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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XII
L'espansione europea / 2
Vicino Oriente, Bisanzio, Europa dell'Est

2. I nuovi cristiani d'oriente e i Templari
(A) Bernardo di Chiaravalle, Lode della nuova milizia, PL 182, cc. 923-924.
(B) Fulcherio di Chartres, Le gesta dei Franchi, PL 155, III 37.
(C) Usâma Ibn Munqiah, Libro dell'ammaestramento con gli esempi, 103-104.
(D) Usâma Ibn Munqiah, Libro dell'ammaestramento con gli esempi, 99.

Una delle più evidenti caratteristiche del regno di Gerusalemme fu all'apparizione degli Ordini monastici cavallereschi – Teutonici Ospedialieri di S. Giovanni e Templari – dotati di una regola religiosa che includeva, accanto ai voti di castità, povertà personale e obbedienza, anche l'obbligo di combattere gli infedeli e la fedeltà a papa. Il più famoso in oriente fu quello dei Templari di esso Bernardo di Clairvaux, il santo che fu l'ispiratore della seconda crociata [cfr. paragrafo 9], tessé un elogio in serrata polemica con la fatuità della cavalleria mondana, usa a rischiare la vita in guerre fratricide fra cristiani o addirittura in quelle vane esibizioni della gloria terrena che erano i tornei (A).
I Templari erano perfettamente inseriti nella complessa realtà politica e sociale dell'oriente autentici esponenti di quel movimento di fusione tra occidentali e popolazioni locali che metteva in contrapposizione i residenti con gli intransigenti cristiani appena arrivati dall'Europa (B, C, D).


(A) Ma quale è dunque il fine e il frutto di questa non dirò già milizia, ma piuttosto malizia mondana, se l'uccisore è in peccato mollale e l'ucciso è condannato alla morte eterna? Secondo l'Apostolo, per la verità, chi ara, deve arare con speranza, e chi trebbia [deve farlo] con speranza di avere parte al frutto [1]. Che è dunque, cavalieri, questa incredibile passione, questa insopportabile follia di far guerra casi dispendiosamente e faticosamente senza altra ricompensa che la morte o il peccato? Voi coprite di seta i vostri cavalli e guarnite le vostre cotte di maglia con non so che cenci variopinti. Lustrate le vostre lance i vostri scudi e le vostre selle incrostate d'oro, d'argento e di gemme i vostri morsi e le vostre staffe. E in tanta pompa vi parate per la morte e correte verso la vostra rovina con impudente furore e sfrontata insolenza. Questi orpelli sono l'equipaggiamento di un cavaliere oppure ornamenti da donna? Credete che le armi dei vostri nemici sfuggano l'oro, risparmino le gemme e non trafiggano la seta? Voi invece sperimentate di continuo che nella battaglia sono necessarie fondamentalmente tre qualità: che un cavaliere sia accorto nel difendersi, rapido in sella, pronto all'attacco. Voi, al contrario, vi acconciate come delle donne, fino al disgusto di chi vi vede: avviluppate e impacciate i vostro piedi in tuniche lunghe e larghe, nascondete le vostre mani tenere e delicate in maniche ampie e svasate. E così agghindati vi battete per i motivi più futili, per moti irrazionali d'ira, per vano desiderio di gloria, per bramosia di ricchezze terrene. Ma uccidere o morire per siffatti motivi non è certo cosa da farsi tranquillamente […].
Una nuova cavalleria è apparsa sulla terra dell'Incarnazione. Nuova, dico, e non ancora provata nel mondo dove essa guerreggia una doppia battaglia contro gli avversari di carne e di sangue e contro lo spirito del male nei cieli. Non mi pare cosa straordinaria che i suoi cavalieri resistano per la forza delle loro membra a nemici materiali, poiché esso non è un fatto raro. Ma che essi conducano la guerra con la forza dello spirito contro peccati e demoni non solo credo sia cosa meravigliosa ma degna di tutte le lodi accordate ai religiosi […].
Il cavaliere che è veramente senza paura e senza macchia protegge la stia anima con l'armatura della fede così come copre il suo corpo con una cotta di maglia. Doppiamente armato, egli non ha paura né dei demoni né degli uomini. Sicuramente colui che desidera morire non teme la morte. E come può temere di morire o di vivere colui per il quale la vita è Cristo e la morte la ricompensa? […]
Avanti dunque o cavalieri e colpite con animo intrepido i nemici di Cristo, sicuri che nulla può separarvi dalla carità di Dio […].
[I Templari] vanno e vengono, a un segno del loro comandante: portano gli abiti che vengono dati, non cercano né altri abiti né altro nutrimento Non accettano nulla tranne viveri e abiti, non desiderano altro che il necessario. Vivono insieme, senza donne e bambini. E perché non manchi loro nulla della perfezione angelica, dimorano tutti sotto lo stesso tetto, senza nulla che sia di loro proprietà, uniti dalla loro regola nel rispetto di Dio. […]

Bernardo di Chiaravalle, Lode della nuova milizia, PL 182, cc. 923-924.

[1] Cor., 9, 10.


