Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
9. Città e contado (A) Gli atti del comune di Milano,
28 (1153). (B) Caleffo Vecchio, I,
13 (1156). (C) Caleffo
Vecchio, 1, 11 (1168). (D) Codice Astense, III,
908 (1191). (E) Codice
Astense, II, 131 (1189). (F) Codice Astense, II, 135
(1189). (G) Codice Diplomatico della Repubblica
di Genova, FSI 77,1, 73 (1135). (H) Codice Diplomatico della Repubblica di
Genova, FSI 77, I, 120 (1142?). Nella seconda metà del XII secolo, l'affermazione dei comuni nel contado fece passi da gigante.
Nel 1153 vediamo i consoli milanesi giudicare – in posizione eminente rispetto ai consoli della
piccola località soggetta di Velate – su controversie economiche riguardanti lo
sfruttamento d'incolti, il cui notevole valore economico risulta evidente
(A). D'altra parte il contado può essere ancora un
pericoloso focolaio di disordini, tanto da spingere i comuni cittadini ad intervenire per
sanzionare la propria superiorità politica e militare, sia coll'uso della forza, sia con
lo strumento rappresentato dai patti di sottomissione delle varie comunità rurali o
delle diverse famiglie dell'aristocrazia del contado: gli esempi senesi riguardano gli abitanti
del castello di Poggibonsi (B) e i Cacciaconti
(C); vediamo poi il marchese di Saluzzo sottomettersi ad Asti
(D), così come altri esponenti dell'aristocrazia del
territorio astigiano, che ricevono indietro, in feudo, le proprietà prima concesse a
quel comune (E, F); infine
il marchese Aleramo giura il cittadinatico del comune di Genova, consegnando proprietà e
castelli e impegnandosi ad osservare una serie di obblighi connessi alla sua nuova condizione di
cittadino (G). In tutti questi patti l'elemento della
collaborazione militare è fondamentale: e in effetti il contado contribuisce sempre –
e non sono solo gli aristocratici a fare ciò – allo sforzo militare della città
(H). (A) Breve della sentenza
che dette il console milanese Azo Cicerano […] sulla discordia
che verteva tra Aurico e Soldano e Viviano, consoli del comune del luogo
di Velate e Ugone prete e Ottone di Muricciolo. per sé e in rappresentanza
di tutti i loro vicini che hanno parte in questa discordia, e dall'altra
parte il signore Landolfo, arciprete della chiesa di Santa Maria detta
del Monte Velate. Era invero, fra di loro discordia se mai fosse lecito
o no ai predetti di Velate di dividere fra di loro il bosco o selva
che è chiamata di Gazio, nella quale lo stesso arciprete diceva
di avere parecchi patti e parecchi diritti, e cioè di prelevare
legna per la fabbrica della medesima chiesa e per le case da costruire,
riparare e conservare, che tiene come sua proprietà diretta nel
detto monte, e per fare il fuoco, non solo come facevano anche prima
egli e la sua famiglia, ma anche per fare quel fuoco ove vengono, cotti
e preparati i cibi, tanto per il forno che per la cucina; e parimenti
in esso [bosco] non solo ha diritto di nutrire di ghiande e pascolare
i porci che fa tenere nel detto monte come sua proprietà diretta,
ma anche di altri uomini abitanti nello stesso monte lì vicino
a Santa Maria, che per le dette ghiande gli danno per ogni porco, che
uccidono i lombi […] e per ognuno che vendono sei denari. Tutto
ciò gli stessi di Velate non negavano. se non soltanto il diritto
di pascolare i porci degli altri uomini abitanti nel predetto monte,
cosa che negavano assolutamente competesse al medesimo arciprete, ma
dicevano che, sebbene tutti i predetti diritti spettassero all'arciprete,
tuttavia egli non poteva proibire loro di fare la divisione del bosco.
poiché nessuno deve, tenere in comune contro, il suo volere.
