impero presenti e futuri che noi, considerando gli onesti servizi dei nostri fedeli Rainerio, Ubertino e Guidone, prendiamo sotto la nostra protezione loro stessi e i loro figli e nipoti, e cioè i figli del fu Guglielmo loro fratello, con tutti i loro beni mobili e immobili, che ora giustamente detengono o hanno o giustamente devono tenere o avere. E concediamo loro anche, con imperiale autorità, che non siano sottoposti a nessuna città o potestà latina, ma siano sottoposti e tenuti a rispondere solo a Noi a nostro figlio Enrico, illustre re augusto dei Romani, e a sicuri nunzi mandati dalla Germania.

Federico I, Diplomi, DRG 10/4, n. 924 (1185).


(E) In nome della santa e individua Trinità. Enrico sesto con il favore della divina clemenza re dei Romani e sempre augusto. […] Considerando i devoti servizi dei nostri Fedeli cittadini di Firenze, che essi mostrarono fino ad ora al nostro serenissimo padre Federico imperatore romano e sempre augusto e a noi, con zelo diligente e strenuo fervore, e [ritenendo] che altrettanto faranno in futuro, ci proponiamo di prediligere la medesima città con tutti i suoi abitanti, di mantenerla e ampliarla. Perciò, volendo prenderci cura di loro con grande liberalità con benefici abbondantissimi, concediamo loro la giurisdizione – con il diritto e l'autorità nostra – nella città di Firenze e fuori, secondo quanto è scritto sotto […], eccettuato e salvo il diritto di nobili e cavalieri, dai quali anche vogliamo che i Fiorentini non esigano nulla, ordinando con regale editto che non gravino in modo ingiusto assolutamente nessuna persona, secolare o ecclesiastica.

Enrico VI, Diploma per i fiorentini, 170 (1187).

 

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