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Didattica > Fonti > La società urbana nell’Italia comunale > II, 9

Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione II – Le funzioni

9. La funzione economica: i mercanti cremonesi nel IX secolo

La presenza di una popolazione concentrata richiede l'afflusso in città di derrate alimentari e di prodotti di prima necessità: l'attività terziaria, cioè quella relativa ai servizi di distribuzione, diventa così espletamento di una precisa funzione urbana economica. Gli addetti a tale attività sono i mercanti e fin dall'alto Medioevo la città italiana ospita questa categoria: ne è prova eloquente la lamentela che i Cremonesi rivolgono verso l'851-52 all'imperatore Ludovico II per protestare contro le imposizioni pretese dal vescovo di Cremona dai mercanti cittadini che attraccavano al porto locale. Nella prima metà del IX secolo i Cremonesi, che in precedenza apparivano associati agli abitanti di Comaccbio per il commercio dei sale, navigavano ormai con navi proprie e si presentavano come una precisa categoria cittadina.

Fonte: C. MANARESI (a cura di), I placiti del «Regnum Italiae», Roma, 1955 (FSI, 92), doc. 56, pp. 194-98 (trad. it. in G. FASOLI – F. BOCCHI [a cura di], La città medievale italiana, Firenze, Sansoni, 1973, pp. 118-19).


Mentre in nome di Dio il signor Ludovico imperatore teneva un placito generale a Pavia, vennero a protestare davanti a lui Rotecario, Dedilo, Gudiperio e altri abitanti di Cremona, perché Benedetto venerabile vescovo della santa Chiesa cremonese, commetteva molti soprusi nei loro confronti per le navi che essi conducevano al porto della città, richiedendo il ripatico, la palifittura e il pasto che né essi né i loro genitori avevano mai dato. Il gloriosissimo signor imperatore, udendo questo reclamo, mandò come suo rappresentante Teoderico, suo diletto consigliere, che esaminasse diligentemente e risolvesse la questione. Il predetto Teoderico venne a palazzo, là dove il conte Ubaldo teneva giudizio insieme con i conti Adelgiso e Achedeo e con gli altri giudici di palazzo. Venendo alla loro presenza il predetto vescovo Benedetto e i predetti querelanti, discussero a lungo fra loro, finché lo stesso Teoderico decise di tenere un'udienza a Cremona, dove avrebbe potuto secondo la legge investigare su tutta la questione per mezzo di uomini veraci e idonei. Venne dunque il predetto Teoderico a Cremona e tenne giudizio nel palazzo vescovile, sedendo con lui il vescovo Benedetto, Landeberto, Ariperto e molti altri. Venendo qui i sopranominati abitanti della città insieme con altri, dichiararono che il vescovo Benedetto faceva ingiustamente molte violenze, poiché arbitrariamente esigeva da loro il ripatico, la palifittura e il pasto, come li esigeva dai militi di Comacchio, cosa che né essi, né i loro antecessori avevano mai dato, né erano tenuti a dare per legge. Rispondeva il predetto vescovo che ogni qualvolta qualsiasi mercante con le sue navi giungeva nel porto, tutti questi tributi, cioè ripatico, palifittura e pasto, soleva dare ai ripari della chiesa secondo il patto che il signor imperatore Carlo Magno di buona memoria aveva riconfermato, e portò idonei testimoni. Il primo fu Odeperto arciprete il quale disse dopo aver giurato nella sua qualità di sacerdote: «Io mi ricordo che prima dei tempi del signor Carlo e Pipino re, questi uomini che intentano un'azione contro la chiesa a proposito del porto, né loro, né i loro genitori erano proprietari di navi, né portarono sale da Comacchio a questo porto, se non al tempo del vescovo Pancoardo»… Gundeperto prete, dopo aver giurato nella sua qualità di sacerdote, rispondendo alle domande disse: «So che al tempo del signor Carlo e di Pipino re, costoro non ebbero mai delle navi con le quali portare del sale da Comacchio per venderlo, ma che portavano con le navi di Comacchio insieme con i Comacchiesi sale e altre spezie e pagavano in comune con loro il ripatico, e la palifittura agli agenti regi e alla chiesa di Cremona secondo le convenzioni»… Cunimondo, dopo aver giurato disse che al tempo di re Bernardo fu ripario e riscuoteva ripatico e palifittura e anche costoro li dovevano pagare secondo la legge… Castabile, dopo aver giurato disse: «So che da 30 anni in qua, dopo che essi cominciarono a navigare con le loro navi dànno ripatico e paliffittura»… Infine, dopo molti testi e molte testimonianze simili, risultò che i Cremonesi non avevano alcun privilegio per mezzo del quale potessero negare alla santa Chiesa cremonese e ai suoi vescovi il ripatico e la palifittura… Allora Teoderico interrogò Landeperto, gastaldo di Sespili, e Ariperto, avvocato della stessa corte, se avevano qualche documento per mezzo del quale la parte regia avesse dei diritti da avanzare. Essi risposero: «Non abbiamo testimoni, né documenti per i quali noi possiamo togliere il ripatico e la palifittura alla chiesa».

Avendo udito tutte queste cose, ed essendo ormai chiarita la questione in base all'inchiesta e alle risultanze, parve a noi esser giusto, e così giudichiamo, che i sopraddetti uomini devono pagare il ripatico e la palifittura per le loro navi, secondo gli antichi patti. E la causa fu così definita…

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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005