e perché anche se tale divisione fosse stata fatta i predetti
diritti non ne sarebbero per nulla sminuiti. Il detto arciprete si opponeva
alla divisione per questo motivo: perché se fosse avvenuta la
divisione del detto bosco e ognuno si fosse servito a suo arbitrio della
propria porzione, lo stesso bosco sarebbe stato consumato completamente,
e così i vantaggi della predetta chiesa spettanti all'arciprete
si sarebbero ridotti a nulla. […] E ancora la discordia era
sul fatto se fosse lecito ai predetti uomini abitanti nel predetto monte
presso Santa Maria, di prendere legna secca comunque l'abbiano trovata,
per fare il fuoco, tanto nel detto Gazio che in un altro bosco e selva
chiamata Cerreto, che è dal lato occidentale della chiesa di
Santa Maria, fra il predetto Gazio e un prato chiamato Vivario; nel
quale Cerreto il medesimo arciprete ha gli stessi diritti di toglier
legna per. le abitazioni e per il fuoco che ha nel predetto Gazio; [si
discuteva] se fosse lecito loro prendere soltanto legna sparsa, separata
dagli alberi, che potevano trovare nei detti boschi. Ancora si discuteva
fra le parti se fosse lecito ai predetti di Velate di falciare “seccare”
il prato chiamato Vivario, nel quale il medesimo arciprete tiene senza
contrasti il diritto di pascolare con tutte le sue bestie per tutto
l'anno: o anche se, senza falciatura, fosse loro lecito “seccare” il
detto Vivario, cosa alla quale il medesimo arciprete si opponeva del
tutto, evidentemente perché se si desse a quelli il permesso
o il diritto di pascolo ne verrebbe grandemente sminuito. […]
Viste e udite queste e molte altre cose, lo stesso Azo pronunciò
tale sentenza: per prima cosa disse che non è lecito ai predetti
di Velate dividersi il detto Gazio, e se qualche divisione fosse stata
fatta non è valida. Parimenti disse non essere lecito loro scuotere
i castagni e portare a casa i frutti, ma li debbono lasciare nel detto
monte per alimento e utilità dei porci, tanto propri che dell'arciprete.
Dei suddetti otto moggi di castagni che quelli di Velate dicevano di
dover pretendere sopratutto Gazio per la custodia e la difesa dello
stesso Gazio, il detto Azo stabilì che: se il detto arciprete
giurerà sui vangeli che non debbano prendere con diritto, non
prendano per nulla i castagni, o, qualora non voglia giurare, si ripeta
il giuramento con quelli di Velate, i quali, se giurano di prendere
a buon diritto, abbiano poi la facoltà di prendere otto moggi
di castagni alla piccola misura di Velate, per i quali ordinò
che facciano difendere bene Gazio; e l'arciprete subito si rimise al
giuramento di quelli di Velate. Per quanto riguarda la legna secca da
prendere da parte degli abitanti proprio sopra Santa Maria, disse che
non è lecito, prendere tutta la legna secca che trovino nel detto
Gazio e Cerreto, ma soltanto, quella sparsa, cioè quella che
abbiano trovato staccata dagli alberi nei detti boschi. Stabilì
poi che le ghiande dei porci nel detto Gazio e la legna per il fuoco,
come si è detto sopra, e per gli edifici nel predetto Gazio e
Cerreto […] la debba avere il detto arciprete. […] A
proposito dei prati detti Vivario, disse che in nessun modo era lecito
a quelli di Velate falciare o “seccare”, ma abbiano allo stesso modo
dell'arciprete il diritto e la facoltà di pascolare in esso.
