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Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione I – La popolazione

1. Laici ed ecclesiastici fra VIII e IX secolo

Sul finire dell'VIII secolo Carlomagno fece restaurare le mura e le torri di Verona, semidistrutta dalle invasioni ungare, ma sorse una lite fra i cittadini e la parte vescovile intorno alla ripartizione delle spese sostenute per i restauri, risolta poi con il ricorso al «giudizio di Dio». Il documento è interessante sotto diversi punti di vista: sia per quanto riguarda la manutenzione delle strutture urbane, sia per la composizione della popolazione della città, articolata in una parte laica, rappresentata dai iudices, e una ecclesiastica, in netta minoranza rispetto alla precedente («a quod a comparatione tanti populi exigua esset»).

Fonte: V. FAINELLI, Codice diplomatico veronese dalla caduta dell'impero romano alla fine del periodo carolingio, Venezia, R. Deputazione, 1940, doc. 147, pp. 207-8.


L'anno dell'incarnazione dei Signore 798. Notizia su quale manutenzione delle mura della città di Verona era consuetudine fare nei tempi passati da parte della sede vescovile di S. Zeno.

Al tempo del re Pipino, quando era ancora fanciullo, gli Unni, detti anche Avari, invasero l'Italia con un esercito in seguito al fatto che l'esercito dei Franchi e specialmente il duca del Friuli aggredivano con continue scorrerie gli Unni che abitavano fra l'Italia, la Pannonia e il Danubio. Il re dei Franchi Carlo, quando fu avvertito della loro venuta, si diede dunque cura di far restaurare la città di Verona in gran parte distrutta, fece ricostruire le mura e le torri e fece munire i fossati attorno alla città di palizzate infisse al suolo; quivi lasciò poi il figlio Pipino e inviò Berengario come suo rappresentante per reggere la città.

Sulla costruzione delle mura e dei fossati sorse però una controversia fra i cittadini con i giudici della città da un lato e la parte [vescovile] di S. Zeno dall'altro: i giudici volevano infatti che la sede vescovile contribuisse per un terzo alle spese, ma la parte della chiesa, che a confronto di una popolazione laica tanto numerosa era una piccola minoranza, voleva contribuire non per un terzo, ma per un quarto, come era solita fare in passato. E non solo l'episcopato, ma con esso il monastero di S. Maria che è sito a Porta Organo, e tre altri monasteri regi minori, cioè S. Pietro in Mauratica, S. Stefano in Ferrania, S. Tommaso delle Vergini in città, e due ospedali regi, uno a Porta S. Fermo, l'altro detto Calaudustera.

Poiché la contesa andava per le lunghe e nessuna delle due parti voleva cedere, non avendo potuto asserire la parte pubblica ciò che sosteneva in quanto molto tempo era passato da quando la città aveva subito restauri (al tempo dei Longobardi, infatti, essendo soggetta a pubblica manutenzione, non mancava di nulla e se qualcosa minacciava rovina subito veniva restaurata per intervento del vicario della città), di comune accordo stabilirono di rimettersi al giudizio di Dio e dello Spirito Santo e decisero di fare stare «alla croce» nella chiesa di S. Giovanni Battista del Duomo due giovani chierici, scelti e giudicati senza nessun crimine, uno dei quali era Aregauso, poi arcivescovo della città, che rappresentava la parte pubblica, l'altro, a nome di S. Zeno, era Pacifico che fu poi diacono della chiesa maggiore.

Dall'inizio della messa fino alla metà della lettura della Passione secondo Matteo rimasero alla pari, poi quello che era stato assegnato alla parte pubblica stramazzò al suolo esanime, mentre Pacifico rimase fino al termine della lettura. Finita la prova e rese grazie a Dio, la parte del vescovo con quelli che abbiamo prima ricordato accettò di concorrere per un quarto alle spese tanto per i restauri della città quanto per quelli del castello.

In tempi attuali, cioè l'anno in cui l'imperatore Lotario con i fratelli ritornò in Francia con l'esercito presso il padre, egli inviò a Verona i suoi rappresentanti, cioè il vescovo di Lodi Erimberto e il conte di Bergamo Mario, affinché facessero restaurare le mura che erano crollate presso la Porta detta Nuova, in castello e negli altri luoghi in cui si rendeva necessario un intervento, e la parte della chiesa con gli altri enti ecclesiastici accettò di contribuire per un quarto alla riparazione e i lavori furono completati.

Tutto ciò abbiamo registrato per togliere ogni ragione di contrasto, noi che siamo stati presenti a tutte queste vicende, dal principio di questa narrazione fino all'attuale anno 837 dell'incarnazione del Signore, quindicesima indizione.

© 2000
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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005