Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
8. L'evoluzione istituzionale cittadina (A) Cronaca parmense, RSI
[2] 9/9, anni 1183-1200. (B) Niccolai, I consorzi nobiliari,
pp. 168-169. (C) Il libro Rosso
del comune di Ivrea, 172 (1200).
Nelle città italiane, nella fase di trapasso rappresentata dalla
seconda metà del XII e dai primi del XIII secolo, si nota un po'
dappertutto un'alternanza tra consoli e podestà ai vertici dell'ordinamento
comunale; all'inizio, inoltre, il podestà di frequente è
un esponente della classe dirigente cittadina e non un professionista
della carica podestarile, reclutato in altre città: su questi due
punti si veda il caso chiarissimo di una città di media importanza
come Parma (A). Questo mentre un comune
come Ivrea (C) deve ancora fare i conti
con l'antico potere cittadino, quello del vescovo, capace di disputargli
accanitamente una serie di diritti e prerogative (qui il conflitto, sui
beni comuni e sul commercio delle pietre da macina, finisce con un compromesso,
che utilizza tra l'altro lo strumento del feudo). Si tratta dunque di
un momento molto aperto e ricco di sperimentazioni e proprio per questo,
forse, la società cittadina appare sempre più soggetta alla
tentazione ricorrente della violenza, esterna (i conflitti intercittadini
[A]) e interna; di qui anche lo sviluppo
di consorterie nobiliari o «società delle torri», come
nel caso bolognese del 1196 che si affianca ad un parallelo sviluppo delle
società d'armi del Popolo. (A) Messer manfredo
Barato di Parma fu podestà 1183. E in quest'anno fu fatta la
pace di Costanza.
Messer Giulio Bernardo Bennato e compagni di Parma furono consoli 1184.
Messer Rainerio di Gomola di Modena fu podestà di Parma. E in
quest'anno messer Federico imperatore riedificò Crema nel mese
di marzo [1].
Messer Pagano di Modolana di Cremona fu podestà di Parma 1186.
E in questo stesso anno, la domenica ottava delle calende di febbraio
[2], re Enrico,
figlio dell'imperatore Federico, celebrò le sue nozze a Milano,
e lì fu incoronato con sua moglie e suo padre.
1187. Il predetto Pagano di nuovo podestà.
Messer Pelavicino marchese dei Pelavicini dell'episcopato di Piacenza
fu podestà di Parma nel 1188. E in quest'anno i Parmensi sconfissero
i Cremonesi a Casalunculi, nella Terra dei Tre Casali dell'episcopato
di Parma.
Messer Anzelerio di Borgo di Cremona fu podestà di Parma 1189.
Messer Alberto Barato e compagni di Parma furono consoli di Parma 1190.
Messer Gerardo Visdomino e messer Iacopo Maffei e compagni di Parma
furono consoli di Parma 1191.
Messer Bernardo di Cornazzano di Parma fu podestà di Parma 1192.
Messer Guido dei Ruggeri e messer Gerardo Rossi e compagni di Parma
furono consoli di Parma nel 1193.
Messer Azo di Guidobovi e Odiberto degli Oliverii e compagni di Parma
furono consoli di Parma nel 1194.
Messer Rampono e Oldezono Guascari di Parma furono consoli di Parma
1195.
Messer Bercilio e Giordano di S. Michele di Parma furono consoli di
Parma nel 1196. E in quest'anno fu iniziato il Battistero della chiesa
maggiore di Parma della beata Maria.
Albeto di Porta e Sigifredo di Bernardo Rossi di Parma furono consoli
di Parma nel 1197. E in quest'anno, il giovedì sette dall'inizio
di maggio, di sera la luna calò con un colore sanguigno e nero
e stette così a lungo.
Messer Anzelerio di Borgo di Cremona fu podestà di Parma ne 1198. […]
Messer Guiudo dei Ruggeri e Rolando Rossi di Parma furono rettori di
Parma nel 1199. E in quest'anno fu [fatto] un grande esercito nel mese
di maggio per il Borgo di S. Donnino, [comprendente] quattro carrocci,
perchè i Cremonesi, i Reggini e i Modenesi e i loro alleati erano
lì per difendere il detto Borgo di S. Donnino dai Piacentini
i quali erano con i Milanesi, i Bresciani, i Comaschi, i Vercellesi,
i Novaresi, gli Astigiani, gli Alessandrini e i loro alleati […].
Messer Gerardo dei Visdomini di Parma fu podestà di Parma nel 1200. Cronaca parmense, RSI [2] 9/9, anni 1183-1200. [1] In realtà l'8 maggio.