Negli altri prati che stanno dal lato orientale del monte disse e approvò
Azo che prima e dopo la falciatura abbia l'arciprete diritto e facoltà
di pascolare con le sue bestie, come gli stessi di Velate presero a
pascolarvi con le loro bestie; i quali prati quelli di Velate possono,
se vogliono, falciare dal primo aprile fino al primo settembre; se poi
vogliono di questi prati […] fare ronchi e ridurre una parte
a coltura, approvò lo stesso Azo che fosse concesso purché
rimanesse al detto arciprete il diritto di pascolare in questi ronchi
e campi […] una volta che siano stati da loro raccolti i frutti. Gli atti del comune di Milano, 28 (1153). (B) Nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, amen. Anno dell'incarnazione del nostro
signore Gesù Cristo millesimo centesimo cinquantesimo sesto,
quarto giorno dall'inizio di aprile, idizione terza. Da questo momento
in avanti salverò e difenderò tutti gli uomini abitanti
della città di Siena e dei suoi borghi e i loro beni e le persone
di quelli che saranno con loro e i loro beni ovunque potrò, a
meno che non siano nemici manifesti e ricercati a conoscenza dei Senesi.
E non consiglierò né agirò né consentirò
che i Senesi perdano quella parte che il conte Guido Guerra dette ai
Senesi e i Senesi ricevettero nel castello e poggio detto di Montebonizo
[1] e nelle
sue appendici, e se avrò saputo che un altro vorrà togliere
o diminuire la suddetta parte ai Senesi, in buona fede e senza frode
lo contrasterò con [tutte] le forze. E se per caso i Senesi avranno
persa detta parte, senza frode aiuterò a recuperarla e una volta
recuperatala cercherò di mantenerla […]. La lite o le
liti o le guerre che ora i Senesi hanno o avaranno in comune ora io
le farò, con loro e senza di loro, e aiuterò i Senesi
contro tutti gli uomini e soprattutto contro i Fiorentini. Da questi
escludiamo il conte Guidi e l'abbate marturense [2]
e gli altri nostri signori; contro questi [ultimi] aiuterò
i Senesi [solo] nel predetto castello e andando e tornando dal castello.
[…] E sarò stato fatto console di questo luogo, farò
giurare tutte queste cose che [sono] sottoscritte a tutti gli uomini
che non avessero ancora prestato questo giuramento e abiteranno nel
predetto monte, dopo che abbiano raggiunto l'età di quattordici
anni. Caleffo Vecchio, I, 13 (1156). [1] Poggibonsi.
[2] …manca la nota (C) Anno dell'Incarnazione del
Signore millesimo centesimo sessantesimo ottavo, diciassette delle calende
di ottobre, indizione prima. Piacque a me Ildibrandino figlio del fu
conte Cacciaguerra donare e trasmettere a titolo di donazione fra vivi
al popolo e al comune [1]
di Siena e ai consoli che ora [ci] sono, e cioè Ormanno Scorcialupi
e Matussale Lambertini e Macone e Dono e Caulo Cardini e Berlingerio,
e ai provveditori Gregorio e Ardelaffo e ai vostri successori e a tutti
i rettori senesi che di volta in volta [ci] saranno, in perpetuo, tutto
il castello di Asciano con i suoi borghi e vie [2],
[così] come io ho posseduto e tenuto, o altri per me, individuato
secondo questi confini […], per averlo, tenerlo e possederlo
e fare ciò che piacerà sulla base del diritto di signoria
[3] e proprietà,
senza assolutamente alcuna lite e contrarietà da parte mia e
dei miei eredi. Inoltre prometto ed obbligo me e i miei eredi verso
tutto il popolo senese e i suoi consoli e rettori, che di volta in volta
[ci] saranno e ora [ci] sono, di difendere sempre davanti alla legge
il predetto castello e poggio con tutte le sue pertinenze. Caleffo Vecchio, 1, 11 (1168). [1] universitatis.
[2] platee.
[3] dominium. (D) L'anno del Signore 1191,
28 maggio, prima indizione, martedì, alla presenza dei testimoni
sotto indicati. È stato convenuto e stabilito fra gli Astigiani e il
marchese Salluzzo manfredo un patto di tale tenore: il signor marchese
Manfredo di Salluzzo deve salvare, custodire, aiutare e difendere gli
uomini di Asti e e tutti gli uomini del loro territorio nelle persone
e nelle cose per tutta la sua terra e per tutto il suo distretto e altrove
ovunque potrà in buona fede e senza frode, né riscuoterà
o farà riscuotere o permetterà che si riscuota in tutta
la sua terra e distretto alcun pedaggio, teloneo, guidonagio o coradia,
né altre imposizioni da nessun cittadino di Asti o da altri del
territorio di Asti, se non il vecchio e consueto pedaggio [1].
