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Didattica > Fonti > La società urbana nell’Italia comunale > II, 3

Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione II – Le funzioni

3. Le mura nel X secolo

Liutprando, vescovo di Cremona morto nel 972, scrisse una storia generale d'Europa per il periodo 888-962, densa di avvenimenti e di giudizi, dalla quale si possono trarre informazioni interessanti anche relative alle città di quel periodo. I brani qui riportati si riferiscono rispettivamente agli anni 930 e 896, due momenti della lotta fra «re nazionali» per il controllo del regno italico, e riguardano i rapporti fra Burcardo re di Svevia e la città di Milano, e la conquista di Roma da parte di Arnolfo di Carinzia: nel primo caso le mura di Milano assumono valore anche psicologico per gli abitanti da esse protetti, nel secondo appare invece la debolezza dell'apparato difensivo di fronte a un nemico agguerrito ed esperto nelle tecniche di espugnazione.

Fonte: a/ LIUTPRANDI Liber Antapodoseos, in A. BAUER – R. RAU (a cura di), Quellen zur Geschichte der sächsischen Keiserzeit, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1971, 111, 14-15, pp. 366-68; b/ Ibidem, 1, 27, p. 276.


a/

Essendo ormai arrivato a Milano [Burcardo], prima di entrare in città, si reca presso la chiesa del glorioso martire san Lorenzo per pregare, ma, come dicono. non tanto per devozione quanto piuttosto per motivi di altro genere. Dicono infatti che, essendo la chiesa costruita in modo mirabile presso la città, Burcardo nello stesso luogo volesse edificare una fortezza per soggiogare non solo i Milanesi ma la maggioranza dei principi italiani.

Uscito infatti dalla chiesa, mentre cavalcava attorno alle mura della città, così parlava con i suoi nella propria lingua, cioè in tedesco: «Se non sarò riuscito a costringere gli Italiani a usare un solo sperone e a cavalcare bolse rozze non mi chiamerò più Burcardo, poiché non mi impressionano certo la robustezza di queste mura né la loro altezza da cui [i Milanesi] credono di essere protetti, e con un colpo solo della mia lancia da esse ne butterò giù uccisi gli avversari».

Così diceva pensando che nessuno dei suoi nemici ne intendesse la lingua, ma per sua cattiva sorte era presente un tale, male in arnese ma in grado di capirne l'idioma, che subito andò a riferire tutto all'arcivescovo Lamperto. Questi, astutamente, non disdegnò di accogliere Burcardo ma gli rese anzi grandemente onore e fra l'altro, come segno speciale della sua amicizia, gli concedette di cacciare il cervo nel suo parco, cosa che non aveva mai permesso ad alcuno se non agli amici più cari e importanti.

Frattanto Lamperto invita i Pavesi e tutti gli altri principi d'Italia all'uccisione di Burcardo e lo trattiene fintantoché ritiene che tutti quelli che lo devono uccidere possano essersi collegati fra loro.

Lasciata Milano, Burcardo lo stesso giorno giunge a Novara e trascorre qui la notte: alle prime luci dell'alba si leva per raggiungere Ivrea ma subito compaiono le falangi italiche che lo assalgono. Davanti a esse non si comporta da coraggioso ma subito cerca scampo nella fuga, ma, poiché, come dice il passo di Giobbe, non poteva superare il termine stabilito per lui ed essendo «fallace per la salvezza il cavallo», disarcionandolo, il cavallo lo scaraventa nel fossato che circonda le mura della città, dove egli trafitto dalle irruenti lance ausonie vita con morte muta.

b/

Infiammati dai discorsi bellicosi [di re Arnolfo], i più coraggiosi per avidità di gloria mettono a repentaglio la vita: pertanto, difesi dagli scudi e dai mascheramenti di fascine, si volgono in massa ad assalire le mura anche con strumenti di assedio che avevano preparato. Mentre ciò si sta svolgendo, davanti a tutto l'esercito accade che un leprotto spaventato dal rumore fugge in direzione della città. L'esercito, come di solito avviene, si mette al suo inseguimento con grande impeto, al che i Romani, credendo di essere attaccati con decisione, abbandonano le mura, buttandosi di sotto. A quella vista l'esercito degli assedianti accumula i bagagli e le selle di cui erano carichi ai piedi delle mura e su quel mucchio dà la scalata. Una parte dell'esercito, invece, prende una trave di 50 piedi di lunghezza e abbatte la porta della città, conquistando con la forza la città detta Leonina, in cui riposa il prezioso corpo del principe degli Apostoli san Pietro.

© 2000
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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005