[2] In realtà il 27 gennaio. (B) Giuriamo di aiutarci
scambievolmente senza frode e in buona fede […] con la nostra
torre e casa comune e giuriamo che nessuno di noi agirà contro
gli altri né direttamente né attraverso terzi. Se questa
torre risultasse necessaria ad uno dei giurati per i suoi fini […]
gli altri gli metteranno a disposizione la torre e la casa e lo aiuteranno
e non l'ostacoleranno. Le questioni riguardanti la costruzione della
torre saranno risolte attraverso, la decisione di due uomini scelti
dai giurati ed essi decideranno in buona fede che cosa sia nel miglior
interesse dei parenti che prestano questo giuramento. I giurati faranno
prestare ai loro figli, se ne hanno, un giuramento consimile prima che
compiano quindici anni, nel termine d'un mese da che ne vengano richiesti
o entro qualsiasi termine i rettori vogliano stabilire. Se tra i giurati
sorgesse disaccordo i rettori del momento convocheranno le parti in
disaccordo entro trenta giorni per raggiungere un accordo; esse dovranno
accettare la decisione dei rettori. Nessun acquisto relativo alla torre
sarà fatto da un singolo; ognuno deve essere consultato in merito
a tale acquisto e chi desideri parteciparvi dovrà avervi parte,
poiché le parti di quelli che non vi partecipano apparterranno
agli altri [1]. Niccolai, I consorzi nobiliari, pp. 168-169. [1] 12 aprile del 1196. La città è Bologna. (C) L'anno dell'incarnazione
del Signore 1200, 23 luglio, terza indizione.
Alla presenza dei testimoni infrascritti. Vi era controversia e discordia
fra il signor Giovanni vescovo di Ivrea a nome dell'episcopato da una
parte e i consoli Giordano Soriano, Giacomo Gionatasio, Enrico del Pozzo,
Alario, Oberto Calderia a nome del comune di Ivrea dall'altra, intorno
ai diritti sul commercio delle pietre da macina e ai beni comuni, beni
che il comune di Ivrea teneva sotto il podestà di Ivrea Guido
Barbavaria e sotto il signor Gregorio di Seiso. Chiedeva infatti il
vescovo soprascritto che il comune, ossia la collettività di
Ivrea, gli restituisse il possesso o il quasi possesso della metà
di tutti i beni e i diritti che l'episcopato era solito tenere e possedere
e specialmente ciò che il defunto [vescovo] Gaido a nome dell'episcopato
e della sua chiesa di S. Maria tenne e possedette, e che i consoli della
città dopo la morte di Gaido occuparono e tennero, cioè
i diritti sul commercio delle pietre da macina e i beni comuni, ossia
le terre comuni, le selve, le vigne, i campi, i diritti di pesca, dei
quali i frutti e gli utili erano soliti pervenire, e tutti i frutti
che in seguito ne pervennero. Ugualmente [io vescovo] chiedo che l'altra
metà di tutto ciò sia restituita a me e all'episcopato
poiché appartiene all'episcopato e alla chiesa. Ugualmente chiedo
che mi venga restituito tutto ciò che i consoli e il comune hanno
sottratto dal palazzo vescovile e dai nostri castelli dopo la morte
del vescovo Gaido; richiedo il grano, i maiali, le stoviglie e gli attrezzi
presi dal palazzo dal comune e dalla collettività sui beni della
chiesa dopo la morte di Gaido e che sono di pertinenza della chiesa.
Da parte contraria i consoli risposero a nome del comune, ossia della
collettività, affermando che su tutto ciò di cui si era
parlato non spettava né alla chiesa né all'episcopato
accampare diritti, dal momento che questo era di pertinenza del comune
e della collettività e che il comune da grandissimo tempo lo
aveva e lo possedeva. Su tali argomenti giunsero tuttavia a una transazione
e stabilirono quanto segue: per primo, il signor vescovo a nome dell'episcopato
e della chiesa di Ivrea cedette e conferì ai consoli a nome del
comune, ossia della collettività di Ivrea, tutti i diritti e
tutte le azioni reali e personali che aveva e che ad essa chiesa competevano
o che in qualche modo potevano competere su tre parti o porzioni del
predetto diritto sul commercio delle pietre da macina e su tre parti
di tutti i beni comuni, ossia delle terre comuni suddette. Inoltre rinunciò
a favore dei consoli a nome del comune al diritto sopra le suddette
tre parti del diritto sul commercio delle pietre da macina e dei beni
comuni che a lui potesse competere. Le anzidette tre parti dovranno
essere tenute dal comune, ossia dalla collettività, in feudo
dal vescovo e dalla chiesa di Ivrea. I predetti consoli a nome del comune
e della collettività di Ivrea diedero e cedettero, al vescovo,
ogni diritto e ogni azione reale e personale che avevano e possedevano
sulla quarta parte del diritto sul commercio delle pietre da macina
e sui beni comuni. E per tale concordia e transazione i capifamiglia
di Ivrea oppure otto uomini per contrada dovranno prestare giuramento
di fedeltà al vescovo per le suddette tre parti del diritto sul
commercio delle pietre da macina e dei beni comuni [concessi in feudo]. Il libro Rosso del comune di Ivrea, 172 (1200).
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