Che nessun cittadino di Asti né abitante del territorio venga
preso da alcuno né sia disturbato nella persona o nelle cose
per tutta la terra la terra del marchese e per tutto il suo distretto
a causa di contratti finanziari o altre occasioni simili, a meno che
non sia stato debitore principale o fidiussore. E se i cittadini di
Asti o abitanti del suo territorio trovassero un loro nemico o debitore
o fideiussore nella terra o nel distretto del marchese sia loro lecito
arrestarlo e condurlo dove vorranno e il predetto marchese dovrà
aiutarli in ogni modo, in buona fede e senza frode.
Ugualmente il marchese deve aiutare gli uomini di Asti con tutti i suoi
uomini e con tutto il suo territorio contro tutti gli uomini, eccetto
che non sarà tenuto a fare scorrerie sulla terra di Bonifacio
marchese di Moferrato; ma deve essere cittadino di Asti per sempre e
possedere casa propria in Asti per tutta la durata di questo consolato
e tale casa in seguito non dovrà obbligare né alienare
per feudo né per altro titolo. Ugualmente deve stare nella città
di Asti in tempo di guerra con tre cavalieri e lui come quarto e con
quattro clienti a cavallo per tre mesi all'anno mentre durerà
la guerra. Ugualmente deve partecipare all'esercito degli Astigiani
con dieci cavalieri e dieci arcieri a cavallo ogni volta che sarà
richiesto e aproprie spese. Ugualmente il predetto marchese non deve
abbandonare gli Astigiani sul campo di battaglia né in marcia
né durante l'assedio dei castelli senza autorizzazione dei consoli
esistenti, di tutti o della maggioranza, e della credenza convocata
al suono della campana, di tutta o della maggioranza. Ugualmente deve
venire in soccorso degli Astigiani ogni volta che gli sarà richiesto
con dieci cavalieri e dieci arcieri a cavallo, restando dal primo giorno
in avnti a spese del comune di Asti. […]
Dal canto loro gli Astigiani e gli abitanti del loro territorio devono
salvare, custodire, aiutare e difendere il predetto marchese e gli uomini
di tutta la sua terra. Codice Astense, III, 908 (1191). [1] Dazi sul movimento delle persone e delle merci. (E) Nel nome del Signor nostro
Gesù Cristo. A onore di Dio e della beata Vergine Maria e del
beato Secondo martire di Cristo e di tutti i suoi santi e sante e a
servizio di Federico imperatore Augusto dei Romani e di suo figlio re
enrico e per l'utilità e benessere della città di Asti
e di tutti gli uomini che la abitano e di tutti i loro amici.
Il signore Ansaldo di Canelli e il suo figlio Alberto fecero dono nelle
mani dei consoli astensi – i consoli del comune Opizzone da Vivario,
Rolando, Bergognino, Rolando Berardengo, Guglielmo Calvo e Ottone Vola,
i consoli di Giustuzia Pietro di S. Giovanni, Uberto de Platea e Rolando
Crivello, a luogo e in nome del comune di Asti – di tutto ciò
che tengono, hanno e possiedono giustamente e ingiustamente e in quanto
acquisteranno in avvenire in Mombercelli, in Malamorte e in Vigliano,
nei loro castelli e villaggi, nei territori, nelle pertinenze e nelle
corti dei detti luoghi, sulle cappelle, sui vassalli, sui contadini
e sugli altri uominiinfeudati e non infeudat, con ogni potere e distrett,
nelle terre coltivate e incolte, nei prati e nelle vigne, nelle sodaglie
e nei boschi, nelle selve, sui forni e sui mullini, sui diritti al pascolo,
di acque, di pesca e di caccia, sui dirupi, sugli affitti, sui redditi
e su tutte le consuetudini e sulle cose che hanno e hanno acquistato
e che in seguito acquisiranno nei luoghi predetti e nei loro territori.
