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Didattica > Fonti > La società urbana nell’Italia comunale > I, 21

Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione I – La popolazione

21. Milano alla fine del Duecento

Un discorso analogo a quello fatto per il testo precedente si può ripetere per questa non meno famosa pagina del cronista milanese Bonvesin da la Riva che descrive la grandezza di Milano nell'anno 1288. Nel caso di Bonvesin, tuttavia, prudenza vuole che i dati riportati vengano ridimensionati e che non si possano accettare per buoni come quelli di Villani: troppo infatti gioca nella narrazione il gusto letterario dell'iperbole usata per esaltare la città. Non fonte «statistica», ma in ogni caso immagine «impressionistica» di un grande centro cittadino, il maggiore, dell'Italia settentrionale alla fine del Duecento.

Fonte: BONVESIN DA LA RIVA, De magnalibus civitatis Mediolani, Milano Bompiani, 1974 (trad. it. a fronte di G. Pontiggia), pp. 62-71.


XII. […] Che dire ora del numero elevato degli altri abitanti di Milano e del suo contado? Silenzio. Chi riesce a contarli li conti. Mi si perdoni tuttavia se non taccio, giacché, secondo miei lunghi calcoli, confermati dalle assicurazioni di molti, più di settecentomila bocche umane di ambo i sessi (contando, insieme con gli adulti, tutti i bambini), vivono sulla superficie della terra ambrosiana e ricevono ogni giorno dalla mano di Dio, ed è mirabile la fonte, alimenti ambrosiani.

XIII. Perché non dovrebbe essere giusto il mio calcolo, se soltanto nella popolosissima città vi sono sicuramente centoquindici parrocchie, tra le quali ve ne sono alcune che annoverano senz'altro più di cinquecento famiglie e altre che ne annoverano circa mille?

XIIII. Quante comunque siano le bocche umane che abitano una città così grande lo calcoli chi ci riesce. Se lo saprà fare fino in fondo, arriverà, ne sono convinto, alla somma di duecentomila circa, giacché serie e accurate indagini hanno provato con certezza che nella sola città si consumano ogni giorno, in media, milleduecento moggi di grano e anche più; e la verità di questa asserzione è garantita da quelli che fanno pagare ai mulini i tributi sul grano macinato.

XV. Se uno vuole sapere quanti possano essere i guerrieri in una guerra, sappia che complessivamente abitano questa città più di quarantamila uomini, capaci ciascuno di maneggiare singolarmente contro i nemici una lancia o una spada o un'altra arma.

XVI. Quanti cavalieri atti alla guerra sia in grado di mettere in campo questa città lo posso dichiarare, giacché più di diecimila uomini, tra essa e il contado, potrebbero facilmente presentarsi, a un ordine del comune, con cavalli da guerra; e affinché anche delle cose analiticamente dette la verità enucleata risplenda in qualche modo più luminosa, per altra via, alcuni nuclei li snoderò dalle pieghe dell'insieme.

XVII. Vi sono nella sola città centoventi giureconsulti in entrambi i diritti, il loro collegio, sia per numero sia per sapienza, si crede non abbia l'uguale n tutto il mondo. Tutti costoro, pronti a emettere giudizi, accettano volentieri denaro dai litiganti.

XVIII. I notai sono più di millecinquecento; moltissimi tra loro sono ottimi estensori di contratti.

XVIIII. I messi del comune, che la gente chiama servitori, sono sicuramente seicento.

XX. Sei sono i trombettieri principali del comune, uomini dignitosi egregi, i quali, in onore della loro così grande città, non solo possiedono cavalli, ma conducono anche una vita decorosa alla maniera dei nobili. Essi suonano la tromba in modo mirabile, diverso da quello di tutti gli altri trombettieri del mondo. Il clangore stesso delle loro trombe, terribile e oltremodo adatto ai tumulti delle battaglie, e di cui non ne abbiamo avuto un altro simile in tutto il mondo, esprime a un tempo la grandezza e la forza di questa città.

XXI. I periti medici, che vengono chiamati, comunemente fisici, sono ventotto.

XXII. I chirurghi delle diverse specialità sono più di centocinquanta. Moltissimi di loro sono medici dalle spiccate attitudini, i quali continuano a esercitare, per antica tradizione di famiglia, la chirurgia appresa dai loro padri. Si crede che non possano avere l'uguale nelle altre città della Lombardia.

XXIII. I professori di grammatica sono otto; ciascuno di essi tiene sotto la propria bacchetta una numerosa scolaresca. Ho effettivamente constatato che essi superano i dottori delle altre città, insegnando la grammatica con grande impegno e diligenza.

XXVIII. Quattordici sono i dottori espertissimi in canto ambrosiano; da ciò si può dedurre quanto siano numerosi in questa città i chierici.

XXV. I maestri elementari superano il numero di settanta.

XXVI. I copisti, benché in città non vi sia Studio generale, superano il numero di quaranta. Trascrivendo ogni giorno libri con le loro mani, essi provvedono al pane e alle altre spese.

XXVII. I forni che in città, come si sa dai registri del comune, cuocciono il pane ad uso dei cittadini sono trecento. Ve ne sono anche moltissimi altri esenti, che servono monaci o religiosi di ambo i sessi; penso siano più di cento.

XXVIII. I bottegai, che vendono al minuto un numero incredibile di mercanzie, sono sicuramente più di mille.

XXVIIII. I macellai sono più di quattrocentoquaranta; nei loro macelli vengono vendute in abbondanza ottime carni di ogni tipo di quadrupedi adatti al nostro consumo.

XXX. I pescatori che quasi ogni giorno pescano in abbondanza nei laghi del nostro contado pesci di ogni tipo, trote, dentici, capitoni, tinche, temoli, anguille, lamprede, granchi e ogni altro genere infine di pesci grossi o minuti, ono più di diciotto; quelli che pescano nei fiumi sono più di sessanta; quelli che portano in città pesce pescato nei ruscelli innumerevoli dei monti assicurano di essere più di quattrocento.

XXXI. Gli albergatori che a pagamento danno albergo a gente che viene di fuori sono circa centocinquanta.

XXXII. I fabbri che attaccano zoccoli di ferro ai quadrupedi sono circa ottanta; da questo si può dedurre l'abbondanza dei cavalieri e dei cavalli. Quanti siano i fabbricanti di selle, di freni, di sproni e di staffe, non sto a dirlo.

XXXIII. I fabbricanti di campanelle di oricalco che, appese al collo dei cavalli, danno un dolce suono e non sappiamo se vengano fabbricate anche altrove, sono più di trenta; ciascuno di loro ha sotto di sé molti collaboratori che lo aiutano nell'arte sua.

Se volessi elencare ordinatamente anche il numero degli artigiani di ogni tipo, dei tessitori di lana, di lino, di cotone, di seta, dei calzolai, dei conciatori di pelli, dei sarti, dei fabbri di ogni genere e così via; e poi dei mercanti che girano ogni parte della terra per i loro mercati e sono parte importante nelle fiere delle altre città; e infine dei merciai ambulanti e dei venditori all'asta: io credo che quanti mi leggono e mi ascoltano ammutolirebbero, per così dire, dallo stupore. Queste precisazioni si riferiscono alla sola città e limitiamoci ad esse: bastano infatti a fare comprendere l'elevato numero dei cittadini e l'abbondante afflusso dei forestieri in questa città.

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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005