(B) Considera, di grazia, e medita come nel nostro tempo Iddio abbia mutato l'Occidente in Oriente. Infatti noi che eravamo occidentali ora siamo diventati orientali; colui che era Romano o Franco è diventato Galileo o Palestinese l'abitante di Chartres o di Reims è diventato cittadino d Tiro o di Antiochia. Abbiamo dimenticato i nostri luoghi di nascita; molti di noi li ignorano addirittura o non ne hanno mai sentito parlare. Uno possiede qui case e domestici, come per diritto di successione e di eredità, un altro ha scelto come moglie, non una compatriota, ma una Siriana un'Armena e talvolta addirittura una Saracena battezzata. Un altro vi ha il suocero e la suocera o il genero o il figliastro e il patrigno. Quello ha nipoti e pronipoti.
Uno possiede vigne, l'altro campi. Usa di volta in volta le varie lingue e rispetta ed è rispettato; le lingue che un tempo erano usate esclusivamente dagli uni o dagli altri sono diventate comuni a tutti e la fiducia reciproca avvicina le razze più lontane. Infatti è stato scritto: Il leone e il bue mangeranno lo stesso fieno [1].
Lo straniero è quasi diventato un indigeno, chi era ospite è diventato fin abitante dei luogo. Ogni giorno ci raggiungono parenti e amici.
Non esitano ad abbandonare lì tutto ciò che possiedono perché quelli che lì erano poveri, Dio qui li rende ricchi; quelli elle non avevano che qualche soldo, qui possiedono infiniti bisanti. Colui che lì non possedeva neanche una fattoria qui, per grazia di Dio, possiede una intera città: perché dovrebbe ritornare in occidente colui elle in Oriente ha trovato una tale fortuna? Iddio stesso non vuole che siano colpiti dalla povertà coloro che, presa la croce, hanno fatto voto di seguirlo ed anche di raggiungerlo. Vedete quindi che si tratta di un grande miracolo che meraviglia tutto il mondo. Chi ha mai sentito prima d'ora tiri tale evento? Dio vuole che diventiamo tutti ricchi e che ci facciamo raggiungere dagli amici più cari.

Fulcherio di Chartres, Le gesta dei Franchi, PL 155, III 37.

[1] Is., 42, 45.


(C) Ci sono fra i Franchi alcuni che, stabilitisi nel paese, hanno preso a vivere familiarmente coi musulmani e costoro sono migliori di quelli che sono ancor freschi dei loro luoghi d'origine; ma quei primi sono un'eccezione, che non può far regola. A questo proposito, mandai una volta un amico per una faccenda ad Antiochia, il cui capo era Todros ibn as-Safi [1], mio amico, che aveva laggiù autorità. Questi disse un giorno all'amico mio: «Mi ha invitato un mio amico franco; tu vieni con me, per vedere il loro costume». Andai con lui, raccontava l'amico, e venimmo alla casa di un cavaliere di quelli antichi, venuti con la prima spedizione dei Franchi. Costui, ritiratosi dall'ufficio e dal servizio, aveva in Antiochia una proprietà dei cui reddito viveva. Fece venire una bella tavola, con cibi quanto mai puliti e appetitosi. Visto che mi astenevo dal mangiare disse: «Mangia pure di buon animo, ché io non mangio del cibo dei Franchi, ma ho delle cuoche egiziane, e mangio solo di quel che cucinano loro: carne di maiale in casa mia non ne entra!».
Mangiai, pur stando in guardia, e ce ne andammo. Passavo più tardi dal mercato, quando una donna franca mi si attaccò proferendo nella loro barbara lingua parole per me incomprensibili. Si raccolse attorno a noi una folla di Franchi, e io mi ritenni spacciato: quand'ecco venire innanzi quel cavaliere, che vistomi si avvicinò e disse a quella donna «Che ci hai con questo musulmano?». «Questo – rispose colei – ha ucciso mio fratello Urso», il quale Urso era un cavaliere di Apamea, che era stato ucciso da un soldato di Hamàt. Ed egli le gridò: «Questo è un borghese, cioè un mercante, che non fa la guerra, né sta là dove la fanno».
Gridò poi alla gente adunatasi, e quelli si dispersero, e mi prese per mano: così quell'aver mangiato alla stia tavola ebbe per effetto di salvarmi la vita [2].

Usâma Ibn Munqiah, Libro dell'ammaestramento con gli esempi, 103-104.

[1] Il greco Teodoro Sofiano.
[2] Usâma, autore di questo e dei brano seguente, era un musulmano di Siria vissuto nel XII secolo.


(D) Quando visitai Gerusalemme, entrai nella moschea Al-Agrâ, che era occupata dai Templari, miei amici. A fianco c'era una piccola moschea che i Franchi avevano trasformato in chiesa. I Templari mi assegnarono questa piccola moschea per recitarvi le mie preghiere. Un giorno vi entrai e glorificai Dio. Ero immerso nella mia preghiera, allorché un Franco balzò su di me, mi afferrò e girò il mio viso verso l'oriente dicendo: «Ecco come si prega!» Una folla di Templari si precipitò su di lui, lo afferrò e lo buttò fuori. Poi si scusarono con me dicendo: «È uno straniero che è arrivato questi ultimi giorni dai paesi dei Franchi e non ha mai visto pregare alcuno che non sia girato verso l'oriente».

Usâma Ibn Munqiah, Libro dell'ammaestramento con gli esempi, 99.

 

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