[Fanno donazione] in modo tale che i predetti consoli di Asti e i loro
successori a nome del comune di Asti facciano del predetto dono d'ora
in avanti con diritto di piena proprietà qualunque cosa vogliano
senza nessuna opposizione da parte di Ansaldo e di suo figlio Alberto
e dei loro eredi.
Poi i predetti Ansaldo di Canelli e suo figlio Alberto promisero ai
consoli stipulanti e ai loro successori a nome del comune diAsti di
difendere contro tutti il predetto dono sotto pena del doppio valutato
come nel tempo sarà migliorato o varrà.
Fatto nella città di Asti nella pubblica assemblea dei soprascritti
consoli nel cimitero di S. Secondo del mercato felicemente, 1189, settima
indizione, 26 novembre, domenica. Furono presenti come testimoni richiesti
Biamondo di Platea, gandolfo de Porta, Enrico Soldano, Mandrogio, Ottolino
Siccardi, Manfredo de Platea, Obertino Culorio, Girbaldo di Porta, Berardo
Coglianda, Oberto Crivello, Alfredo alfieri, Manfredo Cavazzone e molti
altri.
Io Tommaso notaio palatino fui presente e scrissi il documento di questa
donazione. Codice Astense, II, 131 (1189). (F) In nome di Cristo, Amen.
L'anno suo 1189, settima indizione, domenica 26 novembre nella città
di Asti, nel pubblico parlamento tenuto nel cimitero di S. Secondo del
mercato alla presenza del popolo di Asti che concedeva e confermava.
i consoli del comune e di giustizia […] in nome del comune investirono
Alberto figlio di Ansaldo di Canelli in feudo trasmissibile ai maschi
e alle femmine di tutto quanto il dono che suo padre Ansaldo ha fatto
al comune di Asti in Mombercelli, Malamorte e Vigliano, così
come è contenuto nello strumento di donazione, in modo che lo
stesso Alberto e i suoi eredi tanto maschi quanto femmine facciano d'ora
in avanti qualunque cosa vogliano fare a titolo di feudo diretto senza
opposizione dei predetti consoli e dei loro successori. [Concessero]
che inoltre il detto Alberto possa trasmettere il predetto feudo, come
sopra è detto, ai figli dei fratelli e delle sorelle e ai figli
del figlio di suo fratello e al figlio di Enrico di Mombercelli, salvo
il comune di Asti, e quelli facciano fedeltà al comune di Asti
come fa il vassallo al suo signore. E il predetto Alberto, ricevuta
la predetta investitura del feudo, giurò fedeltà al comune
di Asti nelle mani dei predetti consoli come fa il vassallo al suo signore
e in tale fedeltà prestata su richiesta di suo padre Ansaldo
giurò sopra i Vangeli di Dio di non impedire l'ingresso ai consoli
per fare pace e guerra con chiunque vorranno nei luoghi di Mombercelli,
Malamorte e Vigliano, tanto nei castelli che nei villaggi da oggi per
il futuro. Così infatti convennero fra loro. Furono presenti
i testimoni. […] Io Tommaso notaio palatino fui presente e così
scrissi su richiesta dei predetti consoli. Codice Astense, II, 135 (1189). (G) D'ora in avanti io marchese
Aleramo sarò cittadino e abitatore della città di Genova
per me o per mio figlio. a volontà della maggioranza dei consoli
del comune di Genova che ci sono e saranno in ogni consolato. Manterrò
fede e sarà tenuto a mantenerla al giuramento della Compagna
del comune di Genova che vi è presentemente e ai giuramenti che
il popolo genovese farà delle Compagne future del comune di Genova
allo stesso modo degli altri cittadini genovesi che hanno giurato questa
Compagna o che giureranno le prossime. Consegnerò al comune di
Genova tutti i miei castelli e le parti di castelli che possiedo o in
futuro possiederò. Se i consoli del comune di Genova mi chiameranno,
andrò a combattere contro quelle persone e quei luoghi contro
i quali la maggioranza dei consoli del comune di Genova avrà
decretato di far guerra. fino a quando lo vorrà la maggioranza
dei consoli. E se il comune dl Genova precetterà l'esercito e
i consoli del comune di Genova mi chiameranno, andrò a combattere
con due cavalieri miei e se non potrò andarci personalmente,
invierò in vece mia mio figlio con due cavalieri a mie spese
e resterà agli ordini della maggioranza dei consoli del comune
di Genova che saranno preposti all'esercito. Farò sottomettere
a coscrizione a servizio del comune di Genova secondo la volontà
dei consoli tutti gli uomini che dipenderanno da me dopo la morte di
mia madre e che risiedono tra i Giovi e il mare.Non darò via
Varzino. né in pegno né in feudo, né lo venderò
o consegnerò a nessun titolo a nessuna persona se non per volontà
della maggioranza dei consoli del comune di Genova. Proteggerò
i Genovesi e gli uomini del loro distretto e le loro cose nel mio distretto.
Osserverò tutto ciò senza frode, a eccezione del fatto
che non sia tenuto per questo giuramento a far guerra al comune della
città di Acqui. Io Lantelmo notaio del sacro palazzo questa copia
dell'originale pergamenaceo consegnatomi dal signor Oberto Doria e compagni
relativo ai privilegi del comune di Genova ho estratto e redatto, senza
nulla aggiungere o togliere. Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, FSI 77, 1, 73 (1135). (H) Questa è la guardia
della città: gli uomini di Carbonara e gli uomini di Mostedo
fino ai Mulini Gemelli devono fare la guardia al castello di Genova
presso le mura di Santa Croce dalla metà del mese di luglio fino
all'inizio del mese di settembre; ugualmente gli uomini di Casamavale,
di Campo Ursone, di Zinistedo, di Vergone, di Quico e di Terralba. Tutti
questi sopra ricordati devono fare la guardia, a eccezione del servi
e di coloro che abitano nei possessi dei cittadini genovesi, dove la
città ha diritti di pascolo. Gli uomini di Calignano devono fare
la guardia a Calignano, gli uomini di S. Martino e di Ercle e gli uomini
di Manzasco devono fare la guardia a Manzasco; quelli di Tanaturba,
di Rivarolo, di Porcile, di Cavanuza, di Granarolo, di Sosenedo devono
fare la guardia alla torre di capo Faro. Gli uomini di Sampierdarena
che sono soliti fare la guardia ivi devono continuare a farla.
Gli uomini di campo Flarenzano devono dare per la guardia due denari
vecchi di Pavia [1];
gli uomini di Maassi, quelli di Terpi, di Monteasiano, di lugo e diMelmi
devono dare mezzo denaro ciascuno per la guardia. Gli uomini di Mortedo
Soprano e di Cerreto devono dare per la guardia 9 denari in tutto. Gli
uomini di Stroppa devono dare per la guardia 12 denari in tutto, gli
uomini di Bargaglio un ramossino [2]
ciascuno; gli uomini di Bavali e Fontaneglio in tutto per la guardi
adevono dare 12 emine [3]
di castagne; gli uomini di Pradello e di staiano devono dare per ciascuno
una misura d'olio; gli uomini di Coronada, Domezano, Morteo e Azali
per ciascuno un'emina di castagne, compresi quelli della casa di Fringuello.
Gli uomini di Sesto, Priano, Borzoli, Burlo devono per ciascuno un fascio
di legna, gli uomini di Langasco, Celanesio e S. Cipriano devono dare
per ciascuna procchia 6 denari vecchi di Pavia. I servi e gli uomini
che abitano sui beni dei Genovesi che danno pascolo al bestiame dei
signori delle terre non devono fare la guardia né pagare le soprascritte
tariffe. Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, FSI 77, I, 120 (1142?). [1] Qui e dopo l'obbligo militare
si trasforma in contribuzione fiscale.
[2] Probabilmente una moneta.
[3] È una misura di capacità
per aridi.
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