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Didattica > Fonti > La società urbana nell’Italia comunale > IV, 17

Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione IV – La struttura politico-sociale

17. I rapporti fra il comune e il vescovo: il caso di Ivrea

L'affermazione del comune sul complesso di diritti e di pertinenze territoriali goduti in precedenza dal vescovo non avvenne immediatamente con la prima comparsa dei consoli e non in tutte le città allo stesso modo, ma fu il frutto di un lento processo durante il quale il vescovo spesso conservò ancora a lungo certe prerogative. Il controllo sui beni comuni e sul commercio delle pietre da macina a Ivrea, ad esempio, rimase in contestazione fino al principio del Duecento, quando la questione venne risolta con una spartizione: al comune toccarono i tre quarti dei diritti, al vescovo il quarto restante.

Fonte: G. ASSANDRIA (a cura di), Il Libro Rosso del comune di Ivrea, Pinerolo, 1914 (Biblioteca della Società storica subalpina, LXXIV), doc. 172, pp. 160-63 (parziale).


L'anno dell'incarnazione del Signore 1200, 23 luglio, terza indizione.

Alla presenza dei testimoni infrascritti. Vi era controversia e discordia fra il signor Giovanni vescovo di Ivrea a nome dell'episcopato da una parte e i consoli Giordano Soriano, Giacomo Gionatasio, Enrico del Pozzo, Alario, Oberto Calderia a nome del comune di Ivrea dall'altra, intorno ai diritti sul commercio delle pietre da macina e ai beni comuni, beni che il comune di Ivrea teneva sotto il podestà di Ivrea Guido Barbavaria e sotto il signor Gregorio di Seiso. Chiedeva infatti il vescovo soprascritto che il comune, ossia la collettività di Ivrea, gli restituisse il possesso o il quasi possesso della metà di tutti i beni e i diritti che l'episcopato era solito tenere e possedere e specialmente ciò che il defunto [vescovo] Gaido a nome dell'episcopato e della sua chiesa di S. Maria tenne e possedette, e che i consoli della città dopo la morte di Gaido occuparono e tennero, cioè i diritti sul commercio delle pietre da macina e i beni comuni, ossia le terre comuni, le selve, le vigne, i campi, i diritti di pesca, dei quali i frutti e gli utili erano soliti pervenire, e tutti i frutti che in seguito ne pervennero. Ugualmente [io vescovo] chiedo che l'altra metà di tutto ciò sia restituita a me e all'episcopato poiché appartiene all'episcopato e alla chiesa.

Ugualmente chiedo che mi venga restituito tutto ciò che i consoli e il comune hanno sottratto dal palazzo vescovile e dai nostri castelli dopo la morte del vescovo Gaido; richiedo il grano, i maiali, le stoviglie e gli attrezzi presi dal palazzo dal comune e dalla collettività sui beni della chiesa dopo la morte di Gaido e che sono di pertinenza della chiesa.

Da parte contraria i consoli risposero a nome del comune, ossia della collettività, affermando che su tutto ciò di cui si era parlato non spettava né alla chiesa né all'episcopato accampar diritti, dal momento che questo era di pertinenza del comune e della collettività e che il comune da grandissimo tempo lo aveva e lo possedeva. Su tali argomenti giunsero tuttavia a una transazione e stabilirono quanto segue: per primo, il signor vescovo a nome dell'episcopato e della chiesa di Ivrea cedette e conferì ai consoli a nome del comune, ossia della collettività di Ivrea, tutti i diritti e tutte le azioni reali e personali che aveva e che ad essa chiesa competevano o che in qualche modo potevano competere su tre parti o porzioni del predetto diritto sul commercio delle pietre da macina e su tre parti di tutti i beni comuni, ossia terre comuni suddette. Inoltre rinunciò a favore dei consoli a nome del comune al diritto sopra le suddette tre parti del diritto sul commercio delle pietre da macina e dei beni comuni che a lui potesse competere e le anzidette tre parti dovranno essere tenute dal comune, ossia dalla collettività, in feudo dal vescovo e dalla chiesa di Ivrea.

I predetti consoli a nome del comune e della collettività di Ivrea diedero e cedettero al vescovo ogni diritto e ogni azione reale e personale che avevano e possedevano sulla quarta parte del diritto sul commercio delle pietre da macina e sui beni comuni. E per tale concordia e transazione i capifamiglia di Ivrea oppure otto uomini per contrada dovranno prestare giuramento di fedeltà al vescovo per le suddette tre parti del diritto sul commercio delle pietre da macina e dei beni comuni [concessi in feudo].